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MCV E COMORBILITA’

 

●  Malattia Cardiovascolare e Diabete

nell’Anziano e nel Grande Anziano

 

●  Malattia Cardiovascolare e Comorbilità

nell’Anziano e nel Grande Anziano

 

●  Tumori e Malattia Cardiovascolare 

nell’Anziano e nel   Grande Anziano

 

 

 Malattia Cardiovascolare  e Diabete

nell’Anziano e nel GrandeAnziano

 

Francesco  Mazzuoli

Firenze

 

 

            Sia le malattie cardiovascolari (MCV) che il diabete (T2DM) sono patologie in continuo aumento di incidenza, in particolar modo nei paesi emergenti, ma, purtroppo anche nel nostro paese. Sono patologie molto diffuse per cui si tratta  di milioni di persone. C’è poi uno strettissimo rapporto con l’età delle persone affette, per cui l’invecchiamento della popolazione è un ulteriore motivo del loro incremento. Quindi si tratta di un reale problema sociale per cui sarebbe necessaria una serie di campagne di prevenzione che però debbono lottare con abitudini di vita scorrette in costante incremento. Ad aggravare il problema poi è il fatto che fino al momento della loro manifestazione clinica sono patologie quasi del tutto asintomatiche; questo fatto contribuisce a ridurre le motivazioni delle persone a rischio a mettere in atto strategie preventive.  Le due patologie (malattie cardiovascolari e diabete) agiscono in particolare sul distretto vasale e si auto potenziano. E’ ormai ben noto che da molti anni si definisce il diabete “una malattia cardiovascolare”, tanto che nelle tabelle che calcolano il rischio di avere una manifestazione clinica di cardiopatia i diabetici sono già, solo per questa diagnosi, ai livelli più alti di “rischio”. Le linee guida della ESC del 2012 affermano chiaramente “le MCV sono la principale causa di morbilità e di mortalità nelle persone affette da diabete”. Pazienti diabetici sviluppano MCV da 2 a 4 volte di più dei pazienti senza T2DM. Inoltre più dell’80% dei pazienti con T2DM sviluppano una MCV, ed oltre il 60% di questi pazienti muoiono per MCV. Coll’ aumento dell’età l’incidenza delle due patologie aumenta in maniera esponenziale, fino a diventare drammatica in quelli che sono detti grandi anziani (persone oltre gli 80 anni di età).  Non ci sono peculiari caratteristiche del diabete o delle malattie CV nell’età avanzata, ma solamente un aumento di alcune delle complicazioni e la frequente associazione con altre patologie.

            In primo luogo, anche negli anziani, anzi soprattutto negli anziani bisogna cercare di correggere i fattori di rischio. Il colesterolo LDL dovrebbe essere portato sotto i 100 mg/dl (70 nell’altissimo rischio) o almeno ridotto del 50%. Si deve cercare di portare in limiti normali il peso corporeo sia con una dieta idonea che stimolando, se non ci sono impedimenti fisici, l’attività fisica (30 minuti di cammino al giorno). La pressione dovrebbe essere controllata al di sotto dei 140/85 (con margine fino a 160 di sistolica nei grandi anziani) e 130 in caso di insufficienza renale importante. L’emoglobina glicata dovrebbe essere sotto il 7% (addirittura 6,5% per alcune LG). Naturalmente il paziente non dovrebbe fumare.

            Dal punto di vista clinico un importante problema per la diagnosi di una cardiopatia ischemica è la elevata frequenza di sintomaticità dei pazienti con diabete. Per questo nelle linee guida si sottolinea l’importanza di far eseguire, se possibile, un test da sforzo massimale ai pazienti diabetici in cui si sospetti la presenza di cardiopatia ischemica. In alternativa può essere usato l’ecg dinamico. I farmaci cardiovascolari possono essere usati normalmente. Ci sono stai in passato molti dubbi relativamente all’uso dei betabloccanti per il rischio (sopravvalutato) che potessero mascherare i sintomi di una crisi ipoglicemica. Tra l’altro i più recenti farmaci, più cardioselettivi, sono utilizzabili con le abituali attenzioni, dato che i vantaggi superano di molto gli svantaggi.

I farmaci antidiabetici tradizionali non hanno mostrato in maniera chiara di ridurre il danno microvascolare nonostante il miglioramento dei valori glicemici ematici; alcuni di questi (rosiglitazone e sulfaniluree) provocano effetti CV sfavorevoli. Le sulfaniluree tendono a far aumentare il peso. I glitazoni trattengono liquidi e sono controindicati nello scompenso in classe NYHA oltre la II.

            Qualora si debba fare una rivascolarizzazione in caso di lesioni multiple o complesse la scelta dovrebbe essere quella di una rivascolarizzazione chirurgica con ponti arteriosi (studi BARI, ARTS,CARDIA, SYNTAX, FREEDOM). In caso si decida di utilizzare la via percutanea(angioplastica e stent) sono da preferire gli stent medicati a quelli metallici, data la maggior tendenza alla occlusione di pazienti con diabete. Non ci sono particolari problemi per la terapia antiaggregante successiva.

