La Fibrillazione
atriale nel grande anziano
G. D’Angelo, A. Catalano, A.M. Stillo, G. Bottiglieri, P.
Bottiglieri*,
M. De Cristofaro*
U.O. Cardiologia P.O. EBOLI - U.O. Cardiologia P.O. Oliveto
Citra*- ASL SALERNO
Fin
dall’antichità si era compreso che le palpitazioni del cuore
oltre che fastidiose potevano risultare pericolose e
l’osservazione del “polso” permetteva di coglierle perché era “
un messaggero che non sbaglia mai “ (GALENO) . L’aritmia più
antica e comune è la fibrillazione atriale (FA), che
rappresenta anche uno dei principali fattori di rischio per
l’ictus ischemico. Questo è particolarmente vero nella
popolazione anziana. La prevalenza di fibrillazione atriale,
infatti, che nella popolazione generale è pari a circa l’1%,
aumenta nei soggetti con età avanzata fino a raggiungere
percentuali del 4.8% tra i 70 e 79 anni e di oltre il 9% circa
negli ultraottantenni(1).
Dunque la
prevalenza della FA è fortemente correlata alla senescenza.
Nello
studio ATRIA (2), condotto negli USA su 1,9 milioni di pazienti
con FA il 70% ha più di 65 anni con un’età mediana di 75 anni.
Inoltre, la prevalenza appare maggiore negli uomini rispetto
alle donne in tutte le fasce d’età: 1.1% verso 0.8%, nello
studio ATRIA (Fig.1).
Figura 1

In Italia si
può di calcolare che le persone affette da FA siano tra 285.000
e 600.000; la
stessa tendenza si osserva per l’incidenza della patologia:
nella popolazione generale il tasso di FA è del 2 per cento per
arrivare al 13 per cento negli over 80.
Entro il
2050 è previsto un incremento dei casi di patologia, che
dovrebbero aumentare di 2,5 volte.
D’altra parte
ciò è comprensibile dal momento che la vita media nel 2050
passerà dagli attuali 77 anni per gli uomini ed 83 anni per le
donne rispettivamente ad 83 e a quasi 89 anni; pertanto si
prevedono oltre 1,5 milioni di persone novantenni.
Attualmente
nel Nord America vi sono oltre 2.3 milioni di pazienti con FA ;
nel 2050 diventeranno oltre 6 milioni, di cui il 50% con età
≥ 80 a. , con incremento notevole della morbilità e
mortalità collegate a questa aritmia: ad esempio ben il 20% di
tutti gli stroke embolici sarà associata alla FA.
In Italia la
fibrillazione atriale è causa del 3,3 per cento di tutte le
ospedalizzazioni e dell’1,5 per cento dei ricoveri in pronto
soccorso. La patologia ha un impatto significativo sui costi
sociosanitari. Il costo medio di un singolo ricovero è di 5.252
euro.
La
correlazione tra età e FA è mediata dalla maggiore incidenza con
il crescere dell’età di alcuni fattori favorenti l’insorgere
dell’aritmia. Di questi i più importanti sono:
-
Alterazioni
del sistema di conduzione
-
Ipertensione
Arteriosa
-
Scompenso
Cardiaco
-
Disfunzione
diastolica
-
Fibrosi con
alterato stiffness delle arterie
-
Obesità
-
Diabete
mellito
-
Valvulopatie
degenerative
D’altra
parte bisogna anche tener presente che la FA frequentemente è
asintomatica o parossistica; pertanto il numero di soggetti
affetti da questa aritmia potrebbe essere nel mondo reale
maggiore di quella rilevata negli studi di popolazione.
Alcuni
studiosi affermano che in America il 30-40% della popolazione di
età ≥ 85a. è portatrice di questa aritmia cardiaca.
La FA non è
mortale ma può portare a morte. Certamente negli anziani con FA,
rispetto a quelli di pari età senza tale aritmia, la prospettiva
di vita è inferiore e la qualità di vita è peggiore.
