L’Ipertensione arteriosa tra linee guida e pratica clinica: il
parere del Medico di Medicina generale
Luigi Di Gregorio, Mmg
Il
Paziente iperteso nella pratica clinica quotidiana
L’ipertensione arteriosa è considerata uno dei principali
fattori di rischio cardiovascolare, responsabile nel mondo di
circa 7 milioni di morti. Anche se il trattamento riduce questo
rischio, la percentuale di pazienti ipertesi che hanno valori
pressori controllati in modo efficace (<140-90 mmHg) è veramente
limitata con valori che in Italia non superano il 30-40%.
I motivi di
questo inefficace controllo dell’ ipertensione sono attribuibili
sia alla mancata diagnosi che al mancato trattamento o al
trattamento inefficace dei pazienti ipertesi. Il quadro clinico
è poi ancor più complicato dal fatto che in numerosi pazienti la
patologia è complicata da fattori di rischio aggiuntivi, come il
diabete mellito o l’ ipercolesterolemia, da danno d’ organo,
come l’ ipertrofia ventricolare sinistra, o da malattie
associate, come la cardiopatia ischemica e l’ insufficienza
renale.
In questi
pazienti il rischio cardiovascolare aumenta in modo espnenziale
e, di conseguenza, gli obiettivi terapeutici devono essere più
rigorosi. Tutto ciò indica la necessità di migliorare le
conoscenze del Medico, che deve essere motivato e
responsabilizzato nella corretta impostazione diagnostica e
terapeutica di questa malattia, soprattutto in considerazione di
altri fattori di rischio o di frequenti comorbilità.
Il primo obiettivo della
terapia antipertensiva è e rimane la riduzione dei valori
pressori.
Raggiungerne un
soddisfacente controllo non è sempre facile come dimostrato
dalla percentuale relativamente bassa di pazienti ipertesi che
raggiungono il “target”. La scelta del trattamento iniziale da
prescrivere al paziente iperteso è solo il primo passo di un
lungo percorso volto ad identificare il trattamento “ideale” nel
singolo paziente, un processo che richiede tempo e
collaborazione tra medico e paziente perché possa essere
completato con successo.
Inizia infatti solo
allora una lunga fase di verifica dell’efficacia ipotensiva e
della tollerabilità della terapia, che si identifica di fatto
con il follow-up dell’iperteso.
1.Efficacia
antipertensiva
Attraverso meccanismi
d’azione differenti i farmaci antipertensivi appartenenti alle
diverse classi determinano, in media, ai dosaggi usualmente
raccomandati, riduzioni pressorie simili. La pratica clinica
quotidiana evidenzia però come la risposta pressoria individuale
spesso sia assai differente cosicché è indispensabile valutare
caso per caso l’andamento pressorio nelle settimane successive
all’inizio della terapia per giudicarne l’efficacia.
E’ indispensabile che i farmaci abbiano una durata d’azione
sufficientemente lunga per poter consentire la
monosomministrazione giornaliera e ciò è solitamente ottenibile
o attraverso molecole con lunga emivita o con una formulazione
farmacologica a lento rilascio.
La potenza e
la durata d’azione dei farmaci sono parametri di cruciale
importanza per un’appropriata utilizzazione degli
antipertensivi. Il controllo della PA, infatti, deve essere
ottenuto attraverso una bilanciata riduzione dei valori
nell’arco di tutte le 24 ore senza oscillazioni tra l’azione del
farmaco al tempo di “picco” (massima efficacia farmacologica” e
al tempo di “valle” (prima della successiva somministrazione)..
2.Tollerabilità
Il farmaco
antipertensivo non dovrebbe avere effetti collaterali di
rilievo e dovrebbe, nel contempo, possedere effetti specifici
sull’eventuale danno d’organo o sulle patologie associate
tenendo conto del profilo metabolico del paziente.
Anche se studi di
confronto non hanno evidenziato differenze consistenti di
tollerabilità complessiva tra le diverse classi di farmaci
antipertensivi, le singole molecole differiscono assai nel
profilo degli effetti collaterali che il loro uso può
determinare.
Poiché la compliance alla
terapia antipertensiva dipende da quanto il farmaco risulta
tollerato dal paziente, è fondamentale monitorare con attenzione
questo aspetto e modificare il trattamento di conseguenza, se
necessario.
