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FRAGILITA’,DECLINO COGNITIVO,

 DIFFERENZE DI GENERE

 

●   L ‘Anziano e il Grande Anziano con Malattia Cardiovascolare

 in medicina generale

 

● Malattia  Cardiovascolare e Fragilità

nell’ Anziano e Grande Anziano

 

● Malattia Cardiovascolare e declino cognitivo

nell’Anziano e nel Grande Anziano

 

●  Anziani e Grandi Anziani, Malattia Cardiovascolare e Nursing: differenze di genere

 

● Malattia Cardiovascolare, Anziani e Grandi  Anziani:

 problematiche medicolegali e differenze di genere

 

 

L ‘anziano e il grande anziano

con malattia cardiovascolare 

 in Medicina generale

 

Luigi  Di Gregorio, Mmg

Cooperativa Medica “Parmenide” - Vallo d. Lucania

 

           

Premessa

La nuova situazione demografica che sta evolvendo ormai da anni, deve far  riconsiderare la «definizione» stessa  di anziano, non già in base all’età anagrafica, ma  piuttosto sugli anni di vita attesi, quegli anni che potenzialmente ogni  persona potrà vivere. Confrontando le differenze di mortalità tra gli anni ’80, ’90 e 2000 gli anziani di età >65 anni hanno guadagnato 14 anni di vita in media. Ancora oggi però la malattia cardio-vascolare rappresenta la prima causa di morte nei pazienti anziani ed occupa il  terzo posto tra le malattie croniche che portano alla disabilità. Il processo di invecchiamento provoca di per sé profonde modificazioni nella funzione cardiaca; anziani e «grandi» anziani hanno spesso una funzionalità cardiaca compromessa, e  spesso è difficile distinguere le alterazioni dovute al normale invecchiamento da quelle secondarie ad una vera e propria malattia.

La malattia cardio-vascolare nell’anziano

Si calcola che ad 80 anni un individuo su 5 abbia una malattia coronarica sintomatica. Le malattie cardiache, oltre a ridurre l’aspettativa di vita, ne alterano la qualità con sintomi in generale caratterizzati da difficoltà nel compiere anche piccoli sforzi per dispnea, angina, astenia o aritmie e complicanze di tipo neurologico. I tempi di invecchiamento variano da individuo ad individuo e le ripercussioni sul funzionamento globale del cuore si sommano all’effetto di patologie come la malattia coronarica, le alterazioni delle valvole cardiache, l’ipertensione arteriosa, le alterazioni del ritmo cardiaco, più comuni con l’età.

Conoscere i meccanismi che sono alla base dell’invecchiamento del sistema cardiovascolare è molto importante nell’ottica di produrre interventi sempre più efficaci per la prevenzione, la diagnosi precoce e l’adeguato trattamento per migliorare la qualità della vita degli anziani e, nello stesso tempo, controllare i costi della spesa sanitaria. L’invecchiamento della Popolazione ha modificato complessivamente lo scenario di riferimento attraverso l’aumento delle patologie cronico-degenerative che determinano maggiori bisogni per particolari fasce di popolazionee determinano la necessità di una maggiore conoscenza e di interventi sempre più mirati.

Gli interventi socio-sanitari

La complessità degli interventi richiederebbe una sempre maggiore integrazione fra Ospedale e Territorio alla luce del crescente declino delle risorse e di un conseguenziale riequilibrio tra efficacia ed efficienza delle prestazioni e costi di gestione.

Una nuova e diversa distribuzione della spesa è imposta dai costi elevatissimi dell’assistenza al malato cronico ed anziano, da alcuni anni all’attenzione dei Servizi sanitari di tutto il mondo. Una riorganizzazione dei servizi socio-sanitari deve passare attraverso tappe non più derogabili per arrivare ad un’assistenza che abbia il carattere della continuità nel tempo e che sia incentrata sul concetto di riabilitazione e di recupero (almeno parziale) delle funzioni perdute ed orientata alla prevenzione del decadimento psico-fisico e del troppo frequente e facile ricorso alla ri-ospedalizzazione.Si ripropone ormai da tempo immemore la realizzazione di un sistema integrato che offra ad anziani e grandi anziani un’assistenza a domicilio coordinata dal Medico di Medicina generale e che possa utilizzare il supporto di professionalità diverse ed una diagnostica di primo livello. Non la tanto discussa ospedalizzazione domiciliare ma quell’assistenza domiciliare integrata che stenta a decollare più per ritardi e difficoltà di tipo burocratico che per i costi che sarebbero assolutamente competitivi rispetto al protrarsi “sine die” di ricoveri impropri o al ricorso, altrettanto dispendioso alle cosiddette “residenze protette”.

