Tumori e Malattia cardiovascolare
nell’Anziano e nel grande Anziano.
Nicola Maurea, Giovanna Piscopo, Carmela Coppola,
Clemente Cipresso, Carlo Maurea, Angelo Sabato Boccia.
Struttura Complessa di Cardiologia, Istituto Nazionale Tumori,
Fondazione Pascale, Napoli.
I tumori sono
una malattia prevalentemente dell’età adulta-avanzata. Nella
fig. 1sono evidenziati i tassi di incidenza per tutti i tumori,
specifici per fasce quinquennalid’età. Si nota come nelle prime
decadi della vita, la frequenza dei tumori sia dell’ordine, al
massimo, di qualche decina di casi ogni 100.000 persone;dopo i
35 anni si supera il centinaio di casi, mentre dopo i 60 anni
sicambia ancora ordine di grandezza superando il migliaio di
casi ogni 100.000persone, ovvero raggiungendo una frequenza di
1-3 casi ogni 100 persone/anno. Nella classe d’età adulta (50-69
anni), sono diagnosticati quasi il 40% deltotale dei tumori e
tra questi i più frequenti sono, tra gli uomini, il tumore
dellaprostata (22%), del colon-retto (15%), del polmone (14%),
della vescica (10%)e delle vie aerodigestive superiori (cavità
orale, laringe e faringe, 5%). Tra le donne di età 50-69 anni, i
tumori più frequenti sono quello della mammella(35%), seguito
dal tumore del colon-retto (13%), del corpo dell’utero (7%),
delpolmone (6%) e della tiroide (5%).
È tra gli
anziani con età > 70 anni che viene diagnosticato il maggior
numero dineoplasie (pari al 50% circa del totale dei tumori).
Tra gli uomini, la prostata è al primoposto (21%), seguita dal
polmone (17%), dai tumori del colon-retto (15%), dellavescica
(11%) e dello stomaco (6%); tra le donne è sempre la mammella il
tumorepiù frequentemente diagnosticato (21%), seguito dal
colon-retto (17%),dal polmone (7%), dallo stomaco (6%) e dal
pancreas (5%) (tab. 1).
Nella fig. 2
potete vedere l’incidenza delle malattie cardiovascolari e del
cancro con l’aumentare dell’età, mentre nella fig. 3 è possibile
osservare come cancro e malattie cardiovascolari condividano gli
stessi fattori di rischio e la mortalità aumenti con
l’incremento dei fattori di rischio.In
oncologia, nel
paziente anziano, l’età non è più un pregiudizio ai trattamenti
farmacologici oncologici.
In alcuni di
questi tumori, la chemioterapia e le terapie biologiche, possono
provocare problemi cardiovascolari in una percentuale anche più
alta della eventuale recidiva di cancro.
Le
antracicline
Le
antracicline sono tra i farmaci più efficaci nel trattamento dei
tumori solidi e delle neoplasie ematologiche, tuttavia provocano
diversi effetti collaterali. Causano cardiotossicità a breve e a
lungo termine, inclusa una disfunzione cardiaca congestizia
potenzialmente fatale. Nei pazienti anziani in cui spesso
concomitano ipertensione, diabete, sindrome metabolica e
ridotta riserva coronarica, si riscontra maggiore sensibilità a
questi problemi (tab. 2). Nella tab. 2 sono indicati i fattori
di rischio correlati alla cardiotossicità da antracicline; come
potete osservare l’età è uno dei più importanti.
Figura 1.
AIRTUM 2006-2008. Tassi d’età specifici (x 100.000). Tutti i
tumori esclusi carcinomi della cute, maschi e femmine assieme

.Tabella
1. Primi cinque tumori in termini di frequenza e proporzione sul
totale dei tumori
incidenti
(esclusi i carcinomi della cute) per sesso e fascia di età. Pool
Airtum 2006-2008.* comprende sia tumori infiltranti che non
infiltranti

.
Figura 2.
Incidenza
delle neoplasie e delle malattie cardiovascolari con la
progressione dell’età. Jane A Driver et Al. BMJ 2008

Figura 3. La
mortalità aumenta sia per il cancro che per le malattie
cardiovascolari al crescere dei fattori di rischio. Rob M. van
Dam et Al. BMJ 2008

