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IL PUNTO SULLA TERAPIA ANTIARITMICA TRA VECCHI E NUOVI FARMACI
Salerno-Uriarte J, Doni LA
Clinica Cardiologica, Università degli Studi dell'Insubria. Ospedale di Circolo e Fondazione Macchi, Varese
Gran parte delle tachicardie sia atriali che giunzionali vengono affrontate da alcuni anni mediante ablazione transcatetere (ATC) con radiofrequenza. In questi ultimi tempi vengono spesso utilizzate criosonde per ragioni di sicurezza quando si vuole limitare al massimo il rischio di complicanze legate alla depressione indotta sulla conduzione A-V delle vie normali. Molte delle tachicardie ventricolari, in particolare le idiopatiche e le post-infartuali, vengono pure affrontate con ATC. Nella tabella riportata sotto vengono ricordate le percentuali di successo delle tachicardie trattabili con ATC esclusa la Fibrillazione Atriale (FA) che verrà più a lungo considerata di seguito.
PERCENTUALI DI SUCCESSO CON ATC IN ALCUNE TACHICARDIE
La FA è l'aritmia sostenuta di più frequente riscontro nella pratica clinica, con un'incidenza nella popolazione generale dell'1-2% [1,2]. Perciò negli ultimi anni si è concentrata molta della nostra attenzione sulla suddetta aritmia. Attualmente si ritiene che oltre 6 milioni di persone ne siano affette in tutta Europa e si stima che la sua prevalenza tenderà ad aumentare nei prossimi 50 con l'invecchiamento della popolazione; la sua incidenza è ben noto aumentare con l'età, con uno 0,5% nella popolazione di età inferiore tra i 50 e 59 anni fino ad un 8,8% nella popolazione della nona decade di vita [1].
La sua importanza, oltre all'elevata incidenza nella popolazione, è legata all'elevato tasso di complicanze secondarie: una storia di FA è associata a un rischio 5 volte maggiore di stroke rispetto alla popolazione generale, e uno stroke su 5 può essere correlato alla FA. Dalla letteratura emerge inoltre come uno stroke associato a FA abbia una mortalità più elevata rispetto a quello secondario ad altre patologie, e che il grado di disabilità che ne residua per i soggetti sopravvissuti sia maggiore [3]. Non risulta al momento chiaro se il maggiore tasso di mortalità sia legato alla FA di per sé o alle condizioni morbose ad essa correlate, poiché nei soggetti affetti da FA isolata (ovvero in assenza di cardiopatia strutturale documentabile) la mortalità è sovrapponibile a quella della popolazione generale [4].
La FA da sola è responsabile di circa un terzo delle ospedalizzazioni per aritmia; essendo l'associazione a cardiopatia strutturale elevata (80-90% dei casi) [5], la presenza dell'aritmia in soggetti affetti da cardiopatia strutturale può peggiorare le condizioni cliniche aumentando il numero di ricoveri e la loro durata, con un non trascurabile aumento dei costi delle degenze di questi malati.
La FA viene attualmente distinta, anche secondo le linee guida recentemente pubblicate [6], in FA di prima diagnosi (primo riscontro di FA nel soggetto), FA parossistica (a risoluzione spontanea, generalmente entro 48 h dall'insorgenza), persistente (di durata superiore a 7 giorni che richiede ripristino di ritmo sinusale con l'ausilio di farmaci o cardioversione elettrica), persistente di lunga durata (FA di durata superiore a un anno ma per cui si ritiene opportuno e indicato un tentativo di ripristino di ritmo sinusale) e permanente (quando la presenza dell'aritmia è accettata sia dal paziente che dal medico).
Nessuno studio è riuscito con certezza a dimostrare se il mantenimento del ritmo sinusale sia migliore di un controllo adeguato della frequenza cardiaca, anzi apparentemente non vi è nessuna evidenza in termini di mortalità, eventi ischemici cerebrali e qualità di vita tra le popolazioni confrontate [7-9]; si è tuttavia da precisare che gli strumenti utilizzati per la valutazione della qualità di vita forse non erano stati i più adeguati a indagare la sintomatologia strettamente correlata alla FA stessa. Attualmente la scelta tra controllo del ritmo e controllo della frequenza cardiaca non ha un'indicazione generale e deve essere "patient-tailored" e ci si basa in particolare su considerazioni legate all'età ed alle malattie associate.
In base alla classificazione clinica della FA la terapia antiaritmica riconosce due momenti fondamentali: il ripristino del ritmo sinusale e la prevenzione delle recidive.
A dispetto dell'importanza del problema nella pratica clinica di tutti i giorni, nonostante siano stati sperimentati numerosissimi farmaci antiaritmici negli ultimi 40 anni, solo di recente e nel prossimo futuro nuove molecole sono state approvate per l'uso nella pratica clinica, riferendosi rispettivamente al dronedarone e, a breve, al vernakalant.
