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IL RAPPORTO MEDICO-PAZIENTE
(LA BASE PSICOLOGICA DI UN CONTRATTO)
Alessandro Boccanelli
Dipartimento per le malattie dell'Apparato Cardiocircolatorio
Azienda Ospedaliera S. Giovanni Addolorata-Roma, ).Anna Rita lista dell'Associazione
Italiana di Psicologia Analitica (AIPA).
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Fino al XVI secolo il Cuore era ritenuto la sede dei processi mentali e psichici. Nella religione egiziana, in particolare, il cuore era vissuto come il centro della vita, della volontà, dell'intelligenza ed era l'unico viscere lasciato nella mummia. Lo scarabeo del cuore, amuleto essenziale posto nella tomba portava incisa una formula magica che impediva al cuore di testimoniare contro il morto davanti al tribunale di Osiride.
Nella tradizione biblica il cuore rappresentava l'uomo interiore, la sua vita affettiva, la sede dell'intelligenza e della saggezza.....
Nella tradizione islamica il cuore era considerato il luogo nascosto e segreto della coscienza. Il doppio movimento, diastole e sistole, ne faceva anche il simbolo del doppio movimento di espansione e riassorbimento dell'universo.
Nell'immaginario collettivo queste rappresentazioni, nel corso del tempo, sono rimaste sostanzialmente intatte come dimostrano una serie di espressioni di uso comune.
Seguendo qualche esempio linguistico dai dizionari o dal parlato quotidiano, troviamo: "hai il cuore indurito, hai il cuore duro come un sasso, aprire il cuore, dare il cuore, donare il cuore, rubare il cuore, sentirsi stringere il cuore, sentirsi allargare il cuore, ridere di cuore, a cuore aperto, sentire un tuffo al cuore, struggersi il cuore, mangiarsi il cuore, mettersi il cuore in pace, mettersi una mano sul cuore, prendersi a cuore qualcuno, mi hai toccato il cuore, spezzare il cuore, cuore solitario, di poco cuore, avere il cuore di leone, di tigre, di ferro, di pietra, avere una spina nel cuore, avere in cuore di fare, persona di buon cuore, di cuore, di tutto cuore, in cuor suo, amico del cuore ecc..."
Alla luce di queste riflessioni è evidente come il cuore non è solo un organo del sistema cardio-circolatorio ma una fonte psicofisiologica di espressioni abituali attraverso cui comunicare qualcosa del nostro esperire e attraverso cui ascoltare qualcosa dell'altrui vissuto.
Da quanto sopra emerge che all'organo cuore vengono attribuite, anche inconsciamente, funzioni psichiche e che le alterazioni della funzione del cuore possono essere vissute come particolarmente minacciose.
Riteniamo utile dividere la nostra sintetica trattazione considerando due punti di vista:
1) gli effetti della psiche sul cuore
2) gli effetti del cuore sulla psiche e l'intercettazione del rapporto da parte del cardiologo
Quest'ultimo, per poter interagire efficacemente col paziente ottenendone la delega per la cura della malattia, deve conoscere tutti i meccanismi reciproci tra psiche, cuore e vissuto della malattia.
GLI EFFETTI DELLA PSICHE SUL CUORE
La dualità mente-cuore può assumere forme molteplici ed elenchiamo di seguito alcune forme psicogene di malattie cardiovascolari:
1) alcune forme di infarto miocardico, morte improvvisa e cardiomiopatie da stress innescate da stress mentale acuto (Tako-Tsubo)
2) malattia coronarica causata da disordini depressivi maggiori
3) cardiopatia attribuibile ad attacchi di panico
4) malattie cardiovascolari da stress mentale cronico:
- coronaropatia
- ipertensione arteriosa essenziale
5) malattie cardiovascolari causate da farmaci psicotropi
6) cardiopatia e ipertensione arteriosa in pazienti schizofrenici
Alcune caratteristiche di personalità si associano più facilmente a problemi cardiovascolari. Dei 31 termini più usati per definire il TABP (Type A behaviour pattern) quelli che appaiono più frequentemente sono:
- aggressività
- lotta per il risultato
- preoccupazione riferita a scadenze
- ambizione
I processi intermedi attraverso i quali il distress psichico aumenta il rischio di malattie cardiovascolari sono noti solo in modo parziale e la loro comprensione è importante per ridurre il rischio cardiovascolare.
