La terapia dell’ipercolesterolemia
nell’Anziano e nel
Grande Anziano
Pasquale Caldarola
Ospedale San Paolo Bari
Gli studi
epidemiologici condotti in soggetti in età avanzata ci
dicono che spesso nel mondo reale il rischio cardiovascolare
è sottostimato (1; 2).
Tuttavia sono
sempre maggiori le evidenze circa l'efficacia degli interventi
sul rischio cardiovascolare anche durante la terza età
quando maggiore è la prevalenza di coronaropatia e stroke (3;
4).
La
prevenzione cardiovascolare dovrebbe essere quindi un impegno
costante, indipendentemente dall’età del paziente. Bisogna
tuttavia avere ben presente il rapporto costo-beneficio prima
di introdurre in terapia un nuovo farmaco, tenendo conto del
frequente ricorso alla politerapia tra gli anziani.
Le evidenze
di efficacia in letteratura della terapia con statine
sono diverse a seconda che se ne preveda l'assunzione in
prevenzione primaria o secondaria.
STUDI DI
PREVENZIONE PRIMARIA
In
prevenzione primaria i dati non sono concordi. Alcuni studi
epidemiologici hanno mostrato che il rischio relativo di eventi
cardiovascolari legato all’ ipercolesterolemia si attenua
progressivamente con l’età.
Lo studio EPESE (Established Populations for Epidemiologic
Studies of the Elderly) non ha dimostrato che il colesterolo
sia fattore di rischio per eventi cardiovascolari e mortalità
per tutte le cause in soggetti di età superiore a 70 anni (5)
.
Sulla stessa linea i risultati del Cardiovascular Health
Study che non ha mostrato correlazione tra colesterolemia
e rischio di infarto miocardico e mortalità totale in età
maggiore o uguale a 65 anni (6).
Nel Framingham Study vi era, invece, una relazione debolmente
positiva nella decade tra i 70 e gli 80 anni e
tendenzialmente negativa, seppure in modo non statisticamente
significativo, per età superiore o uguale ad 80 anni (7).
La Metanalisi
di Ray et al. (8) che ha operato una revisione sistematica di
11 trials randomizzati con statine in prevenzione primaria
tra soggetti di età tra 51 e 75 anni, non ha presentato
vantaggi in termini di riduzione della mortalità generale. Va
detto tuttavia che la numerosità campionaria era troppo
scarsa nel quartile di età più avanzata per poter fornire
risultati attendibili attraverso analisi per sottogruppi.
Lo studio
Prosper, unico trial basato sul confronto statine versus
placebo che abbia reclutato solo anziani, non ha infatti
dimostrato vantaggi del trattamento con pravastatina 40 mg
versus placebo in una coorte di soggetti di età compresa
tra i 70 e gli 82 anni sulla mortalità generale. Ha però
rilevato risultati significativi per l’importante outcome
composito primario "morte coronarica o morte da ictus o infarto
non fatale o stroke non fatale” (9). Un’analisi per sottogruppi
della stessa ricerca ha mostrato che se il vantaggio risultava
significativo tra i pazienti in prevenzione secondaria, non lo
era in prevenzione primaria. Tuttavia questa analisi presentava
i limiti delle valutazioni non primarie.
Il
valore scarsamente predittivo della colesterolemia nell’anziano
potrebbe essere legato al fatto che con l’avanzare dell’età
aumentano comorbilità e probabilità di morte non coronarica,
mascherando in tal modo l’associazione causale tra
ipercolesterolemia e morte coronarica; inoltre bassi valori di
colesterolemia possono essere indizio di compromissione
multisistemica nell’anziano (10)
A favore
invece del trattamento con statine è invece un' altra
metanalisi pubblicata nel 2009 che ha considerato 10 studi
clinici per un totale di 70388 persone con anamnesi
cardiovascolare event-free ma con fattori di rischio
cardiovascolare, incluso diabete e follow-up medio 4,1 anni.
Il trattamento con statine riduceva significativamente
mortalità, eventi coronarici maggiori e cerebrovascolari anche
analizzando il sottogruppo superiore a 65 anni, evidenziando
benefici paragonabili a quelli osservati in prevenzione
secondaria (11).
