LA CHIRURGIA VASCOLARE
NEL L ANZIANO E NEL
GRANDE ANZIANO
Eugenio Meucci
Unità Operativa Complessa di Chirurgia
Vascolare
P.O. S.Luca - Vallo della Lucania – ASL
SALERNO
La
popolazione anziana è in rapida espansione e spesso richiede
accesso a prestazioni chirurgiche. Negli ultimi 30 anni si è
assistito, in tutto il mondo occidentale, ad una crescente
diffusione di procedure invasive in pazienti anziani e grandi
anziani, che ha contribuito al progressivo incremento delle
spese sanitarie1. Considerando la previsione di un
futuro ulteriore invecchiamento della popolazione generale (nel
2010 il 12% della popolazione degli USA di età superiore ai 65
anni, nel 2030 si prevede il 20%)2 e l’assenza di una
documentata evidenza a favore di una costo-efficacia di larga
parte delle prestazioni erogate, molte sono gli interrogativi
sollevati, in tema di politica sanitaria, in merito
all’opportunità di una più corretta gestione delle risorse. Si
discute difatti della necessità di introdurre meccanismi che
limitino l’indiscriminato impiego di procedure invasive, ad
elevato impegno tecnologico ed economico, confinandone
l’utilizzo, specie nel paziente anziano, alle condizioni nelle
quali sia verificato il rispetto dei criteri di appropriatezza
clinica (sicurezza ed efficacia) ed amministrativa.
I numerosi
tentativi di offrire una spiegazione al fenomeno dell’incremento
delle prestazioni chirurgiche nel paziente anziano hanno
focalizzato l’attenzione, oltre che su variazioni di ordine
demografico, sul ruolo giocato dall’evoluzione tecnologica di
cui hanno beneficiato la medicina e la chirurgia. Tali progressi
hanno senza dubbio consentito un incremento delle aspettative di
vita, comprimendo la morbidità che si concentra in un’età più
avanzata, con la successiva espansione della necessità in questa
fase della vita di trattamenti invasivi. Stime conservative
riportano difatti che circa 1/3 dei pazienti anziani negli USA
necessitano di un intervento chirurgico maggiore nell’ultimo
anno di vita3. Nel contempo i trattamenti chirurgici
convenzionali e mini-invasivi, grazie all’evoluzione della
tecnologia e dell’esperienza, hanno aperto nuove frontiere
terapeutiche migliorando la sicurezza delle procedure. E’
comunque innegabile che sull’espansione talvolta indiscriminata
di tali prestazioni invasive possano essere intervenute
motivazioni di ordine economico correlate sia alla
strutturazioni dei sistemi sanitari, ed in particolare
all’incentivo rappresentato dal rimborso a prestazione, sia alle
inevitabili pressioni esercitata in vario modo dall’industria
sugli operatori sanitari e sui pazienti.
Rientrando
in un ambito più strettamente clinico nell’analisi del tema
assegnato è evidente che la chirurgia vascolare si confronta
routinariamente con una popolazione di pazienti anziani e grandi
anziani che rappresentano la grande parte dei pazienti trattati
nei nostri reparti per patologie non di origine post-traumatica
del sistema arterioso extracoronarico.
Un problema
particolarmente delicato viene sollevato, in chirurgia
vascolare, dai pazienti anziani che giungono ad un trattamento
in un contesto di emergenza, che appartengono in una grande
percentuale alla categoria dei grandi anziani e presentano non
di rado il fenotipo di “anziano fragile”, caratterizzato da una
riduzione delle riserve fisiologiche che ne peggiora di molto la
prognosi chirurgica4. Viene documentato, nei pazienti
anziani sottoposti a trattamenti chirurgici maggiori in
emergenza, un tasso di mortalità 10 volte superiore che nel
resto della popolazione, dati questi che stimolano la
definizione di protocolli e percorsi pre e postoperatori rivolti
all’obiettivo dell’abbattimento del rischio. La valutazione
delle cause della descritta, notevole variabilità
interospedaliera nel tasso di mortalità in questa categoria di
pazienti, ha portato a sottolineare la necessità di disporre di
assetti organizzativi che consentano non solo di proporre in un
contesto di emergenza trattamenti talvolta complessi, ma
soprattutto, di identificare e trattare prontamente le frequenti
complicanze alle quali questi pazienti sono particolarmente
esposti5, 6.
