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DOPO S.C.A. QUALI FARMACI, QUANDO, PERCHE' E
PER QUANTO TEMPO
D. Gabrielli *, M. Tullio*, E. Savini, G.P. Perna°, E. Simonetti**
U.O. Cardiologia Ospedale Murri Fermo
*Presidio Monospecialistico Lancisi AOU Ospedali Riuniti Ancona
** AOU-Ospedali Riuniti Ancona
Introduzione
La prevenzione secondaria costituisce uno dei momenti fondamentali nell'ambito dell'approccio terapeutico al paziente cardiopatico ischemico e la sua importanza è evidenziata dal fatto che ,negli studi osservazionali, i tassi di recidiva e di riospedalizzazione sono di gran lunga superiori rispetto ai valori attesi. Questa discrepanza è in parte legata al fatto che alcune delle opzioni terapeutiche proposte nelle linee guida e nella letteratura scientifica internazionale sono probabilmente troppo ambiziose e clinicamente "insostenibili", in parte alla mutata tipologia del paziente cardiopatico "tipo" che sempre più spesso ha un'età media prossima ai 70 anni, e presenta patologie concomitanti di rilievo, come il diabete mellito, l'insufficienza renale e la broncopneumopatia cronica ostruttiva.
Il programma di prevenzione secondaria dovrebbe essere individualizzato e, tenendo presente il rischio cardiovascolare residuo, si dovrebbe basare su:
1. cessazione del fumo attivo e limitazione del fumo passivo,
2. avvio di un programma personalizzato di esercizio fisico,compatibile con la capacità funzionale del paziente,
3. valutazione ed indirizzo delle abitudini alimentari, con il fine di ridurre il peso corporeo,
4. controllo dei valori pressori,
5. controllo dell'assetto lipidico,
6. controllo metabolico ottimale del diabete mellito,
7. istituzione di terapia antiaggregante,
8. istituzione di terapia con betabloccanti, ,
9. istituzione di terapia con farmaci inibitori del sistema renina-angiotensina-aldosterone o antagonisti recettoriali dell'angiotensina (sartani).
10. vaccinazione contro l'influenza stagionale.
I benefici clinici attesi di un approccio integrato di questo tipo sono particolarmente rilevanti, anche quando si consideri il solo impatto della terapia farmacologica.
Da ora in poi ci focalizzeremo sulla componente farmacologica della prevenzione secondaria che è l'oggetto di questa rassegna.
Dislipidemia e target lipidici
La dislipidemia è un importante predittore del rischio di recidiva ischemica in pazienti con pregressa sindrome coronarica acuta. Nei pazienti con pregressa sindrome coronarica acuta la terapia ipolipemizzante è ancora ampiamente sotto utilizzata nella pratica clinica. La classe di farmaci con maggiore evidenza di efficacia è costituita dagli agenti che inibiscono l'enzima 3-idrossi-3-metilglutaril coenzima A (HMG-CoA) reduttasi (statine) che agiscono in modo pleiotropico, producendo oltre ad un effetto ipocolesterolemizzante anche un'azione stabilizzatrice sulla placca aterosclerotica attraverso un'azione anti-infiammatoria e antiaggregante. In particolare, in pazienti con pregresso infarto miocardico, ad ogni riduzione della colesterolemia LDL di circa 20 mg/dl corrisponderebbe una riduzione del rischio assoluto di ulteriori eventi cardiovascolari maggiori pari a circa il 3-5%. Gli studi clinici di maggiori dimensioni condotti per dare una risposta circa l'utilità di un rapido inizio della terapia con statine dopo una sindrome coronarica acuta sono lo studio MIRACL, lo studio "A to Z" e lo studio PROVE IT-TIMI 22. Nel loro insieme questi studi hanno dimostrato che un intervento farmacologico precoce ed intensivo con statine a più elevata potenza produce un significativo miglioramento della prognosi clinica dei pazienti con sindrome coronarica acuta. In prevenzione