Malattia cardiovascolare, Anziani e Grandi Anziani:
problematicheMedico-legali e differenze di genere
Carla Riganti
Direzione
Sanitaria AOU Federico II, Napoli–
Rapporti
istituzionali Sanità ASL- Regione Campania
Un tema insolito, quello della medicina di genere, che non
ricorre di frequente quando si parla di salute, e che invece
rappresenta un’istanza sempre più sentita dall’universo
femminile e, di recente, maggiormente presa in considerazione da
forze politiche e di governo.
Con
l’espressione “medicina di genere” si intende la
distinzione in campo medico delle ricerche e delle cure in base
al genere di appartenenza, non solo da un punto di vista
anatomico, ma anche secondo differenze biologiche, funzionali,
psicologiche e culturali.A differenza del termine “sesso” che
sottolinea solo la caratterizzazione biologica dell’individuo,
il termine “genere” (gender) infatti intende le categorie “uomo"
e “donna”, non solo in base a differenze biologiche, ma anche
secondo fattori ambientali, sociali e culturali.
Il problema della medicina di genere nasce dal fatto che gli
studi di nuovi farmaci, di nuove terapie e dell’eziologia e
dell’andamento delle malattie sono sempre stati condotti
considerando come fruitori i maschi. Di conseguenza le cure
mediche rivolte alle donne sono compromesse da un vizio di
fondo: i metodi utilizzati nelle sperimentazioni cliniche e
nelle ricerche farmacologiche e la successiva analisi dei dati
risentono di una prospettiva maschile che sottovaluta le
peculiarità femminili.
La prima volta in cui in medicina si menzionò la “questione
femminile” fu nel 1991 quando Bernardine Healy, direttrice
dell’Istituto Nazionale di Salute Pubblica, sulla rivista New
England Journal of Medicine parlò di “YentlSyndrome” a proposito
del comportamento discriminante dei cardiologi nei confronti
della donna. Bisognò attendere però più di dieci anni perché
fosse avviata una sperimentazione riservata alle donne,
esattamente fino al 2002 quando, presso la Columbia University
di New York è stato istituito il primo corso di medicina di
genere, "A new approach to health care based on
insightsintobiologicaldifferencesbetweenwomen and men", per lo
studio di tutte quelle patologie che riguardano entrambi i
sessi. La stessa OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) ha
inserito poi la medicina di genere nell'EquityAct a
testimonianza che il principio di equità implica che la cura sia
appropriata e sia la più consona al singolo genere.
Di recente inoltre ci si è accorti di significative differenze
nell’insorgenza, nello sviluppo, nell’andamento e nella prognosi
delle malattie Gli organi e gli apparati che sembrano presentare
più differenze di genere sono il sistema cardiovascolare, il
sistema nervoso e quello immunitario. Per esempio la malattia
cardiovascolare, considerata da sempre una malattia più
frequente nell’uomo, è il killer numero uno per la donna tra i
44 e i 59 anni. Esiste però ancora un pregiudizio di genere che
riguarda l’approccio ai problemi cardiovascolari delle donne.
L’ ottica di genere difatti non è ancora pienamente utilizzata
per programmare gli interventi di promozione della salute e
ancora persistono pregiudizi di genere nello studio
dell’eziologia, dei fattori di rischio, nelle diagnosi e nei
trattamenti. Viene ancora sottovalutata la salute delle donne
all’interno di una ricerca medica che è centrata sull’uomo e
permane il pregiudizio scientifico che considera le malattie
delle donne con una prevalente derivazione biologica-ormonale e
quelli degli uomini con una prevalente derivazione
socio-ambientale e lavorativa.
Persistono non solo pregiudizi, ma esistono resistenze
scientifiche e culturali. Manca ancora, infatti, una diversa
prospettiva culturale e politica che possa favorire una nuova
stagione di grandi valori di democrazia e di rispetto della
diversità per porre fine a tutte le disuguaglianze e le
discriminazioni ancora presenti anche in una società, come la
nostra, che si considera civilizzata. Per non parlare poi del
fatto che il diritto alla salute è anche per le donne un diritto
inviolabile e sancito dalla Costituzione.
Proprio perché è stato fatto pochissimo e siamo ancora lontani
da una politica sanitaria che rispetti le distinzioni di genere,
la Commissione europea ribadisce la necessità che quanto prima
si promuova una politica in difesa della salute tenendo conto
della diversità di genere ed il Consiglio dell’Unione europea
sollecita una maggior conoscenza da parte degli operatori
sanitari per affrontare le disuguaglianze nella salute e
garantire parità di trattamento e di accesso alle cure. La
conoscenza delle differenze di genere favorisce infatti una
maggiore appropriatezza della terapia e ed una maggiore tutela
della salute per entrambi i generi.
