Il trattamento intensivo con Statine: alta aderenza,  alta efficacia

 

Gian Piero Perna

A nome del  Gruppo Marchigiano “Consensus sulle Statine”

 

Introduzione

La somministrazione di statine dopo una sindrome coronarica acuta (SCA) finalizzata alla prevenzione di eventi cardiovascolari maggiori viene considerata nelle principali linee-guida internazionali (1-2) un trattamento “raccomandato” , da iniziare il più precocemente possibile e comunque prima della dimissione (1-2), da condurre in maniera intensiva con l’ obiettivo di raggiungere  livelli di colesterolo LDL (LDL-C) “ragionevolmente”  inferiori a 70 mg/dl (2).

Queste raccomandazioni sono state formulate sulla base dei risultati dei trial condotti in pazienti con coronaropatia “stabile” (3,4) , con sindromi coronariche acute (5,6,7,8) e confermate da dati raccolti da registri internazionali (9,10). Peraltro i risultati derivati dai  trial sono stati ottenuti con protocolli di studio diversi e con diverse  modalità di somministrazione dei farmaci stessi , nei registri non sono state condotte analisi differenziali per farmaco o dose o modalità di implementazione.

Di conseguenza alcuni punti cruciali in ambito clinico restano ancora non definiti  : 

  1. Quanto “precoce” deve essere il trattamento ? 
  2. Il trattamento deve essere avviato in maniera indipendente dai livelli di colesterolo LDL iniziali ?
  3. Quanto “aggressivo” deve essere il trattamento , e cosa si intende per trattamento “aggressivo “ ? E quanto deve essere “lungo” il trattamento aggressivo ?
  4. Quale trattamento è proponibile per l’ uso clinico ?
  5. Come è possibile raggiungere i risultati (ambiziosi) che le linee-guida suggeriscono ?

In questa revisione cercheremo di valutare se esistono oggi risposte definite a queste domande , quale sia il grado di evidenza scientifica disponibile, su  quali basi razionali possono essere formulate delle “raccomandazioni” su  come condurre il trattamento con statine nei pazienti con SCA .

 

Quanto deve essere precoce il trattamento con statine ?

 

Il trattamento “immediato” con statine è stato ipotizzato sulla base di  alcune considerazioni cliniche e fisiopatologiche

  • La instabilità di placca è il momento fisiopatologico principale comune a tutte le SCA (11) ;
  • La instabilità di placca è determinata da fenomeni di flogosi, di disfunzione endoteliale e di ipercoagulabilità , fenomeni tutti contrastabili con le statine (12) ;
  • La instabilità di placca non è esclusiva della lesione responsabile, ma riguarda tutto l’ albero coronarico (13) , per cui  l’ intervento precoce con statine potrebbe “passivizzare” le placche non responsabili e garantire una migliore efficacia dell’ intervento in aggiunta – ovviamente – a tutti gli interventi  normalmente attuati per migliorare le conseguenze dell’ ischemia, ristabilire un adeguato flusso coronarico, e  contrastare lo stato protrombotico.

Se si fa riferimento agli studi disponibili sull’ impiego “precoce” di statine nelle SCA (Figura 2) ci si rende conto che la somministrazione di statine è stata attuata tra le 24 h e la decima giornata dall’ ingresso , con inizio quindi della terapia prima della dimissione , e non con risultati positivi in tutti. Un solo studio , il FACS (14)  , si è posto come obiettivo l’ inizio immediato della terapia (“aspirin – like”) ,  ma è tuttora in corso.

Nel MIRACL (5), nel quale la atorvastatina ad alta dose è stata valutata contro placebo si è avuta una riduzione significativa di eventi a 4 mesi, dato che si è ripetuto nel più estensivo studio PROVE-IT (6), nel quale la riduzione più significativa di eventi si è avuta a 2 anni ma era presente una significatività statistica già a 4 mesi (Figura 3). Se si analizzano le curve di sopravvivenza del MIRACL , si vede che queste cominciano a divergere a 4 settimane, senza raggiungere la significatività, quando il 70% degli eventi si è già realizzato. Tale andamento è ben diverso da quello rilevato negli  studi su farmaci ad azione “diretta” sulla lesione responsabile , e  fa ipotizzare un meccanismo di “prevenzione secondaria anticipata”, volto a stabilizzare soprattutto le lesioni attive “non responsabili” e le lesioni ateromasiche non stenosanti , potenzialmente  in grado di determinare recidive a distanza.