È importante comunque
sottolineare come gli studi che hanno valutato la qualità di
vita nei soggetti ipertesi hanno documentato come questa
risulti per molti aspetti significati- vamente migliore.
3.Terapia di
associazione
A differenza di quanto
suggerito qualche anno fa con un approccio rigido “a gradini”,
oggi le diverse linee guida consigliano un atteggiamento
terapeutico assai più flessibile e ritagliato sul singolo
paziente.
Dopo aver identificato il
farmaco da utilizzare inizialmente lo si prescrive a bassa dose
e se ne verifica l’effetto e la tollerabilità. Se la dose
iniziale è sufficiente a controllare adeguatamente i valori
pressori senza determinare la comparsa di effetti indesiderati
si è già raggiunto il traguardo (che però sarà importante
mantenere nel tempo). Se invece l’effetto antipertensivo è solo
parziale si potrà aumentare gradualmente il dosaggio o associare
un secondo e, talora, un terzo farmaco con meccanismo d’azione
differente; in genere un diuretico è il farmaco ideale da
associare, se non è stato già scelto inizialmente. In caso di
mancato effetto antipertensivo o di comparsa di significativi
effetti collaterali è indispensabile sostituire il farmaco con
un altro.
La terapia di
associazione è, pertanto, rivolta a tutti quei Pazienti nei
quali non si riesce ad ottenere la normalizzazione dei valori
pressori con la monoterapia. L’associazione di due principi
attivi, se eseguita in modo razionale porta ad un effetto di
potenziamento ottenendo un’efficacia decisamente superiore alla
somma dell’efficacia dei singoli principi attivi, senza
modificarne la tollerabilità.
Nel procedere a
identificare il regime terapeutico più appropriato è importante:
- ridurre i valori
pressori con gradualità, ricordando che un lento ritorno a
valori normali permette il ripristino del range originale
dell’autoregolazione del flusso ematico, evitando episodi
ischemici potenzialmente pericolosi;
- scegliere farmaci e
cadenze di somministrazione tali da ridurre i valori pressori
nel modo il più omogeneo possibile nell’arco delle 24 ore.
- tener conto delle
caratteristiche del singolo individuo e quindi procedere in
funzione del grado di rischio cardiovascolare globale del
paziente e, in particolare, dei livelli di pressione arteriosa.
In presenza di valori
pressori di base particolarmente elevati potrà essere necessario
partire con più di un farmaco o utilizzare dosi di partenza più
elevate.
Nonostante la terapia
antipertensiva debba essere considerata nella maggior parte dei
casi una terapia a vita, è pensabile che dopo un prolungato
periodo di adeguato controllo dei valori pressori, si possa
tentare una lenta riduzione della dose e del numero dei farmaci
antipertensivi, ovviamente sotto stretta sorveglianza.
4.Ipertensione
resistente o refrattaria
Se i valori pressori si
mantengono elevati nonostante la presenza di una terapia
antipertensiva appropriata che include tre farmaci a dose piena
tra i quali è presente un diuretico generalmente si parla di
ipertensione resistente al trattamento. È questa una condizione
che per la sua complessità può trarre giovamento dalla
consultazione di uno specialista.
Innanzitutto occorre
escludere la presenza di una pseudoresistenza legata ad una
misurazione non corretta o non rappresentativa dei valori usuali
di pressione fuori dall’ambulatorio medico (ipertensione da
“camice bianco”).
Tra le vere cause di
resistenza occorre pensare alla possibilità di una forma
secondaria o all’uso di sostanze ipertensivanti o che
interferiscono con i farmaci antipertensivi utilizzati. Una
frequente causa di ipertensione resistente tra i pazienti che
giungono all’osservazione dello specialista è un regime
terapeutico inadeguato, generalmente per l’uso di basse dosi dei
farmaci scelti, o inappropriato, in genere per l’uso di
un’insufficiente dose di diuretico. La causa di gran lunga più
frequente di apparente resistenza al trattamento antipertensivo
rimane comunque la scarsa aderenza da parte del paziente al
trattamento consigliato, farmacologico e non farmacologico (Tab.
I). Quest’ultimo motivo è anche il più difficile da correggere:
fondamentale è coinvolgere il paziente nella gestione del
problema, semplificando lo schema terapeutico che deve risultare
il più tollerabile possibile.
Tabella I.
Principali cause di
inadeguata risposta alla terapia antipertensiva.
