ANZIANI E GRANDI ANZIANI,

MALATTIA CARDIOVASCOLARE E NURSING:

 DIFFERENZE DI GENERE

 

Elisabetta Simonetti Domenico Gabrielli

“Risk Management e Qualità” A. O.U. Ospedali Riuniti di Ancona.

S. C. Cardiologia Ospedale Murri Fermo, AV 4 - ASUR Marche

 

 

La vita è l'energia che accompagna la giovinezza,

la serietà che segue la maturità,

la saggezza che segue la vecchiaia.

KahlilGibran, Le Tempeste

 

Introduzione

Entro il 2050 nell’Unione Europea il numero delle persone oltre i 65 anni di età crescerà del 70%, e quello delle persone oltre gli 80 del 170%. Tutto ciò avrà implicazioni importanti in ogni settore per il XXI secolo. A fronte di ciò occorrerà prepararsi a soddisfare una maggiore domanda di assistenza, adattando i sistemi sanitari alle esigenze di una popolazione che invecchia e, allo stesso tempo, far si che le spese rimangano sostenibili.

Nel corso degli ultimi decenni, in Italia come nel complesso dei Paesi occidentali, la proporzione di popolazione anziana è andata costantemente aumentando; questo fenomeno è il risultato di profondi mutamenti demografici derivati da un’importante diminuzione della natalità e dalla consistente riduzione della mortalità. Lo stato di salute della popolazione anziana è fortemente influenzato dalla presenza di malattie cronico-degenerative che caratterizzano in modo permanente le condizioni di salute e la qualità di vita della persona: la presenza di pluripatologie aumenta con l’aumentare dell’età e peggiora sensibilmente gli indici della qualità di vita percepita dall’anziano.[i]

Nei paesi industrializzati le malattie cardiovascolari sono la prima causa di morte della donna (55-60%) e di disabilità della donna nella terza età. Negli ultimi trenta anni si è assistito a una importante diminuzione della mortalità per malattie cardiovascolari nell’uomo ma non altrettanto nella donna. L’infarto è ancor oggi considerato una patologia squisitamente maschile, invece è la prima causa di morte nella donna al di sopra dei 65 anni.[ii]

le eta’ della vita

In Italia i processi demografici che perdurano ormai da diversi anni e che influenzano l’indice di vecchiaia sono riconducibili all’incremento della popolazione in età anziana, alla riduzione di quella in età giovanile, all’aumento della sopravvivenza e al contenimento della fecondità, ben al di sotto del livello di sostituzione delle generazioni (2,1 figli per donna). In ragione di tali fattori, il rapporto tra gli anziani e i giovani ha assunto proporzioni notevoli nel nostro Paese, raggiungendo, al 1° gennaio 2011, quota 144,5 per cento.

L’Italia risulta essere uno dei paesi più “vecchi” del continente. L’Italia detiene, infatti, la percentuale più alta di ultra-ottantenni (6% della popolazione nel 2011), è al secondo posto, dietro la Germania, per quanto riguarda la percentuale di ultra-sessantacinquenni (con 20,3% contro il 20,6% della Germania) ed ha il quarto indice di dipendenza strutturale più alto (52,3%) preceduta dalla Francia (53,9%), Svezia e Danimarca.

L’Italia è anche tra i paesi con un indice di vecchiaia[1] più alto (145) preceduta anche in questo caso dalla Germania (153).[iii]

La dimensione preoccupante che emerge dalla lettura dei dati riferiti alle previsioni demografiche ISTAT 1° gennaio 2007 - 2051, non è solo l’importante incremento dell’indice di vecchiaia 2010 (dal 144,8% nel 2010 al 256,3% nel 2050), quanto quello del peso percentuale della popolazione di 80 anni e più sulla popolazione complessiva, che passa dal 5,8% della popolazione (nel 2010) al 7,4% (nel 2020), al 13,5% (nel 2050); ciò significa un aumento esponenziale degli anziani, che per larga parte rientrano nella dimensione di non autosufficienza, nonostante negli ultimi decenni, grazie agli sviluppi della scienza medica e degli stili di vita, il livello di “buona salute” degli over 65 sia notevolmente cresciuto.

