il paziente CON scompensO CARDIACO
Luigi Di Gregorio
Vallo della Lucania
1.LA GESTIONE TERRITORIALE DELLO SCOMPENSO
Nei Paesi Occidentali lo scompenso cardiaco rappresenta un problema assistenziale ed economico rilevante per il numero crescente di pazienti affetti da questa sindrome e per la sempre maggiore complessità del suo trattamento.
In Italia ci sono 1 milione di persone affette da scompenso cardiaco. In oltre il 30% dei casi i pazienti hanno più di 65 anni e la maggiore causa di questa patologia risulta essere la cardiopatia ischemica.
170 mila sono i ricoveri all’anno(dati del Ministero Salute).
L’incidenza dello scompenso è di un nuovo caso all’anno ogni 1000 abitanti.
Lo scompenso cardiaco è, pertanto, una delle malattie a più alta rilevanza sociale e, per certi aspetti lo si potrebbe definire come un “effetto indesiderato” del miglioramento delle cure e della aumentata sopravvivenza dalla cardiopatia ischemica in particolare, e da prolungamento della vita in generale. I dati di prevalenza (dallo 0,4 al 2%) nella popolazione generale, i dati relativi agli accessi ambulatoriali e domiciliari per tale patologia delineano un campo di pertinenza proprio della Medicina Generale, ma al tempo stesso i dati relativi ai ricoveri ospedalieri e le riospedalizzazioni a breve, nonché il numero di controlli ambulatoriali specialistici (con o senza indagini strumentali e/o di laboratorio ad esse connessi), ci dicono che molto resta da fare per individuare un corretto percorso assistenziale fra territorio e ospedale per il miglior governo clinico dello SC.
In questo scenario emerge la necessità che la Medicina Generale si prepari ad affrontare nuovi compiti assistenziali, e che pertanto proceda a una ricognizione della rilevanza epidemiologica, delle caratteristiche cliniche e del profilo di cura dei pazienti con scompenso cardiaco e si doti di strumenti per valutare e migliorare la pratica professionale e la qualità dell’assistenza.
2. IL MANAGEMENT DELLO SCOMPENSO CARDIACO IN MG
Per rispondere a queste necessità, diventa cruciale il ruolo del Medico di Medicina Generale e del “nursing” cardiologico territoriale (assolutamente poco rappresentato nella realtà sanitaria nazionale). Numerosi studi hanno infatti dimostrato che per migliorare l’aderenza alla terapia e l’adesione alle norme igienico-dietetiche e per intercettare tempestivamente lo scompenso cardiaco in ambito territoriale, fondamentale importanza assumono gli interventi organizzati e coordinati del Medico di Medicina Generale, supportato da Personale Infermieristico, adeguatamente formato, i cui compiti si possono così sintetizzare:
Ø Prendersi carico dei pazienti alla dimissione o dopo la prima visita ambulatoriale specialistica
Ø Rinforzare la comunicazione medica relativa alla patologia cardiaca
Ø Informare il paziente della programmazione terapeutica formulata dallo specialista ospedaliero
Ø Occuparsi dell’educazione sanitaria di paziente e familiari (riunioni di gruppo, materiale informativo, diario per il paziente, informazioni sulla dieta, attività fisica, rianimazione cardio-polmonare di primo soccorso)
Ø Sottolineare l’importanza dell’aderenza alla terapia, rinforzarla e verificarla
Ø Insegnare e stimolare l’autogestione
Ø Supportare gli aspetti gestionali-organizzativi (gestione degli appuntamenti, controllo e comunicazione dei referti degli esami ematochimici e strumentali, ecc)
Ø Controllare il training fisico (esecuzione e livello), quando indicato
Ø Raccogliere periodicamente ed all’occorrenza dati clinici telefonici seguendo una scheda predisposta
Ø Essere disponibile al contatto diretto con il paziente
Ø Riconoscere i sintomi, valutare i referti degli esami ematochimici, dimensionare il problema, dare adeguata risposta, giudicare la necessità di una consultazione cardiologica o di altro provvedimento
Ø Suggerire cambiamenti di posologia di alcuni farmaci
Ø Fornire i numeri e le indicazioni necessarie per le chiamate di emergenza.
Tutto ciò dovrebbe consentire un ulteriore razionalizzazione ed ottimizzazione dell’uso del ricovero ospedaliero stabilendo e concordando criteri di ricovero, di dimissione e di “sorveglianza” del paziente in assistenza domiciliare al fine di ridurre sia i ricoveri ripetuti che la degenza media dei pazienti, rispetto a questo problema è decisivo focalizzare l’attenzione su due punti:
1) la prevenzione dei fattori di instabilizzazione emodinamica;
2) la deospedalizzazione in fase stabile e in regime di continuità del percorso assistenziale. Su ambedue questi punti la SIMG con ANMCO (Associazione Nazionale Medici Cardiologi Ospedalieri) hanno prodotto linee guida che possono essere un buon riferimento per organizzarsi a livello locale. In particolare il problema della riospedalizzazione a breve termine (entro 6 mesi) impone molta attenzione alla dimissione ospedaliera poiché, se d’un canto è giusto limitare il numero di giornate di degenza allo stretto necessario, è, d’altro canto, vero che occorre un intervento integrato di professionalità diverse che permettano al paziente di fruire presso il proprio domicilio delle cure più appropriate.
