MALATTIA CARDIOVASCOLARE E FRAGILITA’ NELL’ANZIANO E NEL
GRANDE ANZIANO
Ernesto Murena, Vincenzo Grassia, Francesco Sibilio*,Sabato
Tortorella, Antonio Vitolo, Gerolamo Sibilio
U. O. Cardiologia UTICOspedale S. Maria delle Grazie Pozzuoli
ASL NA2 Nord
*Seconda Università degli Studi di Napoli (SUN)
Un chiaro
consenso sulla definizione di fragilità (F) non emerge dalla
letteratura, tant’è che la stessa prevalenza varia dal 5% al 58%
con un circa 30% di pazienti >85 stimati essere fragili.
Queste ampie
oscillazioni sono dovute all’eterogeneità dei criteri di
screening e degli strumenti di ricerca utilizzati nei vari
studi.¹
La
letteratura, in questi ultimi anni, è ridondante di lavori
scientifici sull’argomento, in specie sulla definizione clinica,
gli strumenti di ricerca e le misure utili per definire la
severità della F.
Una
metanalisi recente ha rivisitato tutti i lavori disponibili dal
1997 al 2009. Nei 22 articoli ritenuti validi, la funzione
fisica, la velocità del cammino ed il sistema cognitivo erano
ritenute le principali componenti della F., e la morte, la
disabilità e le ospedalizzazioni erano considerati i più comuni
outcomes ².
Una uniforme
e validata definizione clinica è utile per il clinico che sia in
grado di poter selezionare i loro pazienti fragili
stratificandone il rischio, ad esempio, prima di un trattamento
chemioterapico oncologico, una procedura interventistica o
chirurgica.
La fragilità
è stata variamente definita come disabilità fisica,
peggioramento nell’espletamento delle comuni attività quotidiane
di base (es. lavarsi, vestirsi, alimentarsi etc.) o le comuni
attività strumentali di base ( abilità di usare i mezzi di
trasporto o il telefono, gestire le proprie finanze o terapia
farmacologica, fare la spesa e preparare il pasto), oppure è
stata definita semplicemente come un’incrementata vulnerabilità
ad eventi avversi.
Vi è,
comunque, un accordo sul fatto che essa sia intesa, sul piano
fisiopatologico, come espressione di una ridotta riserva
funzionale, ovvero di una progressiva inefficienza dei
meccanismi deputati a mantenere l’omeostasi biologica.
Alla
riduzione della riserva omeostatica consegue la marcata
vulnerabilità di fronte a condizioni stressanti come una
malattia acuta o un cambiamento avverso nelle condizioni
ambientali, come anche ad un apparente piccolo insulto(es. un
nuovo farmaco, una lieve infezione, un intervento di
microchirurgia) per cui, in tutte queste condizioni su citate,
si assiste ad uno stridente e sproporzionato cambiamento nello
stato di salute dell’anziano divenuto nel frattempo fragile,
rendendolo da indipendente a dipendente, da mobile ad immobile,
da una sua stabilità posturale ad una tendenza alla caduta, da
uno stato mentale lucido ad uno stato confusionale .³
Alcuni studi
osservazionali hanno suggerito una associazione tra fragilità e
malattie cardiovascolari.⁴⁻⁵⁻⁶
C’è una
chiara evidenza di una relazione bidirezionale tra malattie
cardiovascolari e F.
Difatti la
malattia coronarica e quella cerebrovascolare sembrano essere le
condizioni associate col più alto rischio di fragilità
incidente; d’altro canto gli anziani con F. sono a più alto
rischio di eventi e mortalità cardiovascolare.
⁷⁻⁸
Le comuni
presentazioni cliniche sono costituite dalle “cadute”,
conseguenza di un peggioramento dell’equilibrio e dell’andatura
, dal “delirio” talora chiamato con l’espressione di “
confusione acuta e dalla “disabilità fluttuante”.
Il modello
interpretativo che meglio corrisponde al concetto di fragilità è
quello elaborato da Fried et al
⁹
e derivato da dati epidemiologici del
“CardiovascularHealthStudy”.