Altro aspetto che va preso in considerazione è la progressione della disabilità stimata dal CENSIS per gli anni 2010-2020-2040. La disabilità, per effetto dell’invecchiamento e delle patologie cronico-degenerative, è in significativo e preoccupante aumento: 6,7% (circa 4,1 milioni di persone nel 2010) e 7,9% nel 2020 (pari a 4,8 milioni di persone), un incremento destinato a creare una fortissima pressione sul versante della domanda di servizi.

Altra dimensione che merita di essere richiamata è l’impatto bio-demografico, ossia la rivoluzione epidemiologica innescata dai profondi mutamenti della struttura della popolazione residente ed immigrata. La profonda trasformazione è sintetizzata dalla durata media della vita; infatti, un neonato in Italia all’inizio del ‘900 aveva una speranza di vita di circa 41 anni mentre, dopo oltre cento anni, nel 2007 un neonato può attendersi di vivere mediamente 78,7 anni e una neonata fino a 84 anni. Oggi la donna ha una speranza di vita alla nascita di 84,4 anni e l’uomo di 79,2. Dalla fine dell’ottocento in poi la durata della vita è aumentata di tre mesi all’anno.

Sono valori assolutamente significativi sia per l’Europa sia a livello mondiale. Va sottolineato che i risultati raggiunti fino agli anni ’70 sono prevalentemente imputabili alla riduzione della mortalità infantile e giovanile e che dall’inizio degli anni ’80 la riduzione della mortalità interessa invece l’età matura e significativamente le classi di età oltre i 65 anni, in maggiore misura il sesso femminile.

Nel contempo si registra un incremento importante delle patologie croniche, soprattutto nelle persone anziane, che impone un diverso approccio assistenziale, soprattutto nel rapporto patologie acute/cronicità. La letteratura ha ampiamente documentato l’incidenza elevata sullo stato di salute di un insieme di patologie fortemente correlate all’età, tra le quali vi sono gli eventi cardiovascolari.[iv] Le tre cause principali di morte nei soggetti anziani sono le malattie cardiache, le neoplasie maligne e le malattie cerebrovascolari.

L’Istat, l’Eurostat, l’ONU e altri Istituti Internazionali considerano anziani gli ultrasessantacinquenni, ma la soglia di entrata in età avanzata è dinamica.

Da un punto di vista medico i parametri biologici degli anziani si differenziano significativamente da quelli dei giovani al di sopra dei 75 anni; per questo le persone di età compresa fra 65 e i 74 anni vengono definite “youngold”, i “giovani anziani”.

Da notare inoltre il forte divario che esiste tra il numero delle donne e quello degli uomini in età avanzata: più dell’80% dei 16 mila centenari esistenti in Italia sono donne.[v]

Accanto agli anziani attivi, vi sono quelli in condizioni di fragilità, per esempio coloro che non risultano autosufficienti in tutte le dimensioni di vita quotidiana. Più che l’essere avanti con gli anni, in questo caso altri fattori coesistenti fanno la differenza, poiché l’anzianità oggi non si identifica anagraficamente ma con il livello di autonomia sociale, che misura contestualmente in che modo il soggetto sia in grado di prendersi cura di sé e possibilmente di chi gli sta accanto.[vi]

L’anziano fragile è caratterizzato da un’età avanzata o molto avanzata, da multimorbilità con conseguente necessità di polifarmacoterapia, da disturbi cognitivi e affettivi e da altre sindromi geriatriche quali la poliartrosi, la sarcopenia, l’osteoporosi, la malnutrizione, l’incontinenza, condizioni unite spesso a disagio sociale, che lo rendono vulnerabile e a rischio di cronicità e disabilità (Senin, 2010). Nella letteratura internazionale e nei rapporti dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) i termini “anziano fragile” e “paziente geriatrico” sono utilizzati per indicare gli anziani che sviluppano, nel corso dell’invecchiamento, patologie croniche multiple e un decadimento significativo dello stato fisico e cognitivo.

