Malattia Cardiovascolare e declino cognitivo nell’anziano e nel
grande anziano
Raffaele Rotunno
S.C. UTIC-Cardiologia Ospedale di Roccadaspide ASL SALERNO
Le malattie
neurodegenerative e cerebrovascolari sono le cause più comuni di
declino cognitivonell’anziano.Se l’aterosclerosi e lo stroke
rappresentano il prototipo della malattia cerebrovascolare, la
malattia di Alzheimer,definita dalla presenza di diffuse
placche neuritiche (NP) e grovigli neurofibrillari (NFT),
rappresenta quello del disordine
neurodegenerativo.
Oltre la metà dei casi di demenza nell’anziano è dovuta alla
malattia di Alzheimer, seguita dalla demenza vascolare, che
rende conto del 20-25% dei
casi.
Il concetto di ‘demenza vascolare’ storicamente si basa sulla
presenza di stroke ( demenza poststroke) o sul rilievo di
multipli infarti corticali ( demenza multinfartuale); pur
tuttavia, negli ultimi anni si sono moltiplicate le prove
dell’esito in demenza della malattia dei piccoli vasi in sede
sottocorticale (demenza vascolareischemicasottocorticale).
Sino a circa 1/3 dei pz con stroke sviluppano una condizione di
demenza nei tre mesi successivi all’evento; tanto accade, in
particolare, in presenza di localizzazione del danno
nell’emisfero sn ‘dominante’ e nei pz più anziani, meno
acculturati con storia di precedente malattia cerebrovascolare
(1). In un lavoro del 1974 Hachinski (2) et al. cercarono di
dimostrare che oltre la malattia di Alzheimer non era l’‘arteriosclerosi
cerebrale’a causare più comunemente negli anziani deficit
cognitivo, bensì la presenza di multipli infarti
cerebrali;sostennero che era molto improbabile che il
progressivo coinvolgimento delle arterie cerebrali ( arteria
cerebrale anteriore, media e posteriore) o delle arterie
maggiori extracraniche da parte dell’aterosclerosiinduca uno
stato di ischemia cronica del cervello tale da
produrre un deterioramento mentale; peraltro, di
già alcuni anni prima Fisher (3), confortato da una lunga
osservazioneclinica, aveva sostenuto che ‘‘cerebrovasculardementiais
a matter of strokes large and small’’. Il rilievodi demenza
multinfartuale di fatto è dovuto il più delle volte ad episodi
trombo- embolici, secondari a malattia delle arterie
extracraniche o cardiaca, e solo raramente a trombosi in situ
dei vasi cerebrali (4).Se responsabile della demenza post stroke
e multinfartuale è la patologia dei grossi vasi cerebrali e del
collo, colpevole della demenza vascolare ischemica
sottocorticale è la malattia dei piccoli vasi, che causa
primariamente in tale sede infarti lacunari e lesioni della
sostanza bianca.In questa forma di demenza si sovrappongono,
quindi, due entità cliniche, entrambe correlate all’insulto
ipertensivo: la malattia di Binswanger, che si presenta
con lesioni ischemiche della sostanza bianca, e lo stato
lacunare ( étatlacunaire), dovuto al rilievodi infarti
lacunari. Gli infarti lacunari (lacune residue di piccoli
infarti di diametro sino a 15 mm) sono di solito dovuti a
processi di sclerosi a danno delle piccole arterie perforanti,
che penetrano nelle strutture cerebrali profonde (ad es., i
nuclei della base, la capsula interna, il talamo, il ponte):
l’ipertrofia della tunica media, le alterazioni fibrinoidi e la
lipoialinosi restringono gradualmente il lume di queste arterie,
ostacolandone il flusso ematico sino all’occlusione.
Quando nelle arteriole dei territori cerebrali sottocorticali si
producono allo stesso modo stenosi critiche -senza chiusura
completa- si ha una ipoperfusione a valle, che crea le
condizioni per un ‘infarto incompiuto’, diffuso della sostanza
bianca (5-6), ovvero per un danno selettivo solo di alcune sue
componenti cellulari (malattia di Binswanger): si osserva
così una perdita di oligodendrociti, che si associa a
degradazione della mielina edanno assonale con attivazione
reattiva della microglia (7). Le due condizioni patologiche, la
demenza di Alzheimer e quella vascolare, spesso nell’anziano
riconoscono meccanismi patogenetici comuni e/o additivi,
interagendo in termini di espressione clinica del deterioramento
cognitivo.
Nel
NunStudy, uno studio longitudinale condotto sull’invecchiamento
presso una Congregazione di suore con età tra i 75 ed i 102
anni, si è rilevato che quando alla presenza nella corteccia
cerebrale di lesioni neuropatologiche tipiche del morbo di
Alzheimer, placche senili e grovigli neurofibrillari, si
accompagna il reperto anche solo di 1o 2 infarti lacunari in
sede sottocorticale la prevalenza di demenza aumenta in modo
significativo, ancor più rispetto al rilievodi ampi infarti
corticali (8). Questo studio indica che anche piccoli infarti
in regioni strategiche del cervello possono essere sufficienti a
precipitare nella demenza soggetti resi di già vulnerabili dalla
presenza nella neocorteccia di lesioni neuropatologiche ‘tipo
alattiadiAlzheimer’Peraltro, poiché la prevalenza di entrambe
queste condizioni patologiche incrementa con l’età,un numero
significativo di soggetti anziani può sviluppare demenza come
conseguenza di entrambe le malattie( demenza mista).