Nel
paziente trattato in elezione per patologia arteriosa, del
resto, risulta evidente che l’impiego di misure quali una
valutazione pre-operatoria attenta delle comorbidità, una
corretta stratificazione del rischio, una messa a punto della
terapia pre-operatoria ed un attento monitoraggio
peri-operatorio, è sistematico anche indipendentemente dall’età7.
Molti studi
hanno dimostrato che l’incremento dell’età è correlata con un
incremento delle complicanze post-operatorie, probabilmente in
virtù delle maggiori comorbidità, giustificando, quindi. il
valore attribuito al fattore età in tutte le scale di predizione
di rischio operatorio8, 9. Le complicanze
cardiache rappresentano, come noto, la principale causa di
mortalità perioperatoria nei pazienti anziani sottoposti a
chirurgia maggiore. Predittori di eventi avversi perioperatori
sono, pertanto, la cardiopatia ischemica, lo scompenso cardiaco,
la patologia cerebrovascolare, il diabete mellito e l’insufficenza
renale. E’ superfluo sottolineare come tali comorbidità siano
riscontrabili di frequente nel paziente affetto da patologia
arteriosa anche di età inferiore8.
Esistono
peraltro evidenze anche a favore di un ruolo dell’età come
fattore di rischio indipendente nella predizione della mortalità
perioperatoria e della sopravvivenza a lungo termine10
confermando un effetto protettivo del terapia
farmacologica perioperatoria (B-bloccanti, statine, aspirina ed
ACE inibitori) con una particolare evidenza dell’efficacia delle
statine nel paziente grande anziano.
L’elemento
che ritengo possa assumere maggiore interesse clinico nella
presente trattazione è la valutazione dell’influenza esercitata
dall’età nel modificare i percorsi terapeutici nei pazienti
candidati al trattamento per patologia vascolare
extracoronarica, che può arrivare a determinare la scelta del
trattamento da adottare e che incide in diversa misura secondo
le diverse patologie e nelle diverse condizioni cliniche.
In tema di
trattamento della stenosi carotidea un consenso diffuso è
riscontrabile in merito alla necessità di subordinare la scelta
sull’eventuale trattamento invasivo da realizzare nel singolo
paziente considerando attentamente l’età del paziente. Il
trattamento chirurgico o endovascolare rappresenta naturalmente
un intervento preventivo, più di frequente realizzato nei
pazienti portatori di stenosi asintomatiche, ma che trova il suo
maggiore interesse nel trattamento delle stenosi sintomatiche.
L’appropriatezza clinica dell’intervento è naturalmente
subordinata all’efficacia nel prevenire eventi ischemici
cerebrali (direttamente proporzionale al rischio ictale della
popolazione alla quale si indirizza) ed alla sicurezza della
procedura proposta (inversamente proporzionale al rischio
procedurale)11, 12, 13, 14, 15, 16, 17.
In pazienti
portatori di stenosi asintomatiche la riduzione di
rischio offerta da qualunque intervento di rivascolarizzazione è
estremamente contenuta (verosimilmente non superiore
all’1%/anno), beneficio questo naturalmente vanificato da un
eventuale incremento della morbi-mortalità peri-operatoria o da
un’aspettativa di vita limitata. Molti sono gli autori che
ritengono, pertanto, che questi trattamenti in pazienti
asintomatici andrebbero riservati alle categorie di pazienti più
giovani, che presentino ragionevoli aspettative di vita, gradi
di stenosi estremamente elevati o altri marker che identifichino
un elevato rischio di ictus se lasciato sotto BMT. Qualunque
trattamento invasivo della stenosi carotidea può, quindi, non
essere indicato nei pazienti asintomatici>80 anni di età
specialmente se di sesso femminile18.
Tali
considerazioni assumono maggior rilievo se si considera che la
morbidità neurologica e la mortalità post-operatoria crescono
proporzionalmente con l’incremento dell’età sia dopo EA che dopo
CAS, specialmente nei pazienti di età superiore a 75 anni19.
E’ importante, in particolare, sottolineare come nei pazienti
più anziani l’angioplastica ha dimostrato con chiarezza un
rischio di ictus e morte doppio in confronto
all’endoarterectomia. Tali differenze nei risultati
dell’angioplastica nei pazienti anziani documentata da diversi
trial (i.e. CREST)17 trova probabilmente una ragione
nella più elevata incidenza di anatomie sfavorevoli (archi
tortuosi, calcifici, tortuosità della carotide comune e
dell’interna e calcificazioni concentriche) che incrementano le
difficoltà tecniche e quindi i rischi del trattamento
endovascolare in questa categoria di pazienti.
