L’Anziano e il Grande
Anziano
dopo Angioplastica
Coronarica
Paolo Calabrò
Cattedra di Cardiologia
Seconda Università di Napoli
A.O. dei Colli - Monaldi
I pazienti
anziani con infarto miocardico sono ad elevato rischio, tuttavia
non esistono studi randomizzati di grandi dimensioni che
permettano di conoscere con certezza la miglior strategia di
rivascolarizzazione in questi pazienti. L’assenza di
informazioni associata alla presentazione clinica spesso atipica
e tardiva ed alla frequente co-morbilità hanno contribuito alla
importante sottoutilizzazione della riperfusione meccanica in
questo gruppo di pazienti. Anche se i risultati immediati dell’angiopalstica
coronarica e dell’applicazione di stent endocoronarici hanno
ottenuto buon successo angiografico, l’età rimane un fattore
prognostico negativo a breve ed a lungo termine. Una strategia
invasiva di rivascolarizzazione d’urgenza appare indicata nei
pazienti anziani con infarto complicato da shock cardiogeno.
L’età
rappresenta un fattore di rischio indipendente di mortalità per
infarto miocardico acuto ad ST sopraslivellato (STEMI): anche
tenendo conto delle variabili cliniche ed angiografiche, i
pazienti di età superiore a 75 anni hanno rischio di morte da
quattro a nove volte superiore al gruppo più giova-n
Nello
studio italiano BLITZ la mortalità nella popolazione anziana con
STEMI (296 pazienti di età > 75 anni, il 23% della casistica), è
risultata cinque volte superiore a quella dei pazienti di età <
75 anni (19.9% vs 3,7%).
La
tempestiva riperfusione del vaso coronarico correlato
all’infarto, si è dimostrata efficace nel ridurre la mortalità.
Malgrado l’incidenza ed il rischio più elevati nello STEMI fra i
pazienti più anziani, molti studi randomizzati che hanno
confrontato la riperfusione meccanica con quella farmacologica,
hanno escluso sistematicamente i pazienti anziani e quando
inclusi, questi erano scarsamente rappresentati.
Di
conseguenza, il rapporto rischio/beneficio della terapia di
riperfusione o della strategia ottimale di riperfusione negli
anziani con STEMI sono poco conosciuti. La mancanza di dati, la
frequente presentazione atipica e/o tardiva, l’elevata
comorbilità hanno contribuito alla sottoutilizzazione di questa
strategia terapeutica in questa popolazione. L’età avanzata è
uno dei fattori predittivi di omissione all’uso della terapia di
riperfusione in pazienti potenzialmente eleggibili.
Purtroppo
la ridotta presenza della popolazione anziana è costante in
tutti
gli studi
randomizzati: in 465 studi che hanno arruolato 47778 pazienti
con diagnosi di infarto miocardico acuto, gli anziani
rappresentavano solo il 5.8% dei casi. Inoltre, l’età avanzata è
uno dei fattori predittivi di omissione o sottoimpiego della
terapia antipiastrinica ed anticoagulante potente disponibile ai
giorni nostri in pazienti anche qui potenzialmente eleggibili.
In termini
di strategia, è raccomandato e crescente l’ impiego di un
approccio sistematicamente invasivo in tutto lo spettro delle
SCA, in maniera indipendente dall’ età del paziente. Le
dimostrazioni di un vantaggio dell’ angioplastica primaria nel
paziente anziano con STEMI sono recenti, come pure le evidenze
di un beneficio addirittura preferenziale nel paziente anziano
di una strategia precocemente invasiva nella SCANSTE. Ciò
tuttavia comporta un impiego maggiore di potenti farmaci
antipiastrinici in fase acuta e della duplice terapia
antiaggregante piastrinica nel follow-up.
Queste sono
alcune delle evidenze su efficacia e sicurezza delle terapie
antipiastriniche nel paziente anziano.
A fronte di
importanti peculiarità nell’ assorbimento, distribuzione,
metabolismo e propensione a sviluppare effetti dannosi dei
farmaci nel paziente anziano [6], le evidenze del rapporto
rischio/beneficio dei farmaci antipiastrinici in questi pazienti
sono scarse.
Nella
metanalisi dell’ Anti Thrombotic Trialists’ collaboration, l’
impiego di aspirina in profilassi secondaria ha dimostrato un
beneficio qualitativamente simile, ma quantitativamente maggiore
nei pazienti anziani rispetto a quelli più giovani, con una
riduzione di eventi di circa 20% nel follow-up. La
somministrazione di basse dosi di aspirina (75-100 mg), dopo una
dose iniziale di 325 mg, è particolarmente indicata nel paziente
anziano. Tuttavia, anche queste dosi di aspirina espongono a un
eccesso di sanguinamento, rispetto ai controlli, che aumenta con
l’ età e con l’ anamnesi di ulcera peptica. Per tale motivo, l’
utilizzo di aspirina in prevenzione primaria non è raccomandata
nel paziente anziano, per il sospetto (in assenza di dati
specifici) che l’ eccesso di sanguinamento, anche fatale, possa
controbilanciare la modesta (in assoluto) riduzione di eventi
cardiovascolari. L’ associazione di inibitori della pompa
protonica è fortemente raccomandata nei pazienti di età maggiore
di 60 anni con storia di ulcera peptica.
Per quanto
riguarda la duplice terapia antipiastrinica in pazienti con SCA,
bisogna rifarsi ai dati dello studio CURE, in cui l’ aggiunta di
clopidogrel ad aspirina dopo SCANSTE ha ridotto del 20% il
rischio di eventi cardiovascolari, aumentando del 38% il rischio
di sanguinamenti maggiori. In termini di rischio relativo, la
riduzione è stata inferiore nei pazienti di età >65 anni in
confronto a quella osservata nei pazienti più giovani (13% vs
29%).
