Processo all’angioplastica del tronco comune
La difesa.
Carolina D’Anna, Domenico
Sirico, Chiara De Biase, Teresa Strisciuglio e Federico
Piscione.
Università degli Studi di
Napoli “Federico II”.
Dipartimento di Medicina
Clinica, Scienze Cardiovascolari ed Immunologiche.
email:
piscione@unina.it
Il trattamento della malattia
coronarica può servirsi sia della terapia medica sia della
rivascolarizzazione la quale, a sua volta, si distingue in
percutanea (PCI, percutaneous coronary intervention) e
chirurgica mediante bypass aorto-coronarico (CABG, coronary
artery bypass graft). Nel corso del tempo, entrambe le tecniche
hanno avuto grande sviluppo al punto tale che è immancabilmente
cresciuta la loro contrapposta competitività in campo
terapeutico. In particolare, l’evoluzione della tecnica
percutanea, con l’introduzione dello stent e successivamente
dello stent medicato, che ha ridotto di gran lunga la restenosi,
ha permesso di estendere l’impiego terapeutico della PCI a
contesti di iniziale ed esclusiva competenza chirurgica, come,
ad esempio, la malattia del tronco comune (TC). L’interessamento
del TC si registra nel 3-5% dei pazienti che sono sottoposti ad
angiografia coronaria e nel 10-30% dei pazienti sottoposti a
CABG.
Fin dagli anni ’70-’80, il
trattamento chirurgico è stato considerato il “gold standard”
nella patologia coronarica multivasale e/o interessante il TC,
grazie ai risultati di studi randomizzati che hanno dimostrato
un aumento della sopravvivenza con la chirurgia rispetto alla
sola terapia medica. L’intera questione su angioplastica e
chirurgia del tronco comune, che rimane uno dei temi più
controversi e dibattuti degli ultimi anni, si può brevemente
compendiare nei seguenti punti:
·
Eterogeneità
della malattia del tronco comune.
Sebbene i risultati sul TC vengano spesso presentati come
omogenei, in realtà la patologia del TC racchiude un ampio
spettro di alterazioni. Innanzitutto, i risultati ottenuti con
la PCI dipendono molto dalla localizzazione della lesione. La
malattia del TC può essere confinata soltanto all’ostio o al
tratto intermedio e queste regioni sono facilmente aggredibili,
ottenendo eccellenti risultati, mediante impianto di un unico
stent. Un recente registro multicentrico che ha arruolato 147
pazienti, con malattia dell’ostio o del mid-shaft del TC,
trattati con stent medicati (sirolimus- e paclitaxel-eluting
stent), ha riportato ottimi risultati al follow-up clinico
eseguito a più di due anni: 2.7% di mortalità cardiaca e solo il
4.7% di necessità di reintervento.(1) Questi risultati sono
certamente comparabili a quelli della chirurgia.
Differentemente, i pazienti con interessamento del tratto
distale del TC, a livello della biforcazione tra il ramo
discendente anteriore e circonflesso, rappresentano certamente
la categoria più complessa da trattare. Tali lesioni di
biforcazione richiedono spesso l’impianto di due stent, con
risultati meno favorevoli nel lungo termine. L’esperienza
iniziale della Scripps Clinic ha incluso 50 pazienti, di cui il
94% con malattia prevalentemente del TC distale.(2) Nell’84% dei
pazienti sono stati utilizzati due stent. I risultati a nove
mesi di questo registro mostrano una mortalità cardiaca del 2%,
ma un’incidenza di nuova rivascolarizzazione del 38%. È
importante osservare, tuttavia, che il 98% dei pazienti è stato
sottoposto a follow-up angiografico e pertanto non si può non
tener conto del ruolo giocato dal “riflesso oculostenotico”,
soprattutto in un contesto simile dove vi è un’aumentata
compliance del paziente alla successiva rivalutazione
angiografica. D’altra parte, l’incidenza di reintervento dovuto
solo a segni clinico-strumentali è stata del 14%. Anche
nell'ambito del trattamento percutaneo del TC distale si sono
verificati dei rilevanti miglioramenti, primo su tutti è
l’utilizzo del “provisional stenting”, cioè l’utilizzo di un
unico stent che va dal TC ad uno dei due rami coronarici
(generalmente il discendente anteriore) e riservare l’impianto
di un secondo stent nei casi di risultato subottimale. In un
registro di 773 pazienti con interessamento del TC distale (3) è
stato osservato che l’utilizzo del provisional stenting riduce
significativamente la necessità di reintervento rispetto
all’impianto di due stents. Ecco dunque che i dati di confronto
tra PCI e CABG non possono essere analizzati senza tener conto
della localizzazione della lesione e della tecnica di impianto
utilizzata.
·
Lo stato
dell’arte nel confronto tra PCI e CABG: lo studio SYNTAX.
