Malattia Cardiovascolare e Comorbilità nell’Anziano e nel grande
Anziano
Paolo Silvestri.
Dipartimento di CardioScienze - AO Rummo – Benevento
L'allungamento dell’aspettativa di vita, associato all’elevata
incidenza delle patologie cardiovascolari, che in tarda età
vanno spesso ad aggiungersi a patologie croniche preesistenti,
ha modificato radicalmente il panorama epidemiologico del
cardiopatico anziano negli ultimi decenni. In Italia gli ultra
65enni rappresentano oltre il 21% della popolazione totale e
sono destinati a superare il 33% entro 20 anni. Nella
popolazione anziana le malattie cardiovascolari rappresentano la
principale causa di morbilità e mortalità: la sindrome
coronarica acuta colpisce maggiormente gli over 70, lo scompenso
gli ultra 75enni e la fibrillazione atriale gli 85enni. Solo in
una minoranza di anziani la malattia cardiovascolare rappresenta
l’unica diagnosi; in almeno la metà dei casi, infatti, essi sono
affetti da almeno un’altra patologia: circa il 60% degli ultra
65enni soffre di artrosi, il 20% di diabete mellito e il 10% é
colpito da demenza, che raggiunge il 40% dopo gli 85 anni. La
multi-morbosità cresce con l’età, tanto che al di sopra dei 75
anni più della metà delle persone, soprattutto donne,
riferiscono almeno tre patologie croniche coesistenti. Il
profilo clinico del cardiopatico anziano è piuttosto complesso,
tanto da richiedere un approccio di cura interdisciplinare. E’,
così, essenziale che gli operatori sanitari coinvolti
acquisiscano le competenze necessarie a gestire in modo ottimale
questa classe di pazienti, tenendo conto di eventuali patologie
croniche preesistenti che influiscono sull’aderenza alla terapia
con evidenti conseguenze negative per lo stato di salute e la
qualità della vita (ricadute, ospedalizzazioni, aggravamento
della condizione clinica).
Il
cardiologo deve individuare eventuali comorbilità,
confrontandosi con il geriatra, e sensibilizzare gli stessi
caregiver al problema dell’aderenza: studi internazionali hanno,
infatti, dimostrato che un paziente over 65 su due non segue la
terapia prescritta.La
comorbilità, definita come la presenza di due o più malattie
nello stesso soggetto, è una caratteristica clinica del soggetto
anziano. L’età avanzata è caratterizzata dalla coesistenza nello
stesso individuo di multiple patologie dovuto principalmente ad
un aumento età-correlato delle patologie croniche. Esistono
diversi indici per la valutazione della comorbilità nel soggetto
anziano quali la CIRS (Cumulative Illness Rating Scale),
l’indice di Kaplan-Feinstein, l’indice di Charlson, l’indice di
malattie coesistenti (ICED) ed il Geriatric Index of comorbidity
(GIC). Tali metodi, comunque, incontrano numerose difficoltà
nell’applicazione nella popolazione anziana soprattutto nel
paziente con deficit cognitivo. In uno studio condotto
sull’Osservatorio Geriatrico della Regione Campania è stata
valutata sia la prevalenza delle singole malattie che la
comorbilità ed è stato dimostrato che la mortalità si correla in
maniera significativa con la comorbilità con un incremento
proporzionale rispetto al numero di patologie presenti. Allo
stesso tempo l’interazione di tutte le patologie determina un
enorme incremento del rischio di mortalità a 12 anni. La
considerazione della comorbilità nello studio delle popolazioni
con condizioni patologiche complesse, ed in particolare nei
pazienti anziani, è essenziale se non si vuole trascurare lo
stato di salute dal punto di vista sia clinico che funzionale.