Tutte le definizioni di “anziano fragile” o “fragilità” riportate in letteratura confermano la caratteristica eterogeneità, instabilità e vulnerabilità della persona anziana.  Le conseguenze della fragilità si ripercuotono, oltre che sul piano clinico soggettivo, anche su quello assistenziale: gli anziani fragili sono frequentemente grandi utilizzatori dei servizi sanitari.[vii],[viii]

L’Istituto di Medicina degli Stati Uniti opera una distinzione tra i termini di “sesso” e “genere”: quando si parla di sesso si fa riferimento a differenze di origine biologica, il genere invece rimanda a tutto ciò che, in rapporto al sesso, risente di influenze socioculturali.

La differenza di genere grava pesantemente sulla donna; negli USA i tre predittori che più si correlano con una cattiva qualità di vita sono l’essere non bianco, l’essere donna e la bassa scolarità che è indice di povertà.

aspetti assistenziali

Il progressivo invecchiamento e quindi la crescita esponenziale delle richieste di assistenza ha portato, in misura direttamente proporzionale, ad una più estesa richiesta del sapere infermieristico in ambito geriatrico.

Il processo di invecchiamento si ripercuote sui bisogni principali della persona riducendone l’autonomia attraverso una reazione a catena. L’evento perturbatore può essere rappresentato dall’insorgenza di una malattia oppure da eventi stressanti.

Lo scopo dell’assistenza all’anziano è garantire un piano di intervento ad ampio spettro e al tempo stesso personalizzato per quella specifica situazione di fragilità, attraverso una duplice funzione, quella valutativa e quella relativa all’intervento.

Il processo valutativo prende in considerazione i bisogni della persona anziana nella sua individualità, consentendo all’infermiere di rilevare le ripercussioni in termini di deficit funzionali e di dipendenza e di seguirne nel tempo l’evoluzione.

Prendendo a riferimento i bisogni nell’anziano si evidenzia quanto segue:[ix]

§  Negli anziani con alterazioni cognitive e psicologiche, la presenza di almeno 4 patologie risulta percentualmente più elevata rispetto a soggetti che non presentano disturbi di questo tipo. In termini di problemi, il grado di disabilità rappresenta un fattore di rischio importante per la fragilità dell’anziano, in quanto predispone alla comparsa di lesioni da decubito, incontinenza, cadute, fratture, malnutrizione, disidratazione, infezioni polmonari, ecc. Nei soggetti in età avanzata, oltre ai fenomeni legati alle alterazioni cognitive e psicologiche, la depressione si dimostra tre volte più frequente che nella popolazione rimanente, raggiungendo circa il 30% dopo i 65 anni. 

§  Buona parte della letteratura consultata in merito al bisogno di respirare nell’anziano, si riferisce soprattutto a situazioni di importante compromissione, che spesso degenerano in ricoveri ospedalieri prolungati e purtroppo, molte volte, senza seguito. La condizione di dipendenza verso tale bisogno origina spesso da infezioni alle vie respiratorie e i fattori che vanno a determinare una maggiore suscettibilità possono essere rappresentati da comorbilità, alterazione dello stato cognitivo, allettamento, malnutrizione, cattiva igiene orale e istituzionalizzazione. Va sottolineato che la mancanza di respiro interferisce con i più semplici gesti giornalieri e il limite più importante posto da tale condizione riguarda l’esercizio fisico che influisce sulle normali attività quotidiane, sui rapporti sociali e familiari.

§  Nei paesi economicamente avanzati la malnutrizione proteico energetica (PEM) si manifesta quasi esclusivamente nella popolazione senile e costituisce un fattore predittivo rilevante per la sindrome della fragilità dell’anziano. Le ripercussioni che i disturbi metabolici determinano su tale bisogno meritano una adeguata riflessione; nell’età senile, infatti, una delle patologie croniche di più comune riscontro è il diabete mellito, quasi sempre di tipo 2, la cui prevalenza a questa età è in continua crescita.