Pertanto
l’endoarterectomia presenta minori rischi post-operatori
rispetto all’angioplastica nei pazienti al di sopra dei 70 anni
di età e dovrebbe essere il trattamento di scelta se non
controindicato.
Discutendo,
invece, dei pazienti sintomatici, si rammenta che questi
sono la categoria di pazienti nei quali maggiormente un
qualunque trattamento invasivo trova un suo interesse e
documenta una maggiore efficacia e nei quali l’endoarterectomia
ha dimostrato la sua superiorità rispetto all’angioplastica
(i.e. ICSS)20. In particolare è utile sottolineare
che, nonostante il rischio operatorio più elevato,
l’endoarterectomia comporta nei pazienti sintomatici di età
superiore ai 75 anni un beneficio ancora maggiore che
nei pazienti più giovani (verosimilmente in virtù dell’elevato
rischio ictale di questa sottopopolazione sotto BMT che eleva il
valore preventivo e quindi l’efficacia dell’intervento ).
In
conclusione la valutazione dell’età del paziente, si pure
congiuntamente ad altri fattori (il genere, la clinica, le
caratteristiche della placca, l’anatomia e le potenziali
controindicazioni della endoarterectomia e dell’angioplastica)
gioca un ruolo importante nella selezione della metodica
terapeutica da utilizzare nel paziente portatore di stenosi
carotidea.
Nel
paziente portatore di aneurisma dell’aorta addominale le
indicazioni al trattamento invasivo sono, in assenza di sintomi,
definite dalle caratteristiche morfologiche, dalle dimensioni e
dal tasso di crescita con una condivisione oramai universale
sulle indicazioni.21, 22.
L’elemento
di maggiore discussione nel quale può intervenire il fattore età
è la scelta tra l’opzione laparotomica e quella endovascolare.
In presenza di condizioni anatomiche idonee, il trattamento
endovascolare rappresenta attualmente la prima scelta in virtù
della ridotta invasività, degenza e morbi-mortalità
perioperatoria anche se i risultati a medio-lungo termine non
confermano una superiorità della metodica in confronto alla
metodica open ed il costo ed i rischi del monitoraggio a lungo
termine possano vanificare i benefici in termini di ridotta
mortalità a breve termine nei pazienti giovani nei quali pure
si riscontrano i migliori risultati in termini di riduzione
della sacca dell’aneurisma dopo EVAR23, 24, 25.
Certo
l’orientamento della maggioranza dei centri è, anche
numericamente, sempre più, verso la soluzione endovascolare con
attualmente circa i 2/3 dei pazienti trattati per via
endovascolare24.
Il fattore
età, intervenendo nel influenzare la stima del rischio
operatorio, naturalmente spinge in maniera ancora più rilevante,
quando possibile, verso una soluzione endovascolare, che
comporta un rischio cardiovascolare perioperatorio intermedio e
non elevato13, anche se, salvo forse nei pazienti
definiti “inidonei per una chirurgia laparotomica”, si ribadisce
l’importanza di un rigoroso rispetto delle indicazioni
anatomiche. Il rispetto delle indicazioni anatomiche ai singoli
dispositivi influenza difatti, in maniera determinante, i
risultati a medio-lungo termine, con un’elevata percentuale di
complicanze, di reinterterventi e di rotture nei casi nei quali
gli impianti siano stati realizzati al di fuori delle IFU
(istruzioni per l’uso).
L’arteriopatia cronica ostruttiva periferica
è una manifestazione della patologia aterosclerotica
estremamente diffusa nella popolazione anziana, la cui
espressione clinica è subordinata non solo all’estensione
topografica ed all’evolutività delle lesioni ostruttive, ma
anche alle esigenze funzionali, alla presenza di comorbidità e,
talvolta, ad eventi traumatici esterni che possono pregiudicare
un precario compenso clinico. La prima terapia è naturalmente
medica e riabilitativa e, specie nel paziente geriatrico, la
necessità di qualunque trattamento invasivo deve essere
attentamente subordinata ad un’effettiva necessità clinica.
Nei
pazienti anziani affetti da claudicatio si raccomanda,
rigorosamente un
atteggiamento conservativo, mentre nei pazienti in “ischemia
critica” è necessario proporre, quando possibile, una
rivascolarizzazione precoce22.
