Cardiorete 2011


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Tedesco

IL PUNTO SULLA TERAPIA DELL'IPERTENSIONE ARTERIOSA
TRA VECCHI E NUOVI FARMACI.

Michele A. Tedesco
U.O.C. di Cardiologia, A.U.P. Seconda Università di Napoli, A.O.R.N. Monaldi.


L'ipertensione arteriosa colpisce più di un terzo della popolazione mondiale ed è coinvolta nella insorgenza delle malattie cardiovascolari e della insufficienza renale. Curare, prevenire o almeno ritardare l'insorgenza dell'ipertensione riduce notevolmente l'incidenza e la gravità di queste patologie. Attualmente disponiamo di agenti molto efficaci nel ridurre la pressione arteriosa (PA), facili da utilizzare e con effetti collaterali sempre più modesti, facilitando così la compliance del paziente. Considerato, quindi, l'armamentario terapeutico a nostra disposizione, non si intravede la necessità di ricercare nuovi farmaci. La maggior parte degli ipertesi ha delle patologie associate, in particolare nella popolazione anziana, per cui avere a disposizione nuove molecole può certamente servire ad ampliare le possibilità terapeutiche. Tra i principali sistemi coinvolti nella regolazione pressoria, uno dei più importanti e studiati è il sistema renina-angiotensina-aldosterone (SRAA). Bloccare il SRAA significa abbassare la PA e limitarne i danni, oltre che evitarne altri, anche indipendenti dalla pressione. Gli ACE-I e gli ARB agiscono su due punti della catena, rispettivamente sulla trasformazione di Ang I in Ang II e sul recettore dell'Ang II, ottenendo così un importante blocco del sistema. Gli ACE-I e gli ARB sono farmaci ormai consolidati e recentemente si sono evidenziati alcuni aspetti innovativi come la loro associazione (doppia inibizione), che dovrebbe portare alcuni vantaggi rispetto al singolo farmaco. I risultati sono incoraggianti e non conclusivi nei pazienti con nefropatia diabetica e nello scompenso cardiaco.
Nella classe degli ARB si attendono i risultati finali di sperimentazione relativi all'ultimo nato, l'Azilsartan. Questa molecola sembrerebbe avere una efficacia superiore al Valsartan, alla dose massima raccomandata, senza determinare un aumento di eventi avversi. L'ultima novità in commercio dei farmaci che agiscono sul SRAA è l'Aliskiren, inibitore diretto della renina che inibisce la conversione di Angiotensinogeno in Ang I, riduce l'attività reninica plasmatica e la produzione di Ang II ed Aldosterone. Questo farmaco ha mostrato una buona efficacia e tollerabilità quando usato da solo o in combinazione. Aliskiren ha una emivita di circa 40 ore, permettendo una notevole tranquillità nella monosomministrazione. I più comuni effetti collaterali sono costituiti da cefalea, vertigini e diarrea.
Tra i farmaci antagonisti dell'aldosterone lo Spironolattone resta il farmaco di riferimento, con le ben note limitazioni legate agli effetti antiandrogeno e proestrogenico, che nel maschio provocano ginecomastia e impotenza (nello studio RALES il 10% dei maschi presentava ginecomastia). L'Eplerenone, nuovo antagonista dell'aldosterone, con affinità per i recettori androgeni e progestinici notevolmente inferiore rispetto alla Spironolattone. Il farmaco, pertanto va assunto in duplice somministrazione. Molto interessanti sono i risultati che provengono da studi che ne hanno valutato l'effetto nel post-IMA e nella prevenzione dello scompenso cardiaco (studio EPHESUS), ottimi risultati , inoltre, si sono avuti nel ridurre la pressione arteriosa e la massa ventricolare sinistra.
Nella ricerca futura, sembra essere di un certo interesse una terapia che tenda a potenziare l'attività dell'ACE2, analogo dell'ACE, che converte l'Ang II in Ang (1-7), che ha effetti vasodilatatori, natriuretici e antinfiammatori.
Nella classe dei Ca-Antagonisti in fase avanzata sono gli studi sulla Cilnidipina, molecola che si differenzia dai convenzionali Ca-Antagonisti per la capacità di antagonizzare non solo i canali L del Calcio, a livello dei vasi della muscolatura liscia, ma anche i canali N, a livello delle terminazioni nervose simpatiche. Questo doppio antagonismo determina una minore stimolazione simpatica unita ad una maggiore protezione nei confronti del danno d'organo, in particolare a livello renale.
Sebbene sia possibile identificare una specifica causa nel determinismo dello stato ipertensivo, di solito l'elevazione dei valori pressori ha una genesi multifattoriale. Per tale motivo è difficile normalizzare la PA interferendo su un solo meccanismo pressorio. Normalmente, la terapia farmacologica diretta su una sola componente patogenetica evoca una risposta controregolatoria che ne riduce la capacità ipotensivante. Numerosi trials clinici documentano come sia difficile raggiungere il target pressorio con un singolo farmaco. Risultati migliori, anche in termini di protezione CV si ottengono con la terapia di combinazione tra molecole che agiscono su fattori causali differenti. È in questo campo dove, negli ultimi mesi, si stanno sviluppando il maggior numero di novità prescrittive.



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