Bisogna convincersi che la medicina di genere é imprescindibile
sia nella ricerca, che nella clinica medica, innanzitutto perché
le donne si ammalano di più. Le donne vivono più a lungo, ma si
ammalano di più ed usano di più i servizi sanitari. Secondo i
dati del ministero della salute il 6% delle donne soffre di
disabilità (vista, udito, movimento) contro il 3% degli uomini,
il 9% soffre di osteoporosi contro l’1% degli uomini, di
depressione il 7.4% contro il 3%degli uomini. Ci sono poi
malattie autoimmuni che colpiscono prevalentemente il sesso
femminile, come ad esempio l’ artrite reumatoide e questo
dimostra che ci sono differenze tra il sistema immunitario
maschile e femminile. Le malattie per le quali le donne
presentano una maggiore prevalenza rispetto agli uomini sono: le
allergie (+ 8%), il diabete (+ 9%), la cataratta (+ 80%),
l’ipertensione arteriosa (+ 30%), alcune malattie cardiache (+
5%), tiroide (+ 500%), artrosi e artrite (+ 49%), osteoporosi (+
736%), calcolosi (+ 31%), cefalea ed emicrania (+ 123%),
depressione e ansietà (+ 138%), alzheimer (+ 100%).
La medicina di genere permette di evidenziare anche nel campo
della ricerca farmacologica le diverse risposte all’assunzione
dei farmaci da parte dell’organismo maschile rispetto a quello
delle donne che sembrano essere più soggette a reazioni avverse.
Tale studio si impone in tempi ravvicinati, in quanto il consumo
dei farmaci da parte delle donne è percentualmente più elevato
rispetto a quello degli uomini.L’incidenza delle malattie
cardiovascolari ha subito una flessione significativa nelle
ultime decadi, ma tale flessione riguarda soprattutto l’uomo, in
quanto nella donna tali malattie rimangono ancora il killer
numero uno. Un dato significativo è stato proposto dal
National Center for HealthStatistics, che nel 2004 ha
evidenziato come l’incidenza di eventi cardiovascolari sia stata
di 245,3 per 1000 donne, ben dieci volte superiore all’incidenza
del tumore della mammella. Sempre negli Stati Uniti, più di un
terzo di tutti i decessi sono causati da malattie cardiache e
ben il 52,8 per cento avviene nelle donne. Esiste anche una
differenza in termini di tempo per lo sviluppo di tali malattie:
infatti gli uomini le sviluppano prima delle donne, ma le donne
– soprattutto dopo la menopausa – le sviluppano più rapidamente.
La donna presenta la maggiore incidenza di malattie
cardiovascolari circa dieci anni dopo l’uomo, ma bisogna sfatare
il concetto che tali malattie siano prerogativa dell’uomo e
della donna anziana. Le malattie cardiovascolari sono la seconda
causa di morte nelle donne di 45-64 anni e la terza in quelle di
25-44 anni. Malgrado queste aride statistiche, solo il 57 per
cento delle donne sa che le malattie cardiovascolari sono un
fattore di rischio significativo per la mortalità.
Considerando i principali fattori di rischio, è opportuno
partire dal presupposto che per tali fattori non esistono
differenze di genere, ma ne esistono di significative per il
loro impatto. Il più importante fattore di rischio per le donne
è l’ipertensione: negli Stati Uniti è iperteso l’85 per cento
delle donne di 75 anni. Le donne tendono a sviluppare
ipertensione – soprattutto sistolica – specie nel passaggio in
menopausa. Durante e dopo la menopausa, l’insorgenza
dell’ipertensione nelle donne è indipendente dall’indice di
massa corporea (BMI) e dall’età e si crede sia legato alla
mancanza di estrogeni, dunque a una vasocostrizione. Le ultime
linee guida dell’American HeartAssociation (AHA)
sottolineano l’importanza di mantenere la pressione sistolica
sotto i 120 mmHg. Le concentrazioni plasmatiche di colesterolo
HDL e LDL sono fattori di rischio indipendenti per le malattie
cardiovascolari sia negli uomini sia nelle donne: risentono di
aspetti genetici, esercizio fisico e dieta e (nelle donne)
variano con la funzione ovarica. Prima della pubertà il c-HDL è
più alto nei ragazzi che nelle ragazze, poi diminuisce nei
ragazzi. Nelle donne il valore del c-HDL aumenta fino alla
menopausa, poi diminuisce circa di 3,5 mg/dL, rimanendo più alto
che negli uomini di pari età. Alti livelli di c-HDL proteggono
entrambi i sessi dalle malattie cardiovascolari ma soprattutto
