La terapia anticoagulante

nell' anziano e nel grande anziano

tra vecchi e nuovi farmaci

 

G.Sibilio, L. Cavuto, N. Moio, E. Murena, F. Sibilio'

U.O. Utic-Cardiologia P.O. S. Maria delle Grazie Pozzuoli –ASL Na2 Nord

‘Seconda Università degli Studi di Napoli (SUN)

 

 

Introduzione

Una persona su quattro svilupperà una fibrillazione atriale (FA) nella sua vita. (1)

L'incidenza della FA appare incrementarsi esponenzialmente con l'invecchiamento della popolazione.(1)

I pazienti con FA hanno un rischio di stroke 5 volte superiore, ed è stimato che circa il 15%-20% degli stroke sono da attribuirsi alla FA. Inoltre la morte e la disabilità secondarie  a stroke, complicante la FA, sono particolarmente elevate.(2)

Pertanto lo stroke correlato a FA rappresenta un burden crescente di sanità pubblica.(2)

Numerosi trials randomizzati hanno dimostrato che la terapia con anticoagulanti orali con warfarin è efficace nella prevenzione primaria e secondaria degli eventi tromboembolici nei pazienti affetti da FA. (3)

La relazione sarà incentrata sull'utilizzo dei vecchi e nuovi anticoagulanti orali (NAO) nella prevenzione del tromboembolismo, nel setting di pazienti anziani e "molto anziani"  con FA non valvolare.

 

Storia degli anticoagulanti orali

L' inizio della storia degli anticoagulanti orali ed in particolare del warfarin, che rappresenta il loro capostipite, è caratterizzata da eventi casuali ed intuizioni geniali. (4-5)

Tre anni hanno caratterizzato la scoperta del warfarin: 1933, 1951 e 1955.

Tutto inizia in un freddo e piovoso mattino di sabato, del febbraio del 1933.

Carl Link, direttore del Laboratorio di Biochimica nell'ambito dell'Istituto di Medicina Veterinaria  di Medison del Winsconsin, insieme a WilheimShoeffel, un giovane tirocinante, accolgono un allevatore di bovini, tale Ed Carlson, che, dopo avere attraversato quasi tutto lo stato del Winsconsin in un malandato furgone, scarica, sul pavimento del Laboratorio, il cadavere di una giovenca, deceduta per emorragia ed un secchio del suo sangue, che stranamente non si coagula.L'allevatore è disperato, perché ha perso molti dei suoi bovini nello stesso modo.

Il problema, caratterizzato da emorragie spontanee ed incontrollabili degli animali, in verità, era molto diffuso, da alcuni anni, negli Stati Uniti ed in Canada.

L'epidemia era davvero singolare, in quanto si sapeva che per evitare le emorragie, bisognava somministrare ai bovini del foraggio fresco (difficilmente disponibile nell' inverno del '33); in caso di comparsa di emorragie, l'unico trattamento  utile era quello di trasfondere le bestie con il sangue di un animale sano (terapia ovviamente improponibile per un modesto allevatore).

Il dr. Link, occupandosi a tempo pieno delproblema, scoprì che la causa delle emorragie dei bovini non era né virale, né batterica, ma determinata da una sostanza chimica contenuta nel foraggio: la malattia venne chiamata "malattia del trifoglio odoroso" ("sweetcloverdisease").Tale trifoglio odoroso, contenuto nel foraggio, fermentando produceva grandi quantità di una sostanza, chiamata poicoumarin, che rendeva incoagulabile il sangue e produceva l' epidemia emorragica.

Dopo molti anni di ricerca il dr. Link, insieme ai suoi collaboratori, cristallizzò la molecola anticoagulante, che prese il nome di warfarin dalle iniziali della Fondazione che finanziò la ricerca ( Winsconsin AlumniResearchFoundation) e della sostanza individuata (Coumarin).

Tuttavia il primo impiego del warfarin, alla fine degli anni '40, fuquello di ratticida.

Il timore che il warfarin fosse troppo tossico per l'utilizzo nell'uomo, durò fino al 1951, anno in cui un marinaio, che aveva assunto un' ingente quantità di topicida, a scopo suicida, venne salvato dalla somministrazione di vitamina K.