Cause di
ipertensione resistente
Stile di vita scorretto
(incremento di peso, fumo, eccessiva assunzione di alcolici)
Scarsa aderenza alla
terapia farmacologica prescritta
Uso di farmaci/sostanze
che elevano i valori pressori di per sé o interferendo con i
trattamenti in corso (simpaticomimetici, decongestionanti
nasali, anoressizzanti, contraccettivi orali, antinfiammatori
steroidei e non steroidei, antidepressivi, eritropoietina,
ciclosporina, caffeina, cocaina, liquirizia, ecc.)
Regime terapeutico
inadeguato (dosaggi insufficienti, associazioni improprie, ecc.)
Sovraccarico di volume
plasmatico (terapia diuretica inadeguata, insufficienza renale
progressiva, eccessivo consumo di sale)
Cause di
pseudoresistenza
Ipertensione da “camice
bianco”
Uso di un bracciale di
normali dimensioni in un paziente obeso
Pseudo-ipertensione in
soggetti molto anziani con marcata aterosclerosi
Criteri nella scelta
del trattamento antipertensivo
La
tempestività dell’intervento terapeutico dipende dal livello di
rischio cardio-vascolare totale. Quando i valori pressori sono
nei range normale-alto (130-139/85-89 mmHg), la decisione
relativa al trattamento farmacologico dovrebbe dipendere dal
rischio del soggetto.
In caso di
ipertensione grado 1, 2 e 3 (OMS) sono raccomandate le modifiche
dello stile di vita non appena viene posta diagnosi di
ipertensione o esiste il sospetto.
Il
trattamento farmacologico dovrebbe essere iniziato
immediatamente nei pazienti ipertesi di grado 3, così come nei
grado 1 e 2 in presenza di un profilo di rischio cardiovascolare
elevato o molto elevato. Nell’ipertensione di grado 1 e 2, con
un rischio cardiovascolare moderato, la terapia farmacologica
dovrebbe essere posticipata di qualche settimana e addirittura
di qualche mese in caso di ipertensione di grado 1 in assenza di
altri fattori di rischio.
In questi
pazienti il mancato controllo pressorio dopo l’impostazione di
modifiche dello stile di vita, richiede l’intervento di terapie
farmacologiche. In presenza di diabete, storia di malattia
coronarica, cerebrovascolare o vasculopatia periferica, i trials
clinici hanno dimostrato che il trattamento antipertensivo si
associa a una riduzione di eventi fatali e non fatali. (Tab. II)
Scelta del
farmaco: monoterapia
I farmaci
antipertensivi delle cinque classi principali sono tutti dotati
di efficacia antipertensiva ben documentata e in grado di
ridurre l’incidenza di eventi cardiovascolari. I farmaci
indicati come scelta terapeutica con cui iniziare e proseguire
il trattamento, sia in monoterapia sia in associazione, sono:
• diuretici
tiazidici;
•
calcio-antagonisti;
•
ACE-inibitori;
• bloccanti
dei recettori dell’angiotensina II ;
•
betabloccanti.
Scelta del
farmaco: terapia di associazione
Le
associazioni tra due farmaci che nei trials clinici si sono
rivelate dotate di maggior efficacia e tollerabilità sono
• diuretici
tiazidici + ACE-inibitori;
• diuretici
tiazidici + bloccanti recettoriali dell’angiotensina II;
•
calcio-antagonisti + ACE-inibitori;
•
calcio-antagonisti + bloccanti recettoriali dell’angiotensina
II;
•
calcio-antagonisti + diuretici tiazidici;
•
betabloccanti + calcio-antagonisti (diidropiridinici)
La stragrande maggioranza
di trial clinici randomizzati hanno confermato che i principali
benefici della terapia antipertensiva dipendono dalla riduzione
dei valori pressori di per sé, e solo in parte dal tipo di
farmaco impiegato, e che i farmaci utilizzati sono tutti dotati
di efficacia antipertensiva ben documentatata. E’ quindi
possibile concludere che le classi principali di farmaci sono
tutte indicate come scelta terapeutica per iniziare e proseguire
il trattamento, sia in monoterapia che in associazione.
Per il trattamento
iniziale del paziente, in assenza di indicazioni particolari
guidate dalla situazione clinica, è ragionevole prendere in
considerazione farmaci ben sperimentati e di basso costo, quali
diuretici tiazidici a basse dosi, beta bloccanti ed ace
inibitori.