Un ruolo
centrale nella definizione di Fried assumono la sarcopenia
(perdita età dipendente di massa muscolare scheletrica) e la
malnutrizione. La definizione di Fried, secondo questo modello,
è data da 5 componenti misurabili: debolezza muscolare, perdita
involontaria di peso, riduzione della velocità del cammino ,
ridotto livello di attività fisica abituale e maggior senso di
fatica. Si definisce fragile un soggetto con > 3 componenti,
prefragile 1 o 2 componenti, non fragile (robusto) 0
componenti. Importante è puntualizzare che la F. non è sinonimo
di comorbosità o di disabilità. Può esserci sovrapposizione, ma
non concordanza.
Questa
popolazione, oggetto di questo modello di studio, era così
caratterizzata : 7% fragile , 47 % prefragile, 46% non fragile;
un follow-up veniva eseguito a 3-5 anni con gli outcomes di
caduta, mobilità e funzione, ospedalizzazione e morte, ed a 7
anni la mortalità era riportata nel 12% per i non fragili, 23%
per i prefragili, 43% tra i fragili. Quanto sia importante
ricercare la F. negli anziani, lo testimonia un lavoro recente ¹⁰
, per il suo forte impatto prognostico negativo sulla morte in
confronto con altre patologie: a 18 mesi la più comune causa di
morte era la F. (27,9%),superiore a tutte le altre . Difatti
l’incidenza di morte era minore per insufficienza d’organo
(21,4%), cancro (19,3%), demenza (13,8%) e peraltre cause
(14,9%). Un altro modello emergente di F. è il “FRAILTY INDEX”,
costituito da ben 92 variabili che possono essere ridotte a 30
senza perdita di valore predittivo, costituito da sintomi, segni
fisici, alterati valori di laboratorio, malattie croniche,
disabilità. La F. viene definita come effetto cumulativo di
deficit individuali con un modello che esprime la teoria di una
gradazione; il modello è clinicamente attraente perché definisce
la F. come graduale e non presente o assente ¹¹ . Anche questo
“frailtyindex” ha dimostrato una forte correlazione con la morte
ed ospedalizzazioni ¹².
La
dimostrazione di larghe differenze nell’ambito della popolazione
anziana, tra fragili e non fragili, è importante perché
indirizza il clinico a giudicare non solo in base all’età, ma a
prendere in considerazione l’idea della F.
Ricercatori e
clinici, pertanto, necessitano di semplici, validi, accurati e
realizzabili metodi per identificarla. In un Review i
ricercatori ne hanno selezionato addirittura 20 metodi idonei.
Un questionario con 19 ITEMS era identificato come potenziale
misura di outcome e ritenuto valido, ottenuto semplicemente per
telefono o per procura¹³. Altri questionari sono stati
sviluppati (Groningen FrailtyIndicator) ¹⁴e
(Tilburg FrailtyIndicator)¹⁵:
comunque l’accuratezza diagnostica di questi questionari non è
stata confermata. Un Review identifica 9 studi prospettici che
investigano la “lenta velocità del cammino” (SLOW GAIT SPEED) e
questo sottogruppo è al più alto rischio di eventi avversi con
una simile accuratezza a modelli complessi multivariati che
includono ITEMS di patologie croniche¹⁶.Difatti,
tra le 5 componenti del modello di Fried, la velocità del
cammino sembra essere il più sensibile e riproducibile marker di
F. ed una ridotta performance è stata associata ad una aumento
di quattro volte della mortalità a 6 mesi. Una Task-Force di
esperti l’ha recentemente indicato come la sola misura utile per
la diagnosi di F., capace di predire la sopravvivenza con la
medesima accuratezza di modelli che considerano età, sesso,
comorbosità, abitudine al fumo, ipertensione e
ospedalizzazione.¹⁷
Essa è misurabile tipicamente con il test del cammino di 6
minuti; un test semplice, riproducibile e attendibile; mantiene
la sua capacità predittiva anche in pazienti ospedalizzati. La
relazione tra velocità del cammino e sopravvivenza sembra essere
di tipo continuo: soggetti con velocità > 1,0 m/sec sarebbero da
considerare con aspettativa di vita superiore alla media;
soggetti con velocità <0.6 m/sec corrisponderebbero ad una F.
avanzata con possibile ridotta autonomia.