La presenza
della fibrillazione atriale, in costante crescita visto anche
l’aumento dell’età media della popolazione (il 99 per cento
dei casi di fibrillazione atriale è diagnosticato dopo i 60 anni),
raddoppia il rischio di morte, aumenta il rischio di ictus di
almeno cinque volte, fa crescere il rischio di insufficienza
cardiaca di 3,4 volte e peggiora la prognosi dei pazienti con
fattori di rischio cardiovascolare.
Una
sottoanalisi dello studio ALLHAT ( Antihypertensive and
Lipid-Lowering Treatment to Prevent Heart Attack Trial ) ha
esaminato la prevalenza al basale e l’incidenza nel corso dello
studio di fibrillazione atriale o flutter atriale di nuova
insorgenza, e la loro influenza sugli outcome clinici.
La presenza
al basale della fibrillazione o del flutter atriale era
associata ad un aumento della mortalità ( hazard ratio, HR=2.82;
p<0.001 ), ictus ( HR=3.63; p<0.001 ), insufficienza
cardiaca ( HR=3.17; p<0.001), e malattia coronarica
fatale o infarto miocardico non-fatale ( HR=1.64; p<0.01 ). Il
rischio di mortalità nei pazienti che presentano al basale
fibrillazione atriale o flutter atriale, o in cui l’aritmia si è
sviluppata nel corso dello studio clinico, è risultato aumentato
di 2.5 volte (3). Nei pazienti con FA la prevenzione delle
trombo embolie è particolarmente importante, soprattutto se
anziani, perché più esposti. Gli stroke nel paziente in età
avanzato sono generalmente estesi, gravati da una elevata
mortalità in fase acuta e da importanti postumi invalidanti.
I recenti
trial di terapia antitrombotica nella prevenzione primaria delle
trombo embolie in pazienti anziani con FANV ( FA non valvolare)
hanno mostrato che, in assenza di trattamento, l’incidenza di
stroke ischemico è del 5% anno (la metà sono invalidanti) e sale
al 7% se si considerano anche i TIA e a valori ancora superiori
se si valutano anche gli stroke silenti, infarti cerebrali
subclinici svelati attraverso la TAC o la risonanza magnetica.
La FA
rappresenta pertanto una grave minaccia per il cervello, anche
in considerazione del fatto che gli stroke, manifesti e silenti,
in oltre 1/3 di questi malati si accompagnano a sviluppo di
depressione, fattore prognostico sfavorevole a breve e lungo
termine; inoltre la patologia cerebrovascolare si ritrova nella
storia del 20-25% dei casi di demenza (4).
Il rapporto
tra infarti cerebrali silenti, declino cognitivo e demenza è
stato confermato da uno studio pubblicato di recente su NEJM
(5): la presenza di infarto cerebrale silente, valutato mediante
studio con risonanza magnetica nucleare su 1015 persone di età
compresa tra 60 e 90 anni, incluse nello studio di Rotterdam,
raddoppiava il rischio di sviluppo di demenza in un follow-up
medio di 3.6 anni.
TAB. 1

Il principale
problema nel paziente con FA è la prevenzione degli eventi
embolici, in primis di quelli nel distretto vascolare cerebrale;
ciò particolarmente nell’anziano fibrillante, che è, di norma,
il malato con rischio embolico più elevato. Negli anni novanta
sono stati prodotti un elevato numero di studi sulla efficacia
del warfarin, testato versus placebo o aspirina
(Tab.1).Certamente il Warfarin è risultato il farmaco più
efficace nella prevenzione degli eventi embolici, anche nei
pazienti anziani e con rishio elevato ( studi SPAF II e III ).
Negli ultimi
anni l’approccio alla terapia di prevenzione dello stroke in
pazienti fibrillanti non valvolari è stato attuato utilizzando
un algoritmo denominato CHADS2 score (6), mediante il quale è
stato preventivato il rischio di stroke prendendo in
considerazione 5 variabili, di cui 4 con valore di 1 punto ed
una con valore di 2 punti per un totale di 6 punti (Tab.2).
