ANZIANI E GRANDI ANZIANI,
MALATTIA CARDIOVASCOLARE
E NURSING:
DIFFERENZE DI GENERE
Elisabetta Simonetti
Domenico Gabrielli
“Risk Management e
Qualità” A. O.U. Ospedali Riuniti di Ancona.
S. C. Cardiologia
Ospedale Murri Fermo, AV 4 - ASUR Marche
La
vita è l'energia che accompagna la giovinezza,
la
serietà che segue la maturità,
la
saggezza che segue la vecchiaia.
KahlilGibran, Le Tempeste
Introduzione
Entro il
2050 nell’Unione Europea il numero delle persone oltre i 65 anni
di età crescerà del 70%, e quello delle persone oltre gli 80 del
170%. Tutto ciò avrà implicazioni importanti in ogni settore per
il XXI secolo. A fronte di ciò occorrerà prepararsi a soddisfare
una maggiore domanda di assistenza, adattando i sistemi sanitari
alle esigenze di una popolazione che invecchia e, allo stesso
tempo, far si che le spese rimangano sostenibili.
Nel corso
degli ultimi decenni, in Italia come nel complesso dei Paesi
occidentali, la proporzione di popolazione anziana è andata
costantemente aumentando; questo fenomeno è il risultato di
profondi mutamenti demografici derivati da un’importante
diminuzione della natalità e dalla consistente riduzione della
mortalità. Lo stato di salute della popolazione anziana è
fortemente influenzato dalla presenza di malattie
cronico-degenerative che caratterizzano in modo permanente le
condizioni di salute e la qualità di vita della persona: la
presenza di pluripatologie aumenta con l’aumentare dell’età e
peggiora sensibilmente gli indici della qualità di vita
percepita dall’anziano.[i]
Nei paesi
industrializzati le malattie cardiovascolari sono la prima causa
di morte della donna (55-60%) e di disabilità della donna nella
terza età. Negli ultimi trenta anni si è assistito a una
importante diminuzione della mortalità per malattie
cardiovascolari nell’uomo ma non altrettanto nella donna.
L’infarto è ancor oggi considerato una patologia squisitamente
maschile, invece è la prima causa di morte nella donna al di
sopra dei 65 anni.[ii]
le
eta’ della vita
In Italia i
processi demografici che perdurano ormai da diversi anni e che
influenzano l’indice di vecchiaia sono riconducibili
all’incremento della popolazione in età anziana, alla riduzione
di quella in età giovanile, all’aumento della sopravvivenza e al
contenimento della fecondità, ben al di sotto del livello di
sostituzione delle generazioni (2,1 figli per donna). In ragione
di tali fattori, il rapporto tra gli anziani e i giovani ha
assunto proporzioni notevoli nel nostro Paese, raggiungendo, al
1° gennaio 2011, quota 144,5 per cento.
L’Italia
risulta essere uno dei paesi più “vecchi” del continente.
L’Italia detiene, infatti, la percentuale più alta di
ultra-ottantenni (6% della popolazione nel 2011), è al secondo
posto, dietro la Germania, per quanto riguarda la percentuale di
ultra-sessantacinquenni (con 20,3% contro il 20,6% della
Germania) ed ha il quarto indice di dipendenza strutturale più
alto (52,3%) preceduta dalla Francia (53,9%), Svezia e
Danimarca.
L’Italia è
anche tra i paesi con un indice di vecchiaia
più alto (145) preceduta anche in questo caso dalla Germania
(153).[iii]
La
dimensione preoccupante che emerge dalla lettura dei dati
riferiti alle previsioni demografiche ISTAT 1° gennaio 2007 -
2051, non è solo l’importante incremento dell’indice di
vecchiaia 2010 (dal 144,8% nel 2010 al 256,3% nel 2050), quanto
quello del peso percentuale della popolazione di 80 anni e più
sulla popolazione complessiva, che passa dal 5,8% della
popolazione (nel 2010) al 7,4% (nel 2020), al 13,5% (nel 2050);
ciò significa un aumento esponenziale degli anziani, che per
larga parte rientrano nella dimensione di non autosufficienza,
nonostante negli ultimi decenni, grazie agli sviluppi della
scienza medica e degli stili di vita, il livello di “buona
salute” degli over 65 sia notevolmente cresciuto.