secondaria la terapia ipolipemizzante con statine deve essere instaurata indipendentemente dai livelli di colesterolo. Il target principale della terapia ipolipemizzante nei pazienti con pregressa sindrome coronarica acuta è rappresentato dal colesterolo LDL (LDL-C). La terapia con statine deve consentire il raggiungimento di valori di LDL-C almeno <100 mg/dl; tuttavia, il raggiungimento di valori di LDL-C <70-80 mg/dl è consigliabile nei pazienti a rischio più elevato ad es. pazienti con diabete mellito e/o sindrome metabolica . Al momento non si hanno dati per indicare valori obiettivo specifici per TG ed HDL-C in prevenzione secondaria; in ogni caso sembra raccomandabile raggiungere valori di TG <150 mg/dl e di HDL-C >50 mg/dL. Per il raggiungimento degli obiettivi lipidici non-LDL (TG e HDL-C) può essere utile l'associazione con fenofibrato o con acidi grassi omega-3 (dosaggio di 24 g/die).La terapia con statine a più elevata potenza/efficacia (atorvastatina 40-80 mg, rosuvastatina 20-40 mg) deve essere iniziata il più presto possibile, durante la fase acuta della sindrome coronarica acuta.
Ipertensione arteriosa e target pressori
L'ipertensione arteriosa deve essere trattata efficacemente in tutti i pazienti con malattia coronarica documentata, con particolare attenzione al controllo dei valori di PA sistolica. A prescindere dal tipo di trattamento antipertensivo impiegato, i pazienti ipertesi con malattia coronarica presentano un'incidenza di nuovi eventi sfavorevoli che decresce in modo lineare in relazione ai valori pressori raggiunti. L'incidenza di eventi sfavorevoli è significativamente inferiore nei pazienti che presentano buon controllo pressorio rispetto a quelli non controllati dalla terapia. L' obiettivo clinico, in prevenzione secondaria, è costituito da valori di PA <130/80 mmHg.
Tutti i pazienti con pregressa sindrome coronarica acuta dovrebbero, in assenza di specifiche controindicazioni, ricevere un trattamento farmacologico che includa betabloccanti e farmaci inibitori del sistema renina-angiotensina aldosterone (ACE-inibitori o sartani).Nei pazienti con pregressa sindrome coronarica acuta la precoce somministrazione di betabloccanti, ACE-inibitori o sartani riduce la mortalità e le recidive ischemiche, soprattutto in presenza di disfunzione sistolica ventricolare sinistra [frazione di eiezione (FE) residua <40%. Qualora queste due categorie di farmaci, utilizzate simultaneamente, non consentano di raggiungere i target pressori raccomandati, si dovrà aggiungere un terzo farmaco. La scelta della terapia aggiuntiva dovrà essere fatta sulla base delle eventuali comorbilità, della funzione ventricolare sinistra residua e dell'eventuale presenza di ischemia miocardica residua.I calcioantagonisti diidropiridinici a lunga durata d'azione sono da preferirsi per la terapia di combinazione in presenza di ischemia miocardica residua,senza disfunzione ventricolare.In presenza di disfunzione ventricolare sinistra (FE<40%) è preferibile l'associazione con farmaci diuretici, inclusi gli antagonisti dell'aldosterone.
Terapia antiaggregante
Le piastrine hanno un ruolo centrale nel determinismo degli eventi aterotrombotici arteriosi. Le molteplici vie di attivazione piastrinica limitano l'efficacia di singoli farmaci antiaggreganti. L'aggregazione piastrinica è infatti un fenomeno biologico complesso con diversi percorsi biochimici e con varie possibili interferenze. Ogni farmaco utilizzato per contrastare l'aggregazione piastrinica agisce su uno o più percorsi, ma non ci sono agenti che blocchino stabilmente tutte le diverse vie, con la stessa efficacia e senza effetti collaterali potenzialmente gravi.
