COME È CAMBIATO E COME
CAMBIERÀ IL CARDIOLOGO OSPEDALIERO
Alessandro Boccanelli
Dipartimento per le Malattie
dell’Apparato Cardiocircolatorio
A.O.San Giovanni-Addolorata
Roma
Negli anni ‘60, tra le varie
branche della terapia intensiva, si diffusero le unità di
terapia intensiva coronarica, o più brevemente Unità Coronariche
(U.C.), indirizzate verso la cura della fase acuta dell’infarto
miocardico.
Diverse considerazioni
clinico-statistiche sulla malattia coronarica determinarono la
nascita delle U.C. e lo sviluppo di nuovi mezzi terapeutici.
Lo studio clinico e prognostico
dell’infarto in quel decennio aveva infatti permesso di
precisare:
a)
il numero elevato e sempre crescente di episodi
infartuali, anche in soggetti giovani e d’età media;
b)
l’inefficacia delle misure profilattiche sullo sviluppo
di lesioni arteriosclerotiche coronariche;
c)
l’alta mortalità nella fase iniziale dell’infarto
miocardico, concentrata nei primi giorni di malattia e spesso
dovuta a gravi aritmie.
Contemporaneamente le conoscenze
mediche si arricchivano di preziose esperienze su alcuni
procedimenti essenziali della rianimazione, quali:
a)
il massaggio cardiaco esterno e la respirazione
artificiale,
b)
l’applicazione della corrente elettrica nel controllo
delle aritmie cardiache.
.
Le osservazioni cliniche sulla
mortalità dell’infarto in fase acuta, ma soprattutto il
riconoscimento dell’elevata frequenza con cui si verificava la
morte aritmica in questa fase, stimolarono a tentare le
applicazioni terapeutiche, meccaniche ed elettriche, nei
soggetti con infarto miocardico…
…Day (Day, 1962, 4-5-6-7-8)
formulò il successivo passo logico: egli separò gli infartuati
in una unità disegnata in modo particolare, registrò al monitor
la frequenza e il ritmo cardiaco, istruì le infermiere sui
principali metodi rianimativi: nacque così il concetto di U. C.
Le prime unità coronariche in
funzione nel 1962 nel Departiment of Nutrition della Harward
University School of Public Health (Lown 1962) e nel Peter Bent
Brigham Hospital di Boston (Lown 1961); nel Medical Reserarch
Council’s Cardiovascular Research Unit (Shillingford 1962) e
nella Royal Medical School di Londa (Mounsey 1962).
L’Unità Coronarica rappresenta
quindi una applicazione specialistica del concetto di terapia
intensiva, e prese l’avvio dalla constatazione che la mortalità
per infarto miocardico non è sempre dovuta ad un danno anatomico
molto grave, ma spesso essa avviene per un danno funzionale
reversibile.
L’Unità Coronaricai rappresenta
l’espressione più completa dell’alta specializzazione della
cardiologia, per la complessità dei problemi di diagnostica
clinica ed elettrocardiografica, per la necessità di giungere e
valutare correttamente problemi di ordine emodinamico e di
avvalersi di una strumentazione strettamente cardiologica
Il contesto iniziale in cui
nacquero e si svilupparono le UC si è mantenuto per molti anni e
correva parallelo allo sviluppo della Cardiologia e della
Cardiochirurgia. Nel frattempo, sono cambiate in modo
sostanziale alcune condizioni fondamentali: l’epidemiologia, la
tecnologia, la terapia medica e interventistica,
l’organizzazione sanitaria, la formazione del cardiologo, lo
sviluppo delle sottospecialità.
. Diverse teorie si sono
rivelate nel tempo sbagliate (l’uso dei glucosidi, l’uso
allargato degli antiaritmici, il timore dei beta-bloccanti), ma
si focalizzava bene il problema della perdita di massa
contrattile come elemento fondamentale da contrastare. Le prime
UTIC , con l’attenzione prevalente al monitoraggio
elettrocardiografico, portarono la mortalità per infarto
miocardico acuto dal 31 % degli anni ’60 al 15 % dell’epoca
pretrombolitica (con l’uso del monitoraggio emodinamico ed
elettrocardiografico e l’uso dei beta-bloccanti).
In considerazione del grande
successo ottenuto dalle Unità Coronariche, ne fu incoraggiata la
realizzazione in tutti gli ospedali medio-grandi, così che il
Censimento delle UTIC italiane del 2005 arriva a contarne 411.
L’organizzazione delle UTIC e l’omogeneità dei protocolli ha
consentito grandi studi clinici con dimostrazione di efficacia
di trattamenti innovativi, il più importante dei quali è stata
la terapia fibrinolitica, che ridusse la mortalità, negli anni
’80, al 12 %. Negli anni ’90 si è associata poi l’angioplastica
primaria che ha completato il concetto e la pratica della
riperfusione precoce (“era della riperfusione”).