Tabella 2:
Fattori di rischio per la cardiotossicità da antracicline.
Singal et al, N Engl J Med. 1998
Dose cumulativa |
CT di combinazione |
RT precedente/concomitante |
Età |
Pregressa cardiopatia |
Ipertensione |
Fattori di
rischio di sviluppo di disfunzione cardiaca da Antracicline
Le
antracicline causano una cardiopatia dilatativa di tipo I (fig.
4), le cui caratteristiche ultrastrutturali sono:
disorganizzazione miofibrillare e perdita di miociti. Tale
cardiopatia sembra essere dose correlata ed ha una prognosi
compromessa.È stato dimostrato in donne di età compresa tra i 66
e i 70 anni, sottoposte a terapia in adiuvante per cancro della
mammella, che il trattamento con antracicline, determinava una
incidenza di scompenso cardiaco a 10 anni superiore rispetto a
chi riceveva altro trattamento chemioterapico o rispetto a chi
non faceva chemioterapia (fig. 5). La malattia arteriosa
coronarica, la bronchite, il diabete, l’ipertensione, l’infarto
miocardico e l’arteriopatia obliterante degli arti inferiori, in
questa serie di pazienti, costituivano un fattore indipendente
di rischio. Negli ultimi anni la target-therapy (terapia a
bersaglio) ha rivoluzionato l’approccio al paziente oncologico
con risultati eclatanti in termini di guarigione e allungamento
della sopravvivenza. Nella pratica clinica però, questi farmaci
hanno dimostrato una serie di effetti collaterali, dei quali i
cardiovascolari possono essere i più pericolosi per la vita del
paziente. I farmaci più utilizzati della target therapy sono gli
inibitori di ErbB2 e gli inibitori dell’angiogenesi (fig. 6).
Figura 4:
Disfunzione cardiaca di tipo I (antracicline) e di tipo II
(terapie
biologiche)

Figura 5.
Pazienti tra i 66 e 70 anni senza insufficienza cardiaca che
ricevono chemioterapia adiuvante. Pinder, J Clin Oncol 2007

Figura 6
Inibitori di
ErbB2
Il
Trastuzumabne è il capostipite; altri farmaci sono il Pertuzumab
e il Lapatinib. Il Trastuzumab è un anticorpo monoclonale
agonista del recettore ErbB2, iperespresso nel 25% dei casi di
cancro mammario e per questo utilizzato in ¼ delle pazienti
affette da questa neoplasia. Fin dal 2005, è stato dimostrato
che il Trastuzumab, usato singolarmente o in combinazione con
la chemioterapia, riduce il rischio di recidiva del 50% e il
rischio di morte del 33%. Purtroppo si è evidenziato nel tempo
che la cardiotossicità costituisce un importante effetto
collaterale. La cardiotossicità è in relazione al blocco di
ErbB2 nei cardiomiociti e si manifesta come scompenso cardiaco o
disfunzione ventricolare sinistra asintomatica.Studi clinici
condotti sul Lapatinib, piccola molecola inibitore
tirosin-chinasico di ErbB2, dimostrano che la safety cardiaca
della terapia anti-ErbB2 è agente-specifica; infatti il
Lapatinib determina minore cardiotossicità rispetto al
Trastuzumab. Per il Pertuzumab, un nuovo anticorpo monoclonale,
è stata segnalata la riduzione della frazione di eiezione in
percentuali simili a quelle riscontrate con Trastuzumab. I
meccanismi della cardiotossicità da Trastuzumab non sono
completamente noti e comunque sono differenti da quelli delle
antracicline: in particolare il Trastuzumab non sembra causare
perdita di miociti. In pazienti con disfunzione cardiaca da
Trastuzumab, i miociti appaiono istologicamente normali; delle
alterazioni possono essere visualizzate soltanto utilizzando la
microscopia elettronica, in accordo con la frequente
reversibilità della cardiomiopatia. Tale cardiomiopatia è
definita di tipo II, per differenziarla dal tipo I delle
antracicline (fig. 4) edè caratterizzata da parziale
reversibilità, non è correlata alla dose, non presenta
importanti alterazioni istologiche alla biopsia miocardica e, ha
una buona prognosi a differenza della cardiomiopatia correlata
alle antracicline. Uno dei fattori di rischio per tossicità più
importante è l’età (vedi tab. 3). Abbiamo recentemente creato un
network, l’Italian Cardio-Oncological Network, e abbiamo
analizzato 500 pazienti affette da neoplasia mammaria in
trattamento con Trastuzumab. Abbiamo verificato in soggetti con
età superiore ai 60 anni una tossicità più alta che raggiungeva
il 38% nelle donne con età superiore ai 68 anni. Queste pazienti
erano quelle che avevano una maggiore incidenza di ipertensione,
diabete, dislipidemia, aumentato rischio cardiovascolare
globale, abitudine al fumo, storia di malattia coronarica.
Questi nostri
dati sono stati confermati da un recente studio retrospettivo su
12500 pazienti negli Stati Uniti, in cui la tossicità da
Trastuzumab sembra crescere nel corso dei 5 anni dall’inizio del
trattamento in maniera progressiva e può raggiungere anche il
45% nei pazienti superiori ai 75 anni (fig. 7). Le conclusioni
di questo lavoro sono state poi ulteriormente validate da un
altro studio retrospettivo su database amministrativi della
SEER-Medicare Cohort su 45537 pazienti anziane (età media 76,2
anni), in cui ritroviamo una incidenza progressiva di
cardiotossicità ad uno, due e tre anni rispettivamente del 15,
20, 26% in caso di terapia con il solo Trastuzumab e del 16, 23
e 28% in caso di associazione tra antracicline e Trastuzumab.
Fattori di
rischio di sviluppo di disfunzione cardiaca da Trastuzumab
Tabella 3:
Fattori di rischio per la cardiotossicità da Trastuzumab.
Suter et al,
Breast. 2004
Pregressa terapia con antracicline o paclitaxel |
Età |
Riduzione della frazione di eiezione ventricolare
sinistra (LVEF) per pregressa cardiopatia |
Obesità (BMI>25 kg/m2) |