Rimaneva tuttavia una comprensibile paura di essere  curati con una medicina, che veniva  utilizzata come veleno per topi.

L'introduzione del warfarin nella pratica clinica vennefavorito dall'entrata nella storia degli anticoagulanti, di un personaggio famoso, quale il presidente degli Stati Uniti Dwight Eisenhower, che, nel 1955, colpito da una trombosi coronarica, decise di assumere il farmaco "antitrombotico" più potente, al momento conosciuto e disponibile, cioè il warfarin.

Nell'immaginario collettivo, un farmaco che aveva guarito il presidente degli Stati Uniti, amato eroe di guerra, fu ben visto ed accettato da ogni americano.

Non si può disconoscere che, anche nell'ambito dei farmaci più datati, gli anticoagulanti orali (con il warfarin) detengono un vero primato di longevità.

 

Farmaci anticoagulanti orali di "vecchia generazione"

Esercitano l'effetto anticoagulante come antagonisti della vitamina K.

Il warfarin è l'anticoagulante orale più frequentemente utilizzato nella pratica clinica.Inibisce l'epossido reduttasi della vitamina K e la chinone reduttasi della vitamina K, bloccando la conversione della vitamina K epossido nella forma ridotta della vitamina K, la vitamina KH2.La vitamina KH2 è un cofattore per la carbossilazione di enzimi inattivi (fattoriII,VII,IX,X), nella loro forma attiva.

L'effetto finale dell' attività del warfarin è l'esaurimento della forma attiva della vitamina K.

Il warfarin determina una riduzione dello stroke in circa 2/3 dei pazienti, sulla base di meta-analisi di studi clinici randomizzati.(6)

Tuttavia si registrano  nella pratica clinica (registri europei e statunitensi) un uso della molecola soltanto nel 55% dei pazienti eleggibili (con sottoutilizzo maggiore nei pazienti anziani)  ed unelevato range di  sospensione del farmaco, soprattutto  nella popolazione anziana, cheha maggiore necessità per il più elevato rischio tromboembolico.(7)

Circa il 28% dei pazienti anziani, che hanno iniziato una terapia con warfarin, ha sospeso il farmaco nell'arco di un anno, per un incidenza molto elevata di sanguinamenti maggiori in oltre il 20% dei pazienti con CHADS2 (un acronimo per scompenso cardiaco congestizio, ipertensione, età> 75 anni, diabete mellito, e pregressi stroke o TIA)>3, evidenziando la "vulnerabilità" di tali pazienti. (7)

Il timore delle emorragie rappresenta dunque l'ostativa maggiore all'utilizzo nella pratica clinica del warfarin nei pazienti ultra75enni (anziani e "molto anziani"), paradossalmente menotrattati, ma più esposti al rischio tromboembolico.

Tuttavia è dimostrato che il "beneficio clinico netto" del trattamento con anticoagulanti orali,nei pazienti affetti da FA, incrementa con l' età.

Nello studio BAFTA  (confronto tra warfarin ed ASA) l'utilizzo del warfarin in 973 pazienti affetti da FA con età media di 81.5 + 4.2 anni  ha determinato un'incidenza annua di 1.8% di eventi tromboembolici rispetto al 3.8% in quelli trattati con ASA.(8)

In un recente studio prospettico su pazienti anziani, condotto da Centri di Sorveglianza della terapia anticoagulante orale (TAO) in pazienti affetti da FA o tromboembolia venosa, è stato riscontrato un rischio di emorragie maggiori dell'1.87% e di emorragie fatali dello 0.27% nei pazienti in trattamento con warfarin.(9)

L'età avanzata non deve essere considerata una controindicazione al trattamento con anticoagulanti orali negli anziani e nei pazienti  "molto anziani" con FA.

Se viene effettuato un bilancio accurato tra rischio trombotico e quello emorragico, può pertanto essere utilizzata la TAO negli ultra75enni.