L’ inizio della terapia con statine prima della dimissione , quindi, rimane il messaggio clinico più accreditato , sia per le evidenze disponibili, sia per la maggiore adesione alla terapia da parte dei pazienti dimostrata nel programma CHAMP (15).

Una considerazione a parte merita il paziente sottoposto a intervento percutaneo (PCI) per una SCA , nei quali il trattamento “aspirin-like” è stato testato in almeno 2 studi (ARMIDA-ACS e Studio di Yun e coll.) in cui la somministrazione rispettivamente di Atorvastatina 80 mg “early” + 40 mg “late”  (16) e Rosuvastatina 40 mg “early”  (17) in pazienti con SCA sottoposti a PCI  è risultato efficace nella riduzione degli eventi coronarici maggiori (MACE) a 30 giorni dall’ esordio clinico (16) e nella riduzione dell’ infarto periprocedurale , dei MACE intraospedalieri e dei MACE a 30 giorni (17).

Poiché oggi il PCI è largamente il trattamento più usato nei pazienti con SCA una statina ad alto dosaggio (Atorvastatina 80 mg + 40 mg  o Rosuvastatina 40 mg) dovrebbe essere somministrata insieme al carico di Clopidogrel (600 mg) e all’ ASA (300 mg) appena definita la diagnosi e la opportunità di PCI. Non esistono evidenze per altre statine in questo particolare sottogruppo di pazienti.

 

Il trattamento deve essere avviato in maniera indipendente dai livelli di colesterolo LDL iniziali ?

 

Le linee-guida ATP-III (revisione 2008) sottolineano che il trattamento con statine deve essere avviato indipendentemente dai livelli di LDL misurati all’ ingresso in ospedale, che non rappresentano più oggi un obiettivo di “performance” come in passato, quando veniva consigliato un trattamento per LDL > 100 mg/dl.

D’ altro canto considerazioni “organizzative” nell’ ottica di un intervento terapeutico precoce per pazienti candidabili a PCI rendono inutile una misurazione delle LDL .

Il pre-trattamento con statine non rappresenta un criterio di scelta per il tipo di statina da impiegare.

Il solo dato anamnestico utile ai fini di una scelta terapeutica potrebbe essere costituito dalla allergia o intolleranza grave e documentata verso le statine.

 

Quanto deve essere aggressivo il trattamento con statine dopo SCA ? Cosa significa “trattamento aggressivo” ?

 

I diversi risultati ottenuti nel  PACT ( 7 ) e nel MIRACL (5) orientano già verso una diversa efficacia del trattamento con statine ad alta dose rispetto al trattamento con statine a dose standard : a dispetto infatti di un follow-up più lungo,  nel PACT la Pravastatina somministrata a dose convenzionale precocemente a pazienti con SCA non appariva più efficace del Placebo.

I due regimi di trattamento (terapia standard con Pravastatina 40 mg/die , terapia aggressiva con Atorvastatina 80 mg/die) sono stati confrontati “testa a testa” nel PROVE-IT (6) , nel quale il trattamento più aggressivo ha ridotto gli eventi cardiovascolari maggiori del 16% rispetto al trattamento standard. Come è noto, in tale studio il livello medio di LDL-CHOL era di 98 mg/dl al termine dello studio nel braccio Pravastatina e di 62 mg/dl nel braccio Atorvastatina (Figura 3) : sulla base di tali elementi è allora logico considerare che per trattamento aggressivo si debba semplicemente considerare un trattamento in grado di ridurre le LDL al di sotto dei 70 mg/dl , come suggerito dalle linee-guida NCEP – ATP III (2) .