Figura 7 .
Bowles, JNCI 2012
Inibitori
dell’angiogenesi
Interferire
con l’angiogenesi tramite l’inibizione del vascular endothelial
growth factor (VEGF) è un approccio efficace e largamente
diffuso nella terapia del cancro; purtroppo le terapie
antiangiogeniche possono provocare importanti effetti
cardiovascolari sistemici come l’ipertensione, la disfunzione
ventricolare sinistra, l’insufficienza cardiaca, la cardiopatia
ischemica, l’infarto del miocardio e l’allungamento del tratto
QT. Gli inibitori del signaling del VEGF attualmente in
commercio in Italia sono: Bevacizumab, Sunitinib, Sorafenib,
Pazopanib e Vandetanib. Poiché l’uso di questi farmaci è in
crescita e vengono sempre più utilizzati anche in pazienti
anziani, gli effetti collaterali sono sempre più frequenti e i
cardiologi dovranno sempre di più interagire con l’oncologo per
curare pazienti che sviluppano problematiche cardiovascolari.
Il
Bevacizumab è un anticorpo monoclonale che agisce sul VEGF
circolante, con indicazionenel trattamento del carcinoma
metastatico del colon-retto, del polmone, della mammella e del
rene. L’effetto cardiotossico più frequente è l’ipertensione
arteriosa, con una incidenza variabile dal 4% al 35% dei casi;
l’ipertensione arteriosa di grado 3 nell’ 11%-18% dei casi.Nella
patogenesi dell’ipertensione arteriosa assume un ruolo molto
importante l’inibizione dell’ossido nitrico sintetasi, che
determina una riduzione dell’ossido nitrico endoteliale, con
conseguente vasocostrizione ed aumento pressorio. Raro lo
scompenso cardiaco riportato solo nell’1,6% dei casi.
Il Sunitinib
e il Sorafenib sono piccole molecole, inibitori multi-target
delle tirosino chinasi, ad attività antiangiogenica che
agiscono sui recettori intracellulari del VEGF. Sono utilizzati,
il primo nel carcinoma metastatico del rene e nei GIST (tumori
stromali gastrointestinali), il secondo nel carcinoma
metastatico renale e nell’epatocarcinoma.
Con il
Sunitinib è stata riportata ipertensione arteriosa sia nei
trials clinici (5%-24%; di grado 3 nel 2%-8%) sia in una analisi
retrospettiva(nel 47% dei casi; di grado 3 nel 17%). Nella
stessa analisiè stata riportata una incidenza di scompenso
cardiaco di classe NYHA III-IV, nell’8% dei casi.
Il Sorafenib
causa ipertensione arteriosa in percentuali simili a quella del
Sunitib, ma con una incidenza di insufficienza cardiaca
sicuramente inferiore.
Come gestire
gli eventi avversi degli inibitori dell’angiogenesi?
Riteniamo che
in futuro avremo meno eventi cardiovascolari nel corso di queste
terapie perché l’oncologo ha scoperto la pre-ipertensione.
Soltanto a
partire dal Maggio del 2009 il primo criterio di tossicità
ipertensiva utilizzato nei trials in oncologia (National Cancer
Institute) è la pre-ipertensione (120/80mmHg– 139/89mmHg); fino
ad allora si considerava evento tossico di primo grado una
pressione arteriosa che doveva superare i 150/100 mmHg.
Vi sono
evidenze in letteratura (fig.8) che l’apoptosi dei cardiomiociti
si verifica nel topo da esperimento sottoposto a terapia
anti-VEGF solo se è presente ipertensione arteriosa.
Questo dato
sperimentale traslato alla clinica impone durante la pratica
quotidiana la riduzione aggressiva della pressione arteriosa al
fine di ottenere la diminuzione dell’incidenza di insufficienza
cardiacain questi pazienti.
Per tali
motivi consigliamo di seguire l’algoritmo della fig. 9 in cui ad
esempio è evidente che la pre-ipertensione, se associata anche
ad un solo fattore di rischio, va trattata farmacologicamente
prima di iniziare il trattamento oncologicoE’ necessario,
inoltre, trattare aggressivamente i fattori di rischio elencati
nella tab. 4, ed è opportuna un’accurata raccolta anamnestica
volta, tra l’altro, ad identificare, nelle donne che hanno avuto
una gravidanza, la comparsa di “HELLP Syndrome” che è una
particolare forma di preeclampsia che sembra legata ad una
disregolazione del signaling del VEGF. È intuitivo pensare che
una popolazione con più fattori di rischio cardiovascolare come
quella anziana possa essere più soggetta ad eventi
cardiovascolari correlati con questi farmaci.
Figura 8:
Induzione di apoptosi indotta dal Sunitinib nell’ambito
dell’ipertensione. Chu, Lancet 2007