La terapia antiaggregante costituisce uno dei capisaldi della prevenzione cardiovascolare secondaria dopo sindrome coronarica acuta. Il farmaco di riferimento è rappresentato dall'ASA. La prescrizione della terapia di combinazione con ASA e clopidogrel, ovvero con ASA e prasugrel, è riservata a casi chiaramente individuati.
L'ASA rappresenta il farmaco antipiastrinico con il miglior rapporto di costo/efficacia nel trattamento delle malattie cardiovascolari ed agisce inibendo in maniera irreversibile la ciclossigenasi-1 piastrinica, bloccando così la formazione di trombossano A2. L' ASA (75-100 mg/die) si è dimostrato efficace nel ridurre significativamente l'incidenza di recidive ischemiche nei pazienti con sindrome coronarica acuta.Inoltre, in ambito di prevenzione secondaria a lungo termine, hanno efficacia sovrapponibile a dosi più elevate ma si associano ad una minore incidenza di effetti collaterali.In pazienti sottoposti a procedure di PCI, la doppia terapia antiaggregante con ASA e tienopiridine è efficace nel ridurre il rischio di trombosi acuta precoce e tardiva degli stent impiantati. Questo aspetto è particolarmente rilevante per gli stent medicati (DES), il cui impiego si accompagna ad un rischio di trombosi acuta tardiva compreso tra lo 0.1% e lo 0.5% per anno nelle diverse casistiche pubblicate.
Tutti i pazienti con pregressa sindrome coronarica acuta devono, in assenza di specifiche controindicazioni, ricevere ASA (75-160 mg/die). In caso di controindicazioni assolute all'uso di ASA si può ricorrere alla ticlopidina (250 mg ogni 12h). In caso di intolleranza ad ASA e ticlopidina si può usare il clopidogrel (75 mg/die);
I pazienti con sindrome coronarica acuta non-STEMI devono ricevere terapia combinata con ASA (75-160 mg/die) e clopidogrel (75 mg/die) per almeno 12-18 mesi dopo la dimissione, indipendentemente dall'eventuale effettuazione di PCI durante il ricovero. Successivamente, la terapia proseguirà con il solo ASA.
I pazienti con sindrome coronarica acuta STEMI sottoposti a PCI con posizionamento di stent metallico non medicato (BMS) e in quelli sottoposti a solo trattamento trombolitico ( non sottoposti ad alcuna terapia riperfusiva), dovrebbero ricevere terapia combinata con ASA e clopidogrel per almeno 1 mese dopo la dimissione, preferibilmente per 12 mesi. Successivamente, la terapia proseguirà con il solo ASA.
I pazienti con sindrome coronarica acuta STEMI sottoposti a PCI con posizionamento di stent medicato (DES) dovrebbero ricevere terapia combinata con ASA e clopidogrel per almeno 12 mesi dopo la dimissione. Successivamente, la terapia proseguirà con il solo ASA.
Il prasugrel sembra essere in grado di fornire una maggiore e più affidabile azione antiaggregante rispetto al clopidogrel, grazie a una generazione più rapida ed ampia del comune metabolita attivo nella maggior parte dei pazienti trattati. In tal senso potrebbe fornire benefici aggiuntivi rispetto al clopidogrel in alcune categorie di pazienti con sindrome coronarica acuta sottoposti a PCI e gravati da un possibile elevato rischio di trombosi tardiva dello stent come pazienti sottoposti a PCI con DES multipli, DES sovrapposti, DES su tronco comune o ramo discendente anteriore prossimale della coronaria sinistra,pazienti in cui il vaso trattato con DES irrora un'estesa area miocardica, la cui integrità è determinante per la prognosi clinica del paziente (ad esempio PCI effettuata sull'ultimo vaso coronarico pervio).
Il Ticagrelor è il capostipite di una nuova generazione di inibitori del recettore P2Y12 , reversibile che necessita di doppia somministrazione quotidiana e che nello studio PLATO ha dimostrato di essere più efficace di clopidogrel nelle SCA, anche se a prezzo di un aumento dei sanguinamenti.