Sulla
stessa linea i dati provenienti dal Cholesterol Treatment
Trialists' Collaboration . Questa meta-analisi ha incluso 22
studi caso-controllo di utilizzo versus non utilizzo di
statine e 5 studi randomizzati di utilizzo di dosi
maggiori versus dosi inferiori di statina valutando l'
incidenza di eventi vascolari maggiori (infarto del miocardio
non fatale, morte coronarica, ictus, rivascolarizzazione
coronarica). I partecipanti sono stati divisi in cinque
categorie sulla base del rischio di eventi a 5 anni (<5%, tra
il 5% ed il 10%, tra il 10% ed il 20%, tra il 20 % ed il 30%,
superiore al 30%). La riduzione del colesterolo LDL con statine
riduceva significativamente il rischio di eventi vascolari
maggiori indipendentemente da età, sesso e valori di LDL
di partenza. La riduzione degli eventi era significativa tanto
nelle due categorie a più basso rischio quanto in quelle a
più alto rischio. Il beneficio era lievemente inferiore per
gli individui di età superiore ai 75 anni di età (una
percentuale piuttosto piccola del totale) rispetto ai soggetti
di età ≤ 75 anni (Riduzione del rischio relativo del 16% vs
22% rispettivamente) (12).
Alla luce
della mancanza di dati univoci le linee guida ESC per il
management delle dislipidemie raccomandano, tenendo anche
conto che nella fascia tra i 65 e gli 80 anni si
concentrano la maggior parte dei soggetti a rischio
elevato per diabete, ipertensione e disfunzione renale, che
la terapia ipolipemizzante vada considerata in presenza
di almeno un altro fattore di rischio cardiovascolare
oltre l'età (Classe di raccomandazione IIb, Livello di
evidenza B) (13).
PREVENZIONE
SECONDARIA
Nonostante
la scarsa numerosità campionaria, molteplici studi clinici
prospettici hanno mostrato l’efficacia della terapia
ipolipemizzante anche tra gli anziani con coronaropatia .
Lo
Scandinavian Simvastatin Survival Study (4S), per esempio, ha
dimostrato che l’utilizzo della simvastatina ha diminuito
dopo 5 anni la mortalità totale del 35% e quella coronarica
del 42% in entrambi i sessi e in soggetti con età ≥ 60 anni
(14).
Il trial PROVE-IT ha arruolato pazienti con anamnesi
positiva per sindrome coronarica acuta valutando l'efficacia
e la sicurezza di una terapia intensiva e precoce con
statine come raccomandato dalle linee guida. Sono stati
confrontati i dati relativi all'endpoint composito di morte,
infarto miocardico o angina instabile dei soggetti di età ≥ 70
anni rispetto ai più giovani dimostrando che un valore
ottimale di Col-LDL era associato ad una riduzione del
rischio assoluto dell'8% e del rischio relativo del 40%
rispetto alla riduzione del rischio assoluto del 2,3% e del
rischio relativo del 26% osservato nei pazienti di età
inferiore a 70 anni. Il numero stimato di eventi prevenibili
tra gli anziani dopo il raggiungimento del valore target di
Col-LDL di 70 mg/dl era di 80 eventi a 2 anni ogni 1000
pazienti trattati rispetto ai 23 eventi potenzialmente evitati
nei soggetti di età inferiore a 70 anni (Fig.1). L'incidenza
di effetti collaterali importanti tra i due gruppi era simile e
non differiva al variare della dose (15).

Fig. 1 Analisi nei sottogruppi di età ≥ 70 anni e < 70 anni del
rischio (HR: hazard ratio) di eventi clinici nel tempo (morte,
infarto del miocardio, ospedalizzazione per angina instabile)
in pazienti in target Col-LDL (70 mg/dl) e non. European
Heart Journal (2006) 27, 2310-2316.
Lo studio CARE ha coinvolto 1.283 soggetti con età compresa tra
65 e 75 anni con storia di infarto del miocardio e valori di
Col-tot ≤ 240 mg/dL. L’analisi per sottogruppi ha confermato
l’efficacia della statina nel ridurre il rischio cardiovascolare
assoluto in egual misura sia nella popolazione di soggetti di
età ≥ 65 anni che nel campione complessivo dello studio. In
particolare è stata osservata una riduzione degli eventi
coronarici maggiori del 32% nei pazienti di età ≥ 65 anni e del
19% in quelli di età < 65 anni. La mortalità per coronaropatia
è risultata diminuita del 45% nei pazienti anziani e solo
dell’11% nei pazienti giovani, a conferma del fatto che in
presenza di un rischio assoluto maggiore, cui sono di certo
esposti gli anziani, si registra anche un beneficio maggiore
(16).
Un contributo fondamentale alle conoscenze sull' efficacia delle
statine in anziani in prevenzione secondaria ci viene offerto
invece dalla metanalisi di Afilalo che ha operato una
valutazione qualitativa della letteratura su 19569 soggetti
con coronaropatia documentata di età compresa tra i 65 e
gli 82 anni. I risultati ottenuti hanno indicato che la
terapia con statine nei coronaropatici anziani riduce
significativamente la mortalità generale e coronarica, l'
incidenza di infarto non fatale, degli interventi di
rivascolarizzazione e di stroke (17).