Attualmente farmaci che possono essere utilizzati per il ripristino del ritmo sinusale in soggetti affetti da FA di recente insorgenza (<48h) sono flecainide, propafenone ed amiodarone e, a breve termine, vernakalant; una minore rilevanza riveste ibutilide, mentre sotalolo secondo le ultime linee guida non è più indicato nel trattamento acuto della FA di recente insorgenza [6].
Flecainide e propafenone sono farmaci di classe IC della classificazione di Vaughan-Williams, e vengono utilizzati quotidianamente nella pratica clinica per il ripristino del ritmo sinusale. Sono i farmaci di prima scelta nella terapia della FA in assenza di cardiopatia ischemica o cardiopatia strutturale (ipertensiva, disfunzione ventricolare sinistra da qualunque causa). Nella pratica clinica del nostro centro la flecainide viene utilizzata preferenzialmente per il tasso di successo più elevato, infatti si riportano risultati di 67-92% a 6 h vs 41-91% del propafenone. Come già accennato i farmaci sono controindicati nei soggetti affetti da disfunzione ventricolare sinistra e cardiopatia ischemica a causa del loro effetto depressivo sulla funzione ventricolare sinistra; il propafenone, a causa del suo lieve effetto ?-bloccante, deve essere utilizzato con cautela nei soggetti affetti da broncopneumopatia cronica ostruttiva. Ambedue i farmaci hanno la possibilità di sincronizzare la FA in flutter atriale anche con elevato rapporto di conduzione (fino 1:1) a causa delle loro proprietà di rallentare il circuito aritmico del flutter stesso. Flecainide e propafenone possono essere somministrati per via endovenosa (effetto in 30'-2h) oppure anche per via orale (effetto 4-6h) e pertanto in soggetti selezionati possono essere utilizzati come strategia pill-in-the-pocket [6].
Amiodarone è classicamente definito un farmaco di classe III sec. Vaughan-Williams ma possiede in realtà proprietà multicanale agendo anche sui canali del sodio (effetto classe I), del calcio (classe IV) e ? -bloccanti (classe II). Il suo effetto nel ripristino del ritmo sinusale a breve-medio termine e modesto, ma in alcuni studi ha dimostrato un tasso di ripristino del ritmo sinusale dell'80-90% a 24 h.
Ibutilide, anch'esso un farmaco di classe III, può essere utilizzato per via endovenosa per il ripristino di ritmo sinusale della FA, ma il scarso tasso di successo (circa 50% a 90') e l'elevato rischio di sviluppo di torsioni di punta e tachicardie ventricolari polimorfe secondarie all'allungamento dell'intervallo QT ne limitano l'uso quotidiano; il farmaco può essere considerato in alternativa alla cardioversione elettrica per un tentativo di ripristino del ritmo sinusale in caso di flutter atriale.
Vernakalant è un farmaco approvato da FDA e EMEA per il ripristino del ritmo sinusale in soggetti con fibrillazione atriale di recente insorgenza e negli episodi di fibrillazione atriale post-cardiochirurgici [11]. E' indicato in soggetti affetti da cardiopatia ischemica stabile e nei soggetti con scompenso cardiaco lieve (classe NYHA I-II); è assolutamente controindicato invece nei soggetti con scompenso cardiaco grave (classe NYHA III-IV), con sindrome coronarica acuta recente, stenosi aortica severa, ipotensione. Vernakalant agisce su canali al potassio specifici degli atri (per es. le correnti di potassio "delayed-rectifier" ultra rapida e acetilcolina-dipendente) ma anche sui canali del sodio, questi ultimi in modo frequenza- e voltaggio-dipendente; tale caratteristica concentra l'azione sul tessuto atriale rapidamente attivato e parzialmente depolarizzato piuttosto che verso il ventricolo; la capacità di bloccare la componente tardiva della corrente del sodio limita inoltre gli effetti sulla ripolarizzazione ventricolare indotta dal blocco delle correnti di potassio, con minore rischio di insorgenza di aritmie secondarie al prolungamento dell'intervallo QT (anche se un prolungamento dello stesso può essere osservato [10]).
La profilassi farmacologica delle recidive rimane a tutt'oggi la prima opzione nei soggetti in cui è stata scelta la strategia del controllo del ritmo cardiaco. La chinidina (farmaco di classe IA) è stato per molti anni l'unico farmaco a disposizione per la profilassi antiaritmica, con buoni risultati rispetto a placebo[12], ma al giorno d'oggi è stato largamente abbandonato per l'elevato rischio di indurre torsioni di punta. Ciò vale in particolare per la molecola nelle sue forme di sale di chinidina ma non nella forma idrata che garantisce una buona azione antiaritmica con livelli ematici molto più bassi e quindi con una minor incidenza di effetti proaritmici (osservazioni personali).
