La endocardite nell’anziano e nel grande anziano: problematiche
cardiochirurgiche
Paolo Masiello, Generoso Mastrogiovanni, Antonio Panza,
Antonio Longobardi, Severino Iesu e Giuseppe Di Benedetto
Struttura Complessa di Cardiochirurgia,
A.O.U. San Giovanni di Dio e Ruggi D’Aragona - Salerno
INTRODUZIONE
L’endocardite
infettiva (EI) è una patologia in continuo incremento nei paesi
sviluppati, con significative variazioni delle sue
caratteristiche epidemiologiche negli ultimi anni. Nonostante i
notevoli progressi in diagnosi e trattamento la mortalità rimane
elevata, in particolare nei pazienti definiti “anziani”.
In questo
studio abbiamo definito i pazienti anziani utilizzando le
indicazioni correnti:
Età > 65 anni: paziente anziano
Età >75 anni ed < 85 anni: anziano fragile
Età > 85anni: grande anziano
In questi
pazienti, che rappresentano il 19% della popolazione totale
(ISTAT 2008), il rischio di contrarre endocardite è di 4,6 volte
maggiore che nella normale popolazione ed è in incremento negli
ultimi anni.
In tempi
recenti numerosi studi hanno evidenziato le caratteristiche
delle EI in questi pazienti. I fattori predisponenti sono vari
alterazioni
dell’apparato immunitario
maggior
frequenza di patologie valvolari degenerative non diagnosticate
incremento di
procedure invasive
incremento di
impianti protesici
maggiore
frequenza di ospedalizzazione.
Questi
fattori influenzano negativamente anche la prognosi.
Nell’
EuropeanHeartSurvey il 26% dei casi di endocardite si
verificavano in anziani (> 70 anni) e nel French Survey il 33%
dei casi occorrevano in pazienti con età > di 67 anni. Ancora,
in numerosi studi, l’incidenza di endocardite batterica
raggiunge il suo picco tra 70 ed 80 anni di età.
L’endocardite
nell’anziano è associata ad una maggiore mortalità ed una più
elevata frequenza di complicanze. L’insorgenza è in genere
insidiosa con sintomi spesso meno severi a dispetto di agenti
patogeni spesso più aggressivi. In particolare in questi
pazienti la presentazione avviene con sintomi atipici quali
malessere, anoressia, perdita di peso.Caratteristicamente la
frequenza di episodi embolici è minore rispetto al resto della
popolazione.Per queste ragioni la diagnosi è spesso tardiva e la
mortalità, nonostante i progressi nella diagnosi e trattamento,
rimane elevata. L’età è stata identificata in numerosi studi
come fattore prognostico indipendente di mortalità.
CAUSE
La
valvulopatia reumatica è sempre meno coinvolta come fattore
predisponente mentre lo è sempre di più la calcificazione
dell’annulus, peculiare nell’anziano, che si associa spesso a
rigurgito valvolare e fibrillazione atriale. Nell’anziano i
batteri più comunemente coinvolti sono quelli del tratto
gastrointestinale, molto frequente lo streptococcusbovis e gli
enterococchi, e quelli del tratto genito-urinario a causa di
manovre chirurgiche dovute ad iperplasia o neoplasia prostatica.
Anche la endocardite su protesi è più frequente dato
l’incremento della frequenza degli impianti con l’età.
DIAGNOSI
La diagnosi è
basata sui criteri di Duke-St Thomas:
-
Emocolture positive
-
Nuovo
soffio cardiaco
-
Ecocardiografia
-
Patologie cardiache predisponenti
-
Febbre
-
Fenomeni immunologici
-
Fenomeni vascolari
-
Sierologia positiva
-
Markers infiammatori positivi
-
Splenomegalia, ematuria, rashes, emorragie
Negli anziani
la sintomatologia può essere insidiosa ed i criteri di Duke
addirittura assenti. La febbre è meno comune mentre è più
frequente l’anemia. Tuttavia in caso di segni settici senza
evidenza di localizzazione, un endocardite batterica deve sempre
essere sospettata nell’anziano.
