quando, perche’ e come dimettere

 il paziente dall’ UTIC

 

Sergio Severino,Chiara Sordelli, Carlo Pisacane,Salvatore Comenale, Luigi Ascione e Pio Caso

Unità Operativa Complessa di Cardiologia—UTIC

Azienda dei Colli (plesso ospedaliero Monaldi) Napoli

 

Introduzione

L’istituzione delle Unità Coronariche nei primi anni ’60 ha consentito di dimezzare la mortalità per infarto miocardico acuto (dal 30 al 15%). Nel 1962 il dott. Julian apre a Sidney  il primo reparto dedicato ai pazienti con infarto miocardico acuto, gestito da medici e paramedici capaci di eseguire la RCP, e dotato di sistemi per il monitoraggio continuo del ritmo cardiaco e di defibrillatori.

Nel 1962 il dott. Ray negli Stati Uniti conia il termine di  “Coronary Care Unit “.Nel 1964 si apre la prima CCU in Europa (Royal Infirmary). Nel 1967 presso gli Ospedali San Camillo di Roma (Direttore Prof.Puddu) e Niguarda di Milano (Direttore : Prof.Rovelli) vengono aperte le prime due UTIC Italiane;pochi mesi dopo all’Ospedale Pediatrico Pausilipon di Napoli (Direttore Prof.Marsico)  viene inaugurata la prima UTIC del  Sud Italia.

Un ulteriore sviluppo al trattamento dell’infarto miocardico viene dato dalla trombolisi negli anni ’80 e dalla rivascolarizzazione meccanica con angioplastica coronarica negli anni 90’ (con ulteriore riduzione della mortalità (7-4%)

 

L’evoluzione delle UTIC

Mentre inizialmente pressocchè la quasi totalità dei pazienti ricoverati nelle UTIC erano affetti da infarto miocardico acuto, negli ultimi anni è aumentata la percentuale di pazienti con angina instabile , insufficienza cardiaca acuta, artimie ventricolari (studio ANMCO EARISA ,  GIC 1997) con trasformazione delle UTIC  in Terapie Intensive Cardiologiche. E’ cambiata poi    l’età (sempre piu’ avanzata) e la complessità dei pazienti , in cui spesso coesiste  comorbilità cardiovascolare (fibrillazione atriale,pregresso infarto del miocardio,pregressa rivascolarizzazione etc) e non (diabete mellito,insufficienza renale,insufficienza respiratoria,sepsi etc) . Nonostante i grandi risultati ed i progressi  della terapia farmacologica e riperfusiva meccanica , almeno un terzo di pazienti con infarto miocardico acuto (ora meglio definita come  Sindrome Coronarica Acuta, SCA) non riceve alcun trattamento riperfusivo (né meccanico né farmacologico)perché o non raggiunge l’Ospedale o vi giunge troppo tardi.

Si è compreso quindi che il ruolo delle moderne  UTIC  è di nodo fondamentale di una complessa rete per l’emergenza cardiologica di cui fanno parte il 118 ed i dipartimenti di emergenza . A tal proposito si  distinguono  le UTIC “ Hub” che sono prevalentemente orientate a garantire la qualità delle strategie di riperfusione e la gestione delle complicanze piu’ temibili  dell’infarto mentre le UTIC “ Spoke” distribuite piu’ capillarmente sul territorio sono  preposte alla gestione delle emergenze cardiovascolari. L’obiettivo finale è avere una UTIC ad alta tecnologia (high- tech) ed a  elevata flessibilità , capace di assolvere al duplice compito di assicurare per i pazienti con SCA una strategia invasiva precoce ( con breve assistenza intensiva e rapido trasferimento in reparto di degenza ordinaria) mentre per i pazienti  con insufficienza   ventricolare sinistra, programmare una strategia multi competenza protratta con lunga assistenza intensiva.

In conclusione le UTIC moderne dovrebbero  avere tre caratteristiche:

1)                  Essere inserite in un contesto di rete per l’emergenza  (“ plugged UTIC”)

2)                  Essere dotate di una strumentazione completa e di alto livello in tutti i presidi (“high tech” UTIC)

3)                  Utilizzare adeguate competenze specifiche mediche ed infermieristiche secondo programmi definiti (“high touch” UTIC)

 

Il futuro delle UTIC

Si sta delineando una nuova organizzazione ospedaliera a 3 livelli definita “per intensità di cure” che vede inserite le UTIC nel contesto delle terapie intensive e sub-intensive ad accesso urgente (1° livello) dove vengono trattate le reali condizioni di instabilità clinica. Il 1° livello deve essere centralizzato e polivalente (coinvolgendo le tradizionali unità intensive specialistiche cardiologiche,respiratorie,nefrologiche etc) logisticamente disposto al pian terreno e con chiara definizione delle competenze per ottenere appropriatezza ed efficienza delle risorse. L’obiettivo sarebbe appunto di evitare lo spreco di risorse che vede degenze inappropriate in terapia intensiva per pazienti che necessitano solo di monitoraggio (> 30-35% delle giornate in UTIC). Nelle  moderne UTIC (almeno nelle “hub”) dovrebbero essere presenti (e gli operatori saper gestire) i respiratori meccanici (incluso la CPAP,una macchina per 2 letti) i sistemi di assistenza meccanica al circolo (contropulsatore aortico,IABP,uno per  3 letti ) le apparecchiature per l’emodialisi e l’emofiltrazione e cosi’ via.

