LA
RESPONSABILITA’ PROFESSIONALE DELL’INFERMIERE
IN CARDIOLOGIA
Elisabetta
Simonetti
Area
Infermieristica
Azienda
Ospedaliero-Universitaria Ospedali Riuniti di Ancona
INTRODUZIONE
L’evoluzione del sistema
sociale, economico, politico e sanitario ha determinato profondi
cambiamenti a livello organizzativo e gestionale.
La necessità per il SSN
di assicurare appropriatezza, competenza, accessibilità,
qualità/eccellenza e competizione dell’offerta e nella
produzione di servizi e di garantire anche prestazioni di
provata efficacia in condizioni adeguate, comportano sfide non
semplici che vanno affrontate attraverso la riprogettazione dei
percorsi di salute, soprattutto attraverso l’impegno di ogni
organizzazione e di ciascun professionista, chiamato a esprimere
al meglio la propria competenza con un’attenta
interpretazione dei
bisogni di salute dei cittadini e prestazioni di provata
efficacia.
I professionisti
rivestono infatti un ruolo strategico per il mantenimento e lo
sviluppo positivo del SSN, acquisendo, attraverso un rapporto di
advocacy (difesa e tutela), lo status di garanti della qualità,
dell’appropriatezza e della sicurezza delle prestazioni erogate
alla persona e alla collettività.
In tale prospettiva, il
processo di trasformazione dell’esercizio professionale versus
la competenza e la responsabilità, ha individuato come
sostanziale obiettivo di ciascun professionista sanitario la
capacità di dimostrarsi autonomo, nella consapevolezza delle
decisioni prese nelle diverse situazioni affrontate, e di
assumersi la diretta responsabilità sui risultati raggiunti. In
una logica in cui nessuna situazione assistenziale può essere
considerata facilmente comprensibile in termini di
interpretazione e di risposta, occorre che l’infermiere
acquisisca competenze sempre più sofisticate al fine di poter
assumere le decisioni più opportune e scegliere le modalità di
intervento migliori nelle diverse circostanze.
Mantenere elevati livelli
di competenza diviene, pertanto, un aspetto essenziale
dell’agire infermieristico attraverso il quale si configura la
responsabilità professionale.(1)
EVOLUZIONE NORMATIVA
DELLA RESPONSABILITÀ PROFESSIONALE INFERMIERISTICA
Le professioni sanitarie
sono state pervase, nell’ultimo decennio, da importanti
cambiamenti. Molti di questi cambiamenti sono stati originati
dalla naturale evoluzione che le professioni acquisiscono,
modificando i modelli e gli accessi formativi. Oltre al percorso
evolutivo in atto introdotto dalla formazione universitaria, ciò
che sta sostanzialmente modificando il concetto di
responsabilità di queste professioni è, in buona parte, dovuto
anche all’aumentata consapevolezza, da parte degli utenti dei
servizi sanitari, di essere portatori di diritti, di capacità di
scelte autonome, di possibilità di differenziare i percorsi di
cura nonchè le modalità di approccio.(2)
Nella normativa
infermieristica sono presenti molti richiami a quali tipi di
responsabilità è chiamato oggi l’infermiere. Le fonti di
riferimento della responsabilità sono indicate dalle leggi dello
Stato, dal Codice Deontologico, dalle Norme etiche, cui le
conoscenze scientifiche e la competenza professionale fanno
riferimento.
La Legge 42 del 1999
sposta l’attenzione dell’attività professionale su un piano
giuridico-formale; l’infermiere viene riconosciuto quale
professionista della salute, con responsabilità giuridica sul
risultato assistenziale in un ambito autonomo e non derivato
delle attività di cui si rende garante.