Particolare
“subset” di endocardite infettiva è quella con emocolture
negative, particolarmente comune nell’anziano. Uno studio
italiano riporta con colture negative il 25% delle endocarditi
dell’anziano. Questo è dovuto a 3 cause:
-
Trattamento antibiotico precoce
-
Inadeguate tecniche batteriologiche
-
Batteri poco evidenziabili o funghi
In questi
casi però la prognosi non differisce significativamente da
quella delle endocarditi con identificazione del germe.
L’ecocardiografia, transtoracica e transesofagea, è la metodica
di scelta per la diagnosi ed il management. Tuttavia è stata
riportata una minore sensibilità della trans toracica
nell’evidenziare le vegetazioni, pertanto la transesofagea è
preferibile in questi pazienti perché più sensibile e specifica.
E’ stato riportato un incremento della capacità diagnostica del
45% con la metodica trans esofagea rispetto alla trans toracica.
MANAGEMENT
Il
trattamento delle EI dipende dalla ottimale cooperazione tra
cardiologo, geriatra, infettivologo e cardiochirurgo. Il
monitoraggio continuo del paziente consente il giusto intervento
nel momento appropriato.
La terapia
antibiotica endovenosa mirata per 4-6 settimane è indicata per
l’eradicazione dell’infezione.
L’indicazione
chirurgica prima del trattamento radicale dell’EI è
essenzialmente rappresentata da tre casi:
-
Scompenso cardiaco
-
Infezione intrattabile
-
Prevenzione delle embolie
Nelle
endocarditi precoci su protesi è indicata la rimozione della
protesi stessa in tempi rapidi mentre in quelle tardive viene
effettuata dopo il termine della terapia medica.
La chirurgia
dovrebbe essere effettuata prima del danneggiamento tissutale;
un ritardo nell’indicazione chirurgica è spesso associato ad una
peggiore prognosi.
INDICAZIONE E
PROBLEMATICHE CARDIOCHIRURGICHE
L’endocardite
infettiva che necessita un intervento cardiochirurgico è,
fortunatamente, una patologia che si verifica con frequenza
relativamente bassa. Nella nostra esperienza i pazienti operati
a seguito di EI accontano a circa l’1 % del totale degli
interventi cardiochirurgici.
Pertanto
questa patologia in sottogruppi di pazienti anziani è riportata
solo da pochi e recenti studi, spesso multicentrici. Alcuni di
questi hanno riportato un incremento di mortalità ed un uso
limitato della chirurgia in pazienti anziani, non chiaramente
confermato da altri. In altri la localizzazione, l’eziologia
microbiologica e le difficoltà diagnostiche sembrano giocare un
ruolo più importante nell’insorgenza delle complicanza,
necessità di chirurgia ed outcome finale rispetto all’età. La
chirurgia è fondamentale nel trattamento delle EI ma in
letteratura non si evidenziano chiaramente i benefici né sono
chiari i vantaggi nel limitarne l’uso negli anziani.
Alcuni
interessanti lavori sono stati recentemente pubblicati e
riportano un numero elevato di casi trattati.Ramirez-Duque et
al. in un interessante studio multicentrico con un elevato
numero di pazienti, hanno evidenziato come l’incremento dell’età
è associato ad una significativamente maggiore mortalità
accompagnato da una tendenza a ridurre l’usodella chirurgia
questi pazienti. L’espressività clinica non era diversa dal
gruppo dei pazienti giovani ad eccezione di una maggiore
frequenza di insufficienza renale e ridotta incidenza di eventi
embolici nel gruppo dei pazienti anziani. La mortalità era
significativamente più alta nel gruppo anziani (43,2 vs 27%,
p<0,01) che venivano però sottoposti ad un significativo minor
numero di procedure. Se confrontato in comparazione alla terapia
medica la chirurgia mostrava minore mortalità nel gruppo giovani
rispetto agli anziani ma nel gruppo anziani non vi era
differenza significativa tra il trattamento medico e chirurgico
(47,6 vs 40,3%, p=0,1). La tabella 4 del suddetto lavoro è
altamente esplicativa riguardo al rapporto mortalità-età.

Ramirez-Duque
N et al.