Il legame fra lo stress psicologico ed il rischio cardiovascolare può essere in larga parte spiegato dal comportamento individuale, con elementi quali il fumo ed il livello di attività fisica: il trattamento dello stress psicologico in sé potrebbe dunque non essere il solo approccio per la riduzione del rischio cardiovascolare.
Il trattamento delle alterazioni e o disturbi psicologici, comunque, è un'area di considerevole interesse nella cardiologia clinica e nella ricerca inerente: vi sono di certo fattori psicosociali implicati nelle cardiopatie, ed i soggetti "stressati" o "depressi" presentano un aumento del 50% del rischio di malattie cardiovascolari rispetto alle loro controparti libere da significativi elementi stressanti a livello psicosociale.
La ricerca che collega lo stress mentale all'infarto miocardico e alla morte improvvisa è spesso oggetto di controversia a causa del disaccordo su ciò che costituisce lo stress. L'evidenza che i tassi di morte improvvisa non traumatica siano, ad esempio, fortemente aumentati durante le catastrofi naturali, è fuori discussione. Non c'è dubbio che durante un terremoto, tutti siamo terrorizzati. Ma gli attacchi cardiaci derivanti da disastri che colpiscono la popolazione costituiscono un caso speciale o sono di rilevanza più generale? La correlazione fra tensione emotiva e sindromi coronariche acute è stata brillantemente dimostrata durante i campionati mondiali di calcio del 2006 a Monaco, con una relazione dose-risposta precisa tra stress mentale ed eventi cardiaci. Gli attacchi di cuore erano più frequenti nei giorni in cui le sorti della squadra tedesca venivano decise ai calci di rigore piuttosto che nel giorno della finale, quando la Germania non giocava.
Lo stress mentale acuto è causa di una forma particolare di cardiomiopatia, la sindrome di Tako-Tsubo o del "crepacuore". Si dispone oggi di evidenza sufficiente per affermare l'importanza eziologica di una attivazione estrema del sistema nervoso simpatico in questa circostanza, con liberazione di peptide 1 accompagnata da spasmo coronarico.
Un'altra condizione psichica che causa problemi cardiovascolari è rappresentata dalla schizofrenia. L'attesa di vita dei pazienti con schizofrenia è inferiore di 10-15 anni rispetto a quella della popolazione generale; le cause dell'aumento di mortalità è morbidità risiedono nell'incremento ponderale, nella maggiore prevalenza di diabete, ipertensione, inattività fisica e scarsa cura di sé. A questo si aggiungono gli effetti avversi del trattamento farmacologico (Q-T lungo) e una sottovalutazione e cattiva gestione dei problemi di salute fisica di questi pazienti.
GLI EFFETTI DEL CUORE SULLA PSICHE
I problemi che le malattie cardiache provocano sull'assetto psichico sono molteplici e differenziati nelle diverse fasce di età. In età pediatrica le cardiopatie congenite e nelle età di mezzo e avanzata le altre forme di cardiopatia, in particolare quella coronarica, suscitano reazioni psichiche delle quali occorre tenere conto per un approccio completo alla cura della malattia.
La nascita di un bambino cardiopatico è causa di intensa sofferenza per la coppia genitoriale che si trova a dover elaborare un doppio lutto: quello fisiologico legato alla perdita del bambino immaginato e fantasticato e quello legato alla salute del bambino e della propria immagine di buoni genitori portatori di vita.
Anche il cardiopatico congenito adulto presenta problemi importanti dal punto di vista psicologico.
- L'inserimento lavorativo è discreto (70%), tuttavia non è corrispondente alle aspettative riguardo al grado di istruzione.
- È costante la presenza di un ambiente familiare iperprotettivo, che sembra indipendente dalla gravità della cardiopatia.