.
Figura 9:
Management dell’ipertensione indotta da farmaci inibitori
dell’angiogenesi. Ederhy, Clin Rev Oncol Hematol 2011

Tabella 4:
Fattori di rischio per eventi cardiaci in corso di terapia
con inibitori
di VEGF

Oltre
all’ipertensione e alla disfunzione sistolica ventricolare
sinistra, questi farmaci possono provocare o slatentizzare una
cardiopatia ischemica per cui, dopo un’accurata selezione del
paziente da trattare con inibitori del VEGF, consigliamo di
seguire le indicazioni della tab. 5 È evidente quindi come
questi farmaci possano provocare maggiore tossicità nei pazienti
anziani.
Tabella 5:
Raccomandazioni per gestire l’ischemia cardiaca associata alla
terapia con inibitori del VEGF
Modifiche aspecifiche dell’onda T: continuare con
inibitori del VEGF ma monitorare più frequentemente.
Modifiche asintomatiche dell’onda T e del tratto ST
suggestive di ischemia: interrompere inibitori del VEGF
e procedere a valutazione cardiologica. In base a questa
valutazione, continuare con gli inibitori del VEGF solo
a discrezione del cardiologo.
Angina o modifiche dell’ECG sicuramente ischemiche ai
test provocativi o stenosi coronariche significative
alla coronarografia: sospendere definitivamente gli
inibitori del VEGF.
Infarto acuto del miocardio: sospendere definitivamente
gli inibitori del VEGF.
|
In
definitiva si rende sempre più necessaria una gestione
integrata e collaborativa tra il cardiologo e l’oncologo che
deve includere:
-
la gestione precoce ed aggressiva dei fattori di rischio;
-
il trattamento dell’ipertensione nei pazienti trattati
con inibitori di VEGF;
-
la stretta vigilanza dei sintomi associati a disfunzione
cardiaca con monitoraggio della frazione di eiezione del
ventricolo sinistro e possibile monitoraggio dei biomarcatori
cardiaci nei pazienti a più elevato rischio.
Un approccio
di questo tipo che consente di trattare adeguatamente la
gestione della tossicità cardiovascolare nei pazienti oncologici
sarà ancora più utile nell’anziano. Questa fase della vita
proprio per la maggiore presenza di fattori di rischio e
comorbidità, rende questi pazienti più suscettibili a farmaci
che, parlo specialmente per i biologici, hanno prodotto
risultati straordinari nella cura del tumore, ma
inaspettatamente hanno provocato una serie di problematiche
cardiovascolari nuove e tutte da esplorare.
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