Tuttavia le curve di sopravvivenza del PROVE-IT iniziano a divergere precocemente , già a partire dal 4 mese di trattamento . Se l’ end-point primario viene espresso in funzione del tempo si osserva che il maggior beneficio della Atorvastatina a 80 mg/die compare precocemente , già a 180 giorni, e si mantiene successivamente fino alla fine dello studio (Figura 4).

Un differente andamento delle curve di sopravvivenza si verifica invece nella fase Z dello studio A to Z, nel quale Simvastatina a dose standard (20 mg/die) e ad alta dose (40 mg inizialmente e poi 80 mg/die) sono state comparate in pazienti con SCA inizialmente trattati con  Tirofiban (fase A). In questo studio , anche rianalizzando i dati con il “riallineamento” dell’ end-point primario a quello del PROVE-IT (16) nei primi 4 mesi di trattamento non sono presenti effetti significativi sulla sopravvivenza, effetti che diventano significativi solo se si esclude dalla analisi il periodo iniziale di 4 mesi e si analizzano gli effetti del trattamento aggressivo rispetto al trattamento standard nei mesi successivi (8). Dal quarto mese alla fine dello studio gli eventi globali vengono infatti ridotti del 25% , e la significatività statistica raggiunta (Figura 5).

Poiché anche nell’ A to Z i livelli di LDL-CHOL vengono ridotti dal trattamento aggressivo ben al di sotto di 70 mg/dl  (Figura 6) , in maniera sovrapponibile a quanto rilevato nel gruppo Atorvastatina 80 mg nel PROVE-IT, evidentemente altri meccanismi devono essere operativi.

Se si analizzano comparativamente i due studi la differenza maggiore si rileva nella riduzione della Proteina C  reattiva ad alta sensibilità (PCR-hs) , marker di infiammazione , che appare decisamente maggiore nel PROVE-IT (Figura 6) . Analoghi risultati erano rilevabili anche nel PROVE-IT , nel confronto tra trattamento aggressivo con Atorvastatina 80 mg/die e Pravastatina 40 mg/die (Figura 7).

Tutti questi dati suggeriscono che  :

  1. Gli effetti benefici delle statine ad alte dosi siano determinati non solo da effetti sui lipidi, in particolare nei primi 4 mesi dall’ evento acuto ;
  2. Che sia possibile identificare effetti “precoci” , costituiti prevalentemente dalla riduzione  della infiammazione , il cui “marker” clinico e biologico è costituito dalla PCR-hs, e conseguentemente dalla correzione della disfunzione endoteliale e della ipercoagulabilità, fenomeni direttamente correlati alla instabilità di placca . Questi effetti , pur essendo correlati alla somministrazione di statine ad alte dosi, non sembrano un “effetto di classe”.
  3. Che esistono effetti “tardivi” , costituiti dalla riduzione del colesterolo LDL, il cui marker clinico e biologico è costituito dai livelli plasmatici di LDL, la cui riduzione “aggressiva” nella filosofia del “the lower the better” , è in grado di mediare riduzione degli eventi tanto più marcata quanto maggiore è la riduzione delle LDL. Questi effetti tardivi, che si traducono comunque in un miglioramento della funzione endoteliale e della stabilità di placca a lungo termine, in una riduzione del volume della placca (17,18) , rappresentano sicuramente un effetto di classe , comune a tutte le statine, e variabile solo in funzione della loro diversa capacità di ridurre le LDL per dosi equivalenti (2).