La comorbilità, infatti, si correla significativamente con la
mortalità nelle decadi di età più avanzate e l’interazione fra
patologie rappresenta un importante fattore predittivo di
mortalità soprattutto nelle decadi di età più avanzate. La
Fragilità, inoltre, è una sindrome clinica caratterizzata da
perdita di peso, fatica, bassa performance motoria, anomalie
dell’andature e dell’equilibrio, deficit cognitivo. La
Disabilità, infine, è una compromissione fisica o mentale che
limita una o più attività della vita quotidiana. Comorbilità,
Fragilità e Disabilità condizionano l’intensità dell’approccio
al paziente anziano, sia sul piano diagnostico che su quello
terapeutico.
Comorbilità
nell’anziano: definizione
La
comorbilità è definita come la presenza concomitante di 2 o più
malattie nello stesso soggetto ed è una caratteristica clinica
del soggetto anziano. L’età avanzata, nella maggioranza dei
soggetti con più di 65 anni, è caratterizzata dalla coesistenza
nello stesso individuo di multiple patologie legate
all’invecchiamento, fenomeno legato per di più ad un aumento età
correlato delle patologie croniche. È stato dimostrato, infatti,
che la maggioranza delle persone tra 65 e 79 anni presenta 4,9
malattie, mentre i soggetti con più di 80 anni il numero delle
patologie è 5,4. Il problema diventa ancor più rilevante, poiché
i trials clinici praticati su queste popolazioni tendono spesso
ad escludere i pazienti con patologie concomitanti con evidenti
difficoltà di rappresentatività e di estrapolazione dei
risultati osservati. La comorbilità, inoltre, è legata alla
durata maggiore dell’ospedalizzazione, alla rispedalizzazione
dei pazienti a breve e lungo termine, alla comparsa di
complicanze ed alla scarsa qualità della vita del paziente
anziano. Infine, la comorbilità incrementa il rischio di
mortalità e di disabilità ben oltre a quello osservabile in una
singola specifica malattia. In particolare l’associazione di
particolari malattie croniche nel paziente anziano, quali la
cardiopatia organica e l’osteoartrosi aumentano il rischio
relativo di disabilità di 13,6 volte, rispetto ad un rischio
isolato di 4,4 per l’osteoartrosi e 2,3 per la cardiopatia
organica
I principali
indici di comorbilità
Da quanto
esposto appare chiaro che è importante disporre di misure
precise della frequenza e della severità della comorbilità che
dovrebbero essere usate in tutti gli studi clinici, terapeutici
od epidemiologici, comprendenti i pazienti anziani che
presentano un profilo medico complesso.
CIRS (CUMULATIVE ILLNESS RATING SCALE)
In questa
scala i punteggi sono ricavabili direttamente dalla cartella
clinica e dall’anamnesi del paziente. La CIRS utilizza una
valutazione anatomica (organo per organo) delle differenti
patologie valutando il peso delle severità delle patologie
coesistenti nei 12 principali organi, così come le turbe
psichiatriche e del comportamento. Questi dominicomprendono le
patologie cardiache, vascolari, respiratorie, oculistiche,
otorinolaringoiatriche, del tratto digestivo superiore, del
tratto digestivo inferiore, epatiche, renali, del resto
dell’apparato genito-urinario, muscolo-scheletrico,
neurologiche, endocrinologiche e psichiatriche. Per ciascuna
delle malattie esiste una misurazione a 5 livelli secondola
gravità della malattia e se 2 malattie sono presenti
isolatamente viene considerata la più grave. Tale scala è stata
utilizzata frequentemente in soggetti d’età avanzata
istituzionalizzati e non. È da sottolineare, infine, come tale
scala sia stata validata anche a livello autoptico.
INDICE DI
KAPLAN-FEINSTEIN
Tale indice
comprende una griglia di malattie raggruppate in 12 categorie:
la severità è valutata da 0 a 3 (dove la comorbilità è presente
in una stessa categoria viene presa in considerazione la più
grave). L’indice di Kaplan-Feinstein, destinato inizialmente a
determinare le patologie come il diabete non
insulino-dipendente, permette di organizzare le malattie secondo
il tipo (organo coinvolto o alterazione funzionale) e severità e
si adatta alle patologie ad alta prevalenza in età geriatrica
come le neoplasie e l’ipertrofia prostatica.
