La cardiopatia ischemica cronica: nuovi approcci terapeutici
Massimo Uguccioni
Cardiologia II -
C.T.O. - Roma
La cardiopatia ischemica è, come noto, la prima causa di
mortalità e morbilità nel mondo occidentale ed ogni anno milioni
di pazienti si ricoverano per sintomi riconducibili ad una
sindrome coronarica acuta. La cardiopatia ischemica non si
manifesta, tuttavia, soltanto in forma acuta, ma anche come
condizione cronica ad elevata prevalenza, come dimostrano studi
osservazionali, tra i quali l’Osservatorio Epidemiologico
Cardiovascolare condotto dall’Istituto Superiore di Sanità in
collaborazione con l’Associazione Nazionale dei Medici
cardiologi Ospedalieri (ANMCO). Si stima, infatti, attualmente,
che l’angina stabile interessi circa il 3% della popolazione
adulta italiana con una prevalenza ancora maggiore nelle fasce
di età avanzata e nel sesso maschile.
Nella pratica clinica occorre tenere conto che, rispetto al
passato, il paziente anginoso è in media più anziano, spesso già
trattato con procedure interventistiche o chirurgiche ed è di
frequente affetto da gravi comorbilità, prime tra tutte
scompenso cardiaco e diabete mellito. Molto spesso in tali
pazienti i sintomi anginosi limitano le attività quotidiane e ne
peggiorano la qualità di vita, in particolare in caso di angina
persistente nonostante terapia medica ottimale ed adeguate
procedure di rivascolarizzazione.
I farmaci utilizzati per il trattamento dell’angina cronica
stabile come i nitrati, i calcio-antagonisti ed i beta bloccanti
agiscono con un duplice meccanismo: da un lato aumentano
l’apporto di ossigeno attraverso la vasodilatazione coronarica,
dall’altro ne riducono il consumo con modalità che si
differenziano in base alla classe farmacologica considerata.
Molti pazienti, peraltro, non tollerano terapie di associazione
con più farmaci anti-anginosi per i frequenti effetti
collaterali, come ipotensione o bradicardia, mentre altri invece
non sono candidabili a procedure di rivascolarizzazione per la
sfavorevole anatomia coronarica o per controindicazioni di
carattere clinico.
In tale contesto, la ranolazina si propone all’attenzione della
comunità scientifica come un nuovo anti-anginoso, che agisce con
un meccanismo d’azione diverso rispetto ai farmaci
tradizionalmente impiegati. Di recente approvato in Europa ed in
Italia per il trattamento sintomatico dei pazienti con angina
stabile non ben controllati o che non tollerano le terapie di
prima linea, come beta bloccanti, calcio-antagonisti e nitrati,
la ranolazina è un derivato piperazinico che agisce inibendo la
corrente tardiva del sodio patologicamente aumentata in corso di
ischemia. Durante ischemia miocardica si verifica, infatti, un
aumento della concentrazione intracellulare di sodio, per
riduzione dell’efflusso ed aumento dell’ingresso, che provoca, a
sua volta, un sovraccarico intracellulare di calcio per aumento
dell’attività dello scambiatore sodio-calcio a livello della
membrana citoplasmatica. La ranolazina, inibendo la persistente
e patologica apertura dei canali lenti del sodio ed il
conseguente accumulo intracellulare durante ischemia, riduce
l’instabilità elettrica e la disfunzione meccanica della cellula
miocardica. Si tratta pertanto di un meccanismo di azione che
differisce da quello degli altri farmaci anti-anginosi perché è
indipendente dai parametri emodinamici e non correlato a
variazioni di frequenza o di pressione arteriosa.
L’efficacia di ranolazina, da sola o in associazione con altri
farmaci anti-anginosi è stata documentata in diversi studi
clinici randomizzati condotti su pazienti con cardiopatia
ischemica cronica. Nello studio MARISA
(Monotherapy
Assessment of Ranolazine
In Stable
Angina),
la
ranolazina è stata impiegata in monoterapia in 191 pazienti
affetti da angina stabile con modificazioni
elettrocardiografiche al test ergometrico, risultando
significativamente superiore al placebo nel prolungare la durata
dell’esercizio fisico (p<0.005) ed il tempo di comparsa di
angina e di depressione del segmento ST di 1 mm durante il test
(p<0.04) (1).