Tab.2

Il punteggio
così ottenuto definisce la percentuale di rischio di stroke per
anno (7) secondo lo schema qui di seguito riportato (Tab.3):
Tab.3

Le strategie
terapeutiche sono definite sulla base di 3 livelli di rischio:
lieve, moderato e moderato-elevato, riferiti rispettivamente ad
uno score di 0,1 e ≥ 2 (Tab.4)
Tab.4

Le nuove
linee guida per il trattamento dei pazienti con FA elaborate
dalla Società Europea di Cardiologia (ESC) nell’anno 2010 hanno
evidenziato i limiti di questo score; in molti dei pazienti
classificati nel CHADS2 score come malati a rischio intermedio (
score 1 ) possiamo attuare terapia sia con warfarin che con
aspirina. In realtà la prevenzione dello stroke, anche in questo
gruppo di malati, risulta più efficace se si prescrive
l’anticoagulante.
Di qui
l’ingresso nella pratica clinica del nuovo score, CHA2DS.VASC
score (8), che inserisce nel calcolo nuovi indicatori: la
patologia vascolare, l’età tra 65 e 74 anni, il sesso femminile
e incrementa il punteggio in pazienti con età ≥ 75 anni.
Pertanto nel
CHA2DS2-VASc scores , il punteggio totale disponibile è 9
dal momento che l’età può essere calcolata 1 o 2 punti.
Nella tabella
5 viene riportato il confronto tra CHADS2 e CHADS2S2-VASc Scores
Tab. 5
Stroke risk stratification with the CHADS2 and CHA2DS2-VASc
scores
CHADS2 acronym |
Score |
CHA2DS2-VASc acronym |
Score |
Congestive heart failure |
1 |
Congestive heart failure/LV dysfunction |
1 |
Hypertension |
1 |
Hypertension |
1 |
Aged ≥75 years |
1 |
Aged ≥75 years |
2 |
Diabetes mellitus |
1 |
Diabetes mellitus |
1 |
Stroke/TIA/TE |
2 |
Stroke/TIA/TE |
2 |
_____________
Maximum score |
___
6 |
Vascular disease (prior MI, PAD, or aortic plaque) |
1 |
|
|
Aged 65-74 years |
1 |
|
|
Sex category (i.e. female gender) |
1 |
|
|
____________
Maximum score |
__
09 |
Il
CHA2DS2VASc score ha comportato una revisione anche nella
classificazione dei fattori di rischio di stroke, secondo quanto
riportato nella tabella seguente, ripresa dalle linee guida ESC
2010 sulla fibrillazione atriale.

L’approccio
alla trombo profilassi nei pazienti con FA è pertanto cambiata,
secondo lo schema qui di seguito riportato, tratto dalle linee
guida ESC 2010
.

Sulla base di
queste nuove considerazioni il paziente grande anziano affetto
da fibrillazione atriale non valvolare è destinato alla terapia
anticoagulante oltre che per l’età, anche per la quasi costante
presenza di altri “ clinically relevant non-major risk
factors “. Pertanto l’impiego di dicumarolici impone una
corretta valutazione del rischio di sanguinamento. Le linee
guida ESC 2010 hanno inserito nel decision making della terapia
di questi pazienti la quantizzazione del rischio di
sanguinamento sulla base di uno score HAS-BLED (9) , che assegna
ad alcune variabili cliniche un punteggio di rischio con un
valore massimo di 9 punti.
La tabella
viene qui riportata integralmente
E’ importante
notare che molte delle caratteristiche cliniche alla base del
calcolo del rischio di sanguinamento sono le stesse utilizzate
nel CHADS2 score; questo spiega il risultato riportato nel
lavoro pubblicato su CHEST (9) relativamente alla differenza di
valore medio del CHADS2 score tra pazienti con e senza
sanguinamento: più elevato nei pazienti che andavano incontro ad
episodi di sanguinamento.