Considerando un approccio globale alla malattia da parte del Medico di medicina generale e verificando il contenuto delle linee guida maggiormente condivise, il “disease management” prevede attività programmate e protocolli per attività ambulatoriali o domiciliari a seconda delle necessità; in effetti esse dovrebbero fornire il supporto per:
• gestire la maggioranza dei casi di scompenso senza il ricorso al ricovero ospedaliero (trasferire la maggior parte delle attività assistenziali dei pazienti con scompenso dall’ospedale al territorio)
• potenziare la rete di assistenza territoriale includendo figure non sanitarie e valorizzando il ruolo dei familiari e del volontariato
• ottimizzare la collaborazione fra Medici.
Con una nuova organizzazione dell’assistenza primaria (obiettivo solo indicato dal recente decreto del Ministero della Salute ma ben lontano dall’essere avviato) i MMG potrebbero garantire un’attività di ambulatorio dedicato alla gestione di patologie croniche: DIABETE, IPERTENSIONE ARTERIOSA, BPCO, SCOMPENSO CARDIACO, ottimizzando in tal modo i percorsi assistenziali di tale patologie con riduzione dei tempi d’attesa e dei disagi per gli Assistiti.
Oggi abbiamo un bagaglio tecnologico, farmacologico e strumentale, che ci consente di trattare l’insufficienza cardiaca ad un livello mai prima raggiunto. Pur tuttavia la Medicina esige organizzazione, razionalizzazione e raccordo fra tutti gli operatori. Ad oggi, però, nella realtà nazionale, dai dati che è possibile consultare, così non è. Strumenti e supporti (il “nursing”) che consentano al MMG di svolgere al meglio questo compito professionale, al momento, non sono disponibili.
3. LE OSPEDALIZZAZIONI E LE RIOSPEDALIZZAZIONI
Dopo un primo ricovero per scompenso cardiaco durante il quale vengono completati gli accertamenti diagnostici e stabilita la terapia, le probabilità che il paziente necessiti di nuove ospedalizzazioni è elevata.
Le cause di un aggravamento del quadro clinico possono essere molteplici. La cardiopatia, causa dello scompenso, può aggravarsi (nuovo episodio infartuale, accentuazione di una disfunzione valvolare) e/o possono manifestarsi altri fattori destabilizzanti. Questi possono essere legati alla cardiopatia, come ad esempio la comparsa di fibrillazione atriale, o esserne indipendenti, come un’infezione intercorrente, un’anemizzazione di qualsiasi origine, o la scarsa adesione alla terapia consigliata. Il numero elevato dei pazienti portatori di cardiopatie che portano allo scompenso e la necessità di ospedalizzazioni ripetute fanno sì che lo scompenso cardiaco rappresenti la più frequente causa di ricovero ospedaliero al di sopra dei 65anni. Va inoltre ricordato che l’ospedalizzazione rappresenta sempre un trauma psicologico e, spesso, un danno economico non solo per il paziente ma anche per i suoi familiari. Per tutte le ragioni esposte risulta evidente perché la riduzione del numero delle ospedalizzazioni sia un obiettivo di primaria importanza per il Sistema Sanitario Nazionale (SSN).
In base ai dati della letteratura bisogna considerare che la soluzione del problema della razionalizzazione delle ospedalizzazioni e delle riospedalizzazioni per SC passi necessariamente attraverso la condivisione del percorso assistenziale del paziente da parte di tutti gli attori interessati (MMG, ospedalieri non solo cardiologi, medici di pronto soccorso, medici della continuità assistenziale, infermieri,) tramite l’adozione di comportamenti e linee guida che specifichino i contenuti diagnostici, terapeutici, assistenziali ed organizzativi dei diversi passaggi del percorso con le risorse disponibili a livello locale .
