PROCESSO
ALLA RESINCRONIZZAZIONE CARDIACA
LA DIFESA
Maurizio Santomauro, Carlo Duilio, Paolo Di Mauro, Gennaro
Iapicca, Carla Riganti*, Luca Auricchio**, Carmine Liguori,
Pasquale Perrone Filardi
Dipartimento di Medicina Clinica, Scienze Cardiovascolari ed
Immunologiche, Facoltà di Medicina e Chirurgia,
Università degli Studi “Federico II”,
*Direzione Sanitaria, A.O. U. “Federico II”, Napoli,
**Boston
Scientific, Milano
Background: lo scompenso cardiaco
Lo scompenso cardiaco (SC) è una
sindrome clinica caratterizzata da segni e sintomi associati a
congestione e/o ipoperfusione, che compromette la capacità dei
ventricoli di espellere sangue (disfunzione sistolica),
riempirsi adeguatamente (disfunzione diastolica) o entrambi.
Esso affligge
approssimativamente 22 milioni di individui nel mondo. In Italia
questa condizione interessa circa 600.000 persone, con una
prevalenza di circa 20 casi ogni 1000 abitanti. Sempre in Italia
lo scompenso cresce con un ritmo di 87.000 nuovi casi all’anno,
pari ad un incremento dell’incidenza dello 0,2% all’anno. Questo
valore cresce ulteriormente nella popolazione di età superiore a
65 anni dove la malattia colpisce circa 130 persone su 1000. Il
rischio di sviluppare uno scompenso cardiaco, relativamente
basso nelle persone giovani, raddoppia successivamente per ogni
decade. Circa il 6-8% della popolazione europea più anziana
soffre di scompenso.
Una volta manifestatosi
clinicamente lo SC pesa in maniera determinante sulla spesa
sociale più di qualunque altra patologia in relazione a giornate
lavorative perse, a costo dei farmaci e dei controlli clinici e
diagnostici periodici, ma,soprattutto, a causa di
ospedalizzazioni frequenti e di lunga durata. Recenti stime
economiche indicano infatti che in Europa e negli Stati Uniti,
la patologia è responsabile dell’1-2% delle spese sanitarie
totali.
Lo SC è ancora oggi una sindrome
ad elevatissima mortalità nonostante il fatto che i risultati di
importanti studi clinici randomizzati abbiano fornito la
dimostrazione di un miglioramento della prognosi ottenuta con la
somministrazione di farmaci quali ACE-inibitori, beta-bloccanti
e spironolattone. La prognosi non risulta pertanto migliorata in
un arco di tempo di 40 anni nonostante l’impiego di nuove
terapie. La sopravvivenza a 5 anni dei pazienti con SC è solo
del 50%, un dato addirittura peggiore rispetto alla
sopravvivenza totale dei pazienti con tumori.
Pacing biventricolare: efficacia e meccanismo
Gli insufficienti risultati del
trattamento farmacologico, l’impossibilità di ricorrere sempre a
terapie alternative quali il trapianto cardiaco per la mancanza
di donatori e all’assistenza meccanica tuttora in fase
sperimentale, hanno indirizzato la ricerca verso tentativi di
terapia elettrica della sindrome. I pazienti con disfunzione e
dilatazione ventricolare sinistra, con o senza segni o sintomi
di scompenso, hanno frequentemente ritardi della conduzione
ventricolare. In alcuni di essi questo si manifesta come un
blocco della branca sinistra. La conduzione anormale è
generalmente associata 1) ad una ritardata depolarizzazione e
contrazione della parete libera ventricolare sinistra, 2) il
setto interventricolare mostra una contrazione prematura
risultante in un movimento paradosso, 3) ad ridotto dP/dt, 4) ad
una riduzione del tempo di riempimento diastolico, 5) ad una
durata prolungata del rigurgito mitralico e 6) ad una abnorme
tensione di parete.
Inoltre i pazienti con disturbi
della conduzione hanno un rischio maggiore di eventi
cardiovascolari e di prognosi negativa.
Perche la terapia elettrica
quindi?