I recenti risultati dello studio multicentrico osservazionale ATA-AF  ha confermato i dati dei registri internazionali.In un periodo, compreso tra maggio e luglio 2010, sono stati arruolati i pazienti con FA afferenti a 164 reparti di cardiologia e 196di medicina interna, rappresentativi della realtà ospedaliera italiana.L'età mediana era 77 anni e le femmine  costituivano circa 47% del campione esaminato.(10)

I fattori principali, che hanno influenzato la prescrizione di anticoagulanti sono stati:

  • l'età (66.2% nei pazienti di età <75 anni vs 53.1% dei pazienti >75 anni)
  • tipo di FA (64.3% nei casi di FA permanente; 69.6% nei casi FA persistente; 37.4% nei pazienti con FA parossistica)
  • tipo di terapia utilizzata (63.2% in caso di strategia di controllo della frequenza vs 59.7%  in caso di strategia di controllo del ritmo)

Inoltre, il warfarin non solo viene sottoutilizzato, ma viene assunto in maniera subottimale. Questo si traduce in un tempo in regime terapeutico (TTR) del 55% (cioè INR target in un range ottimale di 2.0-3.0 soltanto nel 55% del tempo, con un valore considerato soddisfacente> 70%).

Dai dati dei Registri, la popolazione anziana dimostra un TTR < 50%, soprattutto nei pazienti che assumono warfarin per la prima volta (warfarin-naive).

In un overview di 37 studi si evidenzia che vi è una forte correlazione tra TTR e incidenza di stroke: in particolare si registra un incremento assoluto dell' 1% del rischio di stroke per ogni 10% di decremento del TTR.(7)

I pazienti anziani hanno sovente patologie concomitanti associate (scompenso cardiaco, insufficienza renale, epatopatie croniche,deterioramento cognitivo), dimostrando una oggettiva difficoltà nel raggiungere e mantenere stabilmente nel tempo valori di INR a target.

In pratica, in tale sottogruppo di pazienti si registra una correlazione inversa tra un elevato punteggio CHADS2 (determinato dall' età e dalle comorbilità) e valori individuali di TTR. Di converso i Centri TAO, presso i quali viene ottenuto un controllo ottimale dell'INR (con valori più elevati di TTR),registrano una minore evidenza di episodi tromboembolici e di complicanze emorragiche nei pazienti con FA in trattamento con anticoagulanti.

Un limite della terapia anticoagulante con warfarin nei pazienti con FA si evince da un recentissimo studio di una popolazione canadese, in cui i risultati divergono da quelli dei trials clinici randomizzati.

In particolare in una casistica di oltre 125.000 soggetti ultra66enni in terapia con warfarin si manifestava, durante un follow-up di 10 anni, un'incidenza annua di eventi emorragici del 3.8% (vs 1-3% riportati nei trials).Il maggiore numero di eventi emorragici si manifestava nei primi 30 giorni dall'inizio della terapia con warfarin (incidenza annua per persona pari all' 11.8%). (10)

In conclusione, nella pratica clinica giornaliera, il warfarin ha 2 limitazioni maggiori: è sottoutilizzato e, quando è assunto, il suo utilizzo è subottimale.

I limiti della terapia anticoagulante con warfarin sono determinati dalle caratteristiche farmacocinetiche della molecola, cui conseguono un lento inizio dell'azione farmacologica (in media dopo 3-4 giorni), una risposta terapeutica non prevedibile, numerose interazioni farmacologiche ed alimentari e la necessità di un monitoraggio routinario dell' INR.

Queste problematiche risultano  particolarmente rilevanti nella popolazione anziana e "molto anziana".

 

Altenative alla terapia anticoagulante: ASA e doppia terapia antiaggregante con ASA e clopidogrel (DAPT)

L'utilizzo dell'ASA nella prevenzione dell'ictus nella FA non valvolare ha dimostrato, nei primi studi, di ridurre del 20% il rischio relativo di ictus, nel confronto con il placebo.

Questo limitato beneficio è stato drasticamente ridimensionato in studi più recenti: si è registrato infatti un incremento contestuale del 30-50% degli eventi emorragici.

In una recente analisi del registro clinico nazionale danese in oltre 120.000 pazienti con FA, non siè osservato alcun effetto dell'ASA nel prevenire gli eventi tromboembolici, contrariamente al warfarin, ma si è evidenziato un aumento significativo del rischio di eventi emorragici.

