Anemia e Scompenso
nell’Anzianoe nel Grande Anziano
Antonio Palermo
Cardiologia A.O. S.Sebastiano Caserta
Lo Scompenso
Cardiaco (S.C.) rappresenta una delle epidemie del III millennio
caratterizzandosi per un incidenza e prevalenza crescenti con
l’aumentare dell’etàmedia della popolazione, con . un notevole
onere per il Servizio Sanitario soprattutto in termini di costi
( 2% circa del budget sanitario nazionale), in particolare
legati all’assistenza ospedaliera che assorbe circa il 70%
delle risorse.
Nonostante
l’introduzione di nuovi, più mirati e potenti farmaci, lo S.C.
continua oggi a rappresentare una importante causa di morbidità
e mortalità suggerendo che un approccio terapeutico standard,
volto a correggere la sola disfunzione ventricolare, a
sostenere l’attività cardiaca e amodulare l’attivazione
neuro-ormonale,abbia raggiunto un “plateau” in termini di
benefici potenziali.
Da qui la
ricerca di nuovi meccanismi patogenetici che possano contribuire
al persistere di una prognosi sfavorevole costituendo al
contempo nuovi target di intervento farmacologico.
Le recenti
LLGGEuropeee sullo SC richiamano l’attenzione della classe
medica alle comorbidità:tra queste la carenza marziale
(ferritina > 100 mg/l
o ferritina tra 100 e 299
mg/l
con saturazione della transferrina < al 20%) che, in presenza o
meno di anemia (concentrazione di emoglobina inferiore a 13g/dl
nei maschi e 12 g/dl nelle femmine), costituisce nel data base
della rete AMCO INCHF,uno dei predittori più potenti di
mortalità a 12 mesi. Con valenza pari all’età.
La prevalenza
dell’anemia nello S.C.,dovuta nella maggior parte dei casi
(75%) a carenza marziale,si attesta mediamente intorno al 30 %
variando notevolmente tra i grandi trials(18% circa) e gli
studi osservazionali di popolazione, laddove la prevalenza
del’anemia si attesta intorno al 42% circa.
Non va
peraltro trascurata la carenza marziale la quale, con una
prevalenza media in letteratura studi pari al 38%,condiziona in
maniera negativa la prognosi a prescindere dalla presenza o meno
di anemia( più della metà dei pazienti con carenza marziale NON
sono anemici)
Il ferro
svolge infatti un ruolo chiave nell’omeostasi umana:oltre ad
essere fondamentale come parte integrante dell’emoglobina nel
trasporto di ossigeno ai tessuti, rappresenta un importante
co-fattore di molti enzimi e proteine nei tessuti non
ematopoietici:la sua carenza determina una riduzione del
deposito di ossigeno (mioglobina), una ridotta capacità
ossidativa tissutale,una ridotta efficienza energetica, la
tendenza al metabolismo anaerobico nonchè una disfunzione
mitocondriale, con influssi deleteri sulla cellula stessa.
Nello S.C.
l’attivazione neuro-ormonale tipica della sindrome determina un
incremento della concentrazione delle citochine pro-
infiammatorie e conseguente incremento della sintesi a livello
epatico di epcidina, proteina che influisce negativamente
sull’assorbimento del ferro a livello intestinale e sul suo
rilascio di dai siti di deposito, concretizzando in tal modo la
carenza marziale.
A conferma di
quanto affermato l’elegante esperienza di Dong, pubblicato nel
2006 su Clinical Science, che evidenza come il miocita di ratti
sottoposti a dieta povera in ferro presenti chiare alterazioni
strutturali, quali mancato allineamento delle proteine
contrattili, e notevole dimorfismo mitocondriale fino alla
rottura.
Un miocita in
tali condizioni non è certo in grado di assolvere in pieno alle
funzioni cui è preposto, la qual cosa ci rende conto della
negativa influenza della carenza marziale , in presenza o meno
di anemia sulla capacità funzionale, ospedalizzazioni e
mortalità nei pazienti affetti da S.C.
Nel corso
degli anni la comunità scientifica ha cercato di affrontare in
varie modalità tale problematica: in accordo con l’editoriale di
Kleijn, apparso recentemente (maggio 2013) sull’European Journal
of HeartFailure possiamo ritenere che l’urilizzo
dell’eritropoietina nella terapia dell’anemia nello S.C. sia
giunto al capolinea.
IInfatti i
dati emersi dallo Studio RED HF con un follow-up a 6 anni di
2278 pz con S.C .da almeno 3 mesi, EFVS<40%, emoglobina tra 9 e
12 g/dL, in assenza carenza marziale (transferrina satura<
15%), ipertensione arteriosa (160/100 mmHg),disfunzione
renale(creatinina sierica superiore a 3 mg/dl) ed IRC in
emodialisi ,hanno dimostrato come la somministrazione di:
darboietina s.c. vs placebo con l’obiettivo di Hb tra 13 e 14.5
g/dl, pur determinando un incremento di Hb da 11.2 a13 g/dl,
significativo (p=0.005) miglioramento della qualità della
vita,(KCCQ +2.2) , non abbia influito sul’end-point primario
mortalità ed ospedalizzazione per S.C., peraltro confermando i
dati dello Studio TREAT in cui si è evidenziato che la
somministrazione di darboetina determinava incremento del
ematocrito,disfunzione endoteliale ed ipercoagulabilità un
significativo incremento dell’incidenza di stroke.
Risultati più
confortanti ma al momento non conclusivi in relazione
all’esiguità della casistica in letteratura (circa 400 pazienti)
e della limitata durata del follow-up ( al massimo 6 mesi),
emergono dal ricorsoin pazienti con SC e carenza marziale.alla
terapia con ferro i.v. sia esso ferro gluconato,ferro saccarosio
e ,più recentemente,ferro carbossimaltosio,decisamente
mostratosi meno allergenico e più efficace.
Da una
recente metanalisi di Avni apparsa nel maggio 2013
sull’European Journal of HeartFailure si evince come la terapia
con ferro i.v. in pazienti con S.C. e carenza marziale , in
presenza o meno di anemia ,determini un miglioramento della
qualità della vita e dei parametri funzionali oggettivi di
valutazione dello S.C.,a prescindereo dl’’incremento dei livelli
di emoglobina (non significativo nei pazienti anemici ed assente
nei pazienti che non mostravano anemia),peraltro con un profilo
di tollerabilità ottimale dimostrato dall’ assenza di eventi
avversi seri e dal mancato incremento di accidenti cardiaci,
neurologici ed infettivi.
Alla luce di
quanto finora esposto si impone una maggiore attenzione da
parte della classe medica al riconoscimento ed al trattamento
della carenza marziale (in presenza o meno di anemia) nei
pazienti affetti da S.C. con l’intento di influire
positivamente non solo sulle ospedalizzazioni e sulla
mortatlità, ma anche e soprattutto sulla qualità della vita.