Al cardiologo viene richiesta una competenza clinica multidisciplinare  (pneumologia,nefrologica,diabetologia,rianimazione etc) e tecnica (ultrafiltrazione,infusione di insulina etc)e soprattutto una spiccata flessibilità per interagire con altre figure professionali dell’Ospedale e della Rete.

 

Dimissione dall’UTIC

Alla luce di quanto esposto si comprende come la dimissione dall’UTIC dipende essenzialmente dalla nuova organizzazione che privilegia la alta intensità di cure per i pazienti con SCA solo per il tempo pre ed immediatamente post-procedura di rivascolarizzazione meccanica per i pazienti non complicati e definiti a rischio non elevato. Diviene quindi decisiva ai fini della dimissibilità l’identificazione di fattori di rischio che qualificano il paziente a “rischio elevato”.Tra i determinanti prognostici di rischio vi sono :

1)insuccesso o complicanze della procedura di angioplastica .Tra queste ricordiamo la trombosi acuta dello stent evenienza molto rara (< 1%) grazie al pretrattamento con il carico di farmaci quali clopidogrel o prasugrel e recentemente ticagrelor e relativamente più frequente in caso di lesioni lunghe,stent piccoli o dissezioni non coperte. Il trattamento prevede un re- intervento di PTCA ,una trombolisi e/o infusione di 2b/3a o l’impiego di sistemi di trombo aspirazione.

Vanno infine comprese le complicanze vascolari Post-PTCA quali l’ematoma retro peritoneale, la fistola AV e lo pseudo aneurisma

2)la disfunzione contrattile severa (ad es. FE < 35%) che puo’ richiedere l’impiego del contro- pulsatore aortico e di farmaci inotropi fino alla stabilizzazione del paziente

3)patologia multi-vasale che puo’ richiedere una strategia che vada oltre il trattamento della culprit- lesion.

4)il diabete mellito che richiede una attenta e spesso difficile ottimizzazione della glicemia attraverso l’utilizzo di pompe di insulina, e l’ età avanzata che spesso si associa a comorbilità.

Allo scopo di determinare nel singolo paziente il profilo di rischio e prevedere l’outcome condizionante la dimissione protetta possono essere utilizzati degli score che considerando i diversi fattori di rischio elaborano una probabilità di eventi che condiziona la scelta di dimissione dalla UTIC. Uno dei più utilizzati è lo Zwolle Risk-Score che predice la mortalità a 30 giorni .Lo studio ANMCO Blitz 4 ha fotografato recentemente la numerosità di eventi avversi nelle UTIC italiane in pazienti ricoverati per SCA (STEMI e NSTEMI).

 

Conclusioni

Alla luce dei nuovi modelli organizzativi che vedono la degenza dei pazienti con infarto miocardico acuto in reparti di Terapia intensiva Polispecialistica ad alta intensità di cure si prevede una degenza sempre più breve (se non addirittura la delocalizzazione in reparti sub intensivi per quei pazienti che necessitano di solo osservazione e monitorizzazione post-procedura di PTCA).I pazienti non complicati (ed a score basso)andrebbero  comunque dimessi  entro le 48-72 ore. Per tutti gli altri pazienti con infarto complicato o a rischio medio-alto e per quei pazienti non affetti da IMA ma con insufficienza ventricolare sn è assolutamente non determinabile a priori  la durata della degenza in considerazione della variabilità della risposta ai trattamenti intensivi e la numerosità di fattori cardiologici e non condizionanti la prognosi a breve termine.

 

Bibliografia

 

1)Killip T III,Kimball JT : Treatment of Myocardial Infarction in a Coronary Care Unit: a two year experience with 250 patients. Am J Cardiol 1967;20:457-460

 

2)ANMCO/EARISA.Epidemiologia ed assorbimento risorse per ischemia , scompenso ed angina .GIC 1997

 

3) Katz JN et al.Trends in CCU Comorbities and terapie 1996 to 2006. J Am Coll Cardiol 2007

 

4)T.Y Hasin,N Danchin,G S Filippatos et al, Recommendations for the structure,organization and operations of intensive cardiac care units.European Heart Journal 26,1676-1682,2005