Altro
aspetto che va preso in considerazione è la progressione della
disabilità stimata dal CENSIS per gli anni 2010-2020-2040. La
disabilità, per effetto dell’invecchiamento e delle patologie
cronico-degenerative, è in significativo e preoccupante aumento:
6,7% (circa 4,1 milioni di persone nel 2010) e 7,9% nel 2020
(pari a 4,8 milioni di persone), un incremento destinato a
creare una fortissima pressione sul versante della domanda di
servizi.
Altra
dimensione che merita di essere richiamata è l’impatto
bio-demografico, ossia la rivoluzione epidemiologica innescata
dai profondi mutamenti della struttura della popolazione
residente ed immigrata. La profonda trasformazione è
sintetizzata dalla durata media della vita; infatti, un neonato
in Italia all’inizio del ‘900 aveva una speranza di vita di
circa 41 anni mentre, dopo oltre cento anni, nel 2007 un neonato
può attendersi di vivere mediamente 78,7 anni e una neonata fino
a 84 anni. Oggi la donna ha una speranza di vita alla nascita di
84,4 anni e l’uomo di 79,2. Dalla fine dell’ottocento in poi la
durata della vita è aumentata di tre mesi all’anno.
Sono valori
assolutamente significativi sia per l’Europa sia a livello
mondiale. Va sottolineato che i risultati raggiunti fino agli
anni ’70 sono prevalentemente imputabili alla riduzione della
mortalità infantile e giovanile e che dall’inizio degli anni ’80
la riduzione della mortalità interessa invece l’età matura e
significativamente le classi di età oltre i 65 anni, in maggiore
misura il sesso femminile.
Nel
contempo si registra un incremento importante delle patologie
croniche, soprattutto nelle persone anziane, che impone un
diverso approccio assistenziale, soprattutto nel rapporto
patologie acute/cronicità. La letteratura ha ampiamente
documentato l’incidenza elevata sullo stato di salute di un
insieme di patologie fortemente correlate all’età, tra le quali
vi sono gli eventi cardiovascolari.[iv]
Le tre cause principali di morte nei soggetti anziani sono le
malattie cardiache, le neoplasie maligne e le malattie
cerebrovascolari.
L’Istat,
l’Eurostat, l’ONU e altri Istituti Internazionali considerano
anziani gli ultrasessantacinquenni, ma la soglia di entrata in
età avanzata è dinamica.
Da un punto
di vista medico i parametri biologici degli anziani si
differenziano significativamente da quelli dei giovani al di
sopra dei 75 anni; per questo le persone di età compresa fra 65
e i 74 anni vengono definite “youngold”, i “giovani anziani”.
Da notare
inoltre il forte divario che esiste tra il numero delle donne e
quello degli uomini in età avanzata: più dell’80% dei 16 mila
centenari esistenti in Italia sono donne.[v]
Accanto
agli anziani attivi, vi sono quelli in condizioni di fragilità,
per esempio coloro che non risultano autosufficienti in tutte le
dimensioni di vita quotidiana. Più che l’essere avanti con gli
anni, in questo caso altri fattori coesistenti fanno la
differenza, poiché l’anzianità oggi non si identifica
anagraficamente ma con il livello di autonomia sociale, che
misura contestualmente in che modo il soggetto sia in grado di
prendersi cura di sé e possibilmente di chi gli sta accanto.[vi]
L’anziano
fragile è caratterizzato da un’età avanzata o molto avanzata, da
multimorbilità con conseguente necessità di polifarmacoterapia,
da disturbi cognitivi e affettivi e da altre sindromi
geriatriche quali la poliartrosi, la sarcopenia, l’osteoporosi,
la malnutrizione, l’incontinenza, condizioni unite spesso a
disagio sociale, che lo rendono vulnerabile e a rischio di
cronicità e disabilità (Senin, 2010). Nella letteratura
internazionale e nei rapporti dell’Organizzazione Mondiale della
Sanità (OMS) i termini “anziano fragile” e “paziente geriatrico”
sono utilizzati per indicare gli anziani che sviluppano, nel
corso dell’invecchiamento, patologie croniche multiple e un
decadimento significativo dello stato fisico e cognitivo.