La distinzione degli effetti benefici delle statine ad alte dosi in “precoci” e “tardivi” (Figura 8) è comunque in gran parte artificiosa , perché vi sono chiare evidenze che la modulazione dei fenomeni infiammatori è “additiva” alla riduzione delle LDL anche a distanza dall’ evento acuto e anche in pazienti clinicamente stabili . Infatti nel PROVE-IT se si stratificano i pazienti per obiettivi di LDL e di PCR-hs raggiunti (19) si può chiaramente evincere che i risultati migliori vengono ottenuti nei pazienti in cui si ottengono livelli di LDL < 70 mg/dl e livelli di PCR-hs < 2 mg/L, obiettivi che vengono raggiunti principalmente dai pazienti in terapia con Atorvastatina 80 mg piuttosto che dai pazienti in trattamento con Pravastatina 40 mg (44% vs 10% , p < 0.01). A parità di riduzione delle LDL la maggiore riduzione della PCR-hs identifica comunque i pazienti con risultato migliore (18)

In definitiva, il trattamento con statine nelle SCA deve necessariamente essere “aggressivo” per essere efficace.

Per  trattamento aggressivo si intende un trattamento con statine   in grado di ridurre le LDL nel lungo termine al di sotto di 70 mg/dl , e in grado di ridurre i fenomeni di  flogosi , ovvero la PCR-hs al di sotto di 2 mg/l. Poiché è attualmente improponibile proporre la valutazione nel lungo termine del “dual goal” , il parametro di valutazione più realistico della “aggressività” del trattamento rimane il livello di LDL < 70 mg/dl. Una definizione alternativa di trattamento aggressivo è la riduzione delle LDL di oltre il 50% rispetto ai livelli di partenza. Il merito di questa definizione è la semplicità, e la semplificazione nella scelta delle statine da impiegare per ottenere il risultato voluto, ma la scelta del panel di indicare come non utile il dosaggio delle LDL di partenza nel paziente con SCA fa propendere la scelta verso la definizione “tradizionale” del “The lower the better”, ovvero un livello di LDL < 70 mg/dl.

 

Il problema ulteriore è costituito dalla durata del trattamento : lo studio PROVE-IT e lo studio A to Z hanno limitato la loro analisi a un periodo di 24 mesi , ma altri due studi  (22,23) hanno esteso l’ impiego di statine ad alte dosi rispetto alla terapia standard in pazienti con coronaropatia nota e clinicamente stabili (22) e in pazienti con pregresso infarto miocardio (23). Se si analizzano complessivamente i risultati di tali studi (24), sia in termini di eventi cardiovascolari globali ,  sia in termini di end-point morte coronarica + infarto miocardico acuto, si rileva come l’ efficacia mostrata su pazienti “caldi” si estende anche a pazienti clinicamente stabili.

 

Quale trattamento”aggressivo”  è proponibile per l’ uso clinico ?

 

L’ impiego dei farmaci nella pratica clinica deve necessariamente tener conto della efficacia e della sicurezza del trattamento nel contesto in cui il trattamento stesso è stato testato.

I dati attualmente disponibili indicano che il trattamento ad alta dose con Atorvastatina è più efficace del trattamento standard nel ridurre gli eventi cardiovascolari nei pazienti con SCA, che tale riduzione di eventi si manifesta precocemente , che si realizza sia per riduzione della PCR-hs sia per riduzione delle LDL, che una alta percentuale di pazienti che assumono Atorvastina 80 mg / die raggiunge entrambi gli obiettivi del trattamento “aggressivo”. Inoltre il trattamento aggressivo con Atorvastatina si è dimostrato sicuro , sia nel contesto clinico del paziente con SCA (6)  , sia nel paziente con coronaropatia stabile (22,23), con dati di safety raccolti  in oltre  10000 pazienti trattati. In particolare non sono stati segnalati casi di miopatia clinicamente rilevante, e gli effetti collaterali sono stati modesti, costituiti soprattutto da aumento della transaminasi e mialgie , sensibili alla riduzione e/o alla sospensione del trattamento.

La Rosuvastatina al dosaggio di 20 mg/die è stata testata in confronto a Atorvastatina 80 mg/die nello studio CENTAURUS (24) . Quest’ ultimo non è uno studio di outcome, ma uno studio di equivalenza  di efficacia sui principali parametri che costituiscono il “profilo” del trattamento aggressivo. In questo studio la Rosuvastatina a 20 mg/die riduce le LDL e la PRC-hs in maniera equivalente ad Atorvastatina 80 mg/die . La maggiore tollerabilità della Rosuvastatina 20 mg/die rispetto alla Atorvastatina 80 mg/die rende questo trattamento una alternativa proponibile nel  lungo termine, anche in assenza di dati di outcome.