L’anziano in ospedale

Il problema del ricovero in ospedale del paziente anziano affetto da malattia cardiovascolare rappresenta uno degli aspetti più rilevanti per quanto concerne l’utilizzo dei servizi sanitari, e non è stato, a tutt’oggi, adeguatamente affrontato né risolto e la discussione se l’ospedale rappresenti realmente la risposta più adatta ai bisogni di salute di questa fascia di popolazione è lungi dall’aver identificato una soluzione definitiva. Studi multicentrici recenti individuano nel 75%  la percentuale dei pazienti ultra-settantacinquenni che all’atto della dimissione presentano maggiori problemi di autosufficienza e, per la maggior parte dei casi, tale peggioramento non è attribuibile all’evoluzione della malattia che ha portato all’ospedalizzazione. Facendo mente locale su tale riscontro, emerge che la durata della degenza assume un ruolo determinante: essa deve essere la più breve possibile anche se molto spesso ad un alto livello di competenza dello staff assistenziale non corrisponde  la medesima qualità nell’organizzazione generale delle strutture. In effetti sulla durata della degenza incide in maniera determinante la necessità delle procedure diagnostiche da adottare e la loro disponibilità in tempi rapidi. Il numero delle indagini e la velocità con le quali possono essere effettuate è infatti uno dei fattori primari responsabili della durata della permanenza dell’anziano in ospedale. Un ulteriore aspetto che condiziona le complicanze ospedaliere concerne gli atteggiamenti assistenziali adottati nel corso della degenza: nella maggior parte dei casi i pazienti anziani non necessitano di rimanere a letto durante la giornata ma la carenza ormai storica del Personale non consente di dedicare il tempo dovuto alle sue esigenze motorie ed il degente  finisce per subire gli effetti di lunghi ed ingiustificati allettamenti a scapito della sua capacità di movimento e con il rischio concreto ed incombente di lesioni da decubito.

Ed allora è opportuno riconsiderare la necessità di trasferire questi Pazienti al loro domicilio, di restituirli all’affetto ed alle cure della Famiglia senza abbandonare quelle pratiche cliniche che, finora, sono appannaggio della sola assistenza Ospedaliera. L’Anziano, per la sua condizione di “fragilità” si sente continuamente emarginato dalle dinamiche sociali del mondo che lo circonda e vive, pertanto, una condizione di difficoltà; il letto di una corsia ospedaliera, circondato da altra sofferenza, non è certo il rimedio ideale per i suoi mali. Ma una volta dimesso si apre un altro scenario che mette a nudo le difficoltà e le contraddizioni di un Sistema in cui per troppi anni ha prevalso una concezione ospedale-centrica a scapito delle cure domiciliari. In questa particolare condizione, infatti,  lo scollamento fra Strutture di diagnosi e cura e un sistema di assistenza territoriale diviene acutamente percepibile. Da una parte l’ospedale orientato ad assicurare risposte risolutive per condizioni acute o che richiedono tecnologie e conoscenze specialistiche da erogare in tempi limitati e che possono essere sostenute economicamente solo assicurando il maggior turnover possibile dei pazienti; dall’altra parte la Medicina del territorio, faticosamente orientata a provvedere ad un’ampia gamma di interventi di lungo periodo, difficilmente scomponibili nei loro diversi aspetti socio-sanitari; in mezzo la famiglia, che, in queste occasioni, scopre che in casa non sussistono le condizioni per l’assistenza al congiunto (nella migliore delle ipotesi, i genitori lavorano e i figli vanno a scuola; nella peggiore a casa c’è solo un coniuge, anziano anche lui, o non c’è nessuno) e che l’unico collante possibile fra gli interventi delle istituzioni chiamate ad intervenire, ciascuna con i propri compiti, le proprie esigenze e la propria organizzazione, è rappresentato da una forma di collaborazione ed integrazione non facilmente realizzabile. E quando tale integrazione non si realizza il risultato è rappresentato da una frammentazione di interventi non articolati, incoerenti o addirittura contradditori, che incidono negativamente sullo stato di salute della persona, sulla qualità delle relazioni, sul benessere della famiglia e sul consumo di risorse.

«Le persone anziane stanno male perché si ammalano e non perché sono invecchiate, quando si ammalano hanno più malattie, hanno una enorme potenziale di recupero e, fondamentalmente, sono più felici e più sane se possono vivere nella propria casa, se questa è messa sistemata in modo a loro adeguato»

Il ruolo del Medico di medicina generale

In Italia il problema è stato gestito a livello regionale, declinato differentemente per modalità, tempistica ed organizzazione, ma orientato comunque al perseguimento della riqualificazione del processo delle dimissioni ospedaliere e della continuazione delle cure sul territorio. Purtroppo le differenze con la nostra realtà Regionale e Provinciale continuano ad essere enormi: il condizionamento del clamoroso disavanzo non rende possibili investimenti che pure sarebbero “virtuosi” in quanto determinerebbero un più razionale ed economico impiego di personale, attività e risorse. In altre realtà si stanno sperimentando strutture organizzative e funzioni nuove quali i “centri interaziendali per la continuità ospedale-territorio”, i “servizi di continuità delle cure”, i “coordinatori di percorso”, i “punti unici di accesso” e la stipula di protocolli operativi frutto della concertazione fra ospedali e distretti sanitari.

Chi sopravvive ad un evento cardio-vascolare acuto  diventa un malato cronico. La malattia modifica la qualità della vita e comporta notevoli costi economici per la società. In Italia la prevalenza di cittadini affetti da invalidità cardiovascolare è pari al 4.4‰ (dati ISTAT, Istituto Superiore di Sanità, 1980-2002). Il 24.5% della spesa farmaceutica italiana (pari all’1.34 del prodotto interno lordo), è destinata a farmaci per il sistema cardiovascolare.

