Anziano, Grande Anziano,
Malattia
Cardiovascolare e Rischio Clinico
Quinto Tozzi
Agenas ROMA
Non sono ancora del tutto univoche le definizioni di anziano e
grande anziano. Ciò è dovuto a possibili diversi criteri di
classificazione; se viene presa in considerazione la sola età in
genere per “anziano” si intende l’ultrasessantacinquenne e per
“grande anziano” chi ha superato gli 80 anni (anche se non sono
tutti concordi su questi limiti). Se invece si prende come
criterio anche la capacità relazionale ed il grado di autonomia
le opinioni diventano ancora meno concordanti. Il concetto
di anziano non deve invece essere confuso con quello di
“senescenza” cioè, in termini un po’ grossolani, di quanto una
persona è vecchia; l’emodinamica, ad esempio a questo riguardo,
ci insegna infatti come a volte alcuni pazienti piuttosto
giovani hanno delle coronarie con caratteristiche tipicamente
senili in termini di elasticità, tortuosità e placche e
viceversa a volte troviamo anziani con un albero coronarico
assolutamente invidiabile; lo stesso paragone potrebbe essere
fatto anche con l’aspetto cerebrale e motorio e per la
funzionalità di molti organi.
Oggi il concetto di anziano in ambito sanitario è sempre più,
giustamente, associato al concetto di “complessità” perché è
infatti questa la sua caratteristica dominante sia dal punto di
vista clinico che organizzativo (nel senso di complessità
dell’organizzazione che se ne deve prendere carico). Tale
complessità si concretizza dal punto di vista clinico nelle
polipatologie cui è praticamente quasi sempre affetto e nella
loro gestione ottimale anche a livello organizzativo. E’
infatti questo un tipico caso in cui la non corretta (cioè
inappropriata) organizzazione dei servizi sanitari incide oltre
che sugli sprechi anche sull’efficacia e la sicurezza stessa
delle cure (anche, è inutile nasconderselo, in termini di esiti
cioè mortalità e complicazioni evitabili).
Nell’anziano inoltre è particolarmente evidente e concreta,
particolarmente in questo periodo di crisi, quell’area grigia di
sovrapposizione per alcuni aspetti tra sanitario e sociale che
incrementa notevolmente la complessità di gestione globale
dell’anziano “paziente”. Dalla varia commistione di questi
fattori scaturisce il concetto, altrettanto concreto, di persona
“fragile” cioè di persona “particolarmente vulnerabile” sia a
condizioni sia clinico assistenziali che di contesto, che cioè
non è in grado di affrontare autonomamente tutti problemi legati
alla sua condizione sociale e sanitaria. Il concetto di
fragilità deve in altri termini essere esteso anche
all’aumentato rischio che ha il paziente stesso di commettere
errori di carattere sanitario che di subirne sia in ambiente
ospedali che nella gestione territoriale.
Non vi è una particolare tipologia di approccio alla gestione
del rischio clinico per il paziente anziano e grande anziano; le
regole generali e la metodologia sono le stesse sia per gli
aspetti di prevenzione degli errori sia per gli strumenti da
mettere in atto dopo un evento avverso. Il concetto
fondamentale da tenere invece bene in mente è che questa
tipologia di pazienti, a parità di altre condizioni, ha un
rischio molto più elevato dei pazienti più giovani e di questo
ovviamente non si può non tenere conto. Se inoltre
consideriamo che, come noto, la popolazione anziana è
tendenzialmente crescente ed il contesto in cui tutti noi
lavoriamo presenta spesso delle importantissime criticità legate
alla carenza di risorse ed a modelli organizzativi sempre meno
in grado di affrontare efficacemente la complessità delle
situazioni clinico assistenziali è evidente come l’argomento
deve avere la massima considerazione in termini di attenzione e
di azioni efficaci intraprese. Ovviamente ciò riguarda tutti
gli operatori sanitari ma anche tutta la catena gestionale
dall’interno delle UO ai massimi livelli aziendali, regionali e
nazionali; in altri termini un approccio corretto e con
accettabili probabilità di efficacia la gestione del rischio
clinico anche nell’anziano non può prescindere da una vera
sistematicità dell’approccio metodologico, valutativo,
organizzativo e clinico assistenziale.
Nell’ambito del risk management vi è una correlazione diretta ed
inconfutabile tra complessità e rischio di commettere errori
(sia organizzativi che clinici) per cui è altrettanto evidente e
dimostrato che il paziente anziano è, già solo per la sua
condizione, un soggetto a rischio di errore particolarmente alto
e che quindi, per la sicurezza sua e di tutti, gli operatori
sanitari necessita di essere affrontato nel modo appropriato
cioè con idonei strumenti metodologici e non solo con
l’intuizione, l’esperienza ed il buon senso (necessari ma oggi
assolutamente non più sufficienti ad affrontare efficacemente
questo nuovo contesto).