Tutte le
definizioni di “anziano fragile” o “fragilità” riportate in
letteratura confermano la caratteristica eterogeneità,
instabilità e vulnerabilità della persona anziana. Le
conseguenze della fragilità si ripercuotono, oltre che sul piano
clinico soggettivo, anche su quello assistenziale: gli anziani
fragili sono frequentemente grandi utilizzatori dei servizi
sanitari.[vii],[viii]
L’Istituto
di Medicina degli Stati Uniti opera una distinzione tra i
termini di “sesso” e “genere”: quando si parla di sesso si fa
riferimento a differenze di origine biologica, il genere invece
rimanda a tutto ciò che, in rapporto al sesso, risente di
influenze socioculturali.
La
differenza di genere grava pesantemente sulla donna; negli USA i
tre predittori che più si correlano con una cattiva qualità di
vita sono l’essere non bianco, l’essere donna e la bassa
scolarità che è indice di povertà.
aspetti assistenziali
Il
progressivo invecchiamento e quindi la crescita esponenziale
delle richieste di assistenza ha portato, in misura direttamente
proporzionale, ad una più estesa richiesta del sapere
infermieristico in ambito geriatrico.
Il processo
di invecchiamento si ripercuote sui bisogni principali della
persona riducendone l’autonomia attraverso una reazione a
catena. L’evento perturbatore può essere rappresentato
dall’insorgenza di una malattia oppure da eventi stressanti.
Lo scopo
dell’assistenza all’anziano è garantire un piano di intervento
ad ampio spettro e al tempo stesso personalizzato per quella
specifica situazione di fragilità, attraverso una duplice
funzione, quella valutativa e quella relativa all’intervento.
Il processo
valutativo prende in considerazione i bisogni della persona
anziana nella sua individualità, consentendo all’infermiere di
rilevare le ripercussioni in termini di deficit funzionali e di
dipendenza e di seguirne nel tempo l’evoluzione.
Prendendo a
riferimento i bisogni nell’anziano si evidenzia quanto segue:[ix]
§
Negli anziani con
alterazioni cognitive e psicologiche, la presenza di almeno 4
patologie risulta percentualmente più elevata rispetto a
soggetti che non presentano disturbi di questo tipo. In termini
di problemi, il grado di disabilità rappresenta un fattore di
rischio importante per la fragilità dell’anziano, in quanto
predispone alla comparsa di lesioni da decubito, incontinenza,
cadute, fratture, malnutrizione, disidratazione, infezioni
polmonari, ecc. Nei soggetti in età avanzata, oltre ai fenomeni
legati alle alterazioni cognitive e psicologiche, la depressione
si dimostra tre volte più frequente che nella popolazione
rimanente, raggiungendo circa il 30% dopo i 65 anni.
§
Buona parte della
letteratura consultata in merito al bisogno di respirare
nell’anziano, si riferisce soprattutto a situazioni di
importante compromissione, che spesso degenerano in ricoveri
ospedalieri prolungati e purtroppo, molte volte, senza seguito.
La condizione di dipendenza verso tale bisogno origina spesso da
infezioni alle vie respiratorie e i fattori che vanno a
determinare una maggiore suscettibilità possono essere
rappresentati da comorbilità, alterazione dello stato cognitivo,
allettamento, malnutrizione, cattiva igiene orale e
istituzionalizzazione. Va sottolineato che la mancanza di
respiro interferisce con i più semplici gesti giornalieri e il
limite più importante posto da tale condizione riguarda
l’esercizio fisico che influisce sulle normali attività
quotidiane, sui rapporti sociali e familiari.
§
Nei paesi
economicamente avanzati la malnutrizione proteico energetica
(PEM) si manifesta quasi esclusivamente nella popolazione senile
e costituisce un fattore predittivo rilevante per la sindrome
della fragilità dell’anziano. Le ripercussioni che i disturbi
metabolici determinano su tale bisogno meritano una adeguata
riflessione; nell’età senile, infatti, una delle patologie
croniche di più comune riscontro è il diabete mellito, quasi
sempre di tipo 2, la cui prevalenza a questa età è in continua
crescita.