§  Il bisogno di eliminazione viene riferito, da una buona parte della letteratura, al problema delle infezioni che nell’anziano fragile assumono una connotazione particolare andando ad incidere pesantemente oltre che sulla salute anche sui costi della degenza e della gestione domiciliare. Le infezioni dell’apparato genito-urinario (IVU) sono le più frequenti dopo quelle respiratorie, incidendo nelle donne di età superiore ai 70 anni per il 10-12%, mentre negli uomini non ospedalizzati per il 3,5% e in quelli ospedalizzati per il 15%. Un altro problema altamente diffuso negli anziani in merito al bisogno di eliminazione è rappresentato dall’incontinenza urinaria, vera e propria sindrome geriatrica. Il problema dell’incontinenza urinaria, come quello delle infezioni, ha un importante impatto oltre che psico-sociale, anche economico-sanitario, in quanto associata spesso a dermatiti, ulcere da decubito e infezioni alle vie urinarie, con conseguente aumento della mortalità.

§  Nelle persone anziane è frequente individuare alterazioni in merito al bisogno di igiene, con ovvie ripercussioni sul benessere generale. I principali fattori predisponenti sono rappresentati dalle condizioni socioeconomiche e dall’ospedalizzazione, ossia dall’affollamento che si può verificare soprattutto in alcuni contesti di ricovero e in alcuni periodi dell’anno. La scarsa igiene perineale, associata a disturbi della minzione, ad incontinenza urinaria e, in generale, all’avanzare dell’età, aumenta l’incidenza delle infezioni alle vie urinarie.

§  Nella persona anziana una qualsiasi alterazione del bisogno di mobilità, originato da squilibri concomitanti muscolo-scheletrici, cardiovascolari ed altro, può condizionare fortemente l’attività fisica e, di conseguenza, influire sul benessere generale. Il grado di attività fisica è il migliore indicatore della potenziale durata di vita più di altri fattori di rischio come il fumo, l’ipertensione, il diabete o l’ipercolesterolemia. La sindrome ipocinetica (o da immobilizzazione) rimane una delle complicanze maggiori a cui va soggetto l’anziano, in particolare quando viene ricoverato in ospedale poichè spesso debilitato e con ridotta mobilità; l’evento più temuto della sindrome ipocinetica è la comparsa di lesioni da decubito.

§  I processi di invecchiamento sono solitamente accompagnati da alterazioni della micro e macro struttura del sonno. Studi in letteratura hanno dimostrato che circa il 25% della popolazione anziana con più di 65 anni presenta quotidianamente alterazioni del bisogno di sonno e riposo; la frequenza di questi disturbi è direttamente correlata all’età del paziente, in particolare nella donna. Le alterazioni del bisogno di sonno e riposo che si verificano in età senile, in termini di frammentazione e deprivazione, finiscono per ripercuotersi sulla qualità della vita in generale; diversi studi hanno dimostrato che la riduzione di qualità e quantità del sonno negli anziani può influenzare negativamente diverse funzioni diurne, soprattutto il livello di vigilanza e l’attenzione, la workingmemory, il problemsolving e le abilità di pianificazione.

La definizione di salute dell’OMS, fortemente criticata da almeno una decina di anni a questa parte, è invece molto calzante quando si parla di una categoria debole come il grande anziano, che ha una importante specificazione di genere.[x]

La patologia coronarica e la patologia cerebrovascolare, i cui tassi di incidenza aumentano con l’età, sono i maggiori responsabili della morbilità e della mortalità totale. A 40 anni il rischio di sviluppare negli anni successivi una patologia coronarica è del 48,6% nei maschi e del 31,7% nelle femmine. Nelle femmine, l’incidenza di patologia coronarica è inferiore a quella dei maschi in ogni gruppo di età, ma dopo la menopausa aumenta rapidamente e le differenze di incidenza tra i due sessi diventano marginali nei gruppi di età più avanzata.[xi]

La patologia cardiovascolare rappresenta la principale causa di morte e ospedalizzazione nelle donne. Il riconoscimento di differenze di genere gioca un ruolo importante nella prevenzione della malattia cardiovascolare. E’ ormai assodato che donne e uomini differiscono per sintomi, presentazione clinica, diagnosi, prognosi e terapia.