Un altro problema emergente è come trattare i pazienti in doppia antiaggregazione e portatori di stent in caso di necessità di essere sottoposti a chirurgia , su questo argomento i dati sono pochi e le recenti LLGG ESC sulla rivascolarizzazione riportano solo dei suggerimenti.
Ancora di rilevante significato è la indicazione a doppia antiaggregazione + TAO per il rischio di sanguinamenti maggiori, in questi casi è fondamentale fare una corretta valutazione del rischio di trombosi da una parte e di sanguinamento dall'altra.
Prevenzione primaria della morte improvvisa dopo sindrome coronarica acuta
La cardiopatia ischemica è la causa principale di morte improvvisa (MI) nella popolazione generale. In particolare, studi italiani indicano che l'incidenza di MI in pazienti dimessi vivi dopo sindrome coronarica acuta è stimabile nell'ordine dell'1-2% circa per anno. Si ritiene pertanto di fondamentale importanza l'identificazione precoce dei pazienti con elevato rischio di sviluppare aritmie ventricolari minacciose (TV sostenuta),al fine di prevenire la MI.
Il principale fattore predittivo di MI dopo sindrome coronarica acuta è rappresentato dalla disfunzione sistolica ventricolare sinistra. Il rischio di MI cresce progressivamente al ridursi del valore della FE. Il rischio di MI è particolarmente elevato per valori di FE <30%. Inoltre, il rischio di MI risulta ulteriormente aumentato in presenza delle seguenti condizioni:manifestazioni cliniche di scompenso cardiaco, ischemia miocardica inducibile non controllata dalla terapia,malattia coronarica non suscettibile di rivascolarizzazione,presenza di aritmie ventricolari frequenti e complesse in corso di monitoraggio elettrocardiografico ambulatoriale (Holter ECG; in particolare presenza di episodi di TV non sostenuta).
I farmaci betabloccanti riducono il rischio di MI dopo sindrome coronarica acuta, indipendentemente dai valori di FE e dalla sintomatologia clinica.. Il trattamento con acidi grassi polinsaturi omega-3 (PUFA), nella dose di 1 g/die, riduce il rischio di MI dopo sindrome coronarica acuta, indipendentemente dai valori di FE e dalla sintomatologia clinica. In diversi studi clinici il defibrillatore impiantabile (ICD) si è dimostrato efficace nel ridurre l'incidenza di MI in pazienti con disfunzione ventricolare sinistra dopo sindrome coronarica acuta.
Ai fini di una prevenzione primaria della MI, l'impianto di un ICD è indicato nelle seguenti tipologie di pazienti, dopo almeno 40 giorni dalla sindrome coronarica acuta:
1. pazienti con FE <30-40%, in classe funzionale NYHA II,in terapia medica ottimale (inclusi betabloccanti ePUFA) e con una ragionevole aspettativa di vita;
2. pazienti con FE <30-35%, in classe funzionale NYHA I, in terapia medica ottimale (inclusi betabloccanti e PUFA) e con una ragionevole aspettativa di vita.
Pazienti con anomalie indicative di un aumentato rischio aritmico possono essere avviati a SEF.
Un SEF può essere indicato in pazienti con FE 35-45%, classe funzionale NYHA I ed evidenza di episodi di TV non sostenuta in corso di Holter ECG. In questo contesto il SEF è finalizzato a verificare l'eventuale indicibilità di TV sostenuta monomorfa. L'innesco di tale aritmia è infatti predittivo di un successivo possibile arresto cardiocircolatorio. Resta inteso che il SEF deve essere effettuato a distanza di non meno di 40 giorni dalla fase acuta della sindrome coronarica acuta. In caso di induzione di TV sostenuta durante SEF vi è indicazione ad impianto di ICD.
