L’ Ipertensione Arteriosa
dell’Anziano e del Grande Anziano
Roberto Viceconti, Luigi Petraglia,DimitrisChristodoulakis,
GiovanniGregorio
U.O. UTIC-Cardiologia Ospedale San Luca Vallo della Lucania
Alla domanda
: ” Quanti anni ha la Vostra Signoria?”
Galileo
Galilei rispose: ” Quanti me ne restano ”
aggiungendo
che :
” I passati
non li ho, sì come non si hanno i quattrini spesi ”.
PREMESSA
Chi è
anziano?
·
Età > 65 anni
·
“giovane” anziano
(65-74 anni)
·
anziano fragile
(75-85 anni)
·
grande anziano (>
85 anni)
Categoria
Sistolica-Diastolica
·
Ottimale <120
<80mmHg
·
Normale 120-129
80-84mmHg
·
Normale alta
130-139 85-89mmHg
·
Ipertensione di
grado 1 (lieve) 140-159 90-99mmHg
·
Ipertensione di
grado 2 (moderata) 160-179 100-109mmHg
·
Ipertensione di
grado 3 (severa) > = 180 > = 110mmHg
Definizione e classificazione dei
livelli di pressione arteriosa secondo le linee guida della
European Society of Hypertension (Journal of Hypertension 2003,
21:1011-1053)
L’ipertensione arteriosa,
definita dalle linee guida ESC/ESH da valori di pressione
sistolica >140 mmHg e di pressione diastolica >90 mmHg,
rappresenta uno dei fattori di rischio modificabile per la
comparsa delle malattie cardio e cerebrovascolari e si stima che
in Italia oltre il 50% della popolazione geriatrica di
entrambi i sessi ne sia interessata.L’ipertensione arteriosa
è una patologia molto comune nelle persone anziane dei Paesi
occidentali, arrivando ad interessare oltre il 60% degli
ultrasessantacinquenni e il 70% e più dei soggetti di età
superiore a 85 anni.
La realtà
clinica quotidiana ci pone spesso di fronte al quesito
sull’importanza da attribuire ai valori pressori aumentati nei
pazienti ultrasettantacinquenni, attualmente considerati i veri
anziani. Questi soggetti, che rappresentano il segmento di
popolazione in più rapida espansione, appaiono spesso in buone
condizioni di salute e quindi con discreta attesa divita (a
75 anni 8,7 anni per l’uomo e 11 per la donna). Numerosi studi
clinici ed epidemiologici hanno evidenziato che la prevalenza
dell’ipertensione arteriosa aumenta parallelamente con
l’aumentare dell’età tuttavia nella popolazione geriatrica dei
Paesi sviluppati la forma di più frequente riscontro è
l’ipertensione sistolica isolata (ISI).
IPERTENSIONE
SISTOLICA ISOLATA
Nella classe
di ipertesi ultrasettantacinquenni è nettamente prevalente l’ipertensione
sistolica isolata(ISI) (definita come PAS > 160 e PAD < 90 mmHg),
la cui incidenza, diversamente da quella della diastolica che
raggiunge il massimo nella 5°-6°decade, continua ad aumentare
con il crescere dell’età. La prevalenza dell’ISI è variabile,
oltre che in base alla scelta dei criteri di definizione, anche
a seconda del numero delle misurazioni e visite effettuate.
Nello studio
SHEPaumenta
dal 7% tra 60-69 anni, all’ 11% tra 70-79, al 18% tra 80-89
anni. E’ inoltrepiù frequente nelle donne, soprattutto se
obese.E’ ormai acquisito che anche l’ISI, lungi da essere un
semplice meccanismo di compenso per assicurare la perfusione
tissutale in presenza di aumentate resistenze al flusso
ematico, costituisce un importante fattore di rischio
indipendente per gli eventi cardiovascolari, superiore a
quello associato all’ipertensione prevalentemente diastolica ed
è altresì assodato che il rischio assoluto è maggiore
nell’anziano rispetto all’adulto giovane.