Tipicamente la patologia coronarica si presenta più tardivamente rispetto agli uomini. Le donne sono pertanto più anziane e mostrano una maggiore prevalenza di comorbilità. Fino a poco tempo fa il genere femminile era scarsamente rappresentato nei trial clinici e negli studi osservazionali; di conseguenza, il limite principale della maggior parte dei trials è rappresentato dall’insufficiente coorte femminile arruolata.[xii],[xiii]

Il profilo di rischio cardiovascolare della donna acquisisce delle caratteristiche peculiari dovute alla possibile presenza di fattori di rischio o condizioni genere-specifici e anche alla diversa espressione degli stessi fattori di rischio tradizionali.[xiv]

Il primo tra i fattori di rischio per la salute del grande anziano, è naturalmente l’età, che è un fattore al femminile: il rapporto femmine maschi, risulta in età adulta via via più elevato a favore delle femmine, ed è pari quasi a 2 a 75 anni, e a 3 sopra i 90 anni.

Un’altra specificità di genere importante è quella dello stato civile. A 75 anni i vedovi sono il 16%, ma le vedove sono il 60%. Tale fattore è molto importante per la condizione della donna che si percuote sulla patologia (ansia, depressione, ecc.), sul consumo di farmaci e sul ricorso ai servizi.

Un altro elemento importante è il nucleo di convivenza: la percentuale di donne che vivono sole a 75 anni è tripla rispetto ai maschi (36% vs 10% a 75 anni), mentre è doppia quella delle donne che vivono con i propri figli (61% vs 38% a 90 anni). La solitudine è un evento sentinella che facilita il decadimento dell’organismo e l’insorgenza della malattia.

La scolarizzazione è pure un fattore di rischio ben noto, poiché è associata con un chiaro trend a una serie di esiti negativi per la salute, quali ad esempio, la disabilità motoria che è tripla (9% vs 3%) confrontando chi non ha nessun titolo di studio e chi ha frequentato almeno la scuola media. Vi è inoltre un differenziale in termini di presenza e numero di malattie croniche tra persone che hanno studiato poco o nulla e persone che hanno studiato molto. Anche la scolarizzazione è diversa per le anziane rispetto ai maschi (14% vs 26% coloro che hanno proseguito gli studi oltre le elementari). La scolarità si collega naturalmente anche al tema della condizione socio economica e quindi, in ultima analisi, al discorso sulla opportunità di vita e di accesso ai servizi e sulla capacità di autocura.

Inoltre, i fattori psico-sociali, l’isolamento, i fattori socio-economici e la depressione giocano un ruolo non indifferente sulla sopravvivenza.[xv]

Molti anziani con comorbilità complesse e/o severe manifestano sintomi depressivi di entità più o meno rilevante che vengono troppo spesso trascurati o negati dal medico specialista. In genere si ritiene che le donne riferiscono un maggior numero di sintomi depressivi.E’ dimostrato che la presenza di depressione maggiore si associa ad un rischio aumentato di mortalità e vi sarebbe dimostrazione di una specifica correlazione fra l’entità dei sintomi depressivi e la funzione cognitiva nell’anziano.[xvi]

La comorbidità è associata alla condizione femminile; il 65% delle grandi anziane verso il 60% dei maschi ha più di 2 malattie.[xvii] Nello specifico, le donne ricoverate per infarto del miocardio sono con maggior frequenza affette da comorbidità, in particolare hanno più frequentemente diabete e ipertensione arteriosa.

Il controllo dei fattori di rischio è efficace nel soggetto anziano per la riduzione del rischio di malattie cardiovascolari, particolarmente quando questo avviene attraverso modificazioni dello stile di vita.[xviii]

L’acquisizione di un corretto stile di vita comporta un miglioramento del profilo di rischio, poiché va ad influire sui singoli fattori di rischio. Questo si traduce in una riduzione della mortalità e morbilità cardiovascolare. Gli interventi non farmacologici sullo stile di vita sono il primo intervento raccomandato per la prevenzione del rischio cardiovascolare nelle donne.

