FOCUS SULLA TERAPIA ANTICOAGULANTE
FRA VECCHI E NUOVI FARMACI
G. Bellizzi, G. Bianchino, F. Botticella, C. Dragonetti, F. Ferrara, P. Guarino, C. Lo Conte, G. Manganelli, V. Pellecchia, E. Ragno
Cardiologia – UTIC , Ospedale “S.Ottone” Ariano Irpino (Av) -
ASL Avellino
La terapia anticoagulante a lungo termine ha diversi campi di applicazione; uno di questi è certamente quello della profilassi del cardioembolismo : pazienti portatori di protesi valvolari meccaniche, con trombosi del ventricolo sinistro, con fibrillazione atriale (FA).
E’ evidente che il ricorso cronico a questo trattamento favorisca l’utilizzo della somministrazione orale (terapia anticoagulante orale – TAO); la ricerca, in questi ultimi anni si è particolarmente dedicata a questo settore nel tentativo di sintetizzare nuove molecole in grado di svolgere con efficacia il compito anticoagulante, a fronte di una sempre maggiore maneggevolezza e, soprattutto, di effetti collaterali (primo fra tutti quello emorragico) quanto più bassi possibile per il paziente.
Questa “review” cercherà di riassumere il percorso fin qui effettuato da questa ricerca che può essere riassunta nell’immagine 1
INIBITORI FATTORI VIT. K DIPENDENTI (VKA)
Parlare di questa classe, significa riferirsi alla storia della farmacologia, trattandosi di molecole in commercio ormai da oltre cinquanta anni. Emblema di questa famiglia è senza dubbio il warfarin, nome che rappresenta l’acronimo di Wisconsin Alumni Research Foundation + “arin” (parte finale del nome “coumarin” che era una sostanza presente nel fieno, a cui somigliava il composto prodotto).
L’azione di questo farmaco si realizza con l’inibizione dei fattori II , VII, IX e X, vitamina K dipendenti.
Ancora oggi il warfarin rappresenta l’anticoagulante di riferimento nei pazienti in TAO per fibrillazione atriale. L’utilizzo dell’algoritmo CHA2DS2 – VASc, che considera i fattori di rischio cardioembolico, realizza una efficace stratificazione di tale rischio. Proprio questo algoritmo ha sancito che la maggior parte dei pazienti in FA andrebbe trattata con TAO, una volta esplorato il rischio emorragico (col sistema a punteggio HAS – BLED) mantenendo un INR fra 2 e 3.
Purtroppo questi farmaci hanno dei limiti importanti che determinano alcune conseguenze piuttosto significative sul piano della continuità del trattamento di tali pazienti. Tali limiti possono riassumersi in:
- lentezza nell’ entrata e nel termine dell’azione;
- numerose interazioni farmacologiche e alimentari (legate anche ai polimorfismi genetici del citocromo P450);
- casi di resistenza;
- necessità di continuo monitoraggio e frequenti correzioni nei dosaggi;
- imprevedibilità dell’azione;
- finestra terapeutica stretta.
Come ricadute andiamo di conseguenza a registrare:
a) un sottoutilizzo della TAO in soggetti, chiaramente candidati, soprattutto negli anziani che vivono in contesti sociali incapaci di gestire le necessità connesse a tale terapia;
b) una qualità inadeguata dell’anticoagulazione in diversi pazienti, pur correttamente gestiti;
c) frequenti interruzioni della TAO.
Da qui la necessità di studiare strategie alternative e nuovi farmaci che possano offrire risultati migliori sia in termini di efficacia che di compliance.
Purtroppo alcuni passaggi si sono rivelati deludenti sia sul piano della risposta antitrombotica, sia sul piano degli effetti collaterali ( vedi l’ associazione clopidogrel-aspirina, risultata poco efficace e gravata da alto rischio emorragico, oppure lo ximelgatran, inibitore diretto della trombina, la cui ricerca è stata interrotta per i gravi effetti epatotossici della molecola)
Negli ultimi anni ci si è concentrati su anticoagulanti orali inibitori diretti della trombina (dabigatran e AZD0837) e inibitori diretti del fattore Xa (rivaroxaban, apixaban, edoxaban, betrixaban).
INIBITORI DIRETTI DELLA TROMBINA
Agiscono inibendo la formazione di fibrina, l’attivazione dei fattori V, VIII, XI e XIII e l’aggregazione piastrinica mediata dalla trombina, oltre alla produzione della trombina indotta dal fattore tessutale.
Dabigatran
Non richiede monitoraggio della coagulazione , anche se in caso di emorragie o in particolari emergenze, la sua azione può essere valutata col “thrombin clotting time” o col “ecarin clotting time” ovvero col tempo di tromboplastina parziale attivato.