Nello studio di Framingham, ad esempio, l’ISI ha
aumentato il rischio di mortalità cardiovascolare di 2,1 volte
negli uomini e di 3,1 nelle donne e quello di ictus di 4 volte
nei maschi anziani e di 2 volte nelle femmine di pari età. Oltre
che per lo stroke l’ISI è un potente fattore di rischio
per la demenza multinfartuale o lacunare (4).
Per i
grandi anziani (> 80 anni) manca invece un’evidenza certa,
infatti alcuni studi non mostrano alcuna relazione mentre altri
evidenziano addirittura un’associazione inversa tra PA e
mortalità.
ACCERTAMENTI
I
procedimenti diagnostici iniziali (stratificazione del
rischio) nel grande anziano iperteso in generale non si
discostano da quelli utilizzati nelle classi inferiori di età
(ecg, ecocardiogramma, Doppler TSA, funzionalità renale, tasso
di filtrazione glomerulare, proteinuria e
microalbuminuria).L’anamnesi dovrà essere particolarmente
scrupolosa nella ricerca di altri fattori di rischio, eventuali
patologie associate e uso di farmaci.
Un problema
diagnostico specifico può essere costituito dal fatto che non è
sempre facile discriminare il danno d’organo dovuto
all’ipertensione da quello della semplice senescenza.
L’ aumentata
variabilità pressoria rispetto agli ipertesi giovani, dovuta
alla ridotta capacità dei barocettori arteriosi di tamponare le
oscillazioni pressorie, particolarmente ampie per la scarsa
distensibilità delle grandi arterie, richiede, prima di iniziare
una terapia, soprattutto in presenza di valori non molto
elevati, ripetute misurazioni della PA, sia nella stessa visita
che in visite successive. Nello studio CASTEL, condotto
in Italia su 2254 anziani la prevalenza di ISI, risultata del
25% a 80 anni, si riduceva a 17% dopo 3 mesi di follow-up, in
assenza di qualsiasi intervento se non la misurazione ripetuta
per 7 volte. Gli anziani sono inoltre particolarmente
suscettibili al cosiddetto “effetto camice bianco” e
perciò in casi dubbi sarebbe auspicabile ricorrere all’automisurazione
domiciliare o al monitoraggio ambulatoriale per 24 ore (MAP),
per ottenere informazioni sui valori pressori in ambito non
medico ed evitare così di trattare come ipertesi pazienti che
non lo sono, esponendoli inutilmente ai possibili effetti
collaterali dei farmaci.
Il limite di
queste metodologie è rappresentato dal fatto che nei pazienti
over 75 non sono validati i corrispondenti valori di normalità.
Lo studio
PAMELA,
ad esempio, ha dimostrato che i valori della PA domiciliare e
della PA media delle 24 ore sono più bassi di quelli clinici
(rispettivamente 130/80 e 120/76) in una popolazione di pazienti
di età compresa tra 65 e 74 anni. Questi risultati non sono però
estrapolabili alle classi di età superiore. Il MAP può comunque
essere utile in casi specifici: sospetto di cali pressori
oligosintomatici (confusione mentale !) o notturni,
identificazione dei non-dippers, che non presentano il
fisiologico calo notturno e richiedono perciò una terapia più
mirata, valutazione dell’efficacia della terapia instaurata, in
caso di dissociazione tra
LA PRESSIONE
ARTERIOSA NEGLI ANZIANI DEL CILENTO.Risultati
dello Studio LonCile.
Informazioni
interessanti si possono evincere dallo Studio LONCILE, una
ricerca condotta dal Dipartimento di Cardiologia dell’Ospedale
San Luca di Vallo della Lucania e dal Dipartimento di
Antropologia dell’Università La Sapienza di Roma
E’ stata
valutata la prevalenza di ipertensione arteriosa, la presenza di
ipertrofia ventricolare sinistra, di alterazioni
elettrocardiografiche, la distribuzione degli alleli dei
genotipi dell’ACE e dell’ APO E , la presenza di patologia
associata e la compliance terapeutica.
La pressione
arteriosa sistolica è risultata di 156,3 + 25,4,
rispettivamente di 159,8 + 22,6 nelle femmine e di 151,8
+ 28,1 nei maschi (p = 0,009) .La pressione arteriosa
diastolica è risultata essere di 83,3 + 11,9, rispettivamente
di 84,7 + 12,3 nelle femmine e 81,4 + 11,1 nei maschi ( p =
0,02).