L' ASA nelle recenti linee-guida Europee sul trattamento della FA e nel Documento ANMCO di Consenso sulla Prevenzione del Tromboembolismo nella FA e ruolo dei nuovi anticoagulanti orali, non ha alcuna indicazione prescrittiva, sia per la scarsa efficacia, sia perchè gravato dallo stesso rischio di emorragia intracranica del warfarin, in particolare nella popolazione anziana, in cui viene prescritto spesso in sostituzione degli anticoagulanti orali.(11-13)

L'ASA in monoterapia pertanto viene attualmente indicata solo ai pazienti che rifiutano qualsiasi anticoagulante orale e che non tollerano la doppia antiaggregazione ASA-clopidogrel più efficace della monoterapia, ma a maggiore rischio di sanguinamento.

 

Farmaci anticoagulanti orali di "nuova generazione" (NAO)

Molti farmaci orali che inibiscono direttamente il fattore II (dabigatran)  o il fattore Xa(rivaroxaban, apixaban ed edoxaban) sono stati testati, come alternativa al warfarin, ai fini della prevenzione dello stroke nei soggetti con FA non valvolare.

 

Dabigatran

Il dabigatranetexilato è un inibitore diretto del fattore II (trombina), caratterizzato da una biodisponibilità del 6.5%, un'emivita in un range di 12-17 ore e eliminazione renale per l' 80%.

Nello Studio RE-LY (Randomized Evaluation of Long-TermAnticoagulantTherapy), trial randomizzato di non inferiorità con warfarin a dosi aggiustate (open-label, con INR tra 2-3), in 18113 pazienti con FA non valvolare  ed almeno 1 fattore di rischio per stroke, il dabigatran è risultato non inferiore al warfarin al dosaggio di 110 mg. bid (RR 0.91, p< 0.001)  e superiore al warfarin al dosaggio di 150 mg. bid (RR 0.66, p< 0.001) nel ridurre l' incidenza di eventi tromboembolici e stroke. Il dabigatran  si è dimostrato superiore al warfarin nel ridurre l' incidenza di stroke (incluso quello emorragico) e l'embolia sistemica del 34% (P< 0.001), con nessuna differenza significativa nei sanguinamenti maggiori. (14) Il dabigatrana 110 mg. bid era non inferiore al warfarin nel prevenire stroke ed embolia sistemica, con una riduzione relativa del 20% del rischio di sanguinamenti maggiori, nel confronto con il warfarin.Il warfarin era usato con INR target tra 2-3, che era raggiunto nel 64% del tempo nel trial.

La valutazione del dabigatran in una popolazione anziana è stata effettuata attraverso sottoanalisi per età dello studio RE-LY, per l'endpoint di sicurezza, quale la comparsa di emorragie maggiori.

In una sottoanalisi di un'ampia popolazione anziana con un' età > 75 anni (in totale 7258 soggetti), il dabigatran, al dosaggio di 150mg. bid,  ha comportato un rischio emorragico superiore a quello del warfarin (5.10 vs. 4.37% all' anno, p <0.001), mentre al dosaggio di 110 mg.bid il rischio emorragico è risultato sovrapponibile tra i 2 farmaci (4.43 vs. 4.37% all' anno, p< 0.001).(15)

Gli stessi dati sono stati confermati in un analisi post-hoc nella popolazione " molto anziana"("veryelderly")ovvero gli ultraottantenni.Tale sottogruppo comprendeva 3016 pazienti, di cui il 17% con età > 80 anni, il 4% con età> 85 anni e 0.4% con età > 90 anni.(16) In tale categoria di pazienti, il rischio annuo di emorragie maggiori è risultato del 5.25% con il dabigatran 110 mg bid, sovrapponibile a quello del warfarin (4.7%).Il rischio emorragico nei pazienti ultraottantenni è aumentato in maniera statisticamente significativa con l'utilizzo deldabigatran 150 mg.(6.24%)bid vs. warfarin (4.7%).

I risultati del confronto dabigatran-warfarin sono stati sovrapponibili tra i pazienti che assumevano, per la prima volta il warfarin (warfarin-naive)e quelli già in trattamento con il warfarin(warfarin-experienced).