Oggi le terapie farmacologiche
non sono in grado di correggere i disturbi di conduzione
elettrica mentre l’utilizzo della stimolazione può avere un
impatto positivo sulla funzione cardiaca e sulla prognosi del
paziente. L’utilizzo di questa terapia può avere un impatto
positivo anche sui costi sanitari soprattutto riducendo le
ospedalizzazioni e deve essere vista quale complemento alla
terapia farmacologia o di altro tipo in una strategia
terapeutica combinata.
Oggi questi pazienti possono
ricevere un dispositivo per la resincronizzazione cardiaca che è
in grado di trattare sia i disturbi della coordinazione cardiaca
che le pericolose aritmie, cioè gli aspetti cruciali della
malattia.
Il razionale della stimolazione
biventricolare consiste nella riduzione dell’effetto emodinamico
deleterio causato dall’asincronia della diffusione dell’impulso
elettrico nei ventricoli prevalentemente nel sinistro,
attraverso la stimolazione pressoché contemporanea del
ventricolo destro e del ventricolo sinistro nel suo sito di più
tardiva attivazione. Poiché la stimolazione biventricolare si
propone lo scopo di eliminare l’asincronia elettromeccanica
inter- ed intraventricolare, essa viene indicata come terapia di
resincronizzazione cardiaca (CRT).
I meccanismi potenziali della
stimolazione sono due: A) correggere la contrazione A-V
con 1) la ottimizzazione della sequenza di contrazione A-V, 2)
la riduzione del rigurgito mitralico presistolico, 3) il
miglioramento del contributo atriale (precarico) al riempimento
ventricolare 4) con il suo allungamento; B) ripristinare la
corretta contrazione ventricolare con 1) l’ottimizzazione
dell’attivazione ventricolare, 2) la diminuzione del tempo di
attivazione, 3) aumentando la funzione di pompa e la funzione
globale contrattile e 4) riducendo lo stress di parete locale.
Le attuali indicazioni alla
terapia resincronizzante (CRT) sono oggi relativamente
standardizzate e si basano sulla valutazione clinica del
paziente (tipo di malattia e stato funzionale) ma soprattutto
sul riscontro di parametri di disfunzione e di asincronia
ventricolari che possono essere rilevati con
l’elettrocardiografia e l’ecocardiografia. In effetti non sembra
in discussione l’indicazione alla CRT nelle forme di CMPD di
qualsiasi eziologia in presenza di una grave compromissione
della funzione sistolica del Vsx documentata da una FE≤35%. I
pazienti debbono essere in classe funzionale NYHA III-IV
nonostante la terapia medica massimale tollerata. Il requisito
fondamentale perché la CRT sia efficace è naturalmente
rappresentato dalla presenza di asincronie contrattili del
miocardio valutate con l’elettrocardiogramma e con
l’ecocardiogramma e dal consequenziale posizionamento nel sito
ottimale dell’elettrocatetere ventricolare sinistro.
Infatti, la durata del QRS (>150ms),
la valutazione della dissincronia interventricolare e
soprattutto intraventricolare, un adeguato posizionamento
dell’elettrocatetere Vsx con un ottimale ritardo A-V programmato
e grado di pre-eccitazione della zona ritardata ci hanno
permesso di meglio predire i pazienti responders che a tutt’oggi
rimane l’argomento più controverso e sul quale si dovrà
concentrare la ricerca nel prossimo futuro. Ricerca che ha già
dimostrato con studi in acuto e soprattutto in cronico
l’efficacia clinica e la sicurezza della terapia che ha
cambiato il nostro approccio clinico verso i pazienti con
scompenso e ha incentivato l’inizio di nuove ricerche avanzate.
Infatti in un prossimo futuro potrebbe essere possibile, grazie
a dispositivi di nuova generazione, il monitoraggio di parametri
emodinamici, delle caratteristiche respiratorie, della
temperatura corporea e dell’indice idrico. Tutto questo potrebbe
permettere un controllo periodico del paziente con SC senza
ospedalizzazione (via internet) ad un costo accettabile e
sicuramente inferiore rispetto a quelli di gestione attuali. ..
Il razionale della stimolazione biventricolare consiste nella
riduzione dell’effetto emodinamico deleterio causato
dall’asincronia della diffusione dell’impulso elettrico nei
ventricoli prevalentemente nel sinistro), attraverso la
stimolazione pressoché contemporanea del ventricolo destro e del
ventricolo sinistro nel suo sito di più tardiva attivazione.
