L’infarto miocardico a coronarie “sane”
Francesco
Bovenzi, Cristiano Lisi
Dipartimento Cardio-Respiratorio, U.O. di Cardiologia,
Ospedale
Campo di Marte - Lucca
L’esistenza
dell’infarto miocadico acuto a coronarie angiograficamente
normali è ormai stata riconosciuta da oltre trenta anni
soprattutto con la massiccia diffusione dell’angiografia
coronarica tra le tecniche diagnostiche, attirando l’attenzione
per dei medici per la comprensione dei meccanismi
fisiopatologici di tale condizione. Essa deve essere distinta
dal punto di vista diagnostico da altre patologie che possono
mimarla ma che non fanno parte della casistica che stiamo
analizzando. Tra queste desideriamo sottolinearne due che spesso
si presentano nella pratica clinica quotidiana e che possono
essere fonte di diagnosi non corretta: la sindrome tako-tsubo
simile o miocardiopatia da stress e la miocardite acuta. La
prima è una sindrome descritta per la prima volta all’inizio
degli anni ’90 [1] e consiste in una disfunzione ventricolare
sinistra il più delle volte transitoria con modificazione
elettrocardiografiche, movimento degli enzimi miocardiospecifici,
disfunzione ventricolare sinistra con tipico aspetto
ecocardiografico e ventricolografico di disfunzione dei segmenti
apicali e ipercontrattilità dei segmenti basali e riscontro di
coronarie angiograficamente normali; tipicamente colpisce donne
di mezza età e riconosce un evento stressante emotivo o fisico
causale nella maggior parte dei casi, con alla base come momento
fisiopatologico principale ipotizzato un eccesso di catecolamine
circolanti [2]. Anche la miocardite acuta può mimare un IMA come
presentazione clinica e dovrebbe essere sempre sospettata ed
esclusa in caso di riscontro di coronarie normali.
A tal
proposito ricordiamo brevemente alcuni quadri
elettrocardiografici di condizioni che possono essere causa di
errata diagnosi di IMA tra cui consideriamo la normale variante
tipica dei giovani adulti con lieve sopraslivellamento ST nelle
precordiale (il cosidetto “male pattern”), la ripolarizzazione
precoce, l’ipertrofia ventricolare sinistra, la pericardite
acuta, l’iperkalemia, la sindrome di Brugada, l’embolia
polmonare, l’angina di Prinzmetal, e dopo cardioversione
elettrica [3].
L’IMA a
coronarie angiograficamente normali si verifica più
frequentemente in individui di età inferiore ai 50 anni e la sua
prevalenza varia dal 1 al 12% a seconda dei criteri utilizzati
per la definizione di coronarie angiograficamente normali
(dall’assenza di lesioni fino a stenosi comunque inferiori al
50% del lume) [4]. Un recente studio [5] mostra una prevalenza
del 2,8% dei pazienti con IMA sottoposti ad angiografia.
Nonostante i sintomi e i reperti elettrocardiografici siano
uguali agli infarti con CAD sottostante, l’estensione
dell’infarto è inferiore e la prognosi sono generalmente
migliori [4,6].
Il meccanismo
patogenetico di tale condizione non è univoco e diversi sono i
meccanismi ipotizzati per spiegarlo. Il grado di stenosi del
lume, che è quello che si rileva all’angiografia, è solo
lontanamente correlato con l’instabilità della placca per cui è
verosimile che ateromi che causano una riduzione del lume
inferiore al 50% possono comunque ulcerarsi ed instabilizzarsi e
dare luogo alla trombosi che poi per meccanismi endogeni si
risolve spontaneamente prima di riuscire ad eseguire la
coronarografia [7]. Inoltre è ben noto il fenomeno del
rimodellamento positivo, cioè di una placca che cresce non
all’interno del lume ma verso lo strato esterno del vaso,
determinando una lesione potenzialmente instabile ma
praticamente non visibile all’angiografia. Un altro meccanismo
patogenetico può essere ricondotto al vasospasmo coronarico, da
anni noto, che se dura a lungo in luogo della classica angina di
Prinzmental può precipitare un vero e proprio IMA a coronarie
angiograficamente normali, specie dopo sospensione di farmaci
come calcio antagonisti o beta bloccanti ed in presenza di
scarsa produzione di ossido nitrico da parete delle cellule
endoteliali e con fattori predisponenti come il fumo di
sigaretta. La formazione in situ di un trombo coronarico può
essere un altro meccanismo capace di innescare un IMA e la
successiva lisi spontanea del trombo rende impossibile la sua
visualizzazione all’angiografia. Spesso in questi casi è da