Nello studio
CARISA (Combination
Assessment of Ranolazine
In Stable
Angina),
sono
stati arruolati 823 pazienti con angina cronica stabile già in
trattamento con atenololo o amlodipina o diltiazem, randomizzati
a ricevere placebo o ranolazina alla dose di 750 mg o 1000 mg
due volte al giorno per 12 settimane (2). Ad entrambi i dosaggi
la ranolazina, in aggiunta alla terapia standard, è risultata
significativamente più efficace rispetto al placebo nel
prolungare la durata dell’esercizio fisico; inoltre, il
trattamento a lungo termine con ranolazina ha favorito un
migliore controllo metabolico nel paziente diabetico, con
riduzione dei livelli di emoglobina glicata (HbA1C) nei
diabetici in trattamento attivo. Il favorevole effetto sul
profilo metabolico nel diabetico è stato di recente confermato
anche nell’ambito delle sindromi coronariche acute non-STEMI
(3).
Nello studio
ERICA (Efficacy
of Ranolazine
In Chronic
Angina)
565 pazienti sono stati
randomizzati a ricevere, in aggiunta ad amlodipina, placebo o
ranolazina alla dose di 500 mg due volte al giorno per una
settimana e successivamente alla dose di 1000 mg due volte al
giorno nelle sei settimane successive (4). Il trattamento con
ranolazina
ha determinato anche in questi pazienti una significativa
riduzione del numero di attacchi settimanali di angina (p=0,028)
e del consumo di nitroglicerina (p=0,014).
Più recentemente lo
studio MERLIN-TIMI 36 (Metabolic
Efficiency with
Ranolazine for Less
Ischemia
in Non-ST-elevation
acute coronary syndromes)
ha studiato l’effetto di ranolazina in un’ampia popolazione di
pazienti (6560 soggetti) con sindrome coronarica acuta non-STEMI,
randomizzati a ricevere farmaco o placebo in aggiunta alla
terapia standard, con un follow-up di circa 12 mesi (5). Tra i
due gruppi di pazienti non si sono verificate differenze nell’end-point
primario composito, costituito da morte cardiovascolare, infarto
miocardico e ischemia ricorrente, mentre l’insorgenza di
ischemia miocardica ricorrente, come end-point secondario dello
studio, è risultata significativamente meno frequente (p=0.03)
nel gruppo trattato rispetto al gruppo placebo. L’analisi per
sottogruppi ha, infine, documentato che al trattamento con
ranolazina si associavano sia una riduzione della percentuale di
pazienti con angina ingravescente, che un miglioramento della
qualità di vita, in particolare in coloro i quali presentavano
angina già prima dell’insorgenza dell’evento coronarico.
Nonostante si sia osservato in corso di terapia con ranolazina
un prolungamento del QT dose-correlato, negli studi clinici
finora condotti, sia in pazienti stabili che instabili, non sono
stati mai descritti casi di torsione di punta. Il farmaco è però
attualmente controindicato in associazione con antiaritmici di
classe I a e di classe III diversi dall’amiodarone, mentre è
opportuno monitorare con controlli elettrocardiografici
periodici i pazienti trattati con altri farmaci che possono
modificare l’intervallo QT.
In conclusione, la ranolazina è un farmaco anti-anginoso dotato
di un meccanismo d’azione peculiare, che ha mostrato in recenti
studi clinici randomizzati una buona efficacia e tollerabilità;
si propone pertanto come una nuova opportunità terapeutica nella
gestione dei pazienti affetti da angina cronica.
Bibliografia
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Chaitman BR, Pepine CJ, Parker JO, et al.
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chronic angina: a randomized controlled trial.
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2004;291:309-316
3)
Chisholm JW,
Goldfine AB, Dhalla AK, et al.
Effect of Ranolazine
on A1C and Glucose Levels in Hyperglycemic Patients With Non-ST
Elevation Acute Coronary Syndrome. Diabetes
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4)
Stone PH, Gratsiansky NA, Blokhin A, et al. Antianginal
efficacy of ranolazine when added to treatment with amlodipine:
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Am Coll Cardiol. 2006;48:566-575
5)
Morrow DA, Scirica BM, Karwatowska-Prokopczuk E, et al. Effects
of ranolazine on recurrent cardiovascular events in patients
with non-ST-elevation acute coronary syndromes: the MERLIN-TIMI
36 randomized trial. JAMA.
2007; 297: 1775–1783