Poiché la stimolazione biventricolare si propone lo scopo di
eliminare l’asincronia elettromeccanica inter- ed
intraventricolare, essa viene indicata come terapia di
risincronizzazione cardiaca (CRT). Nonostante i notevoli
risultati raggiunti con la CRT, a tutt’oggi una percentuale
consistente di pazienti non risponde favorevolmente alla
terapia. La percentuale dei non responders varia a seconda del
criterio di risposta utilizzato tra il 30 %, se si considerano i
sintomi e la capacità funzionale, ed il 40-50% quando si
considerano gli indici di rimodellamento inverso (riduzione del
volume sistolico ventricolare sinistro ≥ 10 %, aumento della FE
≥ 7.5 %). Del resto gli indici di rimodellamento inverso sono
end-points più adeguati di miglioramento clinico perché non
risentono dell’effetto placebo e si sono rivelati come i soli
predittori affidabili di prolungamento della sopravvivenza negli
studi di terapia farmacologica e di CRT . Il fenomeno dei non
responders dipende da almeno tre fattori: 1) la selezione dei
pazienti, 2) il sito di stimolazione ottimale del ventricolo
sinistro e forse del ventricolo destro, 3) l’ottimizzazione dopo
l’impianto degli intervalli atrio-ventricolari ed
inter-ventricolari.
Siti
alternativi di stimolazione ventricolare destra
Le aritmie cardiache
ipocinetiche sono spesso causa di sintomi molto disabilitanti
come la sincope o lo scompenso cardiaco. Non raramente sono
letali se non trattate. La stimolazione cardiaca è l’ unico
trattamento efficace delle bradiaritmie cardiache. In caso di
malattia del nodo seno-atriale si stimola l’ atrio, ma quando la
bradicardia è causata da un blocco atrio-ventricolare, è
necessario stimolare il ventricolo. Da più di 50 anni il sito di
stimolazione ventricolare utilizzato nella pratica comune è
l’apice del ventricolo destro. Esso è facilmente raggiunto dagli
elettrocateteri per via transvenosa e garantisce stabilità di
posizione e di parametri elettrici a lungo termine. Nel soggetto
normale l’ impulso elettrico viaggia rapidamente al tessuto
miocardico di lavoro attraverso il tessuto specializzato di
conduzione rappresentato dal fascio di His e dal network di
Purkinje. In caso di stimolazione apicale destra l’impulso
bypassa le cellule di Purkinje e viene condotto lentamente
attraverso le cellule miocardiche di lavoro. Il QRS sull’ecg di
superficie ha una durata prolungata ed il reclutamento lento ed
asincrono delle cellule miocardiche è causa di una contrazione
ed un rilasciamento scoordinati e meno efficienti dei
ventricoli. Il ventricolo sinistro risente più del destro di
questo effetto deleterio specie in presenza di una disfunzione
sistolica preesistente. Numerosi studi hanno dimostrato che la
stimolazione dall’ apice del ventricolo destro è causa di
peggioramento della funzione sistolica del ventricolo sinistro e
si associa ad un aumentato rischio di sviluppo di scompenso
cardiaco congestizio e di fibrillazione atriale. Tale fenomeno
può impegare molti anni per manifestarsi in caso di normale
funzione sistolica del ventricolo sinistro, mentre è più rapido
in caso di preesistente disfunzione sistolica del ventricolo
sinistro come è emerso dallo studio DAVID in cui due gruppi di
pazienti affetti da cardiopatia dilatativi ed impiantati con
defibrillatori automatici, ma senza disturbi bradiaritmici,
furono randomizzati rispettivamente a ricevere una stimolazione
in modalità DDD a 70 bpm o una stimolazione di back-up VVI a 40
bpm. Lo studio fu interrotto prematuramente per un eccesso di
morti ed ospedalizzazioni per scompenso cardiaco nel braccio
stimolato in DDD. L’analisi dei sottogruppi del DAVID trial
evidenziò come ci fosse una relazione diretta tra percentuale
di stimolazione ventricolare destra e rischio di scompenso
cardiaco, morte ed aritmie ventricolari. La conclusione dello
studio fu che la stimolazione ventricolare destra va limitata il
più possibile specie in presenza di disfunzione sistolica del
ventricolo sinistro. Laddove possibile, ovvero in presenza di
preservata conduzione AV, si riesce a limitare la percentuale di
stimolazione ventricolare destra utilizzando modalità di
stimolazione doppia camera con stimolazione ventricolare minima
(AAI-VVI, AAIsafeR). In assenza di conduzione AV, non essendo
possibile limitare la stimolazione ventricolare, la strategia
consiste nella ricerca di siti di stimolazione alternativi all’
apice del ventricolo destro: la stimolazione biventricolare, la
stimolazione diretta del fascio di His, altri siti di
stimolazione del ventrolo destro.