- È relativamente basso (32%) il numero di soggetti che riescono a creare degli stabili legami affettivi.
- Nelle donne il desiderio di maternità è molto elevato, pur nella consapevolezza dei rischi di aggravamento dello stato clinico e di ricorrenza di cardiopatia congenita nella prole.
- La presenza della cicatrice allo sterno esito di intervento di cardiochirurgia, viene considerata un ostacolo alla possibilità di intrecciare relazioni amicali ed affettive; i profili di personalità risultano comunque comunemente entro i limiti di norma.
Un problema centrale nel rapporto tra malattia di cuore e psiche è rappresentato dal timore della morte improvvisa. Questa deve essere presentata come eventualità con accresciuta probabilità in molte cardiopatie (morte improvvisa eredo-familiare, cardiopatie dilatative e altre) e richiede, da parte dello specialista cardiologo una notevole sensibilità ed eventualmente il supporto dello psicologo. Nelle forme eredo-familiari si pone il problema del counseling genetico, illustrando alla coppia la probabilità di generare figli con un tratto genetico a rischio.
L'indicazione ad impianto di defibrillatore comporta di frequente difficoltà di accettazione da parte del paziente con necessità, anche in questo caso, di supporto psicologico.
Il trapianto cardiaco è un problema di estrema complessità dal punto di vista psicologico.
Le modificazioni fenomenologiche e fisiopatologiche hanno un significato molto diverso in caso di trapianto del cuore rispetto ad altri trapianti (reni, fegato, etc..)
("Il cuore trapiantato fa parte del mio corpo ma con una risonanza interiore profondamente diversa: il cuore come l'intruso, corpo estraneo, differente dalla "non -sensazione" di avere il cuore di chi sta bene (quando ho camminato troppo, ho il cuore in gola, ma è il "mio" cuore").
In considerazione dell'importante impatto epidemiologico, tratteremo in modo più approfondito il problema del post-infarto.
La sindrome del sopravvissuto
L'impatto emozionale con la malattia sappiamo essere nell'infarto molto particolare. Questa peculiarità è determinata in gran parte dall'esordio acuto della sintomatologia, dal suo apparire come un fulmine a ciel sereno e dal suo evocare significati invalidanti per l'individuo che ne è colpito. Il carattere comunque improvviso di questa malattia le conferisce spesso quella drammaticità che nasce solo dall'incontro di una persona con l'eventualità della propria morte.
Questa esperienza reca con sé, nella maggioranza dei casi, sentimenti di perdita attinenti il senso di integrità corporea e la percezione di se come essere vitale. La consapevolezza che la malattia ha colpito un organo vitale può condurre il paziente a dolorose revisioni della stima di se, a dimensionare diversamente il sentimento del proprio valore e della propria efficienza. L'equilibrio preesistente, in sostanza, appare sovente incrinato, se non addirittura compromesso.
Non è difficile percepire i pensieri, le emozioni, le sensazioni, i sentimenti di questi pazienti. Spesso sono loro stessi ad esprimerli con una chiarezza e una partecipazione affettiva disarmanti.
Dal punto di vista strettamente clinico la letteratura specialistica, come è noto, rileva, dopo l'infarto miocardico (IM), una elevata incidenza di alterazioni e disturbi psicologici. Tali evidenze possono essere così sintetizzate:
a) disturbi di ansia
Questi vengono generalmente riscontrati in modo sostanzialmente equivalente sia nella popolazione maschile che femminile. Tra i disturbi gravi emerge il disturbo di ansia generalizzata. Questo, spesso, precede e si sovrappone all'evento infartuale. Tra i disturbi minori, negli uomini tendono a prevalere i disturbi della vigilanza e dell'attenzione mentre nelle donne prevale l'ipereattività neurovegetativa
b) disturbi dell'umore
Vengono riscontrati con una lieve prevalenza nei maschi rispetto alle donne. Tra i disturbi gravi dell'umore si osserva generalmente una maggiore incidenza (senza sostanziale distinzione tra i sessi) del disturbo depressivo maggiore. Anch'esso, spesso, precede e si sovrappone all'evento cardiaco. Tra i disturbi depressivi minori, viene rilevato come prevalente il cosiddetto stato di Helplessness. Negli uomini i disturbi dell'umore sembrano subire, comunque, un incremento della frequenza, in maniera statisticamente significativa, sia a breve che a lungo termine dopo l'IM. In diversi studi relativi all'IMA, la sindrome depressiva è stata trovata associata a complicanze anche gravi o mortali nei 6 mesi successivi all'evento(1).