Pertanto le linee-guida internazionali raccomandano nei pazienti anziani l'uso della posologia di dabigatran a 110 mg. bid. come anticoagulante nei pazienti ultraottantenni affetti da FA non valvolare.(11)

 

 

Rivaroxaban

Il rivaroxaban è una piccola molecola, che agisce come inibitore diretto orale del fattore Xa, con un' elevata biodisponibilità, con un metabolismo per 2/3 nel fegato ed 1/3 nel rene ed  un ' emivita di circa 9-12 ore. Rispetto agli altri NAO presenta il vantaggio della monosomministrazione giornaliera.

Lo studio ROCKET-AF (Rivaroxaban Once DailyOral Direct factorXaInhibitionCompared With Vitamin K Antagonism for Prevention of Stroke and Embolism Trial in AtrialFibrillation) è uno studio a doppio-cieco, che ha randomizzato, in 14171 pazienti,  l' utilizzo di rivaroxaban 20 mg./die (con una dose aggiustatadi 15 mg./die per la funzione renale) vs.warfarin(con INR target tra 2-3). Il TTR era del 55% (mediana 58%).(17)

Lo studio ha randomizzato pazienti ad più alto rischio:CHADS2 >3 nell' 87% vs il 32% dello studio RE-LY ed approssimativamente metà dei soggetti con precedente storia di pregresso ictus o TIA (vs il 20% dello studio RE-LY).

Il rivaroxaban si è dimostrato non-inferiore al warfarin per quanto concerne

l'endpoint primario (stroke ed embolia sistemica) e superiore dal punto di vista statistico ( riduzione del rischio relativo del 21%, p:0.015), utilizzando un' analisi per-protocol on-treatment; tale superiorità non era ottenuta (p:0.12) utilizzando la più convenzionale analisi intention to-treat.

Non si è registrata alcuna riduzione della mortalità o dello stroke ischemico, ma una significativa riduzione dei sanguinamenti fatali e cerebrali.

Il rivaroxaban si è dimostrato particolarmente maneggevole e sicuro nei pazienti affetti da insufficienza renale moderata (clearance della creatinina 30-49 ml/min), in cui il dosaggio era ridotto a 15 mg./die.

Il dosaggio dei 15 mg. viene raccomandato dall' Update delle Lineeguida ESC del 2012sul Trattamento della FA nei pazienti con insufficienza renale moderata.(11)

Ciò si traduce in un vantaggio nella popolazione anziana, in cui l' insufficienza renale rappresenta la comorbilità più frequente.

 

Apixaban

E' un inibitore diretto orale del fattore Xa con un' emivita di circa 12 ore, con una biodisponibilità del 66% ed un' eliminazione renale del 25%.

Sono stati condotti 2 ampi trials randomizzati, in doppio-cieco con Apixabanper la prevenzione dello stroke nella AF non valvolare: AVERROES (the Apixaban Versus Acetylsalicylic Acid to PreventStrokes) e ARISTOTLE (the Apixaban for Reduction in Stroke and OtherthromboembolicEvents in AtrialFibrillation).(18-19)

Nello studio AVERROES è stata confrontata l'efficacia dell' apixaban 5 mg. bid con ASA (81-325 mg./die) per la prevenzione dello stroke e del tromboembolismo sistemico in 5599 pazienti con FA, non eleggibili per la terapia anticoagulante.

Il trial è stato sospeso prematuramente per evidenza della superiorità dell'apixaban sull' endpoint primario rispetto all' ASA ai vari dosaggi, con una frequenza di emorragie maggiori ed in particolare intracraniche, simili a quelle dell' ASA.

Lo studio ARISTOTLE ha confrontato l'apixaban vs warfarin per la prevenzione  dello stroke e dell' embolia sistemica in pazienti con FA ed almeno 1 fattore di rischio per l' ictus ischemico. Nel trial l'apixaban veniva testato, ad un dosaggio ridotto (2.5 mg. bid), nei pazienti ad elevato rischio emorragico (presenza almeno di 2 dei seguenti criteri:età > 80 anni, peso<60 kg, creatinina >  1.5 mg) vs. warfarin a dosi aggiustate (INR:2-3). Nel confronto con il warfarin, l'apixaban ha ridotto l' ictus e l' embolia sistemica del 21% (P<0.001), i sanguinamenti del 31% (P<0.001) e la mortalità dell' 11% (P<0.047).