INDICE DI
CHARLSON
È l’indice di
comorbilità attualmente più utilizzato. Le patologie sono
raggruppate in 4 classi, valutate da 1 a 6. Charlson et al.
hanno aggiunto successivamente a questi indici una correzione
che va applicata al punteggio di base in considerazione
dell’età: da 1 (50-59 anni) a 5 (90-99 anni). Tale indice è
stato utilizzato soprattutto in pazienti anziani affetti da
neoplasie, da malattia di Alzheimer ed in pazienti anziani
cardioperati.
INDICE DI
MALATTIE COESISTENTI (ICED)
L’ICED è
stato sviluppato per predire lo stato funzionale nelle
popolazioni con rischio relativamente basso di mortalità. È
costituito da due sottoscale: fisica e funzionale. La sottoscala
fisica misura la severità delle singole patologie da 0 a 4 ed è
suddivisa in 14 categorie. La sottoscala funzionale comprende 12
domini di incapacità funzionale che viene misurata da 0 a 2. Lo
score totale è lo score più elevato delle due sottoscale e varia
da 0 a 3. L’ICED prendendo in considerazione le patologie e lo
stato funzionale si adatta bene agli stati morbosi
particolarmente frequenti nei pazienti anziani. L’indice è stato
validato su otto popolazioni differenti (circa tremila persone)
includenti pazienti con cancro della prostata, cancro della
mammella, infarto del miocardio e pazienti che hanno subito una
colonstomia, una resezione trans-uretrale della prostata, un
by-pass coronarico, una protesi delle anche, ed in pazienti
emodializzati. In particolare l’indice è stato utilizzato in
pazienti anziani con frattura d’anca.
GERIATRIC INDEX OF COMORBIDITY (GIC)
Questo indice
tiene in considerazione il numero e la severità delle patologie
la cui validazione è stata realizzata in pazienti anziani con
malattia in fase di subacuta. Nel conteggio ognuna delle 15
condizioni patologiche più prevalenti è graduata da 0 a 4 per la
severità. Il GIC classifica i pazienti in 4 classi di
comorbilità somatica ed i gradi III e IV sono predittivi di
mortalità a 6 mesi in 1.402 pazienti anziani ospedalizzati.
LIMITI DEGLI
INDICI DI COMORBILITÀ
Gli indici di
comorbilità hanno dei limiti importanti. Nella CIRS, per
esempio, se un soggetto presenta malattia di Alzheimer, questo
sarà considerato un demente. Se sopravvengono turbe psichiche o
del comportamento, complicando la malattia, queste saranno
confuse con la comorbilità. Bisognerà considerare la malattia di
Alzheimer con turbe psichiche o del comportamento come tre
comorbilità o come una sola di severità avanzata? Allo stesso
modo, per un diabetico con complicanze renali, della vista e
vascolari, parliamo di una malattia o di quattro comorbilità?
Per la popolazione anziana con turbe cognitive, la valutazione
diventa chiaramente molto complessa. A tal proposito, la CIRS è
stata somministrata e validata in soggetti anziani
istituzionalizzati con e senza deficit cognitivo adattando la
CIRS a tale tipologia di pazienti, soprattutto perché permette
una raccolta sufficientemente esaustiva delle malattie dei
pazienti anziani a partire dalla cartella clinica (CIRS-G).