c) disturbi di personalità
I disturbi della personalità in pazienti con l'IM, sono generalmente presenti in circa il 14-15% della popolazione studiata dalla letteratura specialistica. Non è infrequente osservare una esacerbazione di tale disturbo dopo l'evento infartuale.
d) disturbi secondari
In relazione al loro grado di incidenza possono essere così riportati: disturbi del sonno, della funzione sessuale, del comportamento alimentare.
È ormai noto come la valutazione tempestiva delle alterazioni e dei disturbi psico emozionali seguita da programmi terapeutici interdisciplinari, possa influenzare rapidamente e positivamente l'equilibrio psicologico e comportamentale del paziente. L'attivazione di tali procedure ha, ovviamente, una ricaduta significativa anche su altri fattori: il decorso clinico, i tempi di degenza, la qualità dell'esperienza di ricovero e di malattia, la prevenzione delle recidive, la correzione dei fattori di rischio, il miglioramento della compliance sia da parte del paziente che dei suoi familiari.
Un possibile percorso : le quattro fasi
E' possibile paragonare il processo di guarigione da una malattia grave a quello di
elaborazione del lutto, della perdita affettiva. I modi di reazione a questa esperienza
attraversano con il passare del tempo una serie di fasi psicologiche successive che… "non sono distinte nettamente ed il singolo individuo può oscillare avanti e indietro dall'unaall'altra. Possiamo, comunque, discernere una sequenza complessiva "(2)
Fase di shock o stordimento
Sovente si identifica con l'impatto del paziente con l'ambiente ospedaliero. È comunque, in genere, la fase immediatamente successiva alla diagnosi ed è caratterizzata da una sensazione di catastrofe.
Secondo gli studi di J. Bowlby ha una durata che solitamente oscilla "da alcune ore a una settimana e può essere interrotta da scoppi di dolore e/o collera estremamente intensi".
Il paziente vive stati d'animo caratterizzati da incredulità e smarrimento: appare inebetito, incapace di appropriarsi di una realtà che in quel momento dimostra il suo volto più inquietante. Egli ancora non si rende pienamente conto di ciò che è accaduto, non "entra" nel tempo e nello spazio reali.
È una fase di grande impregnazione affettiva caratterizzata da alterazioni anche significative dello stato di coscienza (dal restringimento, alla dissociazione della coscienza) che possono non consentire la corretta percezione delle informazioni.È, inoltre, possibile osservare la presenza di disturbi senso - percettivi.
Fase di ricerca e struggimento
Si osserva, secondo Bowlby "una iniziale, parziale vaga consapevolezza, anche se discontinua della realtà". Il corpo è vissuto lontano, quasi nemico. I pensieri scorrono con una rapidità maggiore della capacità di riflettere: "...... quasi contemporaneamente simanifesta una grande irrequietezza accompagnata da insonnia" e collera.
La collera nasce dalle delusioni incontrate nella ricerca infruttosa che "tutto torni comeprima" (il paziente non dice più "non è vero", "non è successo a me", "è uno sbaglio"). In questa fase, accanto a momenti di grande sconforto e avvilimento è tuttavia possibile osservare una percezione già più appropriata degli stimoli con conseguente migliore comprensione della realtà esterna. Poiché, comunque, è bene tener sempre presente che la percezione della realtà è strettamente correlata all'intensità dello stato affettivo ed al significato soggettivo attribuito allo stimolo, è indubbio che l'analisi dello stato di coscienza del paziente rivesta in questa fase una funzione primaria. Tale conoscenza è irrinunciabile soprattutto in quei momenti dove l'elevato investimento emotivo è ulteriormente amplificato come, ad esempio, nel caso della richiesta di consenso alle cure. In questa fase soprattutto, ma anche nelle altre, la conoscenza da parte del curante delle oscillazioni dello stato di coscienza e della intensità di queste riveste un ruolo chiave: permette di capire quanto il paziente sia in grado di percepire e comprendere adeguatamente comunicazioni sovente di importanza vitale.