Uno dei rischi maggiori della terapia antidiabetica, in particolare se fatta in maniera intensiva è quello della ipoglicemia. Si tratta di un fenomeno di importanza non trascurabile, anzi molto pericoloso per il paziente. Questa problematica è peculiare dei pazienti anziani.  Nei pazienti anziani questo fenomeno, molto più che nei giovani, decorre in maniera subdola; l’anziano  tende a non accorgersi in tempo del problema, e questo può avere conseguenze anche letali se non corretto in tempo. L’ipoglicemia nel diabete è fondamentalmente iatrogena ed è causata dall’uso di insulina esogena oppure di farmaci come sulfaniluree e glinidi capaci di stimolare indiscriminata stimolazione della secrezione di insulina endogena. E’ molto più frequente di quanto si pensi, considerando anche gli episodi asintomatici documentati con il monitoraggio continuo della glicemia (il cosiddetto Holter glicemico), tanto da essere trovata in circa il 40% dei pazienti in terapia insulinica, anche con diabete di tipo 2. L’ipoglicemia causa una riduzione acuta dell’apporto di glucosio a sistema nervoso centrale che causa alterazione delle funzioni cognitive, alterazioni comportamentali fino a convulsioni e coma ipoglicemico, se si protrae. Di regola si crea una risposta adrenergica con pallore sudorazione fredda, tremori e palpitazioni che portano il paziente ad assumere zucchero.  Se le crisi ipoglicemiche sono frequenti la risposta simpatica si attenua  e si può avere la cosiddetta “Hypoglicemia-associated autonomic failure” (HAAF), con conseguenze molto pericolose. La neuroglicopenia può causare aumento della pressione arteriosa ed allungamento dell’intervallo QT, un aumento dell’attivazione piastrinica e della coagulazione con conseguenti aritmie e instaurazione di uno stato pro-trombotico. La presenza di ipoglicemia non avvertita dal paziente (Hypoglycemia unawarness) aumenta con l’età. L’ipoglicemia poi è più frequente quando coesista una insufficienza renale, anche se il meccanismo preciso tuttora non è noto (si ipotizza una diminuzione delle capacità del rene a produrre glucosio in risposta a catecolamine e glucagone). Da quanto detto appare evidente come l’ipoglicemia sia più frequente nei pazienti sottoposti a controllo glicemico intensivo. Vari trial hanno studiato il rapporto tra controllo glicemico intensivo e morbilità e mortalità CV (ACCORD, VADT, ADVANCE). Nessuno ha dimostrato la superiorità del controllo glicemico intensivo; nell’ACCORD il braccio di trattamento più aggressivo è stato precocemente terminato per eccesso di mortalità CV nel braccio trattato in maniera più aggressiva. Questi concetti si applicano ancor di più nei pazienti acuti in rianimazione o in UTIC con un incremento degli episodi ipoglicemici ed anche della mortalità nei pazienti a trattamento intensivo (glicemia tra 81 e 108 mg/dl, rispetto al mantenimento al di sotto dei 180 mg/dl; studio NICE-SUGAR).

Negli ultimi anni l’introduzione in terapia delle Incretine (glucose-dependent insulinotropic polipeptide GIP; glucagon-like peptide-1 GLP-1) ha migliorato di molto il quadro. Si tratta di sostanze secrete dal tratto gastrointestinale in risposta al passaggio del cibo che aumentano la secrezione di insulina dalle beta cellule del pancreas in maniera relata alla glicemia;  alcune di esse riducono anche la secrezione di glucagone. Le incretine sfruttano l’azione di stimolo sulla secrezione di insulina; questa azione viene a cessare quando la glicemia scende al di sotto di valori patologici proteggendo dal rischio ipoglicemia iatrogena.

La grande importanza del diabete ha portato a molti studi in base a cui sono originate delle nuove ipotesi relativamente al danno circolatorio prodotto dal diabete. Oltre ai fattori più conosciuti: infiammazione, disfunzione endoteliale, rimodellamento vasale e placche sub endoteliali, è stata data importanza alle alterazioni del sangue circolante ed al danno metabolico e neurologico del miocardio. Non solo l’albero circolatorio ma proprio il paziente con diabete diventa vulnerabile. Sono stai prodotti nuovi farmaci, come le incretine. Ci sono poi delle evidenze, ancora non decisive ma sulle quali sono in corso alcuni trials (SAVOR-TIMI 53, EXAMINE), relative all’effetto protettivo CV  dei DPP-4 inibitori  (dipeptidyl peptidase-4 inibitori) nei pazienti diabetici.

In conclusione tutti questi dati spingono verso la necessità di una stretta collaborazione tra gli specialisti che si occupano di questi pazienti. Quindi cardiologi, diabetologi ed internisti oltre ai  medici di medicina generale (MMG). Da questo presupposto è nato il documento Trialogue Plus prodotto da ANMCO, FADOI, AMD e SID relativamente al percorso ottimale dopo la dimissione dall’ospedale dei pazienti diabetici o iperglicemici ad elevato rischio CV. Infatti nelle patologie di tipo cronico il punto fondamentale del trattamento è un controllo accurato nel territorio protratto nel tempo in cui l’ospedale può fungere da punto di riferimento e da supporto, ma in cui il ruolo principale è esercitato dalla medicina generale.