Nel Nurses’HealthStudy sono state seguite 39.000 donne per 20 anni: in questo registro è stato notato come la categoria più a rischio fosse quella delle donne obese e particolarmente sedentarie.[xix]

Le donne sono scarsamente informate sul ruolo dei fattori di rischio e sulla possibilità di “proteggersi” attraverso l’adozione di stili di vita sani, proprio perché colpite in età più avanzata quando erroneamente si ritiene poco efficace qualsiasi attività di prevenzione primaria.

Interventi rivolti a semplici modificazioni degli stili di vita in epoche adeguate consentiranno alle donne di mantenere nel tempo l’attuale guadagno di anni di vita in buone condizioni di salute, così come idonee strategie di prevenzione potranno contribuire sia a ridurre i tassi di ospedalizzazione che i costi di cura e di riabilitazione.[xx]

Va ricordato che l’assistenza all’anziano oggi è prevalentemente ospedalocentrica. Il sistema sanitario è organizzato in modo che le malattie sono prevalentemente curate quando si manifestano, con inadeguata attenzione alla prevenzione per le malattie cronico degenerative ancora poco considerate. Si rende invece necessaria una medicina del territorio, ossia di un’assistenza continuativa, integrata, sociosanitaria.[xxi]  In Italia però il numero di assistiti a domicilio e nelle residenze è basso rispetto ai paesi europei più evoluti[xxii]. Anche i lunghi tempi di attesa per ottenere prestazioni medico-specialistiche dipendono da carenze del sistema e incidono negativamente sulla continuità della rete dei servizi per gli anziani.

In realtà solo nell’ospedale per acuti si realizza una temporanea continuità assistenziale con metodologie ed organizzazione che non considerano abbastanza i bisogni e la fragilità delle persone più anziane. E’ frequente infatti che gli anziani non traggano giovamento dal trattamento episodico come è quello ospedaliero, mirato alla cura della malattia. Si può affermare, a tale proposito, che la degenza ospedaliera crea nuovi problemi soprattutto al paziente geriatrico; i risultati del ricovero non sono abbastanza considerati, per esempio, si tiene poco conto della comparsa di delirium, della diminuzione delle prestazioni fisiche e cognitive così come della disidratazione e dello stato di nutrizione.[xxiii]

La donna anziana sul territorio presenta alcune peculiarità che la rendono particolarmente vulnerabile. Anzitutto, vive più a lungo in solitudine: basti pensare che in Italia ci sono 3,8 milioni di vedove e 700 mila vedovi. Il 10% delle donne anziane, una percentuale che è il doppio di quella degli uomini, sono confinate a domicilio per difficoltà nel movimento, nella vista, nell’udito, nella parola.[xxiv]

L’esigenza principale è quella di potenziare non solo l’assistenza domiciliare già presente sul territorio, ma anche di sviluppare modelli organizzativi diversi, definire modalità per individuare i bisogni e poter così promuovere e facilitare l’integrazione dei servizi socio assistenziali e sanitari, consapevoli che il permanere dell’anziano al proprio domicilio è un obiettivo primario e un risultato di grande rilievo clinico ed umano.[xxv]

Infine occorre evidenziare che l’assistenza all’anziano non differisce, per livello di competenze richieste, da quella a un paziente cardiochirurgico o da quella necessaria a un intervento di soccorso in emergenza.

Purtroppo è invece largamente diffusa l’opinione che quella dell’anziano sia un’assistenza a bassa complessità. La realtà è tutt’altra: assistere una persona anziana e occuparsi dei suoi caregiver di riferimento presuppone conoscenze e abilità professionali di alto livello, se si vuole dare una risposta sanitaria e socio-sanitaria efficace, efficiente, economicamente controllata e di qualità.