§
Il bisogno di
eliminazione viene riferito, da una buona parte della
letteratura, al problema delle infezioni che nell’anziano
fragile assumono una connotazione particolare andando ad
incidere pesantemente oltre che sulla salute anche sui costi
della degenza e della gestione domiciliare. Le infezioni
dell’apparato genito-urinario (IVU) sono le più frequenti dopo
quelle respiratorie, incidendo nelle donne di età superiore ai
70 anni per il 10-12%, mentre negli uomini non ospedalizzati per
il 3,5% e in quelli ospedalizzati per il 15%. Un altro problema
altamente diffuso negli anziani in merito al bisogno di
eliminazione è rappresentato dall’incontinenza urinaria, vera e
propria sindrome geriatrica. Il problema dell’incontinenza
urinaria, come quello delle infezioni, ha un importante impatto
oltre che psico-sociale, anche economico-sanitario, in quanto
associata spesso a dermatiti, ulcere da decubito e infezioni
alle vie urinarie, con conseguente aumento della mortalità.
§
Nelle persone
anziane è frequente individuare alterazioni in merito al bisogno
di igiene, con ovvie ripercussioni sul benessere generale. I
principali fattori predisponenti sono rappresentati dalle
condizioni socioeconomiche e dall’ospedalizzazione, ossia
dall’affollamento che si può verificare soprattutto in alcuni
contesti di ricovero e in alcuni periodi dell’anno. La scarsa
igiene perineale, associata a disturbi della minzione, ad
incontinenza urinaria e, in generale, all’avanzare dell’età,
aumenta l’incidenza delle infezioni alle vie urinarie.
§
Nella persona
anziana una qualsiasi alterazione del bisogno di mobilità,
originato da squilibri concomitanti muscolo-scheletrici,
cardiovascolari ed altro, può condizionare fortemente l’attività
fisica e, di conseguenza, influire sul benessere generale. Il
grado di attività fisica è il migliore indicatore della
potenziale durata di vita più di altri fattori di rischio come
il fumo, l’ipertensione, il diabete o l’ipercolesterolemia. La
sindrome ipocinetica (o da immobilizzazione) rimane una delle
complicanze maggiori a cui va soggetto l’anziano, in particolare
quando viene ricoverato in ospedale poichè spesso debilitato e
con ridotta mobilità; l’evento più temuto della sindrome
ipocinetica è la comparsa di lesioni da decubito.
§
I processi di
invecchiamento sono solitamente accompagnati da alterazioni
della micro e macro struttura del sonno. Studi in letteratura
hanno dimostrato che circa il 25% della popolazione anziana con
più di 65 anni presenta quotidianamente alterazioni del bisogno
di sonno e riposo; la frequenza di questi disturbi è
direttamente correlata all’età del paziente, in particolare
nella donna. Le alterazioni del bisogno di sonno e riposo che si
verificano in età senile, in termini di frammentazione e
deprivazione, finiscono per ripercuotersi sulla qualità della
vita in generale; diversi studi hanno dimostrato che la
riduzione di qualità e quantità del sonno negli anziani può
influenzare negativamente diverse funzioni diurne, soprattutto
il livello di vigilanza e l’attenzione, la workingmemory, il
problemsolving e le abilità di pianificazione.
La
definizione di salute dell’OMS, fortemente criticata da almeno
una decina di anni a questa parte, è invece molto calzante
quando si parla di una categoria debole come il grande anziano,
che ha una importante specificazione di genere.[x]
La
patologia coronarica e la patologia cerebrovascolare, i cui
tassi di incidenza aumentano con l’età, sono i maggiori
responsabili della morbilità e della mortalità totale. A 40 anni
il rischio di sviluppare negli anni successivi una patologia
coronarica è del 48,6% nei maschi e del 31,7% nelle femmine.
Nelle femmine, l’incidenza di patologia coronarica è inferiore a
quella dei maschi in ogni gruppo di età, ma dopo la menopausa
aumenta rapidamente e le differenze di incidenza tra i due sessi
diventano marginali nei gruppi di età più avanzata.[xi]
La
patologia cardiovascolare rappresenta la principale causa di
morte e ospedalizzazione nelle donne. Il riconoscimento di
differenze di genere gioca un ruolo importante nella prevenzione
della malattia cardiovascolare. E’ ormai assodato che donne e
uomini differiscono per sintomi, presentazione clinica,
diagnosi, prognosi e terapia.