La mortalità per infarto in
UTIC, attualmente, si è attestata intorno al 5 %, risultato
dovuto soprattutto al salvataggio del miocardio ottenuto con le
procedure di riperfusione, mantenendosi elevata la mortalità tra
i non riperfusi. La politica dell’angioplastica primaria ha
inoltre favorito lo sviluppo delle reti intergrate per
l’emergenza cardiovascolare, finalizzate al trattamento più
vicino alle esigenze del singolo malato, per superare la
sostanziale iniquità della differenza di trattamento legata alla
sede di ricovero. Si è sempre di più saldata l’attività
dell’UTIC con quella dell’emodinamica, cresciuta nel frattempo
in direzione interventistica, così da essere oggi non
giustificata la presenza di emodinamica solo diagnostica.
Dati demografici
Nel 1970 la durata media della
vita era di 70 anni, mentre oggi supera gli 80 anni. Questo
risultato è stato in larga parte dovuto alla riduzione della
mortalità per malattie cardiovascolari. Gli ultimi dati in
Italia ci danno una insorgenza dell’infarto miocardico, per
l’IMA con sopraslivellamento di ST, di 66 anni e per il non ST
di quasi 70 anni, ovvero anche per l’infarto si è spostata in
avanti di 10 anni l’insorgenza. Secondo i dati dello studio
Blitz 3 (ancora non pubblicati) l’età media dei pazienti
ricoverati nelle UTIC è di 70 ± 13 anni e il 39 % dei pazienti
ha una età superiore ai 75 anni. Questo significa che si disegna
un quadro clinico più complesso, per la possibilità di sviluppo
di comorbidità: il diabete mellito è presente in oltre il 25 %
dei soggetti, le BPCO nel 15 %, l’insufficienza renale cronica
nel 10 %, un tasso di emoglobina inferiore a 12 mg% in circa il
20 %, oltre a tutti i problemi legati con la terza età, di tipo
prevalentemente fisiatrico.
Il trattamento medico
Nel corso degli anni, grandi
trial clinici randomizzati hanno certificato l’uso di una vasta
serie di farmaci, finalizzati al trattamento della disfunzione
ventricolare e stabilizzazione del tono neurovegetativo
(ace-inibitori, sartani, β-bloccanti), alla stabilizzazione di
placca (statine), alla prevenzione della trombosi sia sul vaso
nativo che su stent impiantati (nuovi antipiastrinici,
antitrombotici e trombolitici). Questi ultimi farmaci hanno di
fatto aumentato il rischio emorragico, a fronte di un maggiore
beneficio nella prevenzione antitrombotica. Le comorbidità e la
maggiore età dei pazienti impongono un maggiore livello di
attenzione nell’uso dei farmaci, per i potenziali eventi avversi
legati soprattutto all’insufficienza renale e allo stato
anemico.
Le tecnologie
Il ricorso alle procedure
invasive è diventato prassi comune: lo studio coronarografico
viene effettuato nel 65 % dei pazienti con STEMI e nel 50 % di
quelli NSTEMI e l’angioplastica, rispettivamente, nel 59 % e 32
% (dati BLITZ 3).
Il monitoraggio
elettrocardiografico si è evoluto dal semplice controllo delle
aritmie a quello della evoluzione naturale e indotta dai
trattamenti del fenomeno ischemico, con analisi delle 12
derivazioni. Si sono semplificati i sistemi di controllo dei
parametri vitali, come pure la valutazione non invasiva della
portata cardiaca.
L’ecocardiografia fa parte della
routine del controllo della evoluzione del rimodellamento
postinfartuale ed è presente nell’82% delle UTIC.
Le nuove raccomandazioni sulla
struttura e organizzazione delle UTIC (Hasin Y, Duchin N,
Filippatos G.S. et al.
Recommendations for
the structure, organization, and operation of intensive cardiac
care units. Eur Heart J
2005; 26,1676-82) prevedono che nelle UTIC siano presenti
respiratori meccanici (compresi sistemi CPAP), contropulsatore
aortico e attrezzatura per emofiltrazione, con inerente
necessità di competenze specifiche o integrate con quelle di
altri specialisti.
L’informatizzazione delle UTIC è
una realtà avanzata, con possibilità di accesso rapida ai dati
clinici, di laboratorio e strumentali, in particolare
all’imaging, con facilità di scambio di informazioni
interospedaliere e interne.
L’UTIC nella rete per
l’emergenza
L’assistenza alle sindromi
coronariche acute è diventata un sistema, in cui l’UTIC gioca un
ruolo primario per la erogazione delle cure, integrandosi con il
soccorso territoriale. Sta ormai passando il concetto di
trasporto verso l’ospedale più idoneo e non verso quello più
vicino, nonché la politica del trasferimento da strutture a
minore ad altre a maggiore complessità (sistema del mozzo e
raggi).