La stimolazione biventricolare
corregge la dissincronia ventricolare attraverso la stimolazione
contemporanea del ventricolo destro e del ventricolo sinistro ed
ha dimostrato ampiamente di migliorare la tolleranza allo
sforzo, i sintomi, la funzione di pompa e la sopravvivenza dei
pazienti con scompenso cardiaco avanzato e dissincronia inter ed
intraventricolare. E’ in corso però uno studio prospettico e
randomizzato (BIOPACE) che ha proprio lo scopo di valutare
l’impatto della stimolazione biventricolare su mortalità,
ricoveri per scompenso cardiaco e funzione ventricolare sinistra
nei pazienti con BAV avanzato senza cardiopatia dilatativi a
confronto con la stimolazione ventricolare destra apicale.
Occorre però ricordare che la stimolazione biventricolare è
tecnicamente più complessa ed indaginosa, e nel 5-10% dei casi
non è attuabile per via transvenosa a causa di varianti
anatomiche sfavorevoli del seno coronarico. La stimolazione
diretta del fascio di His ha il vantaggio di preservare la
conduzione intraventricolare nativa laddove essa sia intatta,
non corregge un’asincronia preesistente, è indaginosa,
tecnicamente complessa e meno affidabile in termini di stabilità
e di parametri elettrici. Siti alternativi di stimolazione nel
ventricolo destro sono oggetto di studio da più di una decade,
in particolare il tratto di efflusso del ventricolo destro ed il
setto interventricolare medio. Diversi studi hanno evidenziato
come la tecnica di posizionamento mediante elettrocateteri a
fissaggio attivo sia agevole. Inoltre i risultati in termini di
stabilità degli elettrocateteri e dei parametri elettrici,
incluse le soglie di defibrillazione, sono sovrapponibili al
sito apicale. Il razionale della stimolazione del setto
interventricolare si basa sul dato che la parte alta del setto
interventricolare destro è la prima ad essere attivata
dall’impulso cardiaco. Inoltre le fibre di Purkinje della branca
destra affiorano in prossimità della superficie endocardica del
setto interventricolare destro. L’evidenza di una superiorità di
questi siti sull’apice è limitata ad alcuni studi emodinamici in
acuto sull’animale e sull’uomo, mentre mancano studi
randomizzati e prospettici a lungo termine di confronto con la
stimolazione apicale destra. Le pubblicazioni scientifiche
sull’argomento, effettuate su piccoli numeri e con risultati
contrastanti, non consentono a tuttora di trarre conclusioni
definitive.
Nel caso della terapia di
risincronizzazione cardiaca, molta enfasi è stata data al sito
ottimale di stimolazione ventricolare sinistra, mentre il sito
di stimolazione destra è stato oggetto di scarso interesse.
Tuttavia glie effetti deleteri della stimolazione apicale destra
in teoria potrebbero limitare i benefici della stimolazione
biventricolare. Il confronto tra apice e setto medio (o tratto
di efflusso) del ventricolo destro, nell’ ambito di una
stimolazione biventricolare, è stato oggetto finora di pochi
studi, non randomizzati e limitati dalla scarsa numerosità dei
pazienti. Questi studi concludono che non ci sono differenze
statisticamente significative tra i diversi siti ventricolari
destri in termini di benefici derivanti dalla terapia di
risincronizzazione cardiaca. Piuttosto sembra emergere il dato
che quanto maggiore è la distanza tra i due elettrodi
ventricolari destro e sinistro, tanto maggiori sono i benefici
emodinamico derivanti dalla stimolazione biventricolare.