Sino ad alcuni anni fa tali condizioni patologiche venivano
considerate oltre che distinte anche indipendenti.Di recente,
come già accennato,ha guadagnato terreno il concetto che i
fattori di rischio per l’aterosclerosi sianoanche fattori di
rischio per la malattia di Alzheimer.Alcuni di questi sono
modificabili e, quindi, di particolare interesseperché
attraverso il loro controllo si può influenzare non solo il
decorso della malattia vascolare -come già noto-, ma persino di
quella degenerativa.Per quattro di questi fattori di rischio,
diabete tipo 2, ipertensione arteriosa, ipercolesterolemiae
infiammazione, sono stati condotti studi epidemiologici
longitudinali, che hanno evidenziatola loro associazionead un
incrementodel rischio di deficit cognitivo e di demenzaanche
del tipo di Alzheimer. Nel 2005 Cukierman et al. ( 9)hanno
pubblicato una review sistematica degli studi condotti in
pazienti con diabete di tipo 2, che valutavano la
funzione cognitiva all’inizio e durante il follow-up; in questa
review i soggetti con diabete di tipo 2, quando posti a
confronto con i soggetti non diabetici, avevano 1.2 volte più
probabilità di andare incontro a declino cognitivo ed 1.6 volte
più probabilità di svilupparesuccessivamente nel tempo una
demenza.Nel Rotterdam Study il diabete mellitoquasi raddoppia
durante un periodo di follow-up di 2 anni il rischio di demenza,
per lo più di malattia di Alzheimer (10)Come spiegare
l’associazione tra diabete e declino
cognitivo?
Innanzitutto, il diabete è associato con malattia
micro e macrovascolare, che abbiamo visto incrementareil rischio
di deterioramento cognitivo e di demenza.Sappiamo ancora che tra
gli effetti correlati con l’iperglicemia cronica vi è la
glicazione non enzimatica delle proteine esposte agli zuccheria
formare i cosiddetti AGE ( advancedglycation end products): gli
AGE si generano più velocemente nell’anziano diabetico epossono
contribuire alla formazione nel cervello di placche di
beta-amiloide e grovigli neuro fibrillari (11).L’ipertensione
è stata identificata come il fattore di rischio maggiore per lo
sviluppo di tutti i tipi di demenza in molteplici studi
epidemiologici prospettici.
Tuttavia,
alcuni studi non confermano questa relazione o rilevano persino
che,se valori elevati di pressione arteriosa sistolica si
associano ad un aumento del rischio di demenza, allo stesso modo
una eccessiva riduzione dei valori della pressione diastolica
-soprattutto in presenza di farmaci antipertensivi- si correla
alla comparsa della malattia di Alzheimer, suggerendo la
possibilità di una relazione ad U tra pressione sanguigna e
senno; occorre ricordare a tal proposito che con l’età,mentre la
pressione arteriosa sistolica incrementa, la pressione arteriosa
diastolica si riduce e tanto accade nell’anziano a causa
dell’incremento dell’abnormalaorticstiffnessa seguito
dello spargersi dell’aterosclerosi:ritorna il link tra lesione
vascolaredemenza(12).Nello studio longitudinale condotto negli
anni ’90 dagli psichiatri di Goteborg su anziani ipertesi lapressione
sanguigna, elevata all’inizio dello studio, diminuiva negli anni
che precedevano l’insorgenza della demenza; rimaneda
chiarire in che misura il calo della pressione sanguigna prima
dell’esordio della demenzasia una conseguenza piuttosto che una
causa della comparsa della malattia
cerebrale(13).
L'Honolulu–Asia AgingStudy (HAAS) è il primo studio
longitudinale a mostrare chela presenza di elevati livelli di
pressione del sangue nella mezza età ( < 69 anni)è predittiva
della comparsa di demenza nell’età senile ( > 70 anni):quasi
4000individui ( giapponesi- americani) di età compresa tra i 45
ed i 68 anni sono stati seguiti per26 anni, rilevando una forte
associazione tra ipertensione( PA > 160/95 mmHg ) non trattata
in età adulta ed entrambi i tipi di demenza, vascolare e di
Alzheimer, nell’età senile.
Nell’Uppsala
LongitudinalStudy la pressione arteriosa, rilevata in
individuiall’età di 50 anni,nel corso del follow-up successivo
durato 40 anni si è associatapositivamente sia con la demenza
vascolare che mista, non con quella di Alzheimer
(15). Nel soggetto iperteso
è senza dubbio la malattia cerebro-vascolare la causa maggiore
di incremento del rischio di declino cognitivo e di demenza.Il
meccanismo attraverso il quale l’ipertensione arteriosa
contribuisce allo sviluppo ed alla progressione del danno
cerebrovascolareè duplice (16): da un lato è responsabile di
lesioni vascolari macroscopiche, quali infarti-sia sintomatici
che silenti (17) - o emorragie cerebrali, dall’altro determina
lesioni vascolari microscopiche; tipicamente queste ultime
lesioni riguardano le piccole arterie perforanti, che penetrano
nelle strutture cerebrali profonde( angiopatia
ipertensiva).