Nei pazienti con SCA sottoposti a PCI Rosuvastatina 40 mg e Atorvastatina 80 mg sono state entrambe testate con risultati positivi sugli eventi intraospedalieri e a breve termine.

Il trattamento ad alte dosi con simvastatina (80 mg/die)  è più efficace del trattamento standard (20 mg/die) nel ridurre i livelli di LDL , e tale maggiore efficacia si traduce in una maggiore riduzione di eventi cardiovascolari globali a distanza dall’ evento coronarico acuto, senza alcun effetto precoce per una ridotta efficacia della simvastatina ad alte dosi sui fenomeni di flogosi; il trattamento ad alte dosi con simvastatina non sembra pertanto in grado di raggiungere entrambi gli obiettivi “ideali” del trattamento aggressivo dei pazienti con SCA. Il trattamento con Simvastatina ad alte dosi è sostanzialmente “sicuro” , ma sono stati riportati 9 casi di miopatia clinicamente rilevanti su circa 2500 pazienti trattati fino a un massimo di 2 anni , e non sono disponibili dati per trattamenti protratti .

Allo stato attuale , quindi, i dati disponibili suggeriscono che la Atorvastina  alla dose di 80 mg/die sia un trattamento efficace e relativamente sicuro per i pazienti con SCA, da iniziare precocemente e proseguibile nel lungo termine se tollerato.

La Rosuvastatina 20 mg/die può essere considerato un trattamento alternativo alla Atorvastatina 80mg/die in quanto ugualmente efficace sul profilo lipidico , ma meglio tollerata nel lungo termine. La mancanza di dati di out come clinici fa individuare questo trattamento allo stato attuale come “alternativo” , in caso di scarsa tolleranza : questa peraltro si verifica nel mondo reale in circa il 30% dei casi , come dimostrato dall’ IDEAL .

Nei pazienti sottoposti a PCI e trattati inizialmente con Rosuvastatina 40 mg può essere considerato logico proseguire nel lungo termine con Rosuvastatina 20 mg/die.  L’ uso della Rosuvastatina è inoltre associato a un effetto positivo (anche se modesto) sui livelli di HDL.

La simvastatina ad alta dose appare utile a distanza dall’ evento  per raggiungere gli obiettivi di LDL,  ma tale modalità di impiego è inconsueta nella pratica clinica, e non sono pertanto disponibili dati di safety adeguati. Negli studi clinici e negli studi di farmacocinetica le dosi elevate di simvastatina sono associate a una più elevata percentuale di rabdomiolisi e incremento delle transaminasi.

Una alternativa alla simvastatina ad alta dose in pazienti che tollerano la simvastatina 40 mg/die può essere costituita dalla associazione simvastatina – ezetimibe , attualmente in corso di valutazione nello studio  IMPROVE-IT (25). I dati di questo studio , attualmente non disponibili, appaiono interessanti in quanto la associazione di ezetimibe alla simvastatina  è potenzialmente in grado di :

a)      ridurre la dose di simvastatina necessaria per raggiungere l’ obiettivo di LDL “aggressivo” riducendone gli effetti collaterali che possono costituire una limitazione del trattamento;

b)      mantenere nel tempo il target di LDL ;

c)      ridurre in maniera più aggressiva la PCR-hs.

Attualmente , come per la rosuvastatina, sono disponibili dati “surrogati” di efficacia (26) sulla riduzione delle LDL (ENFORCE).