L’assistenza all’anziano necessita dunque di un approccio multidisciplinare e multiprofessionale e della presenza di operatori sanitari e socio-sanitari a elevata competenza professionale per soddisfare i bisogni di cura dell’anziano.[xxvi]

Inoltre si dovrà puntare ad un percorso formativo specifico per l’ambito geriatrico, sia in riferimento ai corsi universitari di primo livello che a quelli complementari post laurea, aumentando l’attrattiva per gli aspiranti infermieri verso un settore ricco di risvolti umani, che sempre di più nel nostro Paese avrà necessità di professionisti preparati e al passo con i tempi.[xxvii]

Conclusioni

Dalla seconda metà del ventesimo secolo il mondo occidentale è stato caratterizzato dall’aumento progressivo dell’aspettativa di vita e da una contemporanea e drastica riduzione delle malattie infettive. Il rovescio della medaglia di questo fenomeno è una sempre più rilevante prevalenza delle patologie cronico-degenerative e della conseguente disabilità, cioè le due componenti fondamentali che caratterizzano la “fragilità” dell’anziano.[xxviii]

Il contributo del personale sanitario non medico e soprattutto di quello infermieristico è fondamentale per il miglioramento delle cure.

E’ indubbio che la struttura del nostro servizio sanitario richieda profondi aggiustamenti per affrontare i problemi legati all’invecchiamento della popolazione: il confronto con la realtà europea è veramente problematico e indica che al suo interno opera un numero ridondante di medici (oltre 300.000) mentre risultano largamente insufficienti gli infermieri (OECD). Le carenze e gli eccessi provocano ricadute sull’efficacia complessiva del sistema; il ruolo del personale infermieristico dovrebbe essere valorizzato anche in senso qualitativo.

L’aumento della spesa sanitaria ospedaliera prevedibile con l’invecchiamento della popolazione potrà essere limitato da un approccio curativo extraospedaliero dove si realizzano anche piani di prevenzione delle malattie e della disabilità: in questo modo si potranno ridurre i ricoveri ospedalieri della popolazione più anziana.[xxix]

I dati demografici ed epidemiologici richiamano fortemente l’attenzione degli operatori di oggi e di quelli che si preparano alle professioni di cura per il domani, costituiscono infatti una base di partenza sulla quale fondarsi per proseguire il cammino, anche se per molti aspetti la vita dell’anziano è e resta un mistero. Come invecchierà la persona del nostro tempo è difficilmente prevedibile. Quindi avvicinarsi all’altro per meglio esercitare un rapporto di aiuto, in qualsiasi ruolo, richiede disponibilità umana e culturale a rimettersi in gioco, perché i punti fermi sono ancora pochi, se non la propria personale attitudine all’attenzione, all’ascolto, alla cura.[xxx]

 

BIBLIOGRAFIA

 


 

[1]L’indice di vecchiaia è un rapporto demografico di composizione, definito come il rapporto percentuale tra la popolazione in età anziana (65 anni e più) e la popolazione in età giovanile (meno di 15 anni). Si tratta di uno dei possibili indicatori demografici (es. indice di dipendenza anziani, età media, indice di ricambio) adatto a misurare il livello di invecchiamento di una popolazione.


 

[i] Sasso L. In: L’assistenza all’anziano. Mongardi M. Milano: Edizioni Mc Graw-Hill, 2011

[ii] Baggio G. Malattie cardiovascolari nella donna: fattori di rischio e differenze tra generi. intempo-online.com/salute

[iii] De Pretto D, Montemurro F. Il Rapporto sulle condizioni sociali degli anziani in Italia. Rapporto Auser 2012

[iv] Del Favero AL. Secondo Rapporto sulla Non Autosufficienza in Italia. Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, Novembre 2011

[v]Vergani C. Direttore UO Geriatria Ospedale Maggiore Policlinico di Milano. Essere anziani oggi. Intervista Osservatorio Nazionale sulla salute della Donna