Le linee
guida della Società Europea di Cardiologia raccomandano
quindi l'utilizzo delle statine in classe I negli anziani al
pari dei soggetti più giovani, tenendo presente che in
virtù delle più frequenti comorbidità e della alterata
farmacocinetica è bene iniziare con dosi minori, titolando
nel tempo sino a raggiungere la dose target.
LA TERAPIA
DELL'IPERCOLESTEROLEMIA NEL GRANDE ANZIANO
Le evidenze
al momento disponibili suggeriscono che la riduzione del
rischio relativo derivante dalla terapia con statine negli
ottuagenari non differisca sostanzialmente da quella osservata
nei soggetti più giovani. Tuttavia i dati della totalità
degli studi condotti nel grande anziano provengono quasi
esclusivamente da analisi in prevenzione secondaria, con
numerosità campionaria spesso limitata.
Il trial
randomizzato Prosper, per esempio, pur prevedendo un’ età
massima di 82 anni, arruolava soggetti di età media 75
anni (9), nello studio SAGE presentavano età compresa tra i
60 e gli 85 anni, con documentata coronaropatia ed almeno
un episodio di ischemia della durata di minimo tre minuti
nelle ultime 48 h. I pazienti erano randomizzati ad
atorvastatina 80 mg al giorno o pravastatina 40 mg al giorno. La
durata totale di ischemia, parametro primario di efficacia, si
riduceva significativamente in entrambi i gruppi. La mortalità
per tutte le cause era più bassa nel gruppo in trattamento
intensivo (atorvastatina 80 mg / die), con un trend verso un
minor numero di eventi coronarici acuti. Tuttavia l'età media
al momento dell'arruolamento nello studio era 72 anni e gli
autori non riportavano risultati separati per gli over 80 (18).
Studio che
invece è stato incentrato sul grande anziano è quello
pubblicato da Gränsbo et al. (19) Sono stati analizzati i dati
del Registro RIKSHIA (Register of Information and Knowledge
About Swedish Heart Intensive Care Admissions) con 14907
pazienti di età ≥ 80 anni ricoverati in ospedale per infarto
miocardico acuto e valutata la mortalità per tutte le cause,
per cause cardiovascolari e per cancro in un follow-up medio
di 296 giorni (range compreso tra
44 e 738 giorni). La
terapia con statine era associata ad una marcata riduzione della
mortalità per tutte le cause (RR 0.55, 95% CI: 0,51-0,59) e
cardiovascolare (RR 0.55, 95% CI 0,51-0,60). In pazienti
sopravvissuti almeno un anno dopo la dimissione la riduzione
della mortalità per qualsiasi causa era del 36% (RR 0,64, 95%
CI: 0,57-0,73) e quella cardiovascolare del 39% (RR 0,61, 95%
CI: 0,52-0,72). Non si evidenziava invece alcun aumento della
mortalità per neoplasia nei trattati (Tab.1) .


Tab.1
Outcome di mortalità nei pazienti anziani post-IMA dimessi
(Popolazione: soggetti sopravvissuti almeno un anno ).
Gränsbo et al. JACC 2010 55: 1362-1369
E’ bene
tuttavia sottolineare i limiti i degli studi non
randomizzati a partire da registri di popolazione
pre-esistenti. Uno dei maggiori problemi di tali studi è il
bias di selezione; fattori condizionanti la sopravvivenza
possono anche influenzare la probabilità di prescrizione delle
statine. Alla luce di tale considerazione la riduzione del
rischio relativo che si osservava nei pazienti sopravvissuti
per almeno un anno nello studio di Gränsbo è quella
probabilmente più vicina alla realtà.
CONCLUSIONI
L’età da
sola, indipendentemente dalla presenza-assenza di altri
fattori di rischio, gioca un ruolo importante nel
determinare il rischio cardiovascolare. Il problema della
sottostima del rischio cardiovascolare negli anziani
rimane attuale così come il mancato raggiungimento dei target
di Col LDL raccomandati. La comune convinzione di un
rapporto rischio-beneficio non favorevole risulta non
sostanziata dai dati della letteratura, specie in prevenzione
secondaria ed in prevenzione primaria per i soggetti a più alto
rischio. Il timore diffuso di maggiori effetti indesiderati
negli anziani non dovrebbe spingere ad un ridotto
atteggiamento prescrittivo ma solo ad una maggiore attenzione
nel monitoraggio degli effetti collaterali e nel controllo
delle interazioni farmacologiche.
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