La
popolazione è stata suddivisa sulla base dei valori di pressione
sistolica nei seguenti gruppi:
a)
soggetti con
PAS inferiore a 140 mm Hg: rappresentano il 22,8 5 dei soggetti
arruolati nello studio, rispettivamente il 16,6 delle femmine e
il 29,7 dei maschi (p= 0,04)
b)
soggetti con
PAS compresa tra 140 mm Hg e 159 mm Hg : rappresentano il 27,
4% della popolazione , rispettivamente il 26,3 % dei soggetti di
sesso femmine ed il 29,8 % dei soggetti di sesso maschile (p =
non significativa).
c)
Soggetti con
PAS oltre i 160 mm Hg : rappresentano il 49,8 % della
popolazione, rispettivamente il 57,1 delle femmine ed il 40,5 %
dei maschi (p = 0,02)
Sulla base
dei valori della Pressione arteriosa diastolica la popolazione è
stata suddivisa nei seguenti gruppi:
a)
soggetti con
valori di P.A.D. inferiore a 90 mm Hg: rappresentano il 62, 1 %
della popolazione, rispettivamente il 57 % delle femmine ed il
70,3 % dei maschi.(p = 0,07)
b)
Soggetti con
PAD compresa tra 90 e 95 mm Hg : rappresentano il 20,2 % della
popolazione, rispettivamente il 23,1 % delle femmine ed il 16,5
% die maschi ( p = non significativa)
c)
Soggetti con
PAD superiore a 95 mm Hg: rappresentano il 17,7% della
popolazione, rispettivamente il 19,9 % delle femmine ed il 13,2
% dei maschi ( p = non significativa)
ü
La prevalenza di
soggetti con PAS > 140 mm Hg e/ o PAD > 90 mm Hg
è risultata essere del 35,7%, rispettivamente del 29,5 % nei
soggetti di sesso femminile e del 43 % nei maschi (p = 0,028).
La prevalenza di soggetti con PAS > 160 mm Hg e/o PAD
> 95 mm Hg è risultata del 54,9%, rispettivamente del 61,5%
nelle femmine e del 46,3 % nei maschi ( p = 0,016). La
prevalenza di ipertensione arteriosa – soggetti con PAS >
160 mm Hg e/o PAD > 95 mm Hg o soggetti in trattamento
ipotensivo - è risultata essere del 74,7 %, rispettivamente del
82,7 % nelle femmine e del 64,5 % nei maschi( p = 0,000). Gli
ipertesi hanno un’età di 83,2 + 5,6 anni mentre i
normotesi hanno un’ età di 81,9 + 5,5 anni ( p =
0,087).Il 52,7% degli ipertesi presenta alterazioni
elettrocardiografiche.
L’elettrocardiogramma anche in questo gruppo di popolazione
anziana rappresenta un valido strumento per la documentazione
del grado di impegno cardiaco determinato dalla ipertensione
arteriosa. (Gregorio 1980). Il 73.9% degli ipertesi,
rispettivamente il 76.7% delle femmine e il 69.2% dei maschi,
assume farmaci ipotensivi. Il 64.1% dei soggetti che assumono
ipotensivi, rispettivamente il 76,7 5 delle femmine ed il 69,2%
dei maschi, ha valori di pressione arteriosa superiore ai 160
mmHg di sistolica e/o di 95 mmHg di diastolica.
I farmaci
utilizzati sono:
1.
Calcioantagonisti 28.9%
2.
Betabloccanti 8.5%
3.
Alfabloccanti 7.2%
4.
Aceinibitori 54.9
5.
Antagonisti recettoriali dell’Angiotensina 7.2%
6.
Diuretici 54.9%
Il 91% assume
più di un farmaco.
