MIOCARDIOPATIA DILATATIVA E SCOMPENSO CARDIACO NELL’ANZIANO E
NEL GRANDE ANZIANO
Antonello D’Andrea
Unità Operativa Dipartimentale “Diagnostica Cardiologica
Integrata” – AORN Ospedali dei Colli Monaldi – Seconda
Università di Napoli
Le malattie
croniche, come lo scompenso
cardiaco,
sono malattie che gli interventi
medici
attuali possono solo controllare ma non
“curare”.
Poiché tale forma di patologia
diventa
sempre più comune,
con il
crescere dell’età media della popolazione,
il sistema
medico
attuale non
può sopravvivere senza
un’alleanza
organizzata con la comunità
R. Bengoa
Dipartimento
della Sanità e Malattie Croniche
Ginevra: OMS,
2001
Le malattie cardiovascolari (CV) sono un problema di notevole
rilevanza nella popolazione anziana dal momento la sola
cardiopatia ischemica ne è la principale causa di morte (è
responsabile dell’84% dei decessi sopra i 65 anni di età) e che
l’ipertensione è presente in almeno il 50% di questi pazienti.
Già nel 1955 un documento ufficiale del National Center for
Health Statistics segnalava che il 50% dei rilievi autoptici
delle donne anziane ed il 70-80% di quelli degli uomini anziani
presentava segni di malattia ostruttiva coronarica. Ad
accentuare la gravità del problema c’è il dato imprescindibile
che la malattia CV va ad innescarsi su un fisiologico processo
di modificazioni strutturali dell’apparato CV legate all’età al
quale sono frequentemente associate svariate comorbilità.
I dati ISTAT sulle Previsioni Demografiche 1 gennaio 2005 - 1
gennaio 2050 ci dicono infatti che un terzo degli italiani avrà
più di 65 anni nel 2050 e che gli anziani aumenteranno (da 138
ogni 100 giovani nel 2005 a 264 nel 2050) in relazione
all’innalzamento dei livelli di sopravvivenza. Nel 2005 la vita
media è stata di 77.4 anni per gli uomini e di 83.3 per le donne
e nel 2050 si prevede che sia 83.6 per gli uomini e 88.8 per le
donne. Le ricadute saranno inevitabili su tutti i settori e gli
aspetti della vita pubblica e privata se si considera che negli
ultimi cinquant’anni gli ultrasessantacinquenni in Italia sono
già aumentati del 150%. Nel nostro Paese inoltre, non mancano
differenze territoriali consistenti: in Liguria sono attualmente
il 24,4% della popolazione, in Umbria il 22%, in Emilia il
21,9%; in Campania si registra la percentuale più bassa con il
14,2%.

Ma cosa realmente si intende per paziente “anziano” ? Un autore
canadese, Joel Niznick dell’Ottawa Cardiovascular Center
suggerisce la seguente classificazione, peraltro ampiamente
condivisa: a) “young elderly”, ossia giovani anziani fra 65 e 75
anni; b) “middle age elderly”, ossia anziani intermedi, fra 75 e
85 anni; c) “old elderly” ossia grandi anziani, oltre 85 anni.
Questa suddivisione trova un’importante giustificazione quando
si vanno a valutare i risultati dei trials clinici dei
principali farmaci utilizzati in prevenzione CV in cui l’età
media di arruolamento rientra quasi sempre nella prima fascia.
Questo dato fa sì che nella pratica clinica le basi su cui si
fonda un trattamento medico per un paziente fra i 65 ed i 75
anni siano quelli della cosiddetta “evidence based medicine”,
per la fascia fra i 75 e gli 85 anni ai dati dell’evidenza si
aggiungono dati estrapolati e per la fascia di età sopra gli 85
anni ci si basa soprattutto sul giudizio clinico e sul
cosiddetto “buon senso” dal momento che i dati provenienti dagli
studi clinici sono veramente scarsi.
Oltre a questa limitazione di tipo metodologico,
nell’applicazione dei risultati della ricerca clinica alla
popolazione anziana e quindi nella conseguente strutturazione di
un programma di intervento preventivo di secondo livello,
bisogna anche tenere conto che i “grandi anziani” rappresentano
una classe di pazienti che, pur avendo svariate caratteristiche
patologiche in comune, presentano differenti tipi e gradi di
comorbilità ma anche differenti aspetti del processo individuale
di senescenza in termini di autosufficienza residua e/o grado di
dipendenza dal prossimo, livello di capacità cognitiva, volontà
di effettivamente aderire a programmi terapeutici e di
cambiamenti di stile di vita.
Molto spesso, infatti, il paziente anziano è un paziente
“fragile”. La “fragilità” è stata definita come la combinazione
di comorbilità e disabilità o la condizione molto prossima a
tale stato. Fra le principali comorbilità, spiccano le malattie
cardiovascolari che si innescano sovente su terreni che possono
essere già variamente compromessi per situazioni di varia
natura. La disabilità è riferita alle attività del vivere
quotidiano, e cioè l’essere autonomi nel controllo degli
sfinteri, nel lavarsi, nel vestirsi, nello spostarsi all’interno
della casa, nell’alimentarsi e nell’avere cura della propria
persona.
Lo scompenso cardiaco è una patologia che aumenta di prevalenza
con l’aumentare dell’età, con un incremento progressivo del
sesso femminile:

I tassi di sopravvivenza
per i pazienti anziani
con insufficienza cardiaca sono
in genere mediamente
meno del 35% a cinque
anni. In uno
studio retrospettivo sul grande
anziano (età media 89
anni) residenti a
lungo termine in centri di cura
per scompenso cardiaco, la mortalità ad un
anno è stata dell'87%. I fattori determinanti la prognosi sono
la classe NYHA
funzionale, le comorbidità (pressione arteriosa,
funzione renale), lo stato sociale
(stato civile,
isolamento), e psicosociale
(in particolare, la
depressione e la
salute percepita).

Nel paziente anziano si rileva un progressivo incremento della
prevalenza di scompenso cardiaco a funzione sistolica conservata
(il cosiddetto comunemente “scompenso diastolico”).

Tale sindrome cardiaca è più diffusa di quanto si pensi, è
maggiormente comune in soggetti ipertesi e di sesso femminile, e
per essere adeguatamente diagnosticata e trattata necessità di
un adeguato approccio che integri dati clinici (segni e
sintomi), biochimici (BNP) e strumentali (ecocardiogramma
colorDoppler integrato con Doppler tissutale) (vedi schema
sottostante).

Nella figura sottostante è possibile osservare un classico
esempio di scompenso diastolico nell’anziano. Si tratta di una
donna di 87 anni, ipertesa, diabetica, in fibrillazione atriale
permanente, ricoverata in terapia intensiva per edema polmonare.
L’ecocardiogramma bidimensionale in sezione 4 camere apicale
(pannello A) evidenzia una severa dilatazione biatriale (volume
atriale sinistro 40 ml/m2; area atrio destro > 30 cm2),
in presenza di una normale funzione sistolica del ventricolo
sinistro (FE 55%). Il Doppler trans-mitralico (pannello B)
evidenzia un’onda proto-diastolica E elevata, mentre il Doppler
Tissutale dell’anulus mitralico (pannello C) mostra un’onda E’
ridotta, con rapporto E/E’ > 14, come da aumento della PCWP. La
sezione sottocostale mostra invece una vena cava inferiore
dilatata ed ipocollassante (pannello D), come da aumentata
pressione atriale destra.

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