L’indicazione ad un’amputazione primaria dell’arto
dovrebbe essere valutata esclusivamente nei pazienti con
ischemia critica (dolore a riposo o lesioni trofiche) non
rivascolarizzabile, nei pazienti allettati, dementi, nei
pazienti con estesa necrosi delle aree posturali o con estesa
infezione dell’arto, evolutiva verso la sepsi sistemica. Un
trattamento demolitivo in prima istanza andrebbe considerato
anche nei pazienti con aspettativa di vita assai limitata per le
severe comorbidità, nei pazienti con ischemia critica
rivascolarizzabile, ma non ambulanti o che presentano flessione
antalgica dell’arto, anchilosi incoercibile o paresi delle
estremità.
L’ischemia
criitica, per le severe comorbidità alle quali è associata, è
comunque gravata da un elevato tasso di mortalità globale (20%
ad 1 anno) e, se non trattata con un intervento di
rivascolarizzazione, da un alto tasso amputazione a 6 mesi26.
In virtù delle stesse cause qualunque trattamento invasivo non è
esente da rischi specie cardiologici, più elevati nel grande
anziano, rischi di certo inferiori in caso di un trattamento
endovascolare laddove le caratteristiche anatomiche delle
lesioni lo consentano. Negli ultimi anni l’evoluzione delle
tecnologia e dell’esperienza ha portato al sempre più diffuso
impiego di metodiche di rivascolarizzazione endovascolari27,
28, 29, 30, 31, 32. Ciò porta attualmente a considerare
tale soluzione, specie nel paziente anziano, come la prima
opzione terapeutica in questo contesto clinico, in virtù della
minore invasività e del minore rischio specie cardiovascolare
(intermedio e non elevato13), orientamento questo
condivisibile a condizione di non compromettere opportunità
terapeutiche future. Proprio in questa fascia di età ci si
confronta però sempre più spesso con quadri anatomici più
complessi che frequentemente richiedono l’impiego di soluzioni
ibride (chirurgiche + endovascolari) per la frequente presenza
di una patologia su più livelli e/o talmente avanzata da non
poter essere affrontata con un approccio endovascolare esclusivo33.
Diverse
esperienze in letteratura hanno documentato risultati anatomici
e clinici del trattamento endovascolare sovrapponibili nel
paziente ultraottantene e nel paziente meno anziano dimostrando
la sua superiorità in ambedue le fasce di età rispetto al
trattamento conservativo34.
E’ in
conclusione essenziale che l’operatore o il team che trattano
questa tipologia di pazienti sia in condizione di selezionare e
di impiegare tutte le possibili opzioni terapeutiche
singolarmente o in associazione, tenendo sempre presente gli
obiettivi ed il rapporto rischio-benefici del trattamento da
commisurare all’età del paziente, alle comorbidità, alle
condizioni funzionali ed alla sua aspettativa di vita di vita.
L’estrema
diffusione delle metodiche di trattamento endovascolari ha però,
sempre più di frequente, favorito l’impiego di trattamenti
invasivi anche in pazienti claudicanti, anche di età avanzata,
in condizioni di relativa stabilità clinica esponendoli ai
rischi evolutivi ben più gravi della patologia di base la cui
prognosi al II stadio di malattia, si rammenta essere, sotto
adeguata terapia medica, assolutamente benigna35.
Giova a tale riguardo ricordare le numerose evidenze in
letteratura che documentano, come facilmente prevedibile,
risultati immediati ed a lungo termine della chirurgia
sensibilmente peggiori dopo il fallimento di precedenti
trattamenti endovascolari.
Risulta in
conclusione evidente come l’età del paziente candidato a
trattamenti di chirurgia vascolare rappresenta un importante
fattore prognostico che interviene in maniera rilevante
nell’influenzare la strategia terapeutica. L’età influenza
direttamente ed indirettamente, per il maggior tasso di
comorbidità associate, il rischio operatorio, la prognosi
immediata ed a distanza. Si configura, peraltro, nel paziente
anziano o grande anziano affetto da patologie vascolari, non di
rado, un quadro clinico ed un modello anatomico peculiari. L’età
modifica, infine, naturalmente l’aspettativa di vita e, spesso,
le esigenze funzionali dei pazienti, ma, come precedentemente
discusso, interviene in modo diverso nell’orientare la scelta
del chirurgo vascolare nelle diverse patologie che si presentano
in un contesto elettivo o in urgenza.
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