E’ stato tuttavia
evidenziato che le cinque classi di farmaci possono
differenziarsi tra loro per alcune proprietà terapeutiche e
caratteristiche specifiche, che rendono più appropriato il loro
impiego in situazioni cliniche definite.
Fattori da considerare
nella scelta terapeutica:
-
L’esperienza che il
paziente ha accumulato in precedenza con l’impiego di una
determinata classe di antipertensivi, in termini di efficacia e
di effetti collaterali;
-
gli effetti del farmaco
sui fattori di rischio cardiovascolare in relazione al profilo
di rischio del singolo paziente;
-
la presenza di danno
d’organo e di patologie cardiovascolari, renali o di diabete
clinicamente manifesto, che possono trarre maggior beneficio dal
trattamento con alcuni farmaci rispetto ad atri;
-
la presenza di altre
patologie concomitanti che possono favorire o limitare l’impiego
di
specifiche classi di
farmaci antipertensivi;
-
la possibilità di
interazione con altri farmaci che il paziente assume per altre
patologie
concomitanti;
-
il costo dei vari farmaci
sia a carico del paziente che a carico della struttura pubblica
di Riferimento. (Tab. III)
Il Mmg e la
scelta razionale della terapia
Gli inviti
rivolti al Mmg a “risparmiare” sulla spesa farmacologia sono
sempre più pressanti. Gli antipertensivi sono uno dei capitoli
di spesa più spesso citati per importanza e per il ruolo
primario giocato dal Mmg. Fatto salvo l’imperativo etico di
curare al meglio il paziente in base alle evidenze scientifiche,
è però necessario considerare seriamente la possibilità di
utilizzare al meglio le risorse disponibili, tenendo presente
che, in base ai dati epidemiologici citati, vi è la necessità di
trattare più pazienti e in modo verosimilmente più intenso. Ma
quali sono le fonti di “spreco” in campo antipertensivo? La
scelta di farmaci costosi quando ve ne sono di più economici a
parità di efficacia è sicuramente quella più citata. È
certamente vero che un certo numero di pazienti che non presenta
indicazioni e controindicazioni specifiche inizia la terapia con
farmaci più costosi di altri.
Questo
atteggiamento terapeutico non può essere ritenuto corretto: a
parità di efficacia è sempre opportuno scegliere il farmaco meno
costoso, sia esso il primo, il secondo o il terzo introdotto in
terapia. È per altro vero che il fenomeno è probabilmente molto
meno rilevante di quanto appaia per i seguenti motivi:
a) molti
soggetti hanno indicazioni e controindicazioni specifiche;
b) una
percentuale significativa di soggetti deve comunque sostituire
il primo farmaco in quanto scarsamente efficace;
c) una
percentuale rilevante di pazienti deve sostituire il farmaco,
anche se efficace, per effetti collaterali;
Condizione clinica Farmaci antipertensivi
COND
Tabella II: Criteri di scelta del farmaco antipertensivo in
particolari condizioni cliniche
Condizione clinica |
Farmaci
|
Ipertrofia ventricolare sinistra |
ACE-inibitori, calcio-antagonisti, sartani
|
Microalbuminuria |
ACE-inibitori, sartani |
Danno renale |
ACE-inibitori sartani
|
Pregresso ictus |
Qualsiasi farmaco antipertensivo
|
Pregresso IMA |
Betabloccanti, ACE-inibitori, sartani
|
Angina pectoris |
Betabloccanti, calcio-antagonisti
|
Scompenso cardiaco |
Diuretici, betabloccanti, ACE-inibitori,
|
Fibrillazione atriale parossistica |
Sartani, ACE-inibitori Betabloccanti, calcio-antagonisti
non diidropiridinici
|
Insufficienza renale/proteinuria
|
ACE-inibitori,bloccanti del recettoredell’angiotensina,
diuretici d’ansa
|
Vasculapatia periferica |
Calcio-antagonisti
|
Ipertensione sistolica isolata (anziano) |
Diuretici, calcio-antagonisti
|
Sindrome metabolica |
ACE-inibitori, sartani, calcio-antagonisti
|
Diabete mellito |
ACE-inibitori, sartani
|
Gravidanza |
Calcio-antagonisti, metildopa, betabloccanti
|
d) la
maggior parte degli ipertesi richiede l’associazione di più
farmaci per ottenere un adeguato controllo.