Terapia di resincronizzazione e
ICD
La morte cardiaca improvvisa
(MCI) è causata in più del 90% dei casi da un’aritmia
ipercinetica ventricolare (TV o FV) che determina rapidamente il
collasso emodinamico. Molto più raramente la MCI è causata da
una bradiaritmia o da una dissociazione elettromeccanica.
L’entità del fenomeno è considerevole. Basti pensare che circa
il 50 % delle morti cardiache è improvvisa e che dati di
letteratura riportano una frequenza di casi di MCI 300-350000
casi all’anno negli Stati Uniti.
Mentre nella popolazione
generale l’incidenza di MCI è di 1-2 casi/1000 persone all’anno
negli USA, esistono sottogruppi di persone ad alto rischio per i
quali l’incidenza di MCI può arrivare a 15-30 casi/100/anno. Si
tratta di pazienti affetti da cardiopatia dilatativa
specialmente ad etiologia ischemica con disfunzione sistolica
severa del ventricolo sinistro, Scompenso cardiaco congestizio
ed aritmie ventricolari minacciose documentate. I defibrillatori
automatici impiantabili (ICDs) sono in grado di terminare
mediante stimolazione ad alta frequenza o shocks elettrici la
maggior parte delle TV e FV. Per questo motivo, essi si sono
dimostrati efficaci nel prevenire la MCI e nel ridurre la
mortalità dei pazienti ad alto rischio di MCI. Da quando la
terapia con ICDs è stata disponibile su larga scala,
sostanzialmente dagli anni ’90, essa è stata inizialmente
riservata ai pazienti a rischio più elevato di MCI, i pochi
pazienti che riuscivano a sopravvivere ad un arresto cardiaco.
Via via che la tecnologia degli ICDs progrediva e le tecniche
dell’impianto si semplificavano, la comunità scientifica si è
sforzata di individuare un numero sempre crescente di pazienti a
rischio di MCI così da poter applicare una strategia preventiva
primaria. Furono così incluse tra le indicazioni all’impianto di
ICD in prevenzione primaria i pazienti affetti da cardiopatia
dilatativa ipocinetica sintomatici per sincope o per TV non
sostenute ed aritmie ventricolari sostenute inducibili allo
studio elettrofisiologico endocavitario. Nonostante questa
strategia si sia dimostrata molto efficace consentendo di
salvare una vita ogni 4 ICDs impiantati, purtuttavia trascurava
un gran numero di pazienti a rischio di MCI. Inoltre si affidava
per la stratificazione del rischio aritmico allo Studio
Elettrofisiologico Endocavitario (SEE) che è un esame invasivo,
costoso, altamente specialistico e non applicabile a molti
pazienti affetti da cardiopatia dilatativa non ischemica. Negli
anni 2000 tre trials randomizzati prospettici di ampia scala, il
MADIT II, lo SCD-HF Trial ed il COMPANION, hanno dimostrato che
l’ICD riduce la mortalità dei pazienti con storia di pregresso
infarto del miocardio e disfunzione sistolica severa del
ventricolo sinistro e dei pazienti affetti da cardiopatia
dilatativa ischemica e non disfunzione sistolica severa del
ventricolo sinistro e scompenso cardiaco. In questi trials la FE
del ventricolo sinistro determinata mediante ecocardiogramma
transtoracico veniva utilizzata come principale stratificatore
del rischio. Tuttavia il beneficio ottenuto in questi studi è
stato globalmente inferiore ai precendenti trials di prevenzione
primaria della morte cardica improvvisa, per via del rischio
generale più basso di MCI in questa popolazione ( una vita
salvata ogni 15-17 pazienti impiantati). Nonostante questo, le
acquisizioni di questi studi sono state incluse tra le più
recenti indicazioni all’ impianto di ICDs. I punti a sfavore di
questa strategia sono rappresentati dai costi sanitari
sproporzionati ai benefici ottenuti e dal rischio di complicanze
a breve e lungo termine correlate all’impianto di ICDs, visto
che la maggioranza dei pazienti impiantati non avrà aritmie
ventricolari sostenute nel follow up. Per questo sono
auspicabili metodiche di stratificazione del rischio che
consentano una migliore selezione dei pazienti. Tra queste, le
Microvolt T-wave alternans, MTWA, sono un indice molto
promettente di rischio aritmico. Esse consistono in sottili
oscillazioni battito per battito dell’onda T dell’ecg di