In
particolare gli ipertesi dello Studio LonCile assumono:
ü
Digitale: 23.7%
ü
Nitroderivati
11.1%
ü
Antiaritmici 1.9%
ü
Antiaggreganti
21,7%
ü
Anticoagulanti
1.9%
ü
Ipocolesterolemizzanti 0.5%
ü
Ipoglicemizzanti
9.7%
ü
Insulina 2.4%
Per quanto
riguarda la distribuzione dei geni dell’ACE e dell’APO E i
soggetti con ipertrofia ventricolare sinistra hanno minore
prevalenza del genotipo APOE E2/E4,E3/E4 (p =0,03) e maggiore
prevalenza di soggetti con genotipo APO E2/E2,E2/E3;E3/E3 (p =
0,015).
I soggetti
con ipertrofia ventricolare sinistra presentano anche una minore
variabilità R-R nel breve periodo (Figura 10) - 21 + 7,7
ms rispetto ai 46,8 + 37 dei soggetti ipertesi senza
ipertrofia v.s. ( P = 0,002), confermando il fatto che
nell’ipertensione arteriosa il ruolo delle interazioni
neuromediate riveste un ruolo importantissimo (Gregorio 1996).
OBIETTIVI
PRESSORI NELL’ANZIANO E NEL GRANDE ANZIANO
I livelli
pressori da trattare non dovrebbero essere fissati troppo
rigidamente ma inseriti nella valutazione globale del singolo
individuo. Questa è infatti una tipica situazione clinica nella
quale l’esperienza personale e la conoscenza globale del
paziente prevalgono sui dati disponibili in letteratura.
Tabella 1
Modificazioni cardiovascolari associate
all’invecchiamento
-
ridotta compliance arteriosa
- aumentate resistenze vascolari sistemiche
- ridotta sensibilità dei barocettori arteriosi
- riduzione della gittata cardiaca e della frequenza
cardiaca
- aumentata massa ventricolare sinistra
- ridotto volume ematico
- ridotta attività reninica plasmatica
- diminuita attività recettoriale b 1-adrenergica
- aumento dei livelli della noradrenalina plasmatica
- ridotta capacità di regolazione emodinamica
regionale
|
Tabella 2
Farmaci con possibili effetti posturali
§ Fenotiazine
§ Barbiturici
§ Benzodiazepine
§ Antidepressivi triciclici
§ Inibitori delle MAO
§ Levodopa, bromocriptina
§ Antipertensivi
§ Nitroderivati
§ Diuretici
§ Antiaritmici
|
A grandi
linee si può dire che una persona over 75 asintomatica con
ipertensione non complicata (PAS 160-180 mmHg, PAD 95-110 mmHg)
dovrebbe seguire inizialmente le direttive non farmacologiche.
Dopo un
congruo periodo di follow-up se PAD >90-95 e/o PAS > 160 mmHg
(stabilmente), soprattutto in presenza di danno d’organo o di
patologie aggravate dall’ipertensione deve essere iniziata la
terapia farmacologica.
Da segnalare
che i benefici del trattamento sono stati finora dimostrati solo
per PAS>160 mmHg per cui per valori compresi tra 140-160 mmHg la
decisione finale spetta al medico (e anche al paziente). In caso
di valori iniziali più alti (PAS > 180 mmHg o PAD > 110 mmHg),
di danno d’organo o di pregressi eventi cardiovascolari la
terapia può essere iniziata precocemente.
TAB. 3 Sintesi
·
attualmente i dati su over 75 e, soprattutto, grandi
anziani, sono limitati o assenti in letteratura
·
bisogna
considerare le priorità (di salute) e i desideri
“globali” del paziente, non solo i valori di PA
·
vanno
sempre prima proposti interventi concordati sullo stile
di vita: alimentazione con poco sale, molta verdura,
esercizio fisico moderato (camminare, ecc.)