Nell’ambito
di alcune patologie cardiovascolari, la F. è stata in questi
ultimi anni sempre più studiata e misurata ed è risultata
possedere un valore fortemente predittivo, anche indipendente,
di eventi avversi seri fino alla morte, decisamente superiore ai
tradizionali fattori di rischio clinici e strumentali, per cui
cresce l’interesse per questa sindrome “antica”, da sempre
riconosciuta come componente possibile dell’ “habitus”
dell’anziano, ma decisamente “nuova”, in quanto potenzialmente
foriera di comportamenti diversi da parte del clinico-cardiologo
per l’impatto prognostico.
I campi di
applicazione, a tal proposito, sono vari: tra i più importanti,
interventi di cardiochirurgia maggiore ¹⁸,
impianto trans catetere di valvola aortica (TAVI)¹⁹rivascolarizzazione
cutanea²⁰,cardiopatia
ischemica cronica ed acuta ²¹ ,ed anche nello scompenso
cardiaco ed ipertensione.
CONCLUSIONI
La maggiore
complessità dell’anziano con multimorbosità, disabilità e
fragilità impone un approccio meno incentrato sulla malattia
d’organo .La valutazione funzionale deve diventare parte
centrale del bagaglio culturale professionale del cardiologo
all’approccio del paziente geriatrico.
Una volta
eseguita la diagnosi di F. e ben consci,dal consolidarsi delle
evidenze,che questa sindrome può condizionare la prognosi dei
pazienti con malattia cardiovascolare , il nostro scopo attuale
e’ diretto ad inserire la misura della F. in modelli predittivi
di rischio, specie in pazienti selezionati come anziani
candidati ad interventi di cardiochirurgia maggiore,impianto
trans catetere di valvola aortica (TAVI) ,rivascolarizzazione
miocardica cutanea.
Il test di
performance fisica come quello espresso dalla “velocità del
cammino”,tra i tanti utilizzati nell’ambito della valutazione
multidimensionale, è il test singolo con maggiore capacità
discriminante:e’ un indicatore semplice ed efficace per misurare
la F. e dovrebbe essere regolarmente utilizzato sia nella
valutazione del rischio ,sia come indicatore prognostico.
Le strategie
terapeutiche possono essere distinte nel prevenire od annullare
la comparsa della F. (gli interventi utili in questa fase
preventiva possono essere l’attività fisica regolare, la
nutrizione equilibrata;non confermato il valore della terapia
farmacologica), e ridurre gli esiti avversi negli anziani
fragili(Valutazione geriatrica multidimensionale),per
ottimizzare le condizioni di comorbosità e per promuovere il
riconoscimento precoce di complicanze.Questo tipo di valutazione
meglio conosciuto come “Comprensive
GeriatricAssesment”(C.G.A)e’ da considerarsi una premessa
all’adozione di interventi finalizzati al mantenimento ed al
recupero della massima autonomia . E’ una metodologia tipica
della branca geriatrica, sviluppata daun team multidisciplinare
(medici , infermieri, fisioterapisti,psicologi terapisti della
riabilitazione,assistenti sociali)con la quale vengono
identificati e,ove possibile, corretti quei problemi in grado
di interferire con lo stato di salute dell’anziano( fisico
funzionale ,area clinica, cognitivo-affettiva,socio relazionale
ed economica ed ambientale). Due studi ¹¹⁻²²
hanno confermato che il C.G.A. e’ fortemente sensibile
nell’identificare il grado di fragilità.Viene considerato il
gold standard nell’identificare la F. essendo fortemente
predittiva di morte ed ospedalizzazione
Abbiamo
necessità di sviluppare metodi più efficienti per individuare
la F. e misurare la sua severità nella pratica routinaria
clinica , specialmente metodi che siano utili per la cura
primaria. Ciò ci consente di effettuare una selezione
appropriata nell’anziano in previsione di procedure invasive,
trattamenti farmacologici in modo da essere in grado di allocare
le giuste risorse per una gestione mirata in questo soggetto
fragile, meritevole di una maggiore attenzione e discernimento
clinico da parte del personale sanitario e nursing.
In
sintesi,l’incapacità ad identificare la F. , potenzialmente
espone il paziente realmente F. ad interventi dai quali possono
non trarre beneficio e possono risultare invece dannosi.Di
converso, l’esclusione di pazienti non F. da accertamenti più
cruenti o da terapie più aggressive in base alla semplice età
anagrafica non è da considerarsi accettabile.
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