Lo studio prospettico condotto nella popolazione delle
cittadineKuopio e Joensuunella Finlandia orientale ha rilevato
che gli adulti ipertesi presentavano più frequentemente da
vecchi la malattia di Alzheimer (18). Tale dato trovava
conforto nei risultati della ricerca condotta nei
giapponesi-americani,arruolati nel HAAS,sulle possibili
relazioni tra i livelli della pressione arteriosa durante la
mezza età e la presenza nel cervello all'autopsia di grovigli
neurofibrillari (NFT) e placche neuritiche (NP):la elevata
pressione sistolica in età adulta si associava con un maggior
numerodi NP nella neocorteccia e nell'ippocampo, la elevata
pressione diastolica conun maggior numero di NFT
nell’ippocampo. Tali risultati stavano ad indicare che oltre
all'associazione scontata con le lesioni cerebrovascolari
l’ipertensione mostrava una relazione diretta con le lesioni
microscopiche degenerative tipiche della malattia di Alzheimer
(19).
Nei cittadini di Kuopio e Joensuu veniva rilevato che anche la
presenza di ipercolesterolemianella mezza età si
associava alla comparsa di malattia di Alzheimer nella vecchiaia
(18). Tale associazione ha suscitato
particolare interesse perché la principale proteina ‘carrier’del
colesterolo nel cervello è rappresentata dalla apoE, il cui
allele apoE-4 è un marker di aumentato rischio sia di
ipercolesterolemia sia di malattia di Alzheimer (20):la isoforma
apoE4 promuovela deposizione di amiloide , maggior componente
delle placche neuritiche ( NP) e la fosforilazione della
proteina maggior componente dei grovigli neurofibrillari (NFT).
Gli effetti del colesterolo sulla demenza possono, peraltro,
essere mediati dal danno vascolare aterosclerotico con
disregolazione del flusso arterioso cerebrale sino alla
ipoperfusione(21).L’alterata produzione di energia nel cervello,
secondaria alla ipoperfusione, stimola l’enzima BACE 1 ( beta-
site amyloid precursor protein-cleavingenzyme) a promuovere la
produzionedi amiloide ed a modulare la iperfosforilazionedell’aproteinaAd
oggi, pur tuttavia, sono ancora insufficienti gli studi sulla
interazione tra colesterolo, genotipo apoE e malattia di
Alzheimer. Nell’ABC study ( Aging and
Body Composition) i soggetti con sindrome metabolica ed elevati
livellidei markers dell’infiammazione (IL-6 e PCR)
andavano incontro adun maggior deterioramento cognitivo rispetto
a quelli con sindrome metabolica e bassi livellidei markers
dell’infiammazione(23). Una recente metanalisi (24) di studi
osservazionali,che hanno investigato l’associazione tra markers
dell’infiammazione e rischiodi demenza, ha rilevato che livelli
più alti di PCR e di IL-6si accompagnano rispettivamente con un
incremento del rischio di demenza del 45% e del 32 %; quando è
stato ricercato solo il link con la malattia di Alzheimer, non
si è evidenziataalcuna correlazione con la IL-6 e si è osservato
un aumento del rischio soltanto del 21% in presenza di livelli
piùaltidiPCR. Pur tuttavia, le citochine, le proteine della
fase acuta della infiammazione ed i loro recettori sono
sovraespressi nel cervello dei malati di Alzheimer accanto
all’abbondanza di microglia, attivata nelladifesa immunitaria.E’
verosimile che la presenza di ‘ low grade inflammation’
sistemica, correlata alla comparsa di malattia cardiovascolare
(25), può a sua volta agire come trait d’union e contribuire al
danno cerebrovascolare, riscontrato nella demenza di
tipodegenerativo. Prove crescenti, difatti, si stanno
accumulando ad indicare che la malattia di Alzheimer è una
malattia vascolare con conseguenze neurodegenerative piuttosto
che un disturbo neurodegenerativo con conseguenze
vascolari(26).Le evidenze qui riportate ed altri lavori indicano
una forte associazione oltre delle demenzevascolari, anche
dellamalattia di Alzheimer con i fattori di rischio
cardiovascolare: l’ipoperfusione cerebrale sembra essere l’elementocentrale
dimediazione.Su questa linea interpretativa si comprendeperchè
la disfunzione sistolicadel ventricolo sn,che riduce
ulteriormenteil flusso cerebrale, comprometta ancor piùle
capacità mentali, l’attenzione e la memoria del soggetto anziano
(27).Al momento attuale, comunque, i dati raccolti
sullacorrelazione tra scompenso cardiaco e demenza non sono
conclusivi ed ideficit cognitividescritti possono essere legati
anche ad eventuali cofattori come la fibrillazione atriale ed
il potenziale danno ischemico cerebrale associato a tale
aritmia (28).
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