La comunicazione al pubblico è
riuscita a fare arrivare in ospedale entro la 2° ora il 48 % dei
soggetti con infarto (dati Blitz 1), con maggiore possibilità di
accedere alle terapia riperfusive.
UTIC: terapia intensiva
coronarica o cardiologica?
La diffusione delle UTIC sul
territorio nazionale ha di fatto creato una tendenza al diverso
utilizzo delle strutture in relazione al loro ruolo di Hub e
Spokes o, in generale, al tipo di ospedale in cui la UTIC si
colloca. Le UTIC dei grandi centri, generalmente con funzione di
centro di riferimento, conservano per lo più la loro
connotazione originaria di prevalente assistenza alle sindromi
coronariche cute, selezionate in genere per maggiore gravità.
Proporzionalmente alla periferizzazione delle UTIC, tende ad
aumentare la percentuale di ricoveri per acuti non coronarici
(scompenso cardiaco, fibrillazione atriale o TPSV). Inoltre il
“fenotipo complesso” del paziente ricoverato in UTIC che si sta
configurando per la presenza di numerose comorbidità (più di 3
nel 30 % dei ricoverati) sta generando una “necessità di
medicina interna” e “necessità di terapia intensiva generalista”
che in molte sedi sta facendo riflettere sulla opportunità di
mantenere l’UTIC separata dalla terapia intensiva
tradizionalmente affidata agli intensivisti-rianimatori. Questo
è un punto critico, perché, in una concezione di ospedale “per
intensità di cure” che si va configurando in molte realtà,
l’UTIC rischia di scomparire. Probabilmente, l’unico vero modo
per far sopravvivere queste strutture è il loro inserimento in
rete, in un concetto di dipartimento interospedaliero, adattando
l’organizzazione alle esigenze locali. Sicuramente la
Cardiologia deve fare un serio processo di autocritica, con
definizione più rigorosa dei termini che definiscono l’UTIC,
restituendo ad essa il ruolo di terapia intensiva coronarica,
in cui i cardiologi non sono sostituibili e trovando soluzioni
alternative (reparto di degenza, subintensiva, accordi con le
rianimazioni) laddove organizzativamente non sia sostenibile il
concetto di terapia intensiva esclusivamente cardiologica
(soprattutto piccoli ospedali), dove comunque la competenza del
cardiologo va assolutamente riconosciuta e salvaguardata.
E il Cardiologo?
Poiché ci siamo dati un periodo
di osservazione di circa 30 anni, proviamo ad esaminare
l’evoluzione attuale e futuribile dello specialista cardiologo.
All’interno della Cardiologia sono evolute le branche
sottospecialistiche, ciascuna delle quali richiede conoscenza e
abilità tecniche che potrebbero configurare tipi diversi di
cardiologo. Stanno a testimoniare questa “diaspora cardiologica”
le numerose società scientifiche di settore, cresciute in ambito
nazionale e internazionale, ciascuna con il fine di ottimizzare
ricerca, assistenza e organizzazione nel proprio specifico
contesto di attività. Sono così nate le figure del cardiologo
interventista, dell’elettrofisiologo, dell’esperto di scompenso
cardiaco, dell’ecocardiografista, del riabilitatore, del
cardiologo nucleare, del cardiologo per le nuove tecniche di
imaging, del cardiologo ambulatoriale, di quello ospedaliero e
così via.
In questo contesto, ha un senso
immaginare un “cardiologo intensivista?” ovvero: è giustificato
creare delle figure professionali interamente ed esclusivamente
dedicate all’assistenza cardiologica intensiva?
A mio parere, la risposta è
negativa, per una serie di considerazioni che faremo di seguito.
Cominciamo con l’esame delle
competenze che deve avere un cardiologo che lavori in UTIC.
La competenza del cardiologo
UTIC
I requisiti generali
della competenza del cardiologo UTIC sono comuni a qualsiasi
mestiere medico, e sono rappresentati da una adeguata formazione
di base, da una pratica clinica esauriente come volume, da
competenza multidisciplinare, dalla esigenza di mantenere la
competenza tramite l’aggiornamento continuo, dal riferimento
costante alla medicina basata sulla evidenza, reinterpretata
alla luce delle necessità contingenti.
I requisiti specifici
richiedono la gestione di una ampia casistica di patologie
cardiovascolari acute, la familiarità con competenze tecniche e
organizzativo-manageriali, nonché la capacità di gestire, dal
punto di vista affettivo e morale, situazioni spesso in bilico
tra la vita e la morte.