L’infermiere assume
pertanto una parte contrattuale autonoma all’interno del
rapporto con il paziente e diviene perciò titolare di
responsabilità specifiche e globali assunte in proprio nei
confronti dell’assistito.(3)
Dopo la Legge 42 del 1999
in tutta la normativa infermieristica viene più volte richiamato
il concetto della consapevolezza della responsabilità, ossia
dello stretto legame che esiste fra livello di autonomia
raggiunto e consapevolezza delle decisioni assunte nell’area di
competenza specifica. Il previgente Mansionario
I
indicava gli ambiti di attività dell’infermiere definendo un
contesto di responsabilità che si limitava alla corretta
esecuzione e non al risultato finale del processo in cui la
prestazione stessa era inserita. (4) Oggi il campo di attività e
di responsabilità infermieristica è caratterizzato da un’area
cosiddetta “grigia”, a elevata discrezionalità, in cui è
difficilmente riconoscibile il limite delle competenze senza una
consapevole assunzione dei rischi e una chiara identità del
ruolo; tale consapevolezza è strettamente connessa al livello di
competenza raggiunto e “agita” nel contesto organizzativo in cui
l’infermiere opera. Ciò significa che, ogniqualvolta
l’infermiere opera delle scelte nell’agire quotidiano, tali
scelte non possono non tenere conto del livello di conoscenza e
di competenza raggiunti, della capacità di analisi e di
valutazione dei rischi reali e/o potenziali che ne possono
derivare.
La responsabilità si
concretizza nell’attuazione di quel complesso di atti
assistenziali prodotti dalle competenze intellettuali,
relazionali e tecnico-operative insite nel profilo, derivanti
dalla formazione universitaria e ispirati al Codice
Deontologico. (5)
Non è semplice
individuare “il campo proprio di attività e responsabilità” dai
criteri guida; non vi sono dubbi che una figura, come per
esempio può essere l’infermiere con master in area cardiologica,
possa vantare e dimostrare maggiori competenze e di conseguenza
vedersi attribuita un’autonomia professionale maggiore rispetto
all’infermiere senza il master.(6)
La maggiore autonomia
professionale comporta anche una più netta assunzione di
responsabilità a livello individuale per gli atti posti in
essere nell’esercizio professionale. In questi ultimi anni la
giurisprudenza della Corte di Cassazione è stata estremamente
punitiva in tema di eventi lesivi collegati alle attività
sanitarie; in una vicenda verificatasi anni fa (sentenza n. 9638
del 13/9/2000), la sezione IV Penale della Cassazione ha
stabilito che è responsabile il “solo” infermiere e non il
medico se l’evento in cui il paziente è rimasto vittima in
ospedale è dovuto a violazione, da parte dell’infermiere, dei
suoi obblighi giuridici. (7)
La legislazione che
regola la professione dell’infermiere prevede la facoltà, ed in
taluni casi l’obbligo, di prendere iniziative e decisioni nel
quadro della competenza specifica riconosciuta; questa autonomia
comporta che, in caso di violazione degli obblighi
professionali, l’infermiere è chiamato a rispondere del danno da
lui prodotto con le sue azioni od omissioni. (8) L’inosservanza
di tali obblighi comporta sanzioni che individuano tre tipi di
responsabilità: (9)
la
responsabilità penale: l’obbligo di rispondere per azioni che
costituiscono un reato;
la
responsabilità civile: l’obbligo di risarcire un danno
ingiustamente causato;
la
responsabilità amministrativo/disciplinare o
ordinistico/disciplinare per i libero
professionisti, che fa
riferimento agli obblighi contrattuali e di comportamento
professionale.
Non si vuole entrare
nello specifico con digressioni sulle diverse fattispecie,
piuttosto sottolineare che l’autonomia decisionale è una
conquista importante, che non può ovviamente prescindere da una
“responsabilità” personale che si traduce in un comportamento
corretto e coscienzioso nei confronti del paziente. (10)
INFERMIERI ED ERRORI
IN CARDIOLOGIA
Affinchè vi sia
responsabilità professionale è indispensabile che sia stato
posto in essere un comportamento considerato vietato da una
norma e a cui segue una sanzione.
La responsabilità
professionale deriva, come in altre attività che presentano
margini di rischio, da quelle che sono le forme classiche della
colpa: la negligenza, l’imprudenza, l’imperizia e cioè
dall’inosservanza di regole ricavate dall’esperienza. (11)
La negligenza si
sostanzia in un contegno omissivo contrastante con quelle regole
di condotta che impongono un determinato comportamento
sollecito, attento e accorto che sia diretto a evitare un evento
dannoso o anche solo pericoloso per la salute del paziente. E’
negligente la condotta del professionista che per leggerezza,
disattenzione, dimenticanza violi quelle elementari norme di
diligenza la cui osservanza sarebbe legittimo attendersi da
persona abilitata all’esercizio di una professione sanitaria.