[vi] D’Addio L. La deontologia infermieristica per l’anziano. In: Mongardi M. L’assistenza all’anziano.Milano: Edizioni Mc Graw-Hill, 2011; 67-68

[vii] Vario M. L’approccio multidisciplinare rivolto all’anziano fragile. Una revisione della letteratura. Prof.Inferm. 2008 Apr-Giu; 61(2):98-111

[viii] Nardi R. L’anziano fragile. In: Mongardi M. L’assistenza all’anziano.Milano: Edizioni Mc Graw-Hill, 2011; 358-360

[ix] Vario M. L’approccio multidisciplinare rivolto all’anziano fragile. Una revisione della letteratura. Prof.Inferm. 2008 Apr-Giu; 61(2):98-111

[x]Saugo M. Il grande anziano: una condizione al femminile. La rivista della Società Medico Chirurgica Vicentina. 2005

[xi]Trabucchi M. L’anziano: demografia ed epidemiologia dei problemi di salute più rilevanti. In: Mongardi M. L’assistenza all’anziano. Milano: Edizioni Mc Graw-Hill, 2011; 10

[xii]LeuzziC, Modena MG. Strategie differenziate nelle popolazioni target: le donne. G.ItalCardiol 2010; 11 (5 Suppl 3): 93S-96S

[xiii]Marzullo R, Modena MG. Malattie cardiovascolari. Le donne sono differenti dagli uomini? Rassegne Cardiology Science. Vol 9 Aprile-Giugno 2011

[xiv]Leuzzi C, Modena MG. Strategie differenziate nelle popolazioni target: le donne. G.ItalCardiol 2010; 11 (5 Suppl 3): 93S

[xv]Giampaoli S. Donne e Salute: differenze di genere. Istituto Superiore di Sanità, Roma

[xvi] Cucinotta D, Lanfranchi G, Minardi M. terapia dei sintomi depressivi nell’anziano. Geriatria Vol. XVIII n.6 – Novembre/Dicembre 2006: 345-349

[xvii]Saugo M. Il grande anziano: una condizione al femminile. La rivista della Società Medico Chirurgica Vicentina. 2005

[xviii]Musumeci G, Mihalcsik L, Rossini R, et al. La malattia cardiovascolare nell’anziano: strategie di prevenzione e trattamento. G.ItalCardiol 2010; 11 (11 Suppl 1): 33S-36S

[xix]Leuzzi C, Modena MG. Strategie differenziate nelle popolazioni target: le donne. G.ItalCardiol 2010; 11 (5 Suppl 3): 94S

[xx]Giampaoli S. Donne e Salute: differenze di genere. Istituto Superiore di Sanità, Roma

[xxi]Vergani C. Essere anziani oggi.

[xxii] OECD: Health data 2004; http://www.oecd.org/document

[xxiii]Salvioli G. Continuità delle cure o cure continue per gli anziani?. G. Gerontol 2006; LIV:71-79

[xxiv]Vergani C. Direttore UO Geriatria Ospedale Maggiore Policlinico di Milano. Essere anziani oggi. Intervista Osservatorio Nazionale sulla salute della Donna

[xxv] Vario M. L’approccio multidisciplinare rivolto all’anziano fragile. Una revisione della letteratura. Prof.Inferm. 2008 Apr-Giu; 61(2):109

[xxvi]Mongardi M. L’assistenza all’anziano. Milano: Edizioni Mc Graw-Hill, 2011; XXIII

 

[xxvii] Vario M. L’approccio multidisciplinare rivolto all’anziano fragile. Una revisione della letteratura. Prof.Inferm. 2008 Apr-Giu; 61(2):109

[xxviii] Gobbi P. Modelli e strumenti per l’assistenza all’anziano. News 2008; 40

[xxix]Salvioli G. Continuità delle cure o cure continue per gli anziani?. G. Gerontol 2006; LIV:71-79

[xxx] Trabucchi M. L’anziano: demografia ed epidemiologia dei problemi di salute più rilevanti. In: Mongardi M. L’assistenza all’anziano. Milano: Edizioni Mc Graw-Hill, 2011; 11-12