L’ effetto
clinico di prasugrel vs clopidogrel nello studio TRITON-TIMI 38
è stato simile a quello dimostrato da clopidogrel vs aspirina
nello studio CURE: una riduzione del 19% del rischio di eventi
ischemici in pazienti con SCA trattati con angioplastica, a
fronte di un aumento del 32% del rischio di sanguinamento
maggiore. Tuttavia, nei pazienti di età >75 anni, non si è
osservata una riduzione significativa di eventi ischemici, a
fronte di un aumento di sanguinamento maggiore, in particolare
di quello fatale. Il timing dei sanguinamenti non è tanto acuto
(dose da carico di 60 mg), pur in associazione ad altre potenti
terapie antitrombotiche tipiche della fase acuta, quanto nel
follow-up, ed è soprattutto a carico del tubo gastroenterico:
come detto sopra a proposito dell’ aspirina, tale evenienza è
particolarmente temibile nel paziente anziano. Per tale motivo,
l’ impiego di prasugrel nei pazienti anziani, per lo meno alla
dose di 10 mg impiegata nello studio TRITON-TIMI 38, non è
attualmente raccomandata, e l’ indicazione ad impiegare dosi di
5 mg, laddove ritenuto utile, non è basata su evidenze cliniche
sperimentali. Complessivamente per quanto riguarda prasugrel, si
ha a che fare con un farmaco con spettro d’ azione simile, ma
più potente e prevedibile (minore variabilità d’ effetto in
relazione ad assetto genetico degli enzimi metabolici), rispetto
a clopidogrel, essendo pressoché lo stesso il metabolita attivo.
Ticagrelor
è un inibitore del recettore P2Y12 completamente innovativo, non
essendo una tienopiridina (a differenza di clopidogrel e
prasugrel), non essendo un pro farmaco (pur avendo metaboliti
attivi), ed avendo effetti off-target di ignoto significato
clinico, ma associati ad effetti collaterali, peraltro non
gravi. Rispetto a clopidogrel, nello studio PLATO ticagrelor ha
mostrato una riduzione del 16% del rischio di eventi ischemici
nel follow up in un ampio spettro di pazienti con SCA, a fronte
di un aumento del 25% dei sanguinamenti maggiori non associati a
bypass aortocoronarico. Nei pazienti di età >75 anni, il
beneficio in termini di eventi ischemici è stato relativamente
minore (pur se statisticamente in linea) di quello osservato nei
pazienti più giovani, anche in questo caso con un eccesso di
eventi emorragici e in particolare un disturbante (+60%) eccesso
di ictus. I dati finora pubblicati con prasugrel e ticagrelor
in confronto a clopidogrel nei pazienti anziani sono molto
simili sia dal punto di vista qualitativo che quantitativo, con
la differenza di un eccesso di sanguinamento gastroenterico
fatale con prasugrel a fronte di un eccesso di sanguinamento
cerebrale fatale osservato con ticagrelor. L’ eccesso di
sanguinamento cerebrale fatale osservato con ticagrelor è
inatteso, inusuale con i farmaci antipiastrinici, e rimane da
essere valutato attentamente negli studi di grandi proporzioni
attualmente in corso. Parimenti inattesa è la significativa
riduzione di mortalità totale osservata con ticagrelor nella
popolazione generale e anche in quella anziana, in cui l’
effetto pare particolarmente importante, ancorchè non spiegato
(9.8% vs 12.4%, HR aggiustato 0.77, IC 95% 0.60-0.98). Per
quanto riguarda gli anti GPIIb/IIIa, dati di metanalisi
dimostrano una ridotta efficacia di questi farmaci nei pazienti
anziani con SCA, con un importante eccesso di sanguinamenti. In
termini di efficacia, le ragioni di questa tendenza possono
risiedere nell’ intervento tipicamente più tardivo nel paziente
anziano con STEMI (e quindi nella minore efficacia anti
trombotica degli anti GPIIb/IIIa), come pure nella relativamente
minore probabilità di andare incontro a PCI dopo utilizzo
upstream nella SCANSTE, eventualità a cui è legato il beneficio
degli anti GPIIb/IIIa. Tuttavia, anche i dati dello studio
ISAR-REACT 2, che hanno mostrato un chiaro beneficio dall’
impiego di abciximab in pazienti con SCANSTE sottoposti a PCI,
limitano questa efficacia ai pazienti di età inferiore ai 70
anni.
Va tuttavia
inoltre ricordato come, tra le variabili che influenzano il
risultato della rivascolarizzazione meccanica negli anziani, un
ruolo rilevante abbia l’esperienza del centro in cui viene
trattato il paziente, determinata dal numero di procedure
eseguite in pazienti con sindromi coronariche acute.In
conclusione, le informazioni disponibili sugli anziani trattati
con PTCA sono assai carenti. L’età rimane un fattore prognostico
negativo, anche per la presenza di co-morbilità cardiache ed
extracardiache.La valutazione della miglior strategia per
ottenere una riperfusione efficace (angioplastica primaria
immediata, trasferimento per eseguire la riperfusione meccanica
anche quando è previsto un ritardato arrivo al centro di
interventistica, trombolisi) così come l’uso di terapie
aggiuntive in questi pazienti richiede studi prospettici
randomizzati di ampie dimensioni specificatamente strutturati.
Dai dati disponibili il vantaggio della riperfusione meccanica
sembra evidente soprattutto nei pazienti con shock cardiogeno