·
non vi è
fretta (tranne per valori di PA estremamente elevati) di
utilizzare i farmaci
·
con i
farmaci iniziare con dosi basse e incrementarle
lentamente, monitorando eventuali effetti sgraditi
·
prestare
attenzione all’ipotensione ortostatica
·
spiegare
al paziente (e familiari) le motivazioni della terapia,
i possibili effetti sgradevoli dei farmaci e cosa fare
nel caso compaiano; verificare la comprensione del tutto
e, in particolare, delle modalità di assunzione
·
anche se
per PAS l’obiettivo è scendere sotto i 140 mmHg, nel
caso ciò comporti disagi al paziente (terapia complessa,
effetti collaterali, ecc), il mantenimento dei valori
tra 140 e 160 mmHg è ragionevole
·
anche se
l’obiettivo per la PAD è scendere sotto il 90 mmHg, nel
caso ciò comporti disagi al paziente un valore di 90
mmHg è ragionevole. E’ comunque prudente non scendere
sotto i 70 mmHg di PAD.
|
I GRANDI
ANZIANI
Anche per
quanto riguarda l’età da trattare non è possibile stabilire
indicazioni troppo rigide, infatti mentre l’età cronologica è un
dato inconfutabile, quella biologica è molto variabile da
paziente a paziente. Con questi limiti possiamo rilevare
che,secondo lo studio EWPHE, l’indicazione alla terapia esiste
fino all’età di 80 anni mentre, seguendo le indicazioni degli
studi SHEP e STOP-Hypertension, il beneficio si osserva fino a
84 anni anche se nello SHEP, come già detto, l’effetto sulla
mortalità totale e cardiovascolare è risultato non significativo
(1).
Per valutare in modo definitivo la riduzione dell’incidenza di
ictus fatale e non fatale specificamente in ipertesi di oltre 80
anni è stato disegnato lo studio HYVET (“HYpertension in the
VeryElderly Trial”) che ha arruolato 3845 pazienti di almeno 80
anni con valori di PA uguale o maggiore a 160 mmHg (media 173
mmHg), sono stati randomizzati a placebo o trattamento con
indapamide (1,5 mg die) con l’eventuale aggiunta
dell’ACE-inibitore perindopril (2 e 4 mg die), con l’obiettivo
di ottenere valori di PA inferiori ai 150 mmHg. Il trattamento
attivo (ACE-I piu’indapamide per tre quarti dei pz) ha ridotto
la PA a valori decisamente piu’ bassi rispetto al placebo. A
tale effetto si sono associati benefici concreti e lo studio è
stato interrotto dopo una durata media del trattamento di meno
di due anni. Il trattamento attivo ha comportato una riduzione
del 30% dell’incidenza di ictus, dello scompenso cardiaco del
64%, di eventi cardiovascolari maggiori e di mortalità per tutte
le cause. Questi risultati indicano che anche nella fascia piu’
avanzata della popolazione il trattamento farmacologico
dell’ipertensione arteriosa non solo previene gli eventi
cardiovascolari ma si traduce anche in un significativo
beneficio un termini di sopravvivenza. Sulla base delle evidenze
derivanti dallo studio HYVET, le linee guida possono ora
raccomandare con più decisione che il trattamento antipertensivo
venga esteso anche a pazienti ipertesi con 80 o più anni. Dal
momento che i pz dell’HYVET erano generalmente in buone
condizioni, è poco chiaro fino a che livello i dati dell’HYVET
possano essere estrapolati ad una popolazione di ottantenni più
fragili. La decisione di intraprendere una terapia dovrebbe
perciò essere presa caso per caso e i pz dovrebbero essere
sempre strettamente monitorati durante e dopo l’impostazione
della terapia.
SINTESI
La
mancanza di dati certi, soprattutto nei grandi anziani, l’alto
rischio di morbilità e mortalità e le difficoltà di natura
diagnostica e terapeutica richiedono da parte del medico un
comportamento di grande responsabilità sul piano strettamente
tecnico. Peraltro il medico curante, in virtù del rapporto
privilegiato con il paziente, è in grado di comprenderne i
problemi in una prospettiva ampia, oltre il fenomeno ristretto
della malattia, in una visione globale dei suoi bisogni, della
sua necessità di risposte non solo scientifiche ma coinvolgenti
la sua persona, il suo vissuto, le sue aspettative. Questo è
particolarmente vero nel soggetto molto anziano, nel quale
rigide proibizioni, terapie aggressive o eccessivo ricorso agli
esami strumentali possono essere controproducenti e, in certi
casi, in grado di alterare la qualità degli ultimi anni di
vita.Una sintesi dei punti principali è riportata nella Tab. 3.