Fase di disorganizzazione e disperazione
Affinché l'esperienza di malattia (dal punto di vista psicologico e non solo) abbia un decorso favorevole, è indispensabile che la persona sopporti il dolore di accettare come reale quanto è accaduto, che non è possibile tornare indietro e che la propria vita o più esattamente il proprio atteggiamento verso la vita è bene che subisca una seria revisione. In questa fase la disperazione, l'apatia e la prostrazione possono diventare stati emotivi insostenibili. Spesso la costante interpretazione della realtà come situazione di pericolo può consegnare al presente quel senso di nebulosa catastrofe da cui non si riesce a sfuggire. In alcuni lunghi interminabili istanti la stessa volontà di vivere sembra venir meno. Non è infrequente che l'ingenua fiducia, l'istintiva speranza si trasfigurano progressivamente sotto l'influenza di una pena che non si sospettava. Può affacciarsi minaccioso un sentimento di stanchezza nella prosecuzione di un possibile percorso di vita. Molti, ora, si sentono "segnati" dalla malattia, si vergognano e vorrebbero nascondere ad altri quanto accaduto. Essa sembra aver consegnato "un sentimento di sfasamento" della propria esistenza e questo è un qualcosa con il quale è difficile convivere.
Fase di riorganizzazione
Agli stati depressivi generalmente significativi, spesso espressi in forma mascherata, cominciano ad alternarsi stati d'animo diversi. Il paziente inizia a riflettere su quanto è accaduto. Molti guardano ed intravedono il senso di una realtà prima confusa e oscura alla coscienza e cominciano a considerare come affrontare la nuova situazione. Ciò implica, necessariamente, una ridefinizione di se e della situazione stessa "che benché possa essere soffusa di emozioni molto forti.... non è solo una liberazione di affetti ma anche un atto cognitivo3. Questo percorso può essere tanto penoso quanto cruciale perché significa rinunciare definitivamente alla speranza di recuperare una immagine di se "intatta" e di instaurare nuovamente la vecchia situazione. Peraltro, fin tanto che non si è maturata questa definizione, non si possono "fare piani per il futuro". Per alcuni può essere un percorso tutto in salita dal quale, tuttavia, non si può prescindere perché spesso da esso dipende "tutto il resto"
Le tre strade: "perché proprio a me?"
Il buon esito di questa sequenza psicologica può dipendere da molti fattori alcuni dei quali rimandano al modo di porsi del curante nel rapporto con il paziente, altri sono assolutamente imponderabili, altri ancor tengono solo a quest'ultimo. Ci stiamo riferendo a come il paziente vorrà e potrà interpretare nel tempo il senso della sua malattia e cercare in se la risposta a quel "perché proprio a me?". Arrivato a questo punto incomincerà a individuare 3 possibili percorsi.
La scelta della "prima strada", lo condurrà a riprendere il suo progetto di vita esattamente dal punto in cui si era interrotto a causa di questo disgraziato, imprevisto accidente. In questo sarà altamente improbabile avere a che fare con una buona compliance, con ovviamente forti ricadute riguardo ai fattori di rischio.
A) Numerosi studi epidemiologici a tale riferimento dimostrano un elevato livello di persistenza dei fattori di rischio dopo un infarto miocardico, con scarsa riduzione dell'abitudine al fumo ed elevata prevalenza di obesità e obesità centrale.
La "seconda strada" è un angolo nel quale ricacciarsi per il resto della propria esistenza, sopraffatto, segnato dalla malattia, convinto di essere un uomo finito e che il futuro, se futuro ci sarà, non gli riserverà niente di buono. È in realtà una posizione depressiva peraltro molto frequente. Essa può permanere nel tempo e implicare, tra l'altro, lo sviluppo dell'"illness behaviour". Anche in questo caso i livelli di compliance tendono ad essere fortemente compromessi.