Tipicamente
la patologia coronarica si presenta più tardivamente rispetto
agli uomini. Le donne sono pertanto più anziane e mostrano una
maggiore prevalenza di comorbilità. Fino a poco tempo fa il
genere femminile era scarsamente rappresentato nei trial clinici
e negli studi osservazionali; di conseguenza, il limite
principale della maggior parte dei trials è rappresentato
dall’insufficiente coorte femminile arruolata.[xii],[xiii]
Il profilo
di rischio cardiovascolare della donna acquisisce delle
caratteristiche peculiari dovute alla possibile presenza di
fattori di rischio o condizioni genere-specifici e anche alla
diversa espressione degli stessi fattori di rischio
tradizionali.[xiv]
Il primo
tra i fattori di rischio per la salute del grande anziano, è
naturalmente l’età, che è un fattore al femminile: il rapporto
femmine maschi, risulta in età adulta via via più elevato a
favore delle femmine, ed è pari quasi a 2 a 75 anni, e a 3 sopra
i 90 anni.
Un’altra
specificità di genere importante è quella dello stato civile. A
75 anni i vedovi sono il 16%, ma le vedove sono il 60%. Tale
fattore è molto importante per la condizione della donna che si
percuote sulla patologia (ansia, depressione, ecc.), sul consumo
di farmaci e sul ricorso ai servizi.
Un altro
elemento importante è il nucleo di convivenza: la percentuale di
donne che vivono sole a 75 anni è tripla rispetto ai maschi (36%
vs 10% a 75 anni), mentre è doppia quella delle donne che vivono
con i propri figli (61% vs 38% a 90 anni). La solitudine è un
evento sentinella che facilita il decadimento dell’organismo e
l’insorgenza della malattia.
La
scolarizzazione è pure un fattore di rischio ben noto, poiché è
associata con un chiaro trend a una serie di esiti negativi per
la salute, quali ad esempio, la disabilità motoria che è tripla
(9% vs 3%) confrontando chi non ha nessun titolo di studio e chi
ha frequentato almeno la scuola media. Vi è inoltre un
differenziale in termini di presenza e numero di malattie
croniche tra persone che hanno studiato poco o nulla e persone
che hanno studiato molto. Anche la scolarizzazione è diversa per
le anziane rispetto ai maschi (14% vs 26% coloro che hanno
proseguito gli studi oltre le elementari). La scolarità si
collega naturalmente anche al tema della condizione socio
economica e quindi, in ultima analisi, al discorso sulla
opportunità di vita e di accesso ai servizi e sulla capacità di
autocura.
Inoltre, i
fattori psico-sociali, l’isolamento, i fattori socio-economici e
la depressione giocano un ruolo non indifferente sulla
sopravvivenza.[xv]
Molti
anziani con comorbilità complesse e/o severe manifestano sintomi
depressivi di entità più o meno rilevante che vengono troppo
spesso trascurati o negati dal medico specialista. In genere si
ritiene che le donne riferiscono un maggior numero di sintomi
depressivi.E’ dimostrato che la presenza di depressione maggiore
si associa ad un rischio aumentato di mortalità e vi sarebbe
dimostrazione di una specifica correlazione fra l’entità dei
sintomi depressivi e la funzione cognitiva nell’anziano.[xvi]
La
comorbidità è associata alla condizione femminile; il 65% delle
grandi anziane verso il 60% dei maschi ha più di 2 malattie.[xvii]
Nello specifico, le donne
ricoverate per infarto del miocardio sono con maggior frequenza
affette da comorbidità, in particolare hanno più frequentemente
diabete e ipertensione arteriosa.
Il
controllo dei fattori di rischio è efficace nel soggetto anziano
per la riduzione del rischio di malattie cardiovascolari,
particolarmente quando questo avviene attraverso modificazioni
dello stile di vita.[xviii]
L’acquisizione di un corretto stile di vita comporta un
miglioramento del profilo di rischio, poiché va ad influire sui
singoli fattori di rischio. Questo si traduce in una riduzione
della mortalità e morbilità cardiovascolare. Gli interventi non
farmacologici sullo stile di vita sono il primo intervento
raccomandato per la prevenzione del rischio cardiovascolare
nelle donne.