Se si esaminano i sottogruppi dei pazienti con FA e pregresso ictus o TIA, la riduzione del rischio di eventi tromboembolici è stata dello 0.77% nei soggetti in terapia con apixaban vs lo 0.22% in terapia con warfarin.(20)

Tale sottoanalisi è particolarmente interessante, perchè tale setting di pazienti, in cui è maggiore l' effetto sull' endpoint primario, è quello degli anziani.

Nella popolazione "molto anziana" (> 80 anni), giova ricordare che è stato utilizzato nel trial un dosaggio ridotto di apixaban (2.5 mg. bid), nel caso di concomitante basso peso corporeo (<60 kg) o di insufficienza renale con creatinina > 1.5 mg.

E' da rimarcare che tali valori di creatinina (che andrebbero controllati almeno 2-3 volte all' anno) sono molto frequenti nel sottogruppo di pazienti ultraottantenni.

 

Edoxaban

L'edoxabanè un inibitore diretto del fattore Xa, che raggiunge la massima concentrazione plasmatica 1-2 ore dopo la somministrazione orale ed ha un'emivita di 8-10 ore.

Lo studio in corso, l' ENGAGE AF-TIMI 48 (the EffectiveAnticoagulation With FactorXaNext Generation in AtrialFibrillation) è il più grande sui NOA su >20.000 pazienti randomizzati che hanno FA non valvolare e un CHADS2 score> 2. (21)I pazienti sono stati randomizzati ad una  delle 2 dosi di edoxaban (30 mg./die o 60 mg./die), confrontate, in doppio cieco, conwarfarin (INR target tra2-3), con l' obiettivo di dimostrarne la non-inferiorità nella prevenzione dello stroke  e della tromboembolia sistemica. I risultati del trial non sono ancora noti.

Tale farmaco potrebbe rappresentare un presidio terapeutico particolarmente indicato nei pazienti anziani, per le caratteristiche farmacocinetiche (elevata biodisponibilità ed escrezione renale per il 50%).

La monosomministrazione (caratteristica peculiare anche del rivaroxaban) e la possibilità dell' aggiustamento posologico (caratteristica propria del dabigatran e del rivaroxaban) rendono questa molecola particolarmente attraente per l' utilizzo nella popolazione anziana, in cui è necessaria una maggiore personalizzazione del trattamento anticoagulante, ai fini di una migliore  aderenza e persistenza della terapia.

 

Vantaggi dei NAO negli anziani  e nei "grandi anziani"

I NAO hanno dimostrato di essere efficaci almeno quanto il "vecchio" warfarin, con un buon profilo di sicurezza. Gli  elementi rilevanti che distinguono i NAO dai "vecchi anticoagulanti" sono i seguenti:

·         non necessità di monitoraggio dell'INR

·         possibilità di essere assunti a dosi fisse

·         riduzione del rischio emorragico

·         poche interferenze farmacologiche

·         maneggevolezza per la breve emivita

Questi aspetti sono importanti nei soggetti anziani, in cui sovente il warfarin non viene prescritto per difficoltà logistiche nel monitoraggio dei parametri di coagulazione e/o per la scarsa compliance alla terapia.

I pazienti anziani sono inoltre più esposti ad eventi emorragici, dipendenti dall' età e dalle comorbilità.

Recentemente la Food and Drug Administrationha comunicato che nel "mondo reale" la frequenza dei sanguinamenti, secondari all'uso del dabigatran, nei pazienti anziani è risultata inferiore a quella osservata nello studio RE-LY.(9)

Le caratteristiche farmacocinetiche dei NAO sono dunque favorevoli negli anziani, sovente affetti da comorbilità ed in trattamento polifarmacologico.

La managevolezza è favorita dalla loro breve emivita, con inizio e termine dell' azione farmacologica molto rapidi.