Molti dati su questa molecola ci provengono dallo studio di fase III RE – LY (pazienti in fibrillazione atriale) in cui il dabigatran a dose di 110 e 150 mg b.i.d. è stato confrontato col warfarin a 1 - 3 e 5 mg.
I risultati appaiono decisamente incoraggianti: il dabigatran ( a 150 mg) si fa preferire in termini di riduzione di ictus ed embolia sistemica, mentre gli effetti emorragici appaiono sovrapponibili, anche se risultano minori le emorragie cerebrali e lievemente aumentate invece quelle gastrointestinali. Queste ultime emorragie appaiono aumentate in particolare nei soggetti over 75 aa.
Gli effetti collaterali al momento più significativi appaiono quelli gastrointestinali (dispepsia).
INIBITORI DIRETTI DEL FATTORE Xa
L’inibizione di questo fattore determina la riduzione della produzione di trombina riducendo la trasformazione di protrombina in trombina. Lo stesso effetto peraltro viene ottenuto anche attraverso l’inibizione della produzione indotta dal fattore tessutale.
Rivaroxaban
Questo farmaco è stato testato nello studio ROCKET AF (pazienti in fibrillazione atriale) versus farfari (rivaroxaban a 20 mg/die contro Warfarin a dose tale da raggiungere INR 2,5) . Le complicanze emboliche sono state inferiori nel gruppo rivaroxaban e le emorragie cerebrali si sono ridotte addirittura del 40 % nello stesso gruppo
Apixaban
Per questa molecola gli studi sono due, entrambi del
2011, sempre su pazienti in fibrillazione atriale: uno di confronto con
l’aspirina (AVERROES), interrotto per risultati nettamente superiori a favore
dell’apixaban ( 5 mg b.i.d.) in termine di prevenzione di tromboembolie;
l’altro (ARISTOTLE) pubblicato all’ ultimo ESC di Parigi, di confronto con
warfarin . L'analisi dei dati di quest’ultimo studio ha evidenziato che il
trattamento con apixaban è stato associato ad una riduzione addizionale del 21%
degli eventi embolici rispetto a warfarin (p=0.011). Si è evidenziato, inoltre,
un calo del 31% (p<0.001) negli eventi emorragici maggiori (intracranici ed
extracranici) ed un calo nella mortalità dell'11% (p=0.047). Lo stroke
emorragico è stato ridotto del 50% (p<0.001). In sostanza, apixaban,
confrontato a warfarin, ha prevenuto in 1,8 anni 6 strokes (di cui 4 emorragici
e due ischemici), 15 sanguinamenti maggiori e 8 decessi per 1.000 pazienti
trattati. Sulle altre due molecole di questa classe (Edoxaban e Betrixaban)
sono in corso due studi, rispettivamente l’ENGAGE AF – TIMI 48 di fase III e
l’EXPLORE Xa di fase II, entrambi con pazienti in fibrillazione atriale e di
confronto col warfarin .
ULTIME NOVITA’
Uno studio pittosto recente (ATLAS ACS 2 TIMI 51 ha voluto utilizzare il rivaroxaban anche in soggetti con sindrome coronarica acuta recente.
Gli autori hanno concluso che l’aggiunta di un basso dosaggio del farmaco, può essere utile in questi soggetti, in quanto si è rilevata una riduzione significativa in morte per cause cardiovascolari e per tutte le cause, cosa che invece non si dimostra con dosaggi più alti.
CONCLUSIONI
Gli studi sopra descritti appaiono molto incoraggianti verso l’utilizzo di queste nuove molecole che potrebbero offrire vantaggi importanti in termini di:
- possibilità di stabilire una dose fissa giornaliera di tali farmaci;
- possibilità di evitare il monitoraggio;
- inizio e fine azione rapide e prevedibili senza necessità del “bridge” eparinico;
- poche o nulle interazioni alimentari e farmacologiche;
- aumentata sicurezza con riduzione del rischio emorragico.
Naturalmente vi sono dei punti meno favorevoli che comunque suggeriscono ancora un atteggiamento prudente:
- aggiustamento empirico del dosaggio
- mancanza di specifici test di laboratorio in caso di eventi trombotici o emorragici
- costo elevato
- mancanza di antidoto specifico
- lo stesso vantaggio della rapidità di azione/cessazione può essere sfavorevole in pazienti scarsamente aderenti alla terapia.
A queste perplessità, va anche aggiunta la necessità che i favorevoli risultati degli studi fin qui condotti, siano confermati anche dall’utilizzo “corposo” di tali farmaci nel cosiddetto “mondo reale”. Fino ad allora ovviamente i VKA rimangono ancora i farmaci di scelta nella prevenzione del cardioembolismo.
Infine gli anticoagulanti orali di ultima generazione potrebbero rappresentare un ulteriore ausilio nel trattamento dei soggetti con SCA recente.
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13. C. Michael Gibson, MS, MD on behalf of the ATLAS ACS 2 TIMI 51 Investigators, 2011