LA TERAPIA ANTIIPERTENSIVA OGGI
TRA VECCHI E NUOVI FARMACI
Michele A. Tedesco
U.O.C. di Cardiologia, A.U.P. Seconda Università di Napoli,
A.O.R.N. Monaldi.
In Italia sono circa 9 milioni i soggetti ipertesi, meno della metà di questi è consapevole di esserlo, il 30% è trattato farmacologicamente e di questi solo un 30% ha un controllo ottimale della pressione arteriosa. Un dato allarmante se si pensa all’importanza che l’ipertensione arteriosa ha in termini di rischio CV. Numerosi trials clinici randomizzati hanno dimostrato che la terapia antiipertensiva, quando efficace nel controllare la PA, determina una riduzione significativa della mortalità globale e cardiovascolare, riducendo gli eventi cerebrovascolari in misura maggiore rispetto a quelli coronarici, rallentando lo sviluppo di insufficienza cardiaca. Purtroppo sembra ancora difficile raggiungere il duplice obiettivo di trattare tutti gli ipertesi e, soprattutto, di farlo in maniera efficace. Tra le possibili cause di un tale insuccesso la scarsa compliance del paziente al trattamento sembra essere la più frequente. È elevato il numero di pazienti che abbandonano la terapia, o per gli effetti collaterali o proprio per l’incompleto controllo della PA. Il paziente iperteso è, nella maggior parte dei casi, pauci o asintomatico e fatica a comprendere la necessità di assumere regolarmente una terapia cronica per curare qualcosa che non provoca grandi fastidi. Per cui la comparsa degli effetti collaterali determina o un controllo incompleto della PA (per autoriduzione della posologia) o un abbandono della terapia. Trial clinici randomizzati hanno dimostrato che la maggior parte dei pazienti (in particolare quelli a rischio cardiovascolare maggiore) richiedono almeno due farmaci antiipertensivi per il raggiungimento degli obiettivi pressori, che si raggiungono più facilmente e più rapidamente utilizzando terapie di associazione precostituite. L’utilizzo combinato di molecole diverse a dosaggi minori rispetto all’uso di un solo farmaco a dosi massime e le associazioni precostituite danno risultati migliori anche in termini di compliance. L’utilizzo contemporaneo di classi diverse di farmaci consente di ridurre i valori pressori attraverso meccanismi diversi e sinergici che abbreviano i tempi di risposta e limitano la comparsa di effetti collaterali (talora una classe di antiipertensivi può contrastare gli effetti indesiderati di un’altra e viceversa). Le combinazioni possibili sono molteplici e tutte efficaci, tra le classi di antiipertensivi i calcio-antagonisti, sono farmaci che ben si prestano oltre che come farmaci di prima scelta, come molecole aggiuntive all’interno di schemi terapeutici complessi. Pur non essendo i farmaci più tollerati, presentano spiccate differenze intraclasse in termini di tollerabilità. L’associazione CCB/ACEI è tra quelle raccomandate dalle linee guida, in particolare nei pazienti ad alto rischio come i pazienti diabetici. I CCB attivano sia il sistema nervoso simpatico sia il sistema renina-angiotensina-aldosterone (RAAS), mentre gli ACEI ne attenuano gli effetti. Inoltre, i CCB hanno un effetto natriuretico ed inducano un bilancio negativo del sodio, che potenzia l’effetto antiipertensivo degli ACEI, entrambe le classi hanno effetti di cardioprotezione. La scelta dei farmaci, peraltro, dovrebbe essere guidata non solo dall’efficacia antiipertensiva toutcourt, ma anche dalla capacità del farmaco di modulare altri parametri di rischio CV correlati alla PA. Pazienti ad alto rischio sono i pazienti in cui ipertensione arteriosa e fibrillazione atriale (FA) coesistono. Le cause della FA sono molteplici, ma l’ipertensione arteriosa ne costituisce la causa principale, il 90% dei pazienti che partecipano ai trials sulla FA sono ipertesi, e la prevalenza della loro associazione progredisce notevolmente con l’età. Una ipertensione non trattata o insufficientemente trattata può essere responsabile d’ipertrofia ventricolare sinistra, che è una delle maggiori espressione di danno d’organo e fattore di rischio indipendente di FA. L’ipertrofia ventricolare sinistra riduce la compliance ventricolare, la riserva coronarica, aumenta lo stress di parete ed attiva il RAAS ed il sistema simpatico. Nell’atrio compaiono modificazioni strutturali che determinano un substrato elettroanatomico che facilita l’inizio ed il mantenimento della FA. La maggior parte delle strategie proposte come efficaci si focalizzano sulla modulazione diretta o indiretta del RAAS. Infine è opportuno dedicare maggiore attenzione al crescente numero di soggetti affetti da ipertensione resistente (IR). Per IR si intende una condizione caratterizzata da insufficiente controllo pressorio nonostante l’effettiva assunzione da parte del paziente di una razionale triplice terapia di combinazione (che includa un diuretico) e la sua adesione a uno stile di vita salutare. La rilevanza clinica dell’IR è legata alla sua elevata incidenza di complicazioni CV. Le nuove opzioni per il trattamento dell’IR consistono nell’impiego di procedure invasive. La stimolazione elettrica dei barorecettori carotidei mediante dispositivi posizionati chirurgicamente in modo permanente a livello delle biforcazioni carotidee è in grado di indurre un potente effetto simpatoinibitore che determina una riduzione dei valori pressori. I risultati preliminari sono incoraggianti, tuttavia la procedura è costosa, complessa e non priva di rischi. Recentemente la denervazione renale bilaterale mediante catetere stimolatore in radiofrequenza costituisce un approccio innovativo ed alternativo, è una procedura chirurgica mininvasiva che dura circa 40 minuti. Il presupposto clinico si basa sull’evidenza che l’interruzione dei nervi efferenti ed afferenti renali del sistema nervoso simpatico renale (che condiziona in modo determinante il RAAS ed il bilancio idrosalino) è in grado di diminuire in modo efficace e prolungato la PA. I dati provenienti da un’analisi dello studio SYMPLICITY HTN-2 indicano che a 18 mesi la riduzione della PA, nei pazienti con ipertensione resistente, viene mantenuta senza eventi avversi correlati alla procedura o effetti negativi sul sistema vascolare renale. Oltre a queste soluzioni terapeutiche non farmacologiche sono in sviluppo altri approcci farmacologici innovativi, anche se i dati preliminari non sono spesso incoraggianti. Le molecole più promettenti sono i modulatori innovativi del RAAS, in particolare gli inibitori duali del recettore AT1 e delle peptidasi neutrali e i calcio antagonisti diidropiridinici con attività antimineralcorticoide, ancora in una fase di sviluppo molto precoce.
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