Dunque la
terapia mediante anticoagulanti va somministrata con prudenza,
in particolare nei pazienti anziani con fibrillazione atriale,
ricercando il migliore equilibrio possibile nel bilanciamento
tra rischio embolico e rischio emorragico. Nel paziente con più
di 75 anni e FANV è necessario fare un primo bilancio sul
rischio beneficio del trattamento anticoagulante:
- In presenza
di età >75 anni e altri fattori di rischio trombo embolico, il
trattamento anticoagulante è fortemente raccomandabile;
- In presenza
di età >75 anni e altri fattori di rischio trombo embolico, ma
con un profilo emorragico positivo, va valutato il singolo caso;
- In presenza
di età >75 anni senza altri fattori di rischio trombo embolico,
potrebbe essere più prudente trattare il paziente con “ altro “
soprattutto se contemporaneamente vi è un profilo emorragico
positivo.
Ed oggi, la
ricerca ci consente di guardare al futuro terapeutico di questi
malati con convinta speranza e maggiore serenità.
Il Congresso
Europeo di Cardiologia appena concluso, ha acceso i riflettori
sul Dabigatran etexilate un nuovo potente e affidabile
inibitore diretto della trombina, messo a confronto con warfarin
in
oltre 18.000
soggetti affetti da FA e con almeno un fattore di rischio trombo
embolico.
Lo studio
RELY (11) ha confrontato l’efficacia e la sicurezza di
dabigatran etexilate a due diversi dosaggi (110 mg due volte al
giorno e 150 mg due volte al giorno) rispetto alla terapia
convenzionale con warfarin. La nuova molecola può essere
somministrata per via orale e ha come vantaggio quello di non
richiedere il monitoraggio dei livelli di coagulazione. Inoltre,
non coinvolgendo il citocromo P450 nel suo metabolismo, non
presenta tutte le possibili interazioni con altri farmaci e
alimenti, ampiamente descritte per gli anticoagulanti orali
inibitori della vitamina K.
L’outcome
principale dello studio RE-LY era la valutazione dell’incidenza
degli eventi embolici sistemici e degli ictus di tipo sia
ischemico sia emorragico. Gli autori hanno riportato
un’incidenza annuale dell’endpoint primario significativamente
ridotta nei pazienti trattati con dabigatran al dosaggio di 150
mg (1,11%) rispetto a dabigatran al dosaggio di 110 mg (1,53%) e
a warfarin (1,69%). Inoltre, il rischio di ictus emorragico è
stato significativamente minore nei pazienti trattati con
dabigatran (0,12% e 0,10%, rispettivamente con 110 mg e 150 mg)
rispetto a quanto osservato con l’anticoagulante tradizionale
(0,38%). Infine, anche l’incidenza annuale dei sanguinamenti
maggiori è risultata minore per i pazienti trattati con
dabigatran (2,71% e 3,11%, rispettivamente per 110 mg e 150 mg,
contro il 3,36% con warfarin).
Gli autori
concludono che dabigatran al dosaggio più basso (110 mg) è
efficace quanto warfarin nel prevenire gli eventi trombo
embolici ed è associato a un minor rischio emorragico, mentre a
dosaggio più alto (150 mg) è più efficace di warfarin nel
prevenire il rischio trombo embolico, ma comporta lo stesso
rischio emorragico.
Di qui il
nuovo scenario nella terapia in pazienti con FANV:
-
Se
il paziente è a basso rischio di sanguinamento (per esempio
HAS-BLED di 0-2), si può prendere in considerazione la
somministrazione di dabigatran 150 mg b.i.d., considerata la
maggiore efficacia nella prevenzione di ictus e di embolia
sistemica con una minore incidenza di emorragia intracranica e
tassi di sanguinamento maggiore simili nel confronto con
warfarin.
-
Se
il paziente ha un rischio di sanguinamento misurabile (ad
esempio un punteggio HAS-BLED ≥ 3), si può somministrare
dabigatran etexilato 110 mg bid considerata la efficacia simile
al warfarin nella prevenzione di ictus e di embolia sistemica
con una minore incidenza di emorragia intracranica e di
sanguinamenti maggiori.