Surgical treatment for infective endocarditis in elderly
patients.Journal
of Infection (2001) - 63;131-8
Di Salvo et
al. Riportano, nei pazienti operati, una mortalità
significativamente più elevata nel gruppo dei pazienti anziani
evidenziando in analisi multivariata i fattori di rischio
principali come età, presenza di protesi ed embolia cerebrale.
Interessante notare come la chirurgia era associata a minore
mortalità ospedaliera versus terapia medica e soprattutto che la
mortalità tra i pazienti operati era simile nei due gruppi. Lo
studio condotto su un cospicuo numero di pazienti conclude che,
sebbene l’EI abbia caratteristiche peculiari negli anziani,
questi possono essere trattati chirurgicamente con mortalità
simile al gruppo dei giovani.
Selto-Suty et
al., Netzer et al., hanno riportato una più elevata mortalità in
pazienti anziani mentre ciò non è evidente negli studi di
Gagliardi et al., e Werner et al.. Molte sono le differenze in
questi lavori ed in particolare il numero dei pazienti è spesso
basso.
Durante-Mangoni et al., in un recente studio su un elevato
numero di pazienti divisi in gruppi di giovani (<65 anni) ed
anziani (> 65 anni) hanno concluso che l’età avanzata
rappresenta il maggior determinante delle caratteristiche
cliniche dell’EI con una ridotta frequenza di trattamento
chirurgico e maggiore mortalità nei pazienti progressivamente
più anziani nonostante in questi ultimi l’EI si presenti con un
minor tasso di complicanze maggiori (in particolare stroke ed
embolia periferica). La mortalità nel gruppo anziani è del 25% e
si mantiene elevata anche nei sottogruppi. In questo lavoro non
viene riportata una comparazione tra l’outcome esclusivamente
chirurgico tra i due gruppi.
Nella nostra
esperienza ventennale abbiamo operato 143 casi di endocardite
batterica, circa l’1% della nostra attività globale, costituenti
il 40% delle endocarditi trattate dalla nostra struttura
ospedaliera. In 99 casi si trattava di EI su valvola nativa ed
in 44 di valvola o struttura protesica. La mortalità globale era
di 19 pazienti pari al 13,2% (6% su nativa, 30% su protesica).
La età media era di 51 anni (7-77). Solo 22 pazienti rientravano
nella categoria degli anziani (>65 anni) e nessuno in quella dei
grandi anziani. Nella nostra esperienza non erano evidenziabili
differenze statisticamente significative in termini di mortalità
tra i pazienti anziani ed i pazienti giovani nei pazienti
operati per endocardite su valvola nativa. I fattori di rischio
identificati con analisi multivariata per complicanze maggiori,
inclusa la mortalità, erano:
Urgenza Chirurgica
Classe NYHA avanzata
Endocardite attiva
Ciò era
confermato anche per le endocarditi protesiche dove la mortalità
nei pazienti anziani era, sebbene non statisticamente
significativa, addirittura inferiore in confronto al gruppo dei
pazienti giovani. Anche in questo caso urgenza chirurgica ed
endocardite attiva costituivano fattori di rischio maggiori.
CONCLUSIONI
In
conclusione l’endocardite infettiva è una patologia sempre più
diffusa. I progressi diagnostici ne rendono più facile la
diagnosi mentre l’aumento dell’età media ne incrementa la
frequenza e la atipicità. La patologia è in notevole aumento nei
pazienti “anziani”, nei quali assume caratteristiche peculiari,
sia per la crescita dell’aspettativa di vita sia per le
patologie predisponenti da cui questi pazienti spesso sono
affetti. Dall’analisi della letteratura sembra ormai evidente
che l’età avanzata costituisca un fattore di rischio
indipendente sia per la terapia medica che per quella
chirurgica. Al contrario i risultati della chirurgia non
sembrano essere peggiori in questi pazienti.
L’endocardite
infettiva nei pazienti anziani deve essere trattata con
particolare attenzione, non negando l’opzione chirurgica, ove
possibile per condizioni generali, ma riducendone i fattori di
rischio principali che sono essenzialmente rappresentati da una
endocardite ancora attiva e dalla urgenza chirurgica.
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