Elementi fondamentali di gestione del diabete mellito
Il diabete comporta una prognosi sfavorevole anche dopo la fase acuta, associandosi ad un aumento del rischio relativo di recidive ischemiche a medio termine (12-24 mesi) di circa il 50-60%.
Un adeguato controllo glicemico si associa, infatti, ad una prognosi clinica significativamente migliore dopo la fase acuta ospedaliera. Il controllo glicemico nei pazienti con pregressa sindrome coronarica acuta dovrebbe quindi tendere al raggiungimento graduale di valori di HbA1c pari a circa il 7%, in modo da evitare il rischio di episodi ipoglicemici potenzialmente pericolosi. Si deve inoltre sottolineare che nel paziente anziano e fragile, con comorbilità multiple, sono preferibili obiettivi di controllo glicemico individualizzati e meno stringenti (HbA1c 7-8%) ed approcci farmacologici tali da prevenire le ipoglicemie. Per quanto riguarda la glicemia a digiuno, appaiono ragionevoli livelli compresi tra 90 e 130 mg/dl. La glicemia postprandiale (2h dopo il pasto) dovrebbe, invece, essere mantenuta al di sotto di 180 mg/dl.
Elementi fondamentali di gestione dell'insufficienza renale
Una percentuale rilevante (circa il 30%) dei pazienti ricoverati per sindrome coronarica acuta presenta una riduzione della funzionalità renale di grado moderato, con un filtrato glomerulare compreso tra 30 e 60 ml/min. I pazienti con filtrato glomerulare <30 ml/min presentano una peggiore prognosi intraospedaliera, con una mortalità del 12.2%, che risulta significativamente superiore rispetto ai pazienti con valori di filtrato compresi tra 30 e 60 ml/min (mortalità del 5.5%) e ai pazienti con funzione renale normale (mortalità dell'1.4%). La presenza di valori di filtrato glomerulare <60 ml/min si associa ad una maggiore incidenza di eventi cardiovascolari sfavorevoli dopo sindrome coronarica acuta. Le linee guida nazionali ed internazionali sono concordi nel raccomandare la stima del filtrato glomerulare mediante la formula MDRD (Modification of Diet in Renal Disease) in tutti i pazienti affetti da cardiopatia ischemica.
Il ruolo della cardiologia riabilitativa
La riabilitazione cardiologica rappresenta un "processo multifattoriale, attivo e dinamico che ha il fine di favorire la stabilità clinica, ridurre le disabilità conseguenti alla malattia cardiovascolare e supportare il mantenimento e la ripresa di un ruolo attivo nella società". Questo intervento ha anche il fine di ridurre il rischio di successivi ulteriori eventi cardiovascolari, di migliorare la qualità della vita e di incidere complessivamente in modo positivo sulla sopravvivenza. In questo spirito, le recenti linee guida nazionali di cardiologia riabilitativa integrano il concetto di "recupero della capacità funzionale globale" con quello di"intervento di prevenzione secondaria".Nel suo insieme la riabilitazione cardiologica è un processo multidisciplinare integrato che si propone come obiettivi di:
1. favorire la stabilizzazione clinica e la riduzione dei sintomi,
2. migliorare la tolleranza allo sforzo e l'autonomia del paziente,favorendo il recupero funzionale e sociale,
3. ridurre le disabilità conseguenti alla malattia,
4. migliorare il profilo di rischio cardiovascolare e lo stile di vita,
5. contrastare la progressione della malattia,
6. migliorare il grado di benessere psico-sociale,
7. ridurre la morbilità e la mortalità promuovendo lo stato di salute.
Conclusioni
In sostanza una corretta impostazione di un programma di prevenzione secondaria post SCA non può prescindere da una integrazione fra misure farmacologiche e correzione degli stili di vita, nel singolo paziente diventa poi cruciale effettuare una valutazione individualizzata attenta per ottenere il massimo beneficio possibile , riducendo al minimo possibile i rischi della polifarmacologia.
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