È dimostrato un rapporto lineare
tra volume annuale di eventi trattati e risultato clinico, per
cui va assicurato al cardiologo un periodo adeguato di
permanenza in area intensiva. Questo comporta la necessità di
regolare la durata delle rotazioni dell’équipe medica in UTIC in
rapporto al volume e alla varietà della casistica, prevedendo la
possibilità di ampliare quest’ultima attraverso periodi di
addestramento in UTIC di riferimento.
La competenza clinica deve
essere multidisciplinare, ma non deve necessariamente arrivare a
rinunciare alla maggiore competenza specialistica di Colleghi
delle altre discipline. Così, avere competenze nefrologiche,
pneumologiche, diabetologiche, rianimatorie, ematologiche,
nutrizionali, vascolari, infettivologiche, internistiche e di
laboratorio non significa sostituirsi a figure professionali di
utilissimo supporto, ma saper gestire nel migliore dei modi il
problema specifico con l’eventuale collaborazione dello
specialista di competenza.
Le competenze tecniche
necessarie sono elencate nella Tabella 1.
Tabella 1 – Competenze tecniche necessarie per il
Cardiologo UTIC |
-
terapia farmacologica CV (e non CV) |
-
interpretazione Rx torace e laboratorio |
-
ECG |
-
ecocardiografia transtoracica |
-
cardioversione elettrica |
-
pace-maker temporaneo |
-
RCP avanzata |
-
ventilazione non invasiva |
-
CVC e monitoraggio emodinamico |
-
interpretazione e gestione di
coronarografia/cateterismo (meeting emodinamica/CCH) |
Le competenze tecniche
necessarie si ampliano per i medici che lavorano nelle UTIC di
riferimento (Hub), in quanto selezionano pazienti più complessi
(Tabella 2)
Tabella 2 – Competenze tecniche necessarie per i
Centri UTIC Hub |
-
Ecocardiografia transesofagea |
-
Stimolazione transesofagea |
-
Overdrive endocavitario |
-
Ventilazione invasiva (ev. supporto del
Rianimatore) |
-
Contropulsazione aortica (ev. supporto
dell’Emodinamista/Cardiochirurgo) |
-
Pericardiocentesi |
-
Emofiltrazione/dialisi (ev. supporto del
Nefrologo) |
-
Assistenza ventricolare (ev. supporto del
Cardiochirurgo) |
Altre competenze sicuramente utili: |
-
Partecipazione a trial clinici multicentrici |
-
Partecipazione a studi osservazionali e registri |
-
Partecipazione a studi di appropriatezza e
costo/efficacia |
-
Conoscenza dei problemi medico-legali (rischio
clinico, consenso informato, ecc..) |
Ai Cardiologi UTIC si richiedono
inoltre importanti capacità organizzativo-manageriale (Tabella
3)
Tabella 3 – Competenze organizzativo-manageriali del
Cardiologo UTIC |
-
Turn over efficiente dei pazienti (disponibilità
costante di posti letto) |
-
Interazioni con il DEA e con gli altri Reparti |
-
Interazioni con le varie componenti della Rete
(Centro Hub, Centro Spoke, Emodinamica, CCH, sistema
territoriale di soccorso) |
-
Coordinamento dello staff medico |
-
Continuità dell’assistenza |
-
Crescita culturale del personale infermieristico |
Vanno aggiunte a queste
competenze , quelle di telemedicina necessarie per la
condivisione dei dati del paziente e delle conseguenti scelte
all’interno della rete tra i diversi attori (UTIC, Emodinamica,
mezzi di soccorso, Pronto Soccorso dell’Ospedale), nonché la
formazione delle diverse figure professionali coinvolte nel
percorso di rete (cardiologi, medici non cardiologi,
infermieri).
Da quanto sopra, si evince che
il Cardiologo che lavora in UTIC deve essere un cardiologo dalla
formazione teorico-pratica molto solida, il che comunque non
giustifica la distorsione specialistica verso l’intensività.
È giusto che il responsabile
dell’UTIC sia una persona dedicata a questa attività dopo che
abbia fatto un percorso completo di formazione cardiologica. Per
il resto dei Cardiologi, l’UTIC non può essere la destinazione
esclusiva, ma non può dirsi formato un Cardiologo che non abbia
percorso una consistente parte della propria carriera
all’interno dell’UTIC. I problemi clinici, tecnici,
organizzativi, culturali ed etici che l’UTIC contiene sono
assolutamente insostituibili, come altrettanto insostituibile è
la visione del cardiopatico nella continuità degli ambulatori e
della riabilitazione. L’UTIC risolve solo una parte,
probabilmente la più delicata, della storia del cardiopatico:
dedicarsi solo a questo può essere entusiasmante e gratificante,
ma si rischia così di perdere la visione d’insieme del
cardiopatico che solo una rotazione nei diversi settori può
dare.
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