4. QUANDO RICOVERARE UN PAZIENTE SCOMPENSATO?
La risposta a questa domanda è determinata dai criteri che definiscono la “instabilità” del Paziente scompensato. Nel percorso clinico-assistenziale si possono verificare condizioni che rendono indispensabile il trasferimento del malato in una struttura ospedaliera e la loro attenta valutazione serve, da un lato ad evitare ricoveri incongrui e, dall’altro, a garantire al paziente scompensato il trattamento dovuto. Per evitare disquisizioni riportiamo di seguito, schematicamente, le condizioni che debbono, in ogni caso, spingere il Mmg ad ospedalizzare il Pz.:
1. Rapida nuova insorgenza di sintomi di scompenso
2. Evidenza clinica e/o ECgrafica di ischemia miocardica acuta
3. Instabilizzazione del compenso:
a. Edema polmonare acuto
b. Frequenza cardiaca > 120 b/min
c. Pressione arteriosa < 75 mmHg
d. Disturbi mentali attribuibili ad ipoperfusione cerebrale
e. Instabilizzazione concomitante ad acuto peggioramento di co-morbidità extra- cardiache (p.es. malattia polmonare o renale)
4. Aritmie sintomatiche
5. Sincope o pre-sincope
6. Iposodiemia grave (Na < 130 mEq/L)
7. Aumento della creatininemia > 2.5 mg/dl
8. Anasarca o severi edemi declivi con segni di grave congestione venosa (turgore giugulare, epatomegalia) e/o oligo-anuria
9. Persistente sintomatologia nonostante ripetuti controlli ed aggiustamenti terapeutici ambulatoriali
10. Impossibilità di adeguata assistenza domiciliare
Allo stesso modo devono essere considerate le condizioni di “stabilità” che autorizzano il Medico ospedaliero a dimettere il Pz restituendolo all’assistenza primaria Territoriale e, pertanto, alla responsabilità del Mmg. In particolare:
1. Sintomi di insufficienza cardiaca adeguatamente controllati:
a. Stabilità del bilancio idrico
b. Assenza di sintomi di congestione
c. Pressione arteriosa stabile
d. Assenza di ipotensione posturale
e. Frequenza cardiaca > 50 b/min e < 100 b/min
f. Assenza di angina o comunque stabilità della soglia ischemica
g. Assenza di aritmie maggiori sintomatiche
h. Assenza di sintomi durante la cura della persona
2. Funzione renale stabile
3. Risoluzione o stabilizzazione di ogni causa reversibile di co-morbidità
4. Adeguatezza del supporto sociale, dell’educazione del paziente e del programma di assistenza e di visite di controllo nel tempo.
CONCLUSIONI
L’aumento dei pazienti affetti da Scompenso cardiaco va associandosi ad un lineare aumento di pazienti globalmente sempre più complessi. Il paziente ricoverato è mediamente anziano, con comorbidità multiple tali da condizionare alcune scelte gestionali-terapeutiche, obbligandoci ad un continuo confronto multi specialistico che non è certo facilitato dalla frammentazione dei percorsi assistenziali ospedalieri.
Inoltre, attenzione particolare meritano alcuni ulteriori aspetti, quali il controllo e l’ottimizzazione della terapia eziologica di base, gli aspetti nutrizionali e il recupero funzionale, in modo da affrontare nella maniera più efficace e completa la cura del paziente affetto da Scompenso.
L’obiettivo comune deve essere stimolare da un lato la programmazione di modelli organizzativi specifici che prevedano la condivisione polispecialistica di percorsi diagnostici e terapeutici, e dall’altro fornire al medico coinvolto nella cura del paziente scompensato, un adeguato aggiornamento culturale riguardo alla molteplici componenti che ne rendono indubbiamente complessa la gestione.
Non è credibile “la gestione di patologie complesse senza la complessità organizzativa della macchina sanitaria” ancor più quando si vuole pensare ad un’assistenza moderna e territorialmente adeguata. Il solo pensiero che tutto possa essere affidato alla “buona volontà” ed alle capacità del singolo, pur bravo medico, ma anche alla singola equipe ospedaliera è destinato a naufragare.
La gestione delle malattie croniche rappresenta la grande sfida di tutti i SSN dei Paesi occidentali impegnati ad offrire la migliore qualità di vita possibile ai propri cittadini in un contesto di grande limitatezza delle risorse a disposizione. Le ospedalizzazioni e le riospedalizzazioni dei malati cronici, in particolari degli scompensati rappresentano una spesa ormai insopportabile e solo un’adeguata integrazione fra Territorio e Specialistica potrà garantire un effettivo risparmio senza modificare i livelli di assistenza. Per questi motivi il problema è pressante e le soluzioni sono tuttora, per così dire, “in progress”.
Per rispondere alle nuove esigenze del futuro la Medicina Generale, necessita di strumenti e risorse adeguate che possono essere trovate nella Rifondazione della Medicina Generale stessa, attraverso la creazione di forme associative previste dal decreto sulla “spending review” del Ministro Balduzzi che, per adesso è soltanto una sorta di libro dei sogni….
L’associazione tra diversi Operatori sanitari, sarà strumento indispensabile per il passaggio da una Medicina di Attesa ad una Medicina di Iniziativa e per una gestione della salute più efficiente sul piano tecnico e più apprezzata sul piano umano.