L’imprudenza, che
generalmente, al contrario della negligenza, si riverbera in una
condotta positiva, coincide con avventatezza, insufficiente
ponderazione, temerarietà.
L’imperizia si concreta
nell’errore professionale che gli inglesi chiamano “malpractice”
e i francesi “inobservation des règles d’art”: l’incapacità
tecnica di esercitare l’attività professionale nel modo dovuto.
E’ il risultato di un insufficiente adeguamento all’insieme
della legge dell’arte, ossia “il difetto di quel minimo di
abilità e perizia tecnica…che non devono mai difettare in chi
esercita una professione sanitaria”. (12,13)
In Italia, sono circa
320.000 le persone danneggiate ogni anno per errori sanitari.
Gli operatori coinvolti nelle controversie legali sono
principalmente i medici e in minima
Tabella 1
Cause degli episodi di
malasanità
(Fonte: Leonardi G. Gli
aspetti assicurativi nella responsabilità professionale.
Il risk management in
sanità, 2009)
-
32%
Inefficienza, distrazione
23%
Assistenza infermieristica
17%
Apparecchiature/strumenti
13%
Farmaci
8%
Terapie e trattamenti
7%
Pazienti e Cartelle cliniche
|
parte le professioni
sanitarie. I casi di cronaca recente, come la morte di un malato
per clisma a base di formaldeide, la morte di un bambino per
scambio di fiale di potassio, evidenziano maggiori attribuzioni
di responsabilità nei confronti delle professioni sanitarie.
(14) Le statistiche indicano che non più del 20% degli incidenti
che si verificano nelle strutture sanitarie è dovuto a
responsabilità strettamente personali, il resto è di natura
sistemica, di organizzazione, di processo o di risorse. Le
ragioni non dipendono tanto dalla mancanza di conoscenza ma dal
fatto che non si applica compiutamente ciò che già si conosce.
(15)
Infatti, a contribuire a
rendere gli infermieri più esposti, in qualche modo, nel sistema
dell’errore, sono l’assoluta mancanza di abitudine a considerare
protocolli e linee guida come strumenti di lavoro.(16)
Generalmente l’operatore
è la causa più prossima all’evento accidentale, ma la causa
generatrice è da ricondurre a decisioni manageriali e scelte
organizzative sbagliate; il livello di responsabilità si sposta
verso il gestore del sistema che costruisce l’ambiente operativo
attraverso l’architettura organizzativa (linee guida e
protocolli assistenziali, procedure e istruzioni operative).(17)
Secondo le esperienze
statistiche dei maggiori sistemi di rilevamento della
malpractice, di norma si verifica, un evento sentinella II ogni
mille rilevati (includendo anche i quasi errori o near misses).
Le cause degli episodi di malasanità (Tab.1) e gli eventi
sentinella individuati dal Ministero della Salute (Osservatorio
nazionale sugli eventi sentinella), rappresentano un “difetto
del sistema” che meritano un serio e adeguato momento di
riflessione. (18, 19) Dal primo rapporto sul monitoraggio degli
“eventi sentinella” del novembre 2007, emerge che quasi la metà
degli eventi segnalati (51 casi) riguarda una categoria generale
nella quale sono inclusi tutti quegli eventi non previsti dal
protocollo come morte o grave danno imprevisto conseguente ad
intervento chirurgico, caduta di paziente, inadeguata gestione
dell’emergenza ed anestesia. Tra le cause principali di errore
prevenibile vi è la carente applicazione o la totale assenza di
appropriate procedure e linee guida; per esempio, procedure per
la prevenzione delle cadute dei pazienti, per la corretta
prescrizione delle terapie farmacologiche.