Flecainide e propafenone sono largamente utilizzati, con le precauzioni succitate, nella profilassi antiaritmica a lungo termine, e sono i farmaci di prima scelta nei soggetti con lieve o nessuna cardiopatia strutturale. Anche in questo contesto nel nostro centro flecainide è di gran lunga preferito in quanto la somministrazione bigiornaliera rispetto alle tre volte al giorno del propafenone aumenta la compliance del paziente, e comunque risulta più efficace della formulazione a rilascio prolungato qualora si volesse ridurre il numero di somministrazioni di quest'ultimo.
Disopiramide conserva una piccola nicchia nei soggetti affetti da FA bradicardia-dipendente a causa del suo effetto anti-muscarinico.
Dronedarone è un farmaco della classe III, chimicamente analogo ad amiodarone ma privo delle molecole di iodio che sono la principale causa della tossicità di quest'ultimo e che sono state sostituite da gruppi benzofurani. Il suo effetto antiaritmico si esplica come bloccante dei canali del potassio, dei canali del sodio e quelli del calcio, con un parziale effetto b-bloccante. Diversi studi sono stati pubblicati dalla sua approvazione da parte di FDA ed EMEA; sebbene si sia dimostrato inferiore ad amiodarone nel mantenimento del ritmo sinusale nei soggetti affetti da FA parossistica o persistente, il miglior profilo di tollerabilità ha fatto sì che le nuove linee guida europee lo ponessero come prima scelta in alternativa a flecainide, propafenone e sotalolo come profilassi antiaritmica nei soggetti senza cardiopatia strutturale e come prima scelta affetti da cardiopatia strutturale non grave (classe NYHA III-IV o classe NYHA II instabile) [6,14-16]. Attualmente le sue indicazioni sono tuttavia in fase di rivalutazione da parte dell'EMEA per i numerosi casi di epatotossicità grave segnalati durante la sua distribuzione [17]. Inoltre lo studio PALLAS (Permanent Atrial fibriLLAtion outcome Study using Dronedarone on top of standard therapy) per valutare la sicurezza del dronedarone nella FA permanente è stato sospeso per eccesso di eventi cardiovascolari nel braccio trattato con dronedarone.
Amiodarone è attualmente il farmaco più efficace per la profilassi antiaritmica della FA [13], tuttavia i noti e frequenti effetti secondari e la frequente tireotossicità ne limitano l'utilizzo, a tal punto che nelle ultime linee guida europee è stato indicato come seconda scelta dopo i farmaci di classe IC e il dronedarone [6]. Il rischio di tossicità polmonare è stimato secondo i grandi trial dal 10 al 17% alla dose non trascurabile di 400 mg/die ed è più frequente nei soggetti con pneumopatia di grado moderato-severo; raramente si verifica invece ai dosaggi abituali usati nel nostro paese [13]. Tali complicanze sono in fase iniziale reversibili e pertanto se riconosciute precocemente regrediscono con la sospensione del farmaco., mentre il distiroidismo è di frequente riscontro e per tale motivo il monitoraggio della funzione tiroidea è sempre indicato. Le complicanze tiroidee sono frequenti e legate prevalentemente all'inibizione della conversione di T4 a T3 nella tiroide; 10% dei soggetti che assumono cronicamente amiodarone sviluppano distiroidismo, prevalentemente in senso ipotiroideo; solo lo 0.9% dei soggetti che assumono amiodarone sviluppa un franco ipertiroidismo, che spesso regredisce con la riduzione del dosaggio o la sospensione del farmaco. Il monitoraggio semestrale della funzione tiroidea consente di osservare modificazioni subcliniche della stessa (ovvero alterazioni del TSH senza franche alterazioni degli ormoni tiroidei). Ciò consente di prendere provvedimenti adeguati prima che si giunga a una disfunzione conclamata. Nella nostra esperienza l'ipotiroidismo non ha mai rappresentato una controindicazione assoluta all'assunzione di amiodarone, che è sempre stata proseguita inalterata; a tali pazienti ai controlli cardiologici di routine è stato consigliato un follow-up endocrinologico per l'introduzione di terapia sostitutiva qualora l'ipotiroidismo divenisse conclamato. In alcuni soggetti in cui era stato sospeso amiodarone per lo sviluppo di un ipertiroidismo (sia subclinico che conclamato) si è osservato come alla ripresa della terapia con amiodarone per ragioni cliniche (ad esempio pazienti con aritmie ventricolari recidivanti per i quali ad esempio la terapia ablativa non era attuabile) fosse associata a un ipotiroidismo che consentiva la normale somministrazione dell'antiaritmico associato ad adeguata dose di levotiroxina.
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