Lo studio SYNTAX (4) è uno studio prospettico, randomizzato,
multicentrico, che ha comparato l’utilizzo di uno stent medicato
(paclitaxel-eluting stent) con CABG, in pazienti con severa
malattia coronarica, rappresentata dalla malattia trivasale e/o
del TC. Lo studio non ha provato la non-inferiorità della PCI
sulla chirurgia nell’endpoint combinato a 12 mesi di morte per
tutte le cause, stroke, infarto del miocardio e nuova
rivascolarizzazione, verificatosi nel 17.8% del gruppo PCI e nel
12.4% del gruppo CABG. Anche qui appaiono necessarie alcune
precisazioni. La differenza tra i due gruppi è dovuta solamente
alla riduzione della necessita`di nuova rivascolarizzazione (5.9
vs 13.5%), mentre gli “hard” endpoint, cioè morte, infarto
miocardico e stroke, non differiscono tra i due gruppi (7.6% nel
gruppo PCI e 7.7% nel gruppo CABG). Inoltre, va sottolineata la
più alta e significativa incidenza di stroke nel gruppo trattato
chirurgicamente (2.2 vs 0.6%). Focalizzando l’attenzione sul
sottogruppo del SYNTAX con patologia del TC possiamo
sintetizzare come segue: per ogni 1000 pazienti trattati con PCI
vi saranno 54 nuove rivascolarizzazioni in più rispetto al
gruppo CABG, ma 24 stroke in meno. È anapodittico discutere
l’impatto clinico e le ripercussioni sulla qualità della vita
del paziente di una nuova angioplastica rispetto a uno stroke,
tenendo conto che circa il 70% degli ictus è associato a
disabilità permanente.
·
Le complicanze
“accessorie” della chirurgia.
Oltre alle variabili osservate dagli studi di confronto, vi sono
altre complicanze associate alla chirurgia che vengono sempre
più estromesse dal confronto tra le due tecniche. Il declino
neurocognitivo è un evento frequente, persistente nel tempo e
che si verifica solo nei pazienti rivascolarizzati
chirurgicamente. Inoltre, i pazienti sottoposti a bypass
chirurgico subiscono più frequentemente aritmie severe e più
spesso richiedono l’impianto un pacemaker permanente. Allo
stesso modo, l’insufficienza renale, il tamponamento cardiaco,
le infezioni, la deiscenza della ferita, i sanguinamenti con la
necessità di trasfusione o re-interventi sono certamente più
frequenti con la chirurgia. È inutile, infine, sottolineare la
maggior durata del ricovero e la necessità di un’adeguata
convalescenza con la chirurgia, mentre con l’intervento
percutaneo la ripresa è quasi immediata.
In sintesi, i risultati finora
ottenuti dai grandi trial clinici randomizzati dimostrano che,
per quanto concerne il trattamento del TC, non ci sono
differenze tra PCI e CABG per quanto riguarda la mortalità,
mentre differenze statisticamente significative sono state
riportate per gli eventi cerebrovascolari che sono aumentati con
la chirurgia. Differentemente, la chirurgia è certamente
vincente nei confronti dell’angioplastica per quanto riguarda la
necessità di nuove rivascolarizzazioni, nonostante il gap
esistente tra le due tecniche si sia fortemente ridotto con
l’utilizzo degli stent medicati.
Il ruolo sempre crescente della
PCI con stenting nel trattamento delle stenosi del TC è
dimostrato nelle modifiche apportate alle linee guida
internazionali. Nelle linee guida ACC/AHA/SCAI 2009, il
trattamento percutaneo del tronco comune è dato in Classe III
con un livello di raccomandazione C se il paziente è eleggibile
per CABG, mentre in Classe IIb con livello di evidenza B per i
pazienti non eleggibili per CABG o che presentano condizioni
anatomiche che sono associate ad un basso rischio di complicanze
peri-procedurali e condizioni cliniche che predicono un elevato
rischio di complicanze chirurgiche.
Le condizioni angiografiche e
cliniche che influenzano la scelta della PCI con stenting sono:
-
lesioni ostiali o intermedie;
-
lesioni distali anatomicamente sottoponibili a stenting
con funzione ventricolare intatta;
-
stenosi isolata del TC;
-
condizioni di instabilità emodinamica con necessità di
una rivascolarizzazione urgente : infarto acuto del miocardio,
shock cardiogeno determinato dalla stenosi del TC o procedura di
salvataggio;
-
serie comorbilità: compromissione dello stato generale di
salute, insufficienza renale, età avanzata, ridotta aspettativa
di vita, precedente bypass chirurgico, anatomia coronarica
inadatta alla rivascolarizzazione chirurgica;
-
rifiuto del paziente della chirurgia.
Le condizioni che invece
richiedono il trattamento chirurgico sono:
-
anatomia coronarica inadatta per lo stenting :
calcificazione severa, tortuosità severa, occlusioni totali in
altre coronarie maggiori (≥ 2), lesioni coronariche lunghe,
multiple e diffuse, restenosi intrastent complessa inadatta per
ripetere la procedura percutanea;
-
funzione ventricolare seriamente compromessa;
-
estesa patologia vascolare periferica inadatta per il
posizionamento di un catetere guida o una pompa intra-aortica;
-
controindicazioni alla terapia antipiastrinica (aspirina,
eparina e tienopiridine)
Va infine ricordato che il
miglior approccio al paziente con patologia del TC dovrebbe
basarsi su un team esperto costituito da cardiologi
interventisti e cardiochirurghi, che dovrebbe concertare insieme
il trattamento più corretto, dal momento che, al giorno d’oggi,
la rivascolarizzazione chirurgica e percutanea offrono entrambe
importanti opportunità. Lo scenario futuro dovrebbe riservare
alla PCI un ruolo di primissimo piano, grazie alle prospettive
offerte non solo dal miglioramento della farmacologia
cardiovascolare (si veda l’utilizzo periprocedurale delle
statine ad alto dosaggio, i nuovi e più potenti farmaci
antipiastrinici come il prasugrel), ma anche dalle innovazioni
tecnologiche, come l’introduzione degli stent medicati di
seconda generazione nei confronti dei quali vi sono numerose
aspettative in termini di sicurezza ed efficacia.
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