Tra gli altri fattori
sono stati segnalati il carente inquadramento, valutazione o
osservazione dei pazienti, la carente formazione da parte degli
operatori, la carenza di comunicazione tra gli operatori e tra
operatori ed i pazienti. (20)
Tabella 2
Attività
dell’infermiere
(Fonte: Page A. Keep
patient safe. The National Academic
Press,Washington, 2004)
Attività
dirette
Valutazione
del paziente
Somministrazione
dei farmaci
Esecuzione
di medicazioni
Coordinamento
delle cure tra
professionisti
diversi
Applicazione
di prescrizioni
mediche
Spiegazioni
al paziente
Educazione
del paziente e
familiari
Pianificazione
delle attività per
la dimissione
|
Attività
indirette
Coordinare
le figure di supporto
Compilare
documentazione
amministrativa
Convocare
parenti
Approvvigionamento
e
controllo delle
scorte dei
materiali
necessari alle cure ed all’assistenza
|
Attività
improprie
Trasporti
di materiali o farmaci
Trasporto
di richieste ai vari
settori operativi
Pulizie
Distribuzione
o ritiro dei vassoi
del vitto
Trasporto
di pazienti non critici
Governo
dei visitator
|
Un’indagine condotta da
nove State Boards of Nursing ha permesso di identificare gli
errori più frequenti, classificati poi in una tassonomia che
racchiude otto categorie; le otto categorie di errori
infermieristici che rappresentano un largo range di possibili
errori e fattori contributivi o causativi sono le seguenti: (21)
1. mancanza di attenzione
2. mancanza di interesse
fiduciario
3. giudizio inappropriato
4. mancanza di interventi
nell’interesse del paziente
5. errori terapeutici
6. mancanza di
prevenzione
7. sbagli o equivoci di
altri operatori
8. errori di
documentazione
In considerazione di
quanto sopra esposto, i rischi tipici dell’attività
infermieristica cui l’infermiere può incorrere in ambito
cardiologico, derivano da tutta una serie di situazioni legate
principalmente all'alto numero di attività e processi nei quali
è coinvolto (Tab. 2). Le situazioni in cui l'infermiere è più
impegnato (e che sono direttamente da lui controllabili) sono:
- la sorveglianza del
paziente in ordine a situazioni attualmente o potenzialmente
critiche,
- il coordinamento delle
cure tra professioni e provider diversi,
- l'esecuzione di
attività dirette (legate direttamente all’attività
assistenziale), indirette (legate indirettamente all’attività
assistenziale) ed improprie (poco legate all’assistenza).
Tutte queste attività, ad
eccezione di quelle improprie che dovrebbero essere evitate,
comportano rischi peculiari che possono coinvolgere la
responsabilità dell'infermiere (22), in particolare si richiama
quella legata agli errori terapeutici e agli eventi avversi
causati da mancanza di attenzione o da giudizio inappropriato.
Gli errori terapeutici
Il D.M. 739/1994 “Profilo
Professionale dell’Infermiere” recita “L’infermiere garantisce
la corretta somministrazione delle prescrizioni diagnostico
terapeutiche”.
Già negli anni settanta
si stimava che circa il 30% dei pazienti ospedalizzati andasse
incontro a un evento avverso da farmaco (Adverse Drug Event –
ADE), con la successiva conferma arrivata da uno studio
effettuato su un campione di 30.121 pazienti assistiti nei
diversi ospedali di New York che ha evidenziato la presenza di
una importante reazione avversa durante il periodo di
ospedalizzazione nel 3,7% dei casi di cui il 19,4% è
riconducibile ad ADEIII. Inoltre una proporzione di ADE compresa
tra il 28% e il 56% è prevenibile.
Per quanto riguarda
l’entità del fenomeno in Italia, fino ad ora, non sono stati
effettuati studi nazionali di sorveglianza e di monitoraggio dei
rischi farmacologici e degli aventi avversi da farmaco; i dati
ad oggi disponibili provengono esclusivamente da fonti non
istituzionali o derivano da proiezioni di casistiche
internazionali. (23)
L’infermiere si assume la
responsabilità per preparazione, gestione e somministrazione
della terapia e ha la responsabilità legale nella pratica
clinica. (24)
In particolare la fase
della somministrazione implica una responsabilità sulla buona
pratica clinica, condivisa da tutti gli operatori che sono
coinvolti nel processo. La responsabilità nel processo di
somministrazione della terapia farmacologica è determinata da
tre elementi fondamentali: sicure modalità di identificazione
del paziente, tracciabilità delle attività e tracciabilità del
farmaco.