superficie che possono essere individuate con metodica non
invasiva e poco costosa per mezzo di derivazioni
elettrocardiografiche ad alta risoluzione sulla superficie del
torace durante una prova da sforzo o una stimolazione atriale a
frequenza cardiaca tra 100 e 120 bpm. Una metanalisi di 8 studi
di coorte pubblicati sull’uso delle MTWA nella stratificazione
del rischio aritmico in prevenzione primaria della MCI
comprendenti 1946 pazienti con cardiopatia dilatativa ischemica
e non e disfunzione sistolica severa del ventricolo sinistro ha
evidenziato un test positivo o non negativo aumenta il rischio
di morte o severi eventi aritmici di circa 3 volte rispetto ad
un MTWA negativo. Un altro recente studio che ha valutato le
MTWA e lo SEE nella stratificazione del rischio di MCI in
pazienti con pregresso Infarto del miocardio e FEVS ≤ 40 %, il
trial ABCD ha evidenziato che le due metodiche sono paragonabili
come stratificatori del rischio con un potere predittivo
positivo ad una anno del 9 ed 11 % ed un potere predittivo
negativo di 95 e 96 % rispettivamente. Inoltre le due metodiche
sono risulatate complementari poiché gli eventi aritmici nei
pazienti con MTWA e SEE negativi erano significativamente
significativamente inferiori che nei pazienti con i due test
positivi (2 % vs 12 %, p = 0.017).
In particolare tutti gli studi
hanno evidenziato come le MTWA hanno un elevato potere
predittivo negativo, tra 90 e 100 %, che può consentire di usare
questa metodica non invasiva e relativamente poco costosa per
escludere i pazienti a rischio più basso ed aumentare la
costo-efficacia dell’impianto di ICD in prevenzione primaria.
Tuttavia gli ampi intervalli di confidenza osservati negli
studi, l’apparente mancanza di potere predittivo a lungo termine
(oltre un anno) richiedono ulteriori studi per meglio
comprendere l’utilità della metodica. Infine ancora meno è
conosciuta la validità del test nei pazienti candidati alla
risincronizzazione cardiaca (CRT). Anche per questo sottogruppo
di pazienti oggi è auspicabile individuare una strategia di
stratificazione del rischio di MCI più costo-efficace. Inoltre
le MTWA potrebbero consentire di indagare modificazioni del
substrato aritmico ad opera della CRT tale da ridurre nel tempo
il rischio aritmico stesso.
Evidenza basata su studi clinici
Molti studi a lungo termine
(PATCH CHF II, MIRACLE, MUSTIC,InSync ICD, CONTAK CD, PACMAN,
CARE HF e BILIEVE) hanno dimostrato che la CRT migliora la
capacità di esercizio,la classe NYHA, la FE,la qualità della
vita,i fattori neurormonali, il controllo autonomico
cardiovascolare e provoca un rimodellamento inverso sia atriale
che ventricolare.
Gli studi più importanti che
hanno determinato un impatto sulle linee guida per l’impianto di
dispositivo re sincronizzatore sono stati il COMPANION e
il CARE-HF.
Il COMPANION ha arruolato
1520 pazienti assegnati in modo casuale in tre gruppi di
trattamento: Terapia medica ottimale (OPT) , OPT combinato con
CRT (CRT-P), e OPT combinato con CRT-ICD (CRT-D). Lo studio ha
dimostrato una riduzione del rischio relativo del 19% per tutte
le cause di morte e tutte le cause di ospedalizzazione (endpoint
combinato) per la sola CRT rispetto alla terapia medica ottimale
(p=0.014). Inoltre, lo studio ha dimostrato una riduzione del
rischio relativo del 20% per il medesimo endpoint nel ramo
CRT+ICD rispetto alla terapia medica. Per quanto riguarda
l’Endpoint secondario: il ramo CRT ha evidenziato un trend
non significativo di riduzione della mortalità totale del 24%
(p=0.059) rispetto alla terapia medica ottimale, mentre CRT+ICD
ha dimostrato una riduzione del rischio relativo di mortalità
del 36% rispetto alla terapia medica ottimale,risultato
statisticamente significativo (p=0.003). Lo studio ha
quindi centrato l’endpoint primario (endpoint combinato
di mortalità e ospedalizzazione per tutte le cause ) per
entrambi i rami CRT only e CRT+ICD; inoltre,il defibrillatore
biventricolare ha dimostrato una superiorità significativa nella
riduzione della mortalità totale rispetto alla terapia
farmacologia ottimale.