Epidemiologia, caratteristiche cliniche e mortalità
Con
l’invecchiamento la presenza di comorbilità aumenta in maniera
significativa, in larga parte perché la frequenza delle malattie
croniche aumenta con l’età. Per esempio, dopo i 65 anni, in
pazienti anziani non istituzionalizzati l’artrosi presentavauna
prevalenza del 48%, l’ipertensione del 36%, la cardiopatia
organica del 27%, il diabete del 10% e l’accidente
cerebro-vascolare del 6,5% con una comorbilità di 2 o più
patologie nel 35,3% dei soggetti con età tra 65-79 e del 70,2%
in soggetti con più di 80 anni. In uno studio condotto sui dati
dell’Osservatorio Geriatrico della Regione Campania, studio
trasversale compiuto nel 1992 in Campania, su 1.780 soggetti
ultra-65enni, dei quali 756 (42,5%) maschi e 1.024 (57,5%)
femmine, sono state valutate variabili demografiche quali sesso,
età, stato civile, istruzione, disabilità, stato cognitivo e
varie condizioni di malattia: cardiopatia
ischemica,insufficienza cardiaca cronica, bronchite cronica,
enfisema ed asma, funzioni visive ed uditive, diabete, malattie
neurologiche, artrosi, ipertensione arteriosa, neoplasie. La
presenza di tali condizioni croniche venivano successivamente
confermate da un attento controllo clinico da parte di medici
addestrati. Il follow-up sulla mortalità veniva condotta nel
1997 su 1.175 soggetti (87,8%) del campione iniziale.
All’osservazione longitudinale, 870 soggetti erano in vita
mentre 305 (26%) erano deceduti. Dei 164 casi non raggiunti, le
caratteristiche demografiche e cliniche non differivano da
quelle di coloro osservati nello studio longitudinale. Tale
studio ha permesso di verificare numerosi aspetti che riguardano
l’epidemiologia e soprattutto la stratificazione prognostica dei
vari gradi di comorbilità all’interno del campione studiato. In
particolare, l’ipertensione rappresenti la malattia più
prevalente (75,4%) nel campione analizzato, seguita dall’artrosi
(68,0%) e dalla broncopneumopatia cronica ostruttiva (38,1%). È
molto interessante notare come il numero di patologie presenti
nello stesso soggetto raggiunga l’apice con 2 patologie (31,1%),
seguito da 3 patologie (22,5%) ed infine si osserva una
prevalenza del 13,1% di soggetti portatori di 4 patologie.
Quando veniva analizzata la mortalità, i risultati ottenuti
evidenziavano come esiste un rapporto inverso tra la percentuale
di mortalità a 12 anni di una singola malattia rispetto a tutto
il campione e rispetto a quella osservata nella sola patologia
analizzata: l’ipertensione infatti presenta una mortalità del
38% rispetto al tutto il campione rispetto al 52% osservato
unicamente nei soggetti ipertesi; nell’insufficienza cardiaca
cronica, al contrario, si osserva una mortalità a 12 anni del
9,2% rispetto a tutto il campione analizzato e del 76% rispetto
unicamente ai soggetti con insufficienza cardiaca cronica. Tale
dato indica chiaramente come le patologie meno prevalenti hanno
la prognosi peggiore soprattutto nel soggetto anziano.
Analogamente, quando veniva analizzata la mortalità,
stratificando il campione per numero di patologie, si osservava
una relazione inversa tra la percentuale di mortalità con una
specifica comorbilità rispetto a tutto il campione, rispetto
alla mortalità osservata all’interno del campione con quella
specifica comorbilità: nei soggetti con 2 patologie la mortalità
era del 13,9% rispetto a tutto il campione e di 43,2% unicamente
nei soggetti con 2 patologie mentre nei soggetti con 8 patologie
la mortalità a 12 anni era del 0,2% rispetto a tutto il campione
e del 100% unicamente nei soggetti con 8 patologie. Tale dato
indica chiaramente come la mortalità si correla in maniera
significativa con la comorbilità con un incremento proporzionale
rispetto al numero di patologie presenti ma che, allo stesso
tempo, il numero assoluto di soggetti deceduti si riduca
progressivamente all’aumentare del numero di malattie (p <
0,001). Applicando un modello di regressione secondo Cox,
l’analisi della mortalità a 12 anni evidenziava, correggendo il
modello per età e sesso, come, analizzate isolatamente, il
diabete (Hazard ratio: 1,54; intervallo di confidenza 95%:
1,24-1,90) e l’insufficienza cardiaca cronica (Hazard ratio
1,50; intervallo di confidenza: 1,14-1,96) fossero i predittori
più potenti. Ancor più interessante è l’analisi del ruolo delle
patologie sulla mortalità a 12 anni associandole in un
interazione progressiva mente crescente nel numero di patologie:
dall’artrosi associata all’ipertensione (Hazard ratio 0,92;
intervallo di confidenza: 0,77-1,09) all’insieme di tutte le 8
patologie, comprese l’insufficienza cardiaca cronica.
