PROCESSO  ALL’ ECOSTRESS. LO  STRESS  IN  CARDIOLOGIA

 

Francesco Mazzuoli

Cardiologia AOU Careggi - Firenze

 

 

Prima di parlare in dettaglio dell’ecostress mi sembra necessario fare alcune  considerazioni. In primo luogo l’esame deve essere appropriato, deve cioè fornire delle informazioni ulteriori sullo stato del paziente che non potrebbero essere ottenute con altri accertamenti più semplici e meno costosi.  E allora perché è necessario fare un ecostress quando disponiamo di altre metodiche di imaging più accurate e meno operatore dipendenti?  Tutti gli esami strumentali dicono solo una parte della “verità”, e non gli si può chiedere quello che non possono dare. Ricordiamo le ricerche di vari autori che evidenziarono come in oltre i 2/3 dei pazienti che avevano fatto una coronarografia pochi mesi prima di un infarto, il tratto interessato fosse libero da patologia aterosclerotica oppure con una patologia considerata assolutamente insignificante. Questo perché la coronarografia non può evidenziare quello che non c’è al momento dell’esame. Va anche ricordato come la coronarografia stessa non dia notizie sulla capacità di una lesione anatomicamente dimostrata di causare ischemia nel territorio sottostante. Per vedere questo è necessario  fare un esame che comporti uno stress per il cuore. Il più “economico” è il normale test da sforzo, ma ci sono dei cai in cui questo non può essere effettuato ed inoltre questo esame non fornisce notizie sulla sede del miocardio ischemico, una volta che lo ha rilevato. Veniamo quindi all’ecostress di cui dobbiamo esaminare pregi e difetti.

            In medicina quando si parla di stress si può intendere sia una stress fisico (prova da sforzo) sia una stress indotto con farmaci (stress farmacologico). Parlando dello stress farmacologico abbiamo due categorie di farmaci: quelli che incrementano il lavoro cardiaco (dobutamina) e quelli che vaso dilatando le zone sane creano un furto di sangue dalle zone “malate” (dipiridamolo).

            Tutti questi esami sono operatore – dipendenti. E’ di fondamentale importanza che l’operatore sia esperto in modo da cogliere le modificazioni di cinetica parietale che possono comparire con questo tipo di esame. E’ comunque importante fare una valutazione completa di tutti i parametri che si ottengono con lo stress; non soltanto le modificazioni della cinetica segmentaria, ma anche l’andamento dei valori di frequenza cardiaca, di pressione arteriosa, le eventuali aritmie. la presenza di sintomi (dolore toracico, ma anche dispnea, pallore o altri equivalenti ischemici). Si parla anche in questo caso di una valutazione poliparametrica. Ancora bisogna che per ogni esame ci sia un adeguato periodo di recupero durante il quale possono comparire altri segni o sintomi importanti; in particolare la rapidità del ritorno alla base delle eventuali alterazioni occorse.

            Bisogna sempre tenere presente che la valutazione di ogni esame è soggettiva. Sarebbe opportuno che l’operatore conoscesse almeno per grandi linee la storia del paziente che si sottopone all’esame per poterlo condurre con la massima sicurezza possibile, e poterne trarre le maggiori informazioni. Ci sono delle persone che sono molto sensibili al dolore mentre altre persone al contrario sopportano bene tale sintomo. Ci sono delle zone del cuore meno facilmente studiabili: sarebbe opportuno avere una idea della sede in cui si sospetta possa essere presente l’ischemia; questo è più facile quando l’esame viene fatto per chiarire il potere ischemizzante di una lesione osservata alla coronarografia.

            Quindi in conclusione, a chi va chiesto un ecostress? In primo luogo a pazienti che non siano in grado di effettuare uno sforzo adeguato, o a quelli in cui modificazioni dell’ecg basale rendano non interpretabile lo sforzo tradizionale. Poi nei casi in cui il test da sforzo ci lasci dei dubbi di interpretazione. Infine nei pazienti già sottoposti a PTCA o CABG ad una opportuna distanza di tempo dalla procedura.

            Perché allora fare un ecostress nei casi sopracitati? In primo luogo perché ha un ottimo rapporto costo/efficacia sia per una diagnosi che per una stratificazione prognostica. Poi perché è un esame effettuato ed interpretato da cardiologi (a differenza delle metodiche nucleari)  Ancora perché è sicuro se effettuato in ambienti idonei, fornisce informazioni aggiuntive alla coronarografia e perché è abbastanza facilmente disponibile.

            Quando invece non deve essere fatto. In primis se gli operatori sono poco esperti, oppure le apparecchiature non sono adeguate (quadscreen, “HT, possibilità di fare un contrasto). Naturalmente se non c’è una buona finestra acustica. Ancora se si pensa alla positività di un solo segmento, se si pensa ad una malattia della circonflessa, se è presente ipertrofia ventricolare e se non è stata sospesa la terapia betabloccante.

            Sentiamo quindi le arringhe dell’accusa e della difesa e poi emetteremo il verdetto finale.