ricercare uno stato di ipercoagulabilità geneticamente
determinata [8], come il fattore V di Laiden, deficit di proina
C e S, aumentata attività del fattore VII e fattori acquisiti
come il fumo [9] o l’uso di contraccettivi orali. Da considerare
anche la possibilità di embolizzazione nel distretto coronarico,
più spesso a livello dell’interventricolare anteriore [10], che
può essere conseguenza di malattie valvolari e presenza di
protesi, o presenza di shunt a livello del setto interatriale
con embolia paradossa. La dissezione sponatanea delle coronarie,
seppur rarissima, è da considerare come altra possibile causa di
IMA a coronarie angiograficamente normali, soprattutto in
giovani donne nel periodo post-partum [11]. Infine la presenza
di un ponte muscolare, un decorso intramocardico di un tratto di
coronaria, anche in questo caso quasi esclusivamente
dell’interventricolare anteriore, è da prendere in
considerazione come possibile causa, soprattutto se concomitano
eventi scatenanti come la tachicardia, che riducendo il tempo di
diastole durante il quale il flusso è pressoche normale in
presenza di ponte muscolare, può scatenare un IMA a coronarie
angiograficamente normali [12], anche se in questo caso
l’angiografia riesce comunque a porre il sospetto diagnostico.
Anche l’infiammazione e le vasculiti, che colpiscono le arterie
di medie dimensioni come le coronarie, possono essere annoverate
tra le cause possibili di infarto a coronarie normali [13].
Infine è da considerare anche l’uso di sostanze stupefacenti
come causa di tale patologia, in particolare la cocaina ed in
maniera minore la cannabis; la cocaina infatti aumenta
notevolmente il consumo di ossigeno miocardico e
contemporaneamente crea vasocostrizione sia a livello delle
coronarie epicardiche che a livello del microcircolo, con
effetti sfavorevoli sul rapporto tra domanda e apporto di
ossigeno che può portare ad ischemia e necrosi miocardica [14].
La prognosi
dell’infarto miocardico a coronarie normali appare molto
migliore rispetto agli infarti con malattia coronarica
angiograficamente evidente [6]. Sia il tasso di recidive che le
complicanze e le curve di sopravvivenza sono decisamente più
favorevoli in questi malati. Tuttavia piccoli studi più recenti
che distinguevano tra pazienti con coronarie con angiografia
strettamente normale e con coronarie con minima aterosclerosi
non emodinamicamente significativa mostrano che la prognosi dei
primi è nettamente migliore dei secondi [15], ponendo il
sospetto che la malattia coronarica, pur non evidente
angiograficamente, possa avere un impatto negativo sulla
prognosi. A tal proposito diventa di particolare interesse una
ulteriore valutazione di tali malati con tecniche più raffinate
associate all’angiografia, come l’IVUS, per ottenere dati più
approfonditi.
Conclusioni
Come abbiamo
visto non esiste una singola eziologia per l’IMA a coronarie
“sane” e le percentuali attribuibili alle condizioni sopracitate
sono variabili a seconda degli studi. Tuttavia è da rimarcare
che oltre i 2/3 dei casi sono rimasti senza una spiegazione
riconosciuta, o almeno in alcuni di questi la diagnosi
eziologica è stata quantomeno dubbia [16]. Bisogna sottolineare
come in assenza di IVUS o altre tecniche che diano informazioni
sulla parete vascolare la sola angiografia non può escludere una
sottostante malattia coronarica che non dia luogo a stenosi
significativa del lume. L’utilizzo dell’IVUS appare quindi
attualmente auspicabile nei malati che si presentico con IMA
senza riscontro di malattia coronarica visibile per chiarire il
ruolo dell’aterosclerosi nascosta nell’eziologia di tale
condizione. La disfunzione endoteliale è un altro capitolo di
notevole importanza nella patogenesi di tale condizione.
Fondamentale appare distinguere l’IMA a coronarie normali da
altre condizioni che possono simularlo, in paricolare la
sindrome di Tako-Tsubo e la miocardite acuta. Per quanto
riguarda la prognosi, nonostante i lavori riportati in
letteratura in passato la riportino come benigna, il meccanismo
patogenetico probabilmente diversifica le prognosi, e potrebbe
in realtà per alcuni meccanismi non essere particolarmente
diversa dagli altri infarti quando la patogenesi è attribuibile
comunque a malattia coronarica.
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