-
Nel paziente con 1 fattore di rischio rilevante “non
maggiore “ ( Heart failure or moderate to
severe LV systolic dysfunction (e.g. LV EF < 40%) Hypertension -
Diabetes
mellitus
Female sex - Age 65–74 years- Vascular disease) possiamo
prendere in considerazione il
dabigatran 110ng
bid
considerata l’equivalenza di efficacia con il warfarin nella
prevenzione
dello stroke e delle embolie periferiche con un più
basso rischio di emorragie intracraniche e
di sanguinamenti maggiori anche nei confronti
dell’aspirina.
-
Nei pazienti in cui la terapia con warfarin risulta di
difficile attuazione oppure non efficace (è sufficiente
ricordare che, nei pazienti trattati con warfarin, l’INR non è
nel range terapeutico in circa il 40% dei controlli durante il
follow-up).
Relativamente
a questo ultimo punto, è del tutto recente un pregevole lavoro
sull’
American
Journal of Medicine
(12) di
quest’anno nel quale sono stati arruolati 171,393 pazienti
affetti da fibrillazione atriale e/o flutter atriale con CHADS2
score di 0 (basso rischio) nel
20.0%, 1-2
(rischio moderato) nel 61.6% e 3-6 (alto-rischio) nel 18.4% .
Il warfarin è
stato prescritto nel 42.6% dei pazienti e non vi erano
differenze in termini di percentuali di utilizzo del warfarin
nelle varie classi di rischio CHADS2 . Peraltro nei
pazienti ad alto rischio (punteggio CHADS2 pari a 3 -
6) solamente il 42.1% era in terapia con warfarin. Inoltre
solamente il
29.6% dei
pazienti ad alto rischio, il 33.3% di quelli con rischio
moderato e il 34.1% dei pazienti a basso rischio assumevano
ininterrottamente il warfarin per 6 mesi successivi alla
prescrizione.
Questo studio evidenzia come nel 'real world' la terapia
anticoagulante sia sottoutilizzata rispetto alle
raccomandazioni; si calcola che non più del 50% dei pazienti che
necessitano di terapia anticoagulante, la pratichino e che tra
questi non oltre il 60% , pur se oggetto di trails, riescono a
mantenere il range terapeutico, soprattutto se anziani.
Ancora una
novità dal Congresso ESC 2010 di Stoccolma nel campo della
prevenzione dello stroke in pazienti con FANV : i risultati
dello studio AVERROES (13) sull’impiego di Apixaban, un nuovo
inibitore selettivo del fattore Xa della coagulazione.
Lo studio ha
arruolato 5.500 pazienti, di età media 70 ± 10a. affetti da
fibrillazione atriale (FA) non in grado di seguire la terapia
con warfarin (il 40% lo aveva iniziato ma poi sospeso ed il 60%
era controindicato) divisi in due gruppi di trattamento:
apixaban 5 mg bid (in pochi casi 2,5mg bid) e ASA 81-324 mg/die.
Obiettivo principale dello studio era misurare l'incidenza di
Stroke e eventi embolici sistemici in un follow-up di 3 anni. Lo
studio è stato interrotto precocemente dopo 1 anno per eccesso
di beneficio nel braccio Apixaban, che ha ridotto il rischio di
stroke o di eventi embolici sistemici del 54% vs ASA senza
aumentare il rischio di emorragie e senza alterare i parametri
di funzionalità epatica.
L’ANMCO e la
Federazione delle Associazioni dei Dirigenti Ospedalieri
Internisti hanno affrontato in un recente simposio congiunto il
problema della fibrillazione atriale come malattia tipica del
paziente anziano. Ed è proprio sui pazienti anziani che
cardiologi e internisti si trovano frequentemente a lavorare
insieme. Quasi tutti gli anziani con fibrillazione atriale hanno
patologie di base: scompenso, fase terminale di una cardiopatia,
tumore, edemi polmonari, alcolismo. Si spiega così la grande
prevalenza di fibrillazione atriale in questa fascia d’età: la
vita media aumenta, le cardiopatie sono curate meglio, la durata
della malattia è estremamente più lunga.