L’interazione di tutte le patologie determinava un incremento
del rischio di mortalità a 12 anni di circa 16 volte (Hazard
ratio 16,1; intervallo di confidenza: 2,23-117,5) indicando
chiaramente come la comorbilità rappresenta un fattore
prognostico determinante sulla mortalità soprattutto nel
soggetto anziano.
Tuttavia, è
da sottolineare che le attuali Linee Guida internazionali per la
gestione dei pazienti cardiopatici si basano su studi
osservazionali che non includono il cardiopatico più anziano,
limitandosi ai pazienti di 50/60 anni, per lo più uomini,
affetti da una singola patologia. La pratica clinica insegna
invece che, con l’aumentare dell’aspettativa di vita, nel mondo
occidentale le malattie cardiovascolari colpiscono persone
sempre più anziane, con età media di 70/75 anni, con comorbilità,
disturbi cognitivi e dell’umore, e limitazioni funzionali. Ne
risulta, quindi, una difficile applicabilità per i cardiologi,
con conseguenti difficoltà nella gestione di questo ‘nuovo’
paziente. Da non sottovalutare, inoltre, la scelta dei
trattamenti, quali ad esempio l’angioplastica o l’impianto di
defibrillatori. In tal caso è necessaria un’attenta valutazione
del rapporto rischio-beneficio che tenga conto dell’impatto
sulla qualità di vita del paziente, senza però cadere
nell’errore di discriminare il paziente stesso, solo perché
anziano, mantenendo prioritaria l’equità nell’accesso alle cure.
L’analisi delle principali patologie che determinano un ricovero
ospedaliero, mostra che “l’insufficienza cardiaca e shock” (DRG
127) nel 2003 è stata la causa più significativa per numero di
ricoveri (190.340). Il Raporto Annuale sull’attività Ospedaliera
ha confermato questo dato con un aumento dei ricoveri del 2.5% e
un incremento del volume di dimissioni di circa ciquemila casi.
Anche dal punto economico, l’insufficienza cadiaca è
caratterizzata dall’assorbimento di una rilevante quota di
risosrse finanziare, assorbendo da sola, in relazione al volume
delle dimissioni, la proporzione maggiore della remunerazione
teorica (2.29%) per ricoveri ordinari di tipo medico a carico
del SSN, pari a 560.5 milioni di euro nell’anno 2003. Anche nel
2004, come si evince dal Rapporto Annuale,si evidenzia un trend
in aumento (+2.9%) della valorizzazione economica delle
prestazioni di insufficienza cardiaca e shock, pari ad un
incremento di circa 16 milioni di euro rispetto all’anno
precedente.