le donne, in cui un aumento di 10 mg/dL riduce il rischio del
40-50 per cento. I livelli di c-LDL sono più bassi nelle donne
dalla nascita e aumentano dopo la menopausa. Dopo la menopausa i
livelli di LDL aumentano e sono maggiori che negli uomini. Una
colesterolemia LDL di 130 mg/dL è fattore di rischio
cardiovascolare sia per le donne sia per gli uomini, e una sua
riduzione garantisce benefici sia per le donne più anziane sia
per quelle più giovani. E’ chiaro che prima di un trattamento
vanno considerati altri fattori di rischio come il diabete, lo
stato ormonale e la familiarità. Il diabete mellito è un fattore
di rischio cardiovascolare tra i più significativi: la presenza
di diabete raddoppia infatti il rischio di infarto miocardico
rispetto alle donne non diabetiche e triplica quello di malattie
cardiovascolari. Le donne diabetiche sono più esposte perché
hanno più fattori di rischio e presentano la sindrome
metabolica. Negli Stati Uniti il numero dei fumatori di sesso
maschile è in diminuzione: attualmente sono fumatori il 23,9 per
cento degli uomini e il 18,1 per cento delle donne. L’incidenza
dell’infarto miocardico è dose-dipendente nelle donne di età
superiore a 44 anni, aumentando da 2,5 volte per chi fuma 1-5
sigarette al giorno a 74,6 per chi ne fuma più di 40. Il fumo
aumenta anche il rischio di ictus cerebrale, di arteriopatia
obliterante cronica periferica e aneurisma dell’aorta. Nelle
donne l’obesità e l’attività fisica sono fattori di rischio
cardiovascolare indipendenti. Nel 2005 il 33,2 per cento delle
donne sopra i 20 anni negli Stati Uniti aveva un BMI di 25
kg/mq. Le donne che praticano attività fisica presentano
migliori valori pressori, del quadro lipidico e dei valori
glicemici. La depressione, lo stress e il calo dell’autostima
sono considerati comuni fattori di rischio negli uomini e nelle
donne, ma esistono poche informazioni sulle differenze di
genere.
Gli ostacoli
e i passi avanti nell’introduzione della Medicina di Genere
nell’area
cardiovascolare
A ostacolare un’adeguata conoscenza delle differenze di genere è
stata in parte la sottovalutazione dell’importanza delle donne,
però, anche il fatto di non avere una popolazione femminile in
uno stato sufficientemente lungo di deprivazione estrogenica,
tale da indurre patologie degenerative quali l’ictus, le
malattie cardiovascolari e altro, oggi preponderanti.
Senza ignorare le colpe e gli errori, si deve tener presente la
necessità di lavorare sulle evidenze.
Per poter ottenere le evidenze, si deve poter testare gli
interventi farmacologici o terapeutici, e ciò richiede tempo.
Ora ci sono cose chiare e lampanti, ma lo sono diventate solo da
pochi anni, non prima. In passato, molte meno donne registravano
disturbi cardiovascolari: nel 1985, su cento pazienti che
arrivavano con un infarto in Pronto Soccorso, ottanta erano
uomini.
Se le donne infartuate sono il 20%, nel momento in cui viene
condotto un grosso studio sull’infarto – come è stato in Italia,
Paese leader nel trattamento acuto di questa patologia – la
percentuale di donne, che inevitabilmente rientra in quello
studio, è minore. 20% è una percentuale che non permette di dare
una risposta chiara sull’efficacia a lungo termine, giacché la
quota è sempre troppo esigua.
Per quanto riguarda il mondo cardiologico, la Società Europea di
Cardiologia – l’ambito in cuiè nata la Medicina di Genere e la
società scientifica più grande e conosciuta in Europa –
hacompiuto un grandissimo sforzo per inserire in tutte le linee
guida di trattamento le differenzetra uomini e donne. Eppure
investire in cultura e in formazione dei medici non è
sufficiente, perché molti degli eventi letali sono dovuti a
eventi acuti.
Se tralasceremo di sensibilizzare la popolazione, portando
quindi a conoscenza delle donne ilfatto che tra loro,
probabilmente, si verificheranno più decessi per eventi
cardiovascolari cheper tumori alla mammella, avremo fallito.
Perché, le due ore perse a casa con il dolore al petto portano
all’aumento del 30% della mortalità degli infartuati che
arrivano in Ospedale.
L’intervento culturale è dunque molto più importante di tutto il
resto.