La fase più avanzata di malattia si associa alla fibrillazione
che diventa quindi anche un marker di gravità dei pazienti. In
queste condizioni diventa difficile scegliere la terapia
antiaritmica per la popolazione anziana Tutti gli antiaritmici
di classe 1 non sono assolutamente indicati per chi soffre di
cardiopatie. In questo modo molti pazienti con disfunzione
ventricolare sinistra non possono usufruirne. Per loro la
terapia prevede unicamente l’amiodarone.
Finalmente fa
il suo ingresso nella farmacopea europea per il trattamento di
pazienti con FA il Dronedarone (400 mg 2 volte al giorno),
farmaco di lunga gestazione, entrato come "first choice of
treatment" nel mantenimento del ritmo sinusale in pazienti con
FA senza cardiopatie associate o con cardiopatie associate ma in
assenza di un quadro di scompenso cardiaco in classe III-IV
della NYHA (dove l’amiodarone la fa ancora da padrone).
Le nuove
linee guida della Società Europea di Cardiologia per il
trattamento della Fibrillazione Atriale, presentate di recente a
Stoccolma in occasione del congresso annuale, raccomandano
Dronedarone nella prevenzione di una recidiva di FA o per
diminuire la frequenza ventricolare, dal momento che questa
molecola rappresenta, in alcuni casi, l’alternativa
all’amiodarone (14)
Dronedarone
rappresenta un nuovo trattamento farmacologico per la cura di
questa aritmia ed è l’unica molecola che abbia dimostrato una
riduzione combinata del rischio di ospedalizzazione per evento
cardiovascolare o morte per qualsiasi causa del 24%, con
riduzione del 26% del rischio di ospedalizzazione per causa
cardiovascolare e del 16% di morte per ogni causa (15). Inoltre
consente di ridurre la frequenza cardiaca anche nei pazienti che
rimangono fibrillanti e non presenta effetti proaritmici.
Nello studio
ATHENA questo farmaco ha mostrato anche di ridurre del 34% il
rischio di ictus in questa tipologia di pazienti.
Altro punto
di forza di questo nuovo antiaritmico è l’aderenza alla terapia
da parte del paziente e la sicurezza d’impiego, due fattori
chiave quando si progetta un trattamento destinato a protrarsi
nel tempo, soprattutto se si parla di pazienti anziani.
Avere a
disposizione Dronedarone, significa trattare questi pazienti
con maggior tranquillità riducendo il rischio di indurre effetti
collaterali, come un’alterazione della funzione tiroidea sia in
senso iper che ipo, effetti che frequentemente insorgono in
corso di altro trattamento.
C’è una
tendenza all’interventismo nei dipartimenti di cardiologia
italiani, anche se l’ablazione non “promette” la sospensione
della terapia anticoagulante e quindi è certo un’opportunità
notevole, ma da applicare su pazienti molto selezionati: quando
l’anticoagulazione è controindicata, quando ci si trova di
fronte ad un alto rischio di embolia e nello stesso tempo alla
impossibilità di trattare il paziente, quando diventa una
necessità per il raggiungimento di un efficace equilibrio
emodinamico e/o per la ridotta qualità di vita del malato.
Rimane il problema del paziente che non può assumere
anticoagulanti. L’alternativa è la chiusura dell’auricola
sinistra con un device impiantato per via percutanea, ma non è
un trattamento ancora raccomandato e deve essere ancora oggetto
di riflessione.
Certamente la chiusura dell’auricola può avere delle grandi
applicazioni, soprattutto se i registri di questi casi verranno
ben tenuti, in modo da monitorare i buoni risultati e permettere
poi un’applicazione più estesa, più sicura e con effetti
collaterali minimi.
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