Nel Nurses’HealthStudy
sono state seguite 39.000 donne per 20 anni: in questo registro
è stato notato come la categoria più a rischio fosse quella
delle donne obese e particolarmente sedentarie.[xix]
Le donne
sono scarsamente informate sul ruolo dei fattori di rischio e
sulla possibilità di “proteggersi” attraverso l’adozione di
stili di vita sani, proprio perché colpite in età più avanzata
quando erroneamente si ritiene poco efficace qualsiasi attività
di prevenzione primaria.
Interventi
rivolti a semplici modificazioni degli stili di vita in epoche
adeguate consentiranno alle donne di mantenere nel tempo
l’attuale guadagno di anni di vita in buone condizioni di
salute, così come idonee strategie di prevenzione potranno
contribuire sia a ridurre i tassi di ospedalizzazione che i
costi di cura e di riabilitazione.[xx]
Va
ricordato che l’assistenza all’anziano oggi è prevalentemente
ospedalocentrica. Il sistema sanitario è organizzato in modo che
le malattie sono prevalentemente curate quando si manifestano,
con inadeguata attenzione alla prevenzione per le malattie
cronico degenerative ancora poco considerate. Si rende invece
necessaria una medicina del territorio, ossia di un’assistenza
continuativa, integrata, sociosanitaria.[xxi]
In Italia però il numero di assistiti a domicilio e nelle
residenze è basso rispetto ai paesi europei più evoluti[xxii].
Anche i lunghi tempi di attesa per ottenere prestazioni
medico-specialistiche dipendono da carenze del sistema e
incidono negativamente sulla continuità della rete dei servizi
per gli anziani.
In realtà
solo nell’ospedale per acuti si realizza una temporanea
continuità assistenziale con metodologie ed organizzazione che
non considerano abbastanza i bisogni e la fragilità delle
persone più anziane. E’ frequente infatti che gli anziani non
traggano giovamento dal trattamento episodico come è quello
ospedaliero, mirato alla cura della malattia. Si può affermare,
a tale proposito, che la degenza ospedaliera crea nuovi problemi
soprattutto al paziente geriatrico; i risultati del ricovero non
sono abbastanza considerati, per esempio, si tiene poco conto
della comparsa di delirium, della diminuzione delle prestazioni
fisiche e cognitive così come della disidratazione e dello stato
di nutrizione.[xxiii]
La donna
anziana sul territorio presenta alcune peculiarità che la
rendono particolarmente vulnerabile. Anzitutto, vive più a lungo
in solitudine: basti pensare che in Italia ci sono 3,8 milioni
di vedove e 700 mila vedovi. Il 10% delle donne anziane, una
percentuale che è il doppio di quella degli uomini, sono
confinate a domicilio per difficoltà nel movimento, nella vista,
nell’udito, nella parola.[xxiv]
L’esigenza
principale è quella di potenziare non solo l’assistenza
domiciliare già presente sul territorio, ma anche di sviluppare
modelli organizzativi diversi, definire modalità per individuare
i bisogni e poter così promuovere e facilitare l’integrazione
dei servizi socio assistenziali e sanitari, consapevoli che il
permanere dell’anziano al proprio domicilio è un obiettivo
primario e un risultato di grande rilievo clinico ed umano.[xxv]
Infine
occorre evidenziare che l’assistenza all’anziano non differisce,
per livello di competenze richieste, da quella a un paziente
cardiochirurgico o da quella necessaria a un intervento di
soccorso in emergenza.
Purtroppo è
invece largamente diffusa l’opinione che quella dell’anziano sia
un’assistenza a bassa complessità. La realtà è tutt’altra:
assistere una persona anziana e occuparsi dei suoi caregiver di
riferimento presuppone conoscenze e abilità professionali di
alto livello, se si vuole dare una risposta sanitaria e
socio-sanitaria efficace, efficiente, economicamente controllata
e di qualità.
