Il punto sulla terapia dello Scompenso Cardiaco Acuto nell’
Anziano e nel Grande Anziano
Vittorio Palmieri, Mariarosaria Pagliuca*
AORN e di alta specialità “S.G. Moscati” – Avellino;
* UOS di Scompenso cardiaco
La fase acuta
dello scompenso cardiaco si caratterizza per la presentazione
rapida e persistente (acuta) dei sintomi classici dello
scompenso cardiaco cronico, ovvero del rapido un incremento
della pressione di riempimento dei ventricoli, della congestione
polmonare che ostacola gli scambi gassosi, dell’incremento acuto
della pressione venosa centrale, e della subottimale perfusione
dei tessuti periferici. In tale fase, i momenti “clinicamente”
cruciali sono tre: innanzitutto è determinante la diagnosi
differenziale (tra le più comuni: processo broncopmenumonico/broncopatia
cronica riacutizzata oppure grave anemia, oppure insufficienza
renale acuta non su base emodinamica, embolia polmonare; tutte
condizioni che possono anche accompagnarsi allo scompenso
cardiaco acuto come conseguenza o concausa scatenante); in
secondo luogo è importante riconoscere e trattare quanto prima
cause scatenanti (tra queste, in primis la sindrome coronarica
acuta, le tachiaritmie o bradiaritmie severe,ma anche tra le più
frequenti le infezioni polmonari o renali, ovvero
l’esacerbazione di broncopatie croniche-asma, il peggioramento
della funzione renale su base emodinamica o da uso di FANS o
corticosteroidi in pazienti predisposti, l’anemia, o anche
patologie più drammatiche e prognosticamente molto gravi come il
tamponamento cardiaco, le sindromi aortiche, la cardiomiopatia
peri-partum, l’embolia polmonare massiva, la crisi ipertensiva
maligna); infine, è determinante riconoscere condizioni che
nell’immediato sono associate a prognosi infausta a brevissimo,
ovvero la grave ipossia e l’ipotensione (shock) e dunque la
disfunzione multi organo progressiva, rapida e grave. L’anziano
(età>65 anni, ma si tende a spostare la definizione a>70
anni) ed il grande anziano (età >80 anni), rappresentano
“una sfida nella sfida” nel contesto clinico dato, poiché da un
lato essi presentano frequentemente
comorbiditàfisiopatologicamente e prognosticamenterilevanti (tra
i più frequenti l’insufficienza renale cronica, l’insufficienza
respiratoria cronica, l’anemia, le valvulopatie),che possono
essere cause scatenanti dello scompenso cardiaco o aggravarsi di
conseguenza, ma che vanno trattate contestualmente; dall’altro
lato, l’anziano ed il grande anziano hanno spesso
caratteristiche di fragilità importante (deficit cognitivo, ipo/malnutrizione,
instabilità posturale/allettamento, immuno-incompetenza,
patologie valvolari concomitanti) che rendono gli interventi
terapeutici complessi dal punto di vista del piano
assistenziale. La terapia medica classica, basata su diuretici
(tradizionali o meno) e vasodilatatori, e talvolta inotropi,
determinano tipicamente una risposta “bifasica”, ovvero
determinano in media una iniziale risposta positiva, ma nel
breve possono esacerbare la fisiopatologia delle comorbidità
(peggioramento della funzione renale e resistenza ai diuretici,
ipotensione/ipoperfusione tissutale, instabilità emodinamica
nella stenosi aortica, incremento del consumo d’ossigeno
miocardico in pazienti con sottostante insufficienza coronarica
complessa). Per tale motivo, trattamenti quali la ventilazione
non invasiva, l’accesso rapido all’angiografia coronarica in
emergenza nelle sindromi coronariche acute ovvie o sospette,
l’assistenza meccanica al circolo mediante
contro-pulsazione,l’ultrafiltrazione, rappresentano trattamenti
aggressivi sempre più utilizzati, in concomitanza con quelli
farmacologici classi, per contrastare la fase iperacuta dello
scompenso cardiaco e le sue conseguenze/comorbidità, e ridurre
al minimo la possibilità di una rapida progressione della
sindrome della disfunzione multi-organo. Per contro, va
attentamente ponderato il rapporto beneficio/rischio per le
possibili complicanze (in particolare quelle vascolari), e
misurati tali interventi in un contesto di valutazione
complessivadel paziente, che tenga conto anche dello stato
cognitivo e dell’autonomia funzionale pre-ricovero, e della
reale possibilità di “restitutio ad integrum” di tali
pazienti.