Un’altra
fonte di spreco è l’interruzione immotivata della terapia. Dati
italiani evidenziano che tra i pazienti che iniziano per la
prima volta la terapia antipertensiva, ben il 34,5% la
interrompe nel corso dei primi tre anni; di questi alcuni (7,6%)
ricominciano la terapia nel corso del terzo anno.
Si tratta di
un evidente spreco di risorse, oltre che di un cattivo servizio
nei confronti dei pazienti. Forse è in questo campo che si
dovrebbe agire con più forza, ponendo maggiore attenzione nel
momento della diagnosi e della comunicazione con il paziente. Un
fenomeno piuttosto rilevante, e teoricamente facilmente
eliminabile, è quello della sostituzione non motivata di una
terapia con un’altra già in atto; questo avviene a volte alla
dimissione dall’ospedale o dopo una visita specialistica e
comporta lo spreco dei farmaci già acquistati dal paziente.
I farmaci
generici
Un farmaco
generico ha la stessa composizione qualitativa e quantitativa di
sostanze attive e la stessa forma farmaceutica nonché una
bioequivalenza con il medicinale di riferimento
dimostrata da studi appropriati di biodisponibilità (Art. 10,
comma 5 D.Lgs. 219/2006).
In sintesi i
farmaci equivalenti o generici devono avere le seguenti
caratteristiche:
• non essere
coperti da brevetto;
• avere lo
stesso principio attivo del farmaco originatore;
• avere la
stessa forma farmaceutica di somministrazione;
• avere le
stesse modalità di prescrizione (obbligo di ricetta medica,
rimborso del SSN);
• avere lo
stesso numero di unità posologiche o dosi unitarie per
confezione;
• la loro
produzione deve essere sottoposta agli stessi controlli e alle
stesse procedure di registrazione e vigilanza che il Ministero
della salute riserva a tutte le specialità in commercio.
Per ottenere
l’autorizzazione all’immissione in commercio, le ditte
produttrici di farmaci generici sono tenute a dimostrare che il
loro farmaco è sostanzialmente simile per efficacia e sicurezza
alla prima specialità medicinale registrata. Trattandosi dello
stesso principio attivo, non è necessario ripresentare tutto il
dossier di efficacia clinica già presentato per la registrazione
iniziale, ma è sufficiente dimostrarne la bioequivalenza. Questo
termine descrive farmaci che hanno una biodisponibilità simile
in condizioni sperimentali simili (stessa velocità di
assorbimento e stessa quota assorbita) rispetto alla specialità
di riferimento. Avere la stessa AUC (area sotto la curva) è
condizione necessaria, ma non sufficiente perché due medicinali
siano definiti bioequivalenti. È necessario che anche Cmax
(concentrazione al picco) e Tmax (tempo in cui si ha il picco
delle concentrazioni plasmatiche) siano sovrapponibili. È di
regola ammessa un’oscillazione tra 80% e 125% del prodotto di
riferimento per AUC e Cmax.
Per le
considerazioni sopradette, il passaggio da un medicinale
generico a un altro, commercializzato da un diverso produttore,
potrebbe causare un’oscillazione nei parametri cinetici
sufficientemente ampia da influenzare in modo significativo il
controllo pressorio nel singolo paziente.
Nel caso di
sostituzione di un medicinale antipertensivo generico con un
altro equivalente, il medico curante deve essere informato
adeguatamente, così come il paziente, al fine di comprendere un
eventuale peggioramento del controllo dei valori pressori o una
eccessiva riduzione della pressione arteriosa
Tab. III Strategia del
follow-up del trattamento
Raggiungimento target presso rio
|
Mancato target dopo 3 mesi
|
Significativi
effetti collateral |
Rischio elevato:
• Rivedere ogni 3 mesi
• Monitorare PA e fattori rischio
• Intensificare modificazioni
dello stile di vita
|
In assenza di risposta, sostituire un farmaco o una
combinazione a bassa dose con un’altra
|
Sostituire un farmaco o
una combinazione a bassa
dose con un’altra |
Rischio medio-basso
• Rivedere ogni 6 mesi
• Monitorare PA e fattori rischio
• Intensificare modificazioni
dello stile di vita |
• Se la risposta è parziale, aumentare la dose,
aggiungere farmaco di altra
classe, o passare ad altra comb. a bassa dose
• Intensificare modificazioni
dello stile di vita |
Ridurre la dose e
aggiungere un farmaco di
un’altra classe |
La
situazione in Campania
Come ormai succede regolarmente da qualche anno la Regione
Campania detta regola proprie sull’appropriatezza prescrittiva
di alcuni farmaci, mettendo nel mirino, ovviamente, quelli che
hanno un costo maggiore.