Recentemente
lo studio Ca.Sco, condotto dal gruppo di studio dell’AMCO –
Regione Campania, su pazienti affetti da scompenso cardiaco che
afferivano presso gli ambulatori di Medicina Generale ha
mostrato che i pazienti anziani, decade di età di 70-80 anni e
80-90 anni, erano di gran lunga i più numerosi. Le
comorbilitàpresenti erano (in ordine decrescente): Anemia
(Hb<10g/l), BPCO, Diabete Mellito, Obesità, Insufficienza Renale
Cronica,Depressione, Distiroidismo e Infezioni.Gli
studi osservazionali ANMCO sulle sindrome coronariche acute
(SCA),come l’IN-ACS Outcome e Blitz, hannomesso in evidenza le
caratteristiche cliniche e le comorbilità dei pazienti
ricoverati nelle Unità di Terapia Intensiva degli ospedali
italiani mostrando un età mediache variava dai 66 ai 70 anni,
con una prevalenza della popolazione anziana (>75 anni) che
variava dal 30% circa (STEMI) al 40% circa (N-STEMI) a seconda
della presentazione della SCA. La mortalià è stata
costantemente bassa nei vari studi e lecomorbilitàprevalenti
erano (in ordine decrescente): Ipertensione (53-70 %), Obesità
(BMI >25 (25-70 %), Dislipidemie (34-50 %), Diabete (20-30 %),
BPCO (5-10 %), Insufficienza Renale Cronica (4-10 %). IFumatori
erano il 25-37 % circa. Tali dati sono importanti nelle scelte
terapeutiche,specie nel paziente anziano ad alto rischio, quando
la strategia invasiva deve essere presa in considerazione in
caso di SCA-NSTE. Il rischio di complicanze e la complessità
della risvascolarizzazione sono certamente più elevate ma con
potenziale maggior beneficio in termini di riduzione di
mortalità, recidive ischemiche e nuova ospedalizzazione.
Tuttavia, la scelta più opportuna deve essere il risultato di
un’attenta valutazione confrontando rischio ischemico (Grace
Risk score), severità delle comorbilità, rischio emorragico
(Crusade), stato funzionale, fragilità, aspettativa e qualità di
vita.
Non ultimo,
altro capitolo importante è rappresentato dalla necessità,
spesso presente nell’anziano, di effettuare terapia
antiaggregante (doppia) e anticoagulante insieme o, più
recentemente, dall’uso dei nuovi farmaci anticoagulanti orali
per la prevenzione del tromboembolismo nella Fibrillazione
Atriale. Ancor più in questi casi è necessaria la costante stima
delle comorbilità determinanti tromboembolismo da un lato ed
emorragia dall’altro (CHADS-VASc e HAS-BLED scores) ricordando
che gli inibitori del fattore Xa e IIa sono controindicati
Prevalenza
percentulae delle patologia internistiche nell’anziano in Italia
per classe
di età

nella
insufficienza renale severa (clearance della creatinina <30 mL/min)
e che l’età avanzata e l’uso concomitante di alcuni farmaci (verapamile,
cordarone) richiede spesso un aggiustamento della dose.
Conclusioni
La
considerazione della comorbilità nello studio delle popolazioni
con condizioni patologiche complesse, e in particolare nei
pazienti anziani, è essenziale se non si vuole trascurare lo
stato di salute globale dei pazienti. La comorbilità è un
indicatore di stato di salute sia dal punto di vista medico che
funzionale così come dei costi legati all’utilizzazione dei
servizi sanitari. La comorbilità, infatti, si correla
significativamente con la mortalità nelle decadi di età più
avanzate e l’interazione fra patologie rappresenta un importante
fattore predittivo di mortalità soprattutto in età geriatrica.
Definire la
domanda di salute della popolazione anziana del nostro Paese è
un tema chiave da affrontare, specie in un paese come il nostro
che invecchia sempre di più e che destina più della metà delle
sue risorse per la salute agli anziani, ma che non riesce a
garantirne un’equa assistenza omogenea su tutto il territorio.
Un importante studio di coorte, lo Studio ILSA del CNR-ISS,segue
da oltre 10 anni gruppi di popolazione anziana in un sistema
sanitario federalista. A fronte degli indirizzi strategici
definiti dal Piano Sanitario Nazionale e le linee attuative
concordate nei Livelli Essenziali Assistenziali (LEA), la
Regione, l’Azienda Sanitaria ed il Distretto hanno autonome
responsabilità gestionali ed operative che comportano scelte
decisive sull’offerta di servizi per l’anziano. E’, quindi,
necessario fornire basi cognitive scientificamente validate per
permettere ai decisori di basare le loro scelte su dati, non
solo per la programmazione dell’offerta dei servizi ma anche per
la valutazione di efficienza delle prestazioni erogate.