L’ ezetimibe è prescrivibile con rimborsabilità  in Italia solo in associazione a Simvastatina 40 mg ; tuttavia non usando la formulazione prescrivibile l’ Ezetimibe  potrebbe essere associato a ciascuna statina ( e non solo alla simvastatina) potenziandone gli effetti senza incrementi di dosaggio che potenzialmente espongono a maggiori effetti collaterali e con garanzia di maggiore efficacia (27)

 

Come è possibile raggiungere i risultati (ambiziosi) che le linee-guida suggeriscono ?

 

Il problema principale del “mondo reale” è oggi costituito dal mancato raggiungimento dei target stabiliti dalle linee-guida e accettati concordemente dal Panel come obiettivo primario di una prevenzione secondaria “efficace” nel paziente con SCA. I dati dell’ EUROASPIRE III (28) e dello studio SORPRESA (29) indicano chiaramente che solo una minoranza dei pazienti dimessi dopo una SCA raggiunge gli obiettivi definiti come ottimali (35% dei pazienti nello studio SORPRESA).

Diverse sono le motivazioni individuabili:

  1. Discontinuità assistenziale, con possibile rimodulazione della terapia inizialmente prescritta (riduzione del dosaggio, shift verso statina meno efficace).
  2.  Mancata adesione del paziente alla terapia (politerapia, deficit di motivazione).
  3. Mancata adesione del paziente agli stili di vita che possono facilitare il raggiungimento del target - in particolare esercizio fisico e dieta – che non vengono percepiti come una “terapia”.

Esistono alcune evidenze che dimostrano come alcuni accorgimenti “organizzativi” possono migliorare in maniera significativa il risultato :

a)      avvio del paziente verso un programma riabilitativo “strutturato” ambulatoriale, di tipo “estensivo” , gestito o dal Centro Riabilitativo o, in sua assenza, dall’ ambulatorio dedicato al follow-up delle SCA;

b)      ricerca della continuità assistenziale tra Ospedale e Territorio, con condivisione degli obiettivi e delle modalità migliori per perseguirli ;

c)      creazione di data-base condivisi, per la valutazione degli outcomes, includendo gli obiettivi di farmaco-economia oltre agli end-point “hard” ;

d)      coinvolgimento di nuovi attori : infermieri, dietologo/dietista, psicologo, trainer ;

e)      “rimborsabilità” dell’ intervento riabilitativo e di  tutte le azioni necessarie per la attuazione degli stili di vita adeguati (astensione dal fumo, dieta, esercizio fisico) in prevenzione secondaria.

 

 

Conclusioni

 

Le evidenze scientifiche  suggeriscono che nelle SCA le statine vanno  somministrate , indipendentemente dai livelli iniziali di LDL, precocemente, in modalità “aspirin-like” nei pazienti che sono sottoposti a PCI e comunque prima della dimissione.

I migliori risultati vengono ottenuti nei pazienti che presentano contemporaneamente riduzione delle LDL a valori < 70 mg/dl e riduzione della PCR-hs a livelli < 2 mg/l  : condurre un trattamento aggressivo precoce con statine significa , nella pratica clinica, raggiungere entrambi questi obiettivi.

Non è al momento auspicabile il controllo di entrambi i goal del trattamento, ma è assolutamente necessario che vengano controllate periodicamente le LDL e vengano usati farmaci in grado di raggiungere l’ obiettivo “ragionevole” di 70 mg/dl.

Nel raggiungimento di questi obiettivi le statine non rappresentano “una classe” , e solo alcuni di questi farmaci sono stati impiegati negli studi clinici controllati con risultati favorevoli.

La trasferibilità del trattamento con statine ad alte dosi nella pratica clinica è necessariamente legata alla sicurezza, nel breve termine e soprattutto nel lungo periodo, e limitatamente alle molecole per cui i dati di efficacia e sicurezza sono stati ottenuti in un numero consistente di pazienti.

Il raggiungimento del target terapeutico richiede un programma strutturato di trattamento e follow-up, condiviso tra specialista cardiologo e medico di medicina generale , nel qualesiano paritetici la adesione allla terapia medica e la adesione agli stili di vita intesi come “parte irrinunciabile del trattamento” anche in termini di “rimborsabilità”.