L’assistenza all’anziano necessita dunque di un approccio
multidisciplinare e multiprofessionale e della presenza di
operatori sanitari e socio-sanitari a elevata competenza
professionale per soddisfare i bisogni di cura dell’anziano.[xxvi]
Inoltre si
dovrà puntare ad un percorso formativo specifico per l’ambito
geriatrico, sia in riferimento ai corsi universitari di primo
livello che a quelli complementari post laurea, aumentando
l’attrattiva per gli aspiranti infermieri verso un settore ricco
di risvolti umani, che sempre di più nel nostro Paese avrà
necessità di professionisti preparati e al passo con i tempi.[xxvii]
Conclusioni
Dalla
seconda metà del ventesimo secolo il mondo occidentale è stato
caratterizzato dall’aumento progressivo dell’aspettativa di vita
e da una contemporanea e drastica riduzione delle malattie
infettive. Il rovescio della medaglia di questo fenomeno è una
sempre più rilevante prevalenza delle patologie
cronico-degenerative e della conseguente disabilità, cioè le due
componenti fondamentali che caratterizzano la “fragilità”
dell’anziano.[xxviii]
Il
contributo del personale sanitario non medico e soprattutto di
quello infermieristico è fondamentale per il miglioramento delle
cure.
E’ indubbio
che la struttura del nostro servizio sanitario richieda profondi
aggiustamenti per affrontare i problemi legati
all’invecchiamento della popolazione: il confronto con la realtà
europea è veramente problematico e indica che al suo interno
opera un numero ridondante di medici (oltre 300.000) mentre
risultano largamente insufficienti gli infermieri (OECD). Le
carenze e gli eccessi provocano ricadute sull’efficacia
complessiva del sistema; il ruolo del personale infermieristico
dovrebbe essere valorizzato anche in senso qualitativo.
L’aumento
della spesa sanitaria ospedaliera prevedibile con
l’invecchiamento della popolazione potrà essere limitato da un
approccio curativo extraospedaliero dove si realizzano anche
piani di prevenzione delle malattie e della disabilità: in
questo modo si potranno ridurre i ricoveri ospedalieri della
popolazione più anziana.[xxix]
I dati
demografici ed epidemiologici richiamano fortemente l’attenzione
degli operatori di oggi e di quelli che si preparano alle
professioni di cura per il domani, costituiscono infatti una
base di partenza sulla quale fondarsi per proseguire il cammino,
anche se per molti aspetti la vita dell’anziano è e resta un
mistero. Come invecchierà la persona del nostro tempo è
difficilmente prevedibile. Quindi avvicinarsi all’altro per
meglio esercitare un rapporto di aiuto, in qualsiasi ruolo,
richiede disponibilità umana e culturale a rimettersi in gioco,
perché i punti fermi sono ancora pochi, se non la propria
personale attitudine all’attenzione, all’ascolto, alla cura.[xxx]
BIBLIOGRAFIA
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[xx]Giampaoli S. Donne e Salute:
differenze di genere. Istituto Superiore di Sanità, Roma
[xxi]Vergani C. Essere anziani oggi.
[xxiii]Salvioli G. Continuità delle
cure o cure continue per gli anziani?. G. Gerontol 2006;
LIV:71-79
[xxiv]Vergani C. Direttore UO
Geriatria Ospedale Maggiore Policlinico di Milano.
Essere anziani oggi. Intervista Osservatorio Nazionale
sulla salute della Donna
[xxv] Vario M. L’approccio
multidisciplinare rivolto all’anziano fragile. Una
revisione della letteratura. Prof.Inferm. 2008 Apr-Giu;
61(2):109
[xxvi]Mongardi M. L’assistenza
all’anziano. Milano: Edizioni Mc Graw-Hill, 2011; XXIII
[xxvii] Vario M. L’approccio
multidisciplinare rivolto all’anziano fragile. Una
revisione della letteratura. Prof.Inferm. 2008 Apr-Giu;
61(2):109
[xxviii] Gobbi P. Modelli e strumenti
per l’assistenza all’anziano. News 2008; 40
[xxix]Salvioli G. Continuità delle
cure o cure continue per gli anziani?. G. Gerontol 2006;
LIV:71-79
[xxx] Trabucchi M. L’anziano:
demografia ed epidemiologia dei problemi di salute più
rilevanti. In: Mongardi M. L’assistenza all’anziano.
Milano: Edizioni Mc Graw-Hill, 2011; 11-12