Ecco che nella già complessa applicazione di protocolli e linee
guida, nella vecchia e mai sopita polemica tra Mmg e
Specialisti, in un pantano di note e prescrizioni, si introduce
un ulteriore elemento di confusione: i decreti Commissariali
che, nel caso specifico si alternano e si contraddicono a
distanza di poche settimane…
Il 20 aprile 2010 il BURC pubblica il decreto n°14 del
Commissario ad acta (Bassolino…) sulla razionalizzazione
dell’uso dei sartani.
Il decreto si pone l’obiettivo di non superare il 30 % di
confezioni di sartani sul totale delle confezioni di farmaci che
agiscono sul sistema renina-angiotensina. Inoltre, all’interno
della categoria, obbliga i Medici dei a privilegiare il
Losartan essendo l’unico sartano con copertura brevettuale
scaduta ( e quindi a basso costo). In sintesi su 100
prescrizioni di antipertensivi che agiscono sul meccanismo
renina-angiotensina, almeno 70 devono essere ACEI a brevetto
scaduto; i rimanenti per la metà devono essere losartan generico
e per l’altra metà possono essere sartani a brevetto valido ma
solo per particolari condizioni cliniche riportate in scheda
tecnica.
Questo avveniva ad aprile, ma a luglio la situazione è cambiata
di nuovo. Nuovo Commissario (Zuccatelli…) e nuovo decreto: il n°
44 del 14.07.2010 che sostituisce il “razionale terapeutico per
l’uso dei sartani…” appena citato e precisa che “i
farmaci della classe dei sartani a brevetto scaduto non trovano
alcuna limitazione prescrittiva se non quella di un appropriato
utilizzo. Le altre molecole appartenenti alla suddetta classe
coperte ancora da brevetto, possono essere prescritte con
indicazione appropriata apponendo sulla ricetta, nella parte
destinata al campo regionale, i codici relativi a 5 tipologie di
prescrizione.”. Inoltre invita
“tutti
i medici prescrittori, laddove lo ritengano possibile, a
rivalutare la terapia in corso secondo i dettami del presente
decreto”.
Cade, così la
limitazione percentuale prevista però… “I medici specialisti
del SSN e i medici ospedalieri al fine della continuità
terapeutica sono tenuti a fornire relazione al medico curante
motivando l'eventuale cambio di terapia con altra specialità
medicinale. Si ritiene periodo congruo 8 settimane entro le
quali non può essere sostituita la specialità prescritta, al
fine di valutare, senza alcuna distorsione dei parametri di tipo
farmacocinetico, il raggiungimento del target previsto. Quanto
sopra deve essere rispettato sia per i principi attivi da soli
che per i principi attivi in associazione.
I medici di
Medicina Generale, in virtù della conoscenza della storia
complessiva del paziente potranno individuare agevolmente,
qualora vi siano le condizioni di appropriatezza, le classi di
riferimento per la prescrizione riportando sulla ricetta il
codice corrispondente.
Alla faccia
della semplificazione, della razionalizzazione, della
deburocratizzazione!
I Mmg
continueranno a dare la massima collaborazione, si atterranno
alle disposizioni, utilizzeranno i codici alfa-numerici, si
sforzeranno di utilizzare i farmaci a brevetto scaduto o
comunque a basso costo, rispetteranno decreti, delibere, leggi e
leggine ma solo nella speranza che tutto ciò abbia i connotati
della provvisorietà, della eccezionalità di una situazione
gravissima di cui la categoria non ha colpa alcuna (la spesa per
la farmaceutica è sempre ancorata a quel 13-14% che ci è stato
imposto da anni…) e che i sacrifici richiesti (anche in termini
di professionalità…) portino ad una nuova definizione dei ruoli
della politica da un lato, della professione medica dall’altra
evitando che gli Ammalati, veri protagonisti del processo
assistenziale e centro motore di ogni Sistema sanitario, ne
vengano irrimediabilmente schiacciati.