Il CARE-HF
(CArdiac REsynchronization
in Heart Failure) ha arruolato 813
pazienti. La CRT più trattamento farmacologico ottimizzato per
insufficienza cardiaca è stato confrontato con OPT da solo. Alla
fine di un follow-up medio di 29 mesi, ha dimostrato una
riduzione del rischio relativo di 37% nell'endpoint composito di
morte e di ricovero in ospedale per eventi cardiovascolari (P,
0,0010) e il 36% del rischio di morte (assoluto: 10%, P, 0,002).
L'effetto sulla mortalità era dovuto principalmente ad una
marcata riduzione ai decessi relativi allo scompenso . Tuttavia,
è degno di nota che una metanalisi dello studio ha mostrato una
significativa riduzione del 46% il rischio di morte improvvisa
con CRT. Così, un altro grande trial randomizzato con più di 2
anni di follow up indica che la stimolazione bi ventricolare
abbassa significativamente la mortalità totale, considerando che
i due studi clinici dimostrano una riduzione di morbilità.
Inoltre, la CRT è efficace per i
pazienti che soffrono di diabete, con una riduzione della
mortalità per ogni causa del 39% nei diabetici e nel 40% nei non
diabetici; tale dato è particolarmente rilevante per la grande
frequenza di questa comorbilità, perché i pazienti diabetici
hanno un rischio fino a cinque volte superiore di sviluppare
malattie cardiovascolari. Agli ottimi risultati clinici si
affianca l’esito positivo dal punto di vista economico:
un’analisi economico-sanitaria ha confermato un favorevole
rapporto di costo-efficacia a lungo termine sia della CRT sia
della CRT-D, che utilizza anche un defibrillatore impiantabile
(ICD) in grado di arrestare rapidamente tachicardie
potenzialmente letali ed è quindi particolarmente importante per
la prevenzione della morte cardiaca improvvisa. L’analisi
realizzata in Gran Bretagna ha esaminato i miglioramenti in
termini di qualità della vita, morbilità, mortalità e riduzione
dei costi associati all’ospedalizzazione per scompenso cardiaco,
confrontando CRT e CRT-D associate alla migliore terapia medica
standard per lo scompenso con la sola terapia medica standard. I
risultati dimostrano che il rapporto incrementale di costo
efficacia, per anno di vita guadagnato ponderato per la qualità,
è pari a € 7.614 per la CRT e € 18.199 per la CRT–D quando
confrontato con la terapia medica ottimale. Valore decisamente
inferiore alla soglia d'accettabilità del rapporto costo -
efficacia comunemente pari a € 50.000. In altre parole, un
ipotetico sistema sanitario dovrebbe investire, per ogni
paziente, € 7.000 per la CRT e € 18.199 per la CRT-D in più
rispetto alla terapia medica ottimale per ottenere un anno di
vita guadagnato in situazione di compenso buono.
Conclusioni
La stimolazione biventricolare
si è affermata nell’ultimo decennio come una terapia di grande
successo nel trattamento dei pazienti affetti da scompenso
cardiaco (SC) severo (classe NYHA III-IV) e refrattario alla
terapia farmacologica in presenza di disfunzione sistolica
severa del ventricolo sinistro (FE ≤ 35 %) e ritardo della
conduzione intraventricolare (QRS ≥ 120 ms). Gli effetti
benefici della stimolazione biventricolare ampiamente dimostrati
da numerosi trials randomizzati e prospettici consistono in un
miglioramento dei sintomi e della tolleranza allo sforzo, nella
riduzione delle dimensioni del ventricolo sinistro e del grado
di insufficienza mitralica funzionale, nel miglioramento della
frazione di eiezione (FE) del ventricolo sinistro (ciò che viene
definito rimodellamento inverso), nella riduzione delle
ospedalizzazioni per SC e nella riduzione della mortalità.
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