Il Mmg che prende in carico anziani e grandi anziani cardiopatici, magari reduci da un evento acuto, dovrà confrontarsi con una realtà peculiare, perché tali sono i bisogni e le necessità. Il primo obiettivo sarà quello di tenere sotto controllo i parametri cardio-vascolari, sorvegliare sulla regolare assunzione dei farmaci, verificare le necessità di controlli specialistici, valutare anche le necessità di tipo socio-economico in collaborazione con la famiglia che, in questi casi, svolge un compito insostituibile, in alcuni casi maggiormente produttivo della stessa terapia farmacologica. Di fondamentale importanza la sorveglianza sui fattori di rischio ancora più stringente per l’età e per i precedenti anamnestici. Studi epidemiologici hanno dimostrato che la maggior parte dei fattori di rischio cardio-vascolare continua ad esercitare un’influenza sfavorevole anche in età avanzata.  Il controllo dei fattori di rischio è efficace nel soggetto anziano per la riduzione del rischio di ricadute e recidive, particolarmente quando questo avviene attraverso modificazioni dello stile di vita. Anche l’uso appropriato dei trattamenti farmacologici, tenendo conto delle specificità del soggetto anziano (in termini di tollerabilità, co-morbilità e rischi di interazioni) è di fondamentale importanza. In generale la coesistenza di più fattori di rischio cardiovascolare è un elemento moltiplicativo e non solo additivo del rischio anche nell’anziano.

Al di là dei compiti di natura clinica, compito imprenscidibile del Mmg è la  funzione di educatore e di comunicatore; un adeguato “counselling” rivolto sia al malato che alla famiglia è parte integrante del suo ruolo. A maggior ragione quando si ha a che fare con persone fragili come gli anziani di cui bisogna cogliere non solo i bisogni sanitari ma anche, e in molti casi soprattutto, l’aspirazione di sentirsi parte integrante della società in cui vive. Ecco l’importanza di collaborare con la famiglia cercando di

ü  realizzare un ambiente stimolante in grado di favorire la conservazione delle capacità cognitive,

ü  operare con l’obiettivo di modificare gli atteggiamenti e comportamenti negativi propri dell’età e

ü  promuovere e sperimentare nuovi stili di vita  (diete ipocaloriche, a basso contenuto di colesterolo, povere di sale, ricche di calcio; cessazione del fumo e riduzione del consumo di bevande alcooliche)

ü  informare sulle condizioni di rischio  e di “protezione” delle malattie da cui l’anziano è affetto

ü  educare ad un’attività fisica regolare (con effetti positivi sulla massa muscolare, sul mantenimento del peso ideale, sul miglioramento della massa ossea, ecc)

ü  attivare ogni meccanismo capace di prevenire gli incidenti domestici anche con l’eliminazione di ogni possibile barriera architettonica

ü  imporre la necessità della vaccinazione anti-influenzale

ü  ovviare con la maggiore attenzione possibile alla sedentarietà

ü  creare le condizioni perché, anche a domicilio, si possano realizzare programmi concreti di riabilitazione neuro-motoria

ü  stimolare  le capacità individuali e le abilità manuali

 

Questo è ciò che si “dovrebbe” fare, ma poi nella vita professionale di tutti i giorni affiorano le difficoltà e le incongruenze poste dal sistema. Il Mmgpossiede  i requisiti per dedicarsi con tutta la professionalità e le doti umane di cui dispone a questo compito, egli “dovrebbe” rivestire quel ruolo che gli compete nella cura domiciliare degli anziani, dei disabili e degli emarginati se solo gliene fosse offerta la possibilità, ma il condizionale è d’obbligo perché, già da troppi anni, egli è diventato il terminale di richieste aziendali sempre più pressanti sul piano burocratico e, con il tempo, il carico è diventato davvero insostenibile. Non a caso i Corsi di formazione della Medicina generale vedono sempre meno Colleghi disposti ad intraprendere questa pur straordinaria attività e già si profila la triste prospettiva di qualche milione di persone che, in futuro molto prossimo, non potranno più contare su un Medico di famiglia.

C’è bisogno di una clamorosa inversione di tendenza. La Medicina in associazione rappresenta la nuova frontiera dell’assistenza primaria sul territorio, ma nonostante i programmi di gestione più sofisticati, il quotidiano ricorso al web, la digitalizzazione dei dati,  la semplificazione informatica di tante procedure, la comunicazione in rete, il tempo è sempre tiranno e dedicarlo al management dei malati cronici soprattutto anziani, diventa impresa sempre più improba.

Se e quando torneremo ad essere “Medici di famiglia” arricchiti di tutte le tecnologie informatiche di cui già disponiamo, allora potremo creare condizioni di maggiore attenzione per la nostra vera “mission”, quella di assistere e curare le persone presso il proprio domicilio circondati dall’affetto e dalle attenzione dei loro familiari.

Se e quando….