Le malattie cardiovascolari per loro intrinseca natura sono
tipiche e praticamente quasi costanti dell’anziano; sempre di
più sono infatti gli anziani nei nostri reparti e di essi non si
può non tener conto nell’organizzazione delle attività clinico
assistenziali e nella programmazione delle attività future.
E’ il caso di porsi però, in tutta onestà, anche una domanda
scomoda ma necessaria sotto molti aspetti: l’anziano è un ospite
gradito (nel senso di facilità di gestione) presso i nostri
reparti? La risposta, sempre in tutta onestà, è probabilmente
no ovviamente non per cattiveria ma perché non fa piacere a
nessuno avere problemi; dato però che l’aumento degli anziani è
una delle poche certezze della sanità presente e futura abbiamo
tutti già da tempo ed in vari modi iniziato ad organizzarci per
affrontare questa grande problematica. I motivi di questa
ritrosia li conosciamo tutti: sono pazienti spesso problematici,
poco gratificanti professionalmente, complessi, difficili da
interpretare e trattare, scomodi, a volte disturbanti, ecc.
Le cause di tutto ciò sono molteplici e le due principali sono
prima di tutto un problema culturale nel senso che gran parte
del personale sanitario non è stato adeguatamente formato a
rapportarsi in modo scientificamente corretto con l’anziano e le
sue problematiche ed in secondo luogo, ed al precedente
correlato, un modello organizzativo e gestionale che non è fatto
per pazienti con le caratteristiche dell’anziano (classico
esempio l’UTIC); a questo sono praticamente ovunque da
aggiungere le diffuse problematiche dei reparti in termini di
risorse e carichi di lavoro che rende ancora più gravosa e
rischiosa la loro gestione. Problemi importanti che
non sono però irrisolvibili ma che hanno la caratteristica di
incidere in modo importante sul rischio che hanno questi
pazienti di subire un errore e del parallelo e direttamente
correlato rischio degli operatori sanitari di commetterlo con
tutte le ben note e devastanti conseguenze sulla vita
professionale e non.
Per quanto riguarda il rischio di errore questo è legato a molti
fattori di cui i più frequenti ed importanti, oltre al contesto
organizzativo gestionale ed ai fattori di rischio legati agli
operatori sanitari, sono elencati nella Fig. 1.

Fig. 1.
Condizioni legate al paziente che favoriscono l’errore; la
maggior parte possono essere presenti nei pazienti anziani.
Queste
condizioni di rischio variamente rilevanti sono frequentemente
presenti, in tutto od in parte, nel paziente anziano.
Tra
i molti fattori che possono indurre all’errore uno
particolarmente importante nell’anziano ed ancor più in genere
nel grande anziano è quello relativo alla qualità della
comunicazione sanitaria ed in particolare la capacità del
paziente di esprimere i suoi problemi e recepire le informazioni
provenienti dai vari operatori sanitari con particolare
riferimento alla loro comprensione, completezza, veridicità ed
attendibilità. La comunicazione con le strutture può invece
creare problemi all’accesso ai servizi sanitari e le relative
ulteriori problematiche. Tutto ciò ha evidenti e non teoriche
ripercussioni sugli esiti delle cure e sulla loro sicurezza.
Conoscere e correttamente interpretare l’entità del problema è
elemento essenziale per prevenire concretamente questo tipo di
errori.
L’altro aspetto in cui il rischio di errore negli anziani è
particolarmente rilevante è relativo alla terapia
farmacologica. Gli errori nell’assunzione dei farmaci sono
infatti uno dei più classici errori commessi dagli anziani; ciò
è fortemente favorito dalla praticamente quasi costante
politerapia, dai coesistenti problemi cognitivi e di
comunicazione. A questo si aggiungano a carico delle
decisioni cliniche degli operatori sanitari le evidenze
scientifiche che per molti farmaci nella popolazione anziana
sono meno forti che nelle altre età perché non raramente gli
anziani sono esclusi dai trials clinici e dalle metanalisi.
Non sempre
poi viene preso in attenta e dovuta considerazione sia il
problema (perché tale è e molto più importante di quanto si
creda) delle interazioni tra farmaci in pazienti anziani ed il
politerapia sia degli eventi avversi da farmaci (tema non sempre
adeguatamente sviluppato nella cultura e nella prassi dei
medici).
Tutto ciò
aumenta quindi spesso considerevolmente e concretamente il
rischio che ha l’anziano di subire errore. L’anziano
cardiopatico è quindi è intrinsecamente un soggetto ad alto
rischio di errore cui si aggiunge il rischio “normale” di errore
proprio di tutte le attività sanitarie.
Ciò
richiede prima di tutto la corretta conoscenza del problema che
dia luogo ad un’attenzione ancora maggiore nella sua gestione
clinica, assistenziale ed organizzativa di questi pazienti.