 

Limiti dei NAO negli anziani e  nei "grandi anziani"

Le potenziali criticità dei NAO sono:

·         Assenza di un sistema di monitoraggio laboratoristico per la misura quantitativa dell'entità della scoagulazione

·         Mancanza di un antidoto in caso di sanguinamenti

·         Sistema di sorveglianza clinica non adeguato per valutare la aderenza alla terapia

·         Costi della terapia

Sono necessari un accurato colloquio informativo e dei controlli clinici periodici per valutare la comparsa eventuale di eventi emorragici minori, non segnalati dal paziente.Negli anziani infatti possono comparire spesso deficit cognitivi, nuove comorbilità e riduzioni della compliance.

I parametri di funzionalità renale andrebbero monitorati con una maggiore frequenza, considerati ilmaggiore rischio di sanguinamenti, in caso di peggioramento della clearance della creatinina (sovente per l' assunzione di farmaci "nefrotossici" e per la tendenza alla disidratazione).(9)

Numerose analisi di costo-efficacia sono risultate favorevoli all' utilizzo dei NAO, Una recente analisi di budget impact ha confermato la sostenibilità economica del dabigatran, consentendo un risparmio per il Sistema Sanitario Nazionale. nella gestione dei pazienti affetti da FA, dal secondo anno di trattamento farmacologico.(22)

 

Pazienti anziani e "molto anziani" eleggibili ai NAO

I NAO sono gli anticoagulanti di scelta nei pazienti con FA non valvolare di recente riscontroed indicazione alla terapia anticoagulante (cioè i warfarin-naive) negli anziani e nei "grandi anziani".

Le indicazioni prioritarie all'utilizzo dei NAO, in tale setting di pazienti,  sono le seguenti:

·         difficoltà logistiche nell' effettuare il monitoraggio dell' INR

·         alterata compliance alla terapia

·         presenza di un pregresso ictus ischemico

·         presenza di un' emorragia intracranica

Per i pazienti anziani con FA ewarfarin-experienced, vi è indicazione ai NAO se il TTR è insoddisfacente (< 70%).

Un' altra raccomandazione è per i pazienti,sempre affetti da FA  non valvolare, esclusi dalla terapia anticoagulante per l' elevato rischio emorragico o trattati erroneamente con ASA.

I farmaci, attualmente in commercio in Italia, sono il dabigatran ed il rivaroxaban.

Quest'ultimo è  attualmente l' unico farmaco "raccomandato" nel trattamento della trombosi venosa profonda (TVP) e nella prevenzione della TVP recidivante e dell' embolia polmonare (EP) dopo TVP acuta nell' adulto.

Le attuali lineeguida  non danno un'indicazione preferenziale per l' utilizzo di uno specifico NOA, in quanto, al momento, non sono stati effettuati trial clinici, in cui sono stati confrontati head-to head le varie molecole.

I NAOsono, al momento, controindicati  nei pazienti con FA valvolare ed in quelli con protesi valvolare.

 

Conclusioni

La TAO viene raccomandata nella prevenzione primaria e secondaria dell' ictus e del tromboembolismo, nei pazienti con FA non valvolare.

In tale categoria di pazienti i NAO hanno dimostrato una non-inferiorità nella riduzione del rischio tromboembolico determinando una riduzione statisticamente significativa, del rischio di sanguinamenti fatali, in specie delle emorragie intracraniche. Il loro impiego si associa ad un trend di riduzione della mortalità.

I NAO presentano il vantaggio di essere somministrabili a dosi fisse e senza monitoraggio dell' INR.

Negli anziani e nei "grandi anziani" (affetti da FA non valvolare), che   presentano un elevato rischio tromboembolico ed emorragico, potrebbero rappresentare in futuro il trattamento anticoagulante di prima scelta, in considerazione delle criticità, che l' utilizzo di un "vecchio anticoagulante", quale il warfarin, presenta in tale setting di pazienti.

I dati iniziali in post-marketing dei NAO confermano i risultati di efficacia e di safety evidenziati nei trials.

Forse la lunga storia dei vecchi anticoagulanti si avvia al tramonto.

Il "re"(il"warfarin") è morto e sta per cominciare la "guerra diadochiana" tra i NAO, per la sua successione?

 

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