B) Diabete mellito, ipertensione e ipercolesterolemia, ad esempio, sono controllati in modo solo parziale per scarsa aderenza alla malattia.
La "terza strada" può consentire l'accesso ad una possibilità di revisione delle proprie esperienze e del proprio progetto di vita. Implica l'incontro con il proprio "vuoto" ed il riconoscerlo come il motore della propria creatività e di un possibile rinnovato slancio vitale. In questo caso la trappola in cui la malattia ha confinato il paziente può dispiegarsi in un orizzonte insperato che spesso cambia positivamente la prospettiva ed il senso da sempre dato alla propria esistenza.
Continuare a farsi del male dopo un infarto…La prevenzione secondaria Il counseling motivazionale in cardiologia
La relazione di cura, come ogni esperienza interpersonale, si dipana attraverso fasi e passaggi psicologici peculiari. Come abbiamo accennato, la letteratura specialistica sull'argomento ci aiuta a identificare alcune sequenze specifiche e, pertanto, ci permette di concepirla come processo. Non è questo il contesto per approfondire questa complessa tematica . È bene, tuttavia, ricordare che essa implica, tra gli aspetti più significativi, la comprensione di quanto anche la personalità del curante (cioè il suo mondo di valori, le sue emozioni, le sue reazioni, in una parola il suo modo di "muoversi" con il paziente) entra in gioco in tutte le fasi del processo di cura. La prevenzione secondaria all'interno di quest'ultimo si configura come la fase elettivamente correlata alla "costruzione" della Alleanza Terapeutica. L'esito positivo di questa esperienza (finalizzata allo sviluppo, consolidamento e canalizzazione delle energie fisiche e psichiche deputate alla guarigione, al miglioramento e /o alla stabilizzazione delle condizioni cliniche) dipende, in gran parte dal "buon assolvimento" delle fasi precedenti, in particolare di quelle di protezione e accudimento. "L'alleanza terapeutica" o di "lavoro", infatti, è una forma di rapporto più matura. Secondo R. Greenson4 è un fenomeno "transferale" relativamente razionale, desessualizzato e deaggressivizzato... L'essenza dell'alleanza è costituita dalla motivazione del paziente a vincere la sua malattia, dal suo senso di infelicità, dal desiderio di collaborare. L'alleanza terapeutica si distingue, in sostanza, come quella esperienza che implica una maggiore interazione fisica e psicologica da parte del paziente e comporta:
? il riconoscimento e il potenziamento di energie e risorse personali
? un atteggiamento più responsabile e maturo
? parte più attiva nella relazione di cura
? maggiore controllo dei fattori di rischio
? maggiore responsabilità nell'adesione agli atti sanitari
? miglioramento generale del livello di compliance.
Il counseling motivazionale, in particolare quello basato sulle impostazioni di Rollnick et al (5). si fonda proprio sulla qualità della relazione terapeutica.
Infatti, nelle tre fasi che lo caratterizzano, si concepisce lo sviluppo di un buon rapporto di cura come fondante sia la possibilità di individuare le arre problematiche, sia la valutazione della motivazione al cambiamento nonché intervenire tenendo conto del profilo motivazionale del paziente.
BIBLIOGRAFIA
1) Frasure Smith N., Lesperange F., Talejic H.: Depression Following Myocardial Infarction. JAMA 1993; 270: 1819-25
2) Bowlby J.: Attaccamento e perdita 3.La perdita della madre, Editori Boringhieri, Torino, 1989, pag. 107 e segg.
3) Bowlby J.: Attaccamento e perdita 3.La perdita della madre, Editori Boringhieri, Torino, 1989, pag. 118
4) Greenson R.R.: Tecnica e pratica psicoanalitica, Feltrinelli Editore, Milano, 1981, pag. 172 e segg.
5) Gian Paolo Guelfi Ital Heart J 2004; 5 (Suppl 8): 78S-83S