Si classificano diverse
categorie di errore:
errore
di prescrizione: rappresenta il 39% degli errori terapeutici.
errore
di trascrizione/interpretazione: rappresenta l’11% degli errori
terapeutici.
errore
di dispensazione / di allestimento: rappresentano il 12% degli
errori terapeutici.
errore
di somministrazione: è l’ultima fase del processo di gestione
del farmaco durante la quale l’infermiere somministra il farmaco
prescritto in cartella clinica al paziente cui era destinato e
rappresenta il 38% degli errori terapeutici.
All’interno di ciascuna
di queste fasi vi sono molteplici attività, in ognuna delle
quali può verificarsi un possibile errore. In relazione alle
responsabilità per la gestione della terapia farmacologica, si
individuano due figure principali: il medico, la cui competenza
si riferisce alla determinazione dei farmaci da somministrare e
alla conseguente prescrizione, e l’infermiere, la cui attività è
legata alla somministrazione dei farmaci prescritti. Se
distinguiamo la competenza del medico nel momento prescrittivo,
l’infermiere è direttamente coinvolto in tutte le altri fasi del
processo terapeutico, nel corso delle quali può inserirsi un
errore. L’infermiere è infatti responsabile di tutto ciò che
avviene dal momento della prescrizione medica fino al momento
della somministrazione del farmaco. (25)
Gli eventi avversi da
mancanza di attenzione o da giudizio inappropriato
La mancanza di attenzione
è un buon esempio di una categoria di errori particolarmente
rilevante nell’assistenza infermieristica perché la sicurezza
del paziente dipende dal livello di attenzione degli infermieri
alle condizioni cliniche del paziente e alla risposta alla
terapia. La mancanza di attenzione può essere causata da
problemi a livello di sistema, quali livelli di organico
insufficienti, elevato turnover dei pazienti, improvvisa
modifica delle condizioni dei pazienti senza incremento della
“nursing staff”. Il giudizio inappropriato richiama alla
competenza infermieristica di identificare la natura della
situazione clinica e perseguire il processo di assistenza
infermieristica utilizzando la conoscenza della situazione
clinica. Gli errori si verificano quando ad esempio si
malinterpretano segni e sintomi del paziente. (26)
In ambito sanitario
l’errore dovuto a incompetenza può recare grave danno alla
salute. Esercitare la professione infermieristica richiede la
necessità di dominare un ampio orizzonte di conoscenze, di
competenze e di abilità. Il livello di competenza raggiunto
richiama alla responsabilità che ’infermiere deve/può assumere.
Dal punto di vista giuridico, il richiamo al livello di
competenza raggiunto fa propria una tendenza irreversibile
nell’attuale analisi della responsabilità professionale: la
critica al mansionismo; il parametro prevalente cui è rapportata
l’azione professionale nelle aule
di giustizia è
l’efficacia dell’azione verso il raggiungimento del risultato.
Dentro tale approccio, la conoscenza dei propri limiti risulta
indispensabile per l’infermiere che deve sviluppare capacità di
autovalutazione e richiedere l’intervento di esperti qualora
riconosca dei limiti professionali.(27)
Tale
affermazione sui limiti delle conoscenze non deve costituire,
però, un principio di astensione ma rappresentare una tutela per
la persona assistita cui spetta una assistenza infermieristica
fatta con la massima competenza; declinare la responsabilità
significa farsi carico che altri più qualificati possano
assumerne la presa in carico o, ad esempio, supervisionare una
pratica nuova. Dal punto di vista giuridico evocare il dover di
“umiltà professionale” può anche fungere da esimente della
colpa. Esiste un sottile equilibrio dell’agire
etico-professionale che trova rispondenza anche sul piano degli
obblighi giuridici: anche nel diritto la legalità dei
comportamenti umani è data da un
mix di
doveri di fare e di astenersi. Ne consegue che sia l’eccessiva
esuberanza che la renitenza possono essere ambedue sanzionate.
(28)
CONCLUSIONI
Esiste il
problema della responsabilità professionale sanitaria ed è un
problema importantissimo, tale da condizionare l’esercizio della
professione e quindi innescare un sistema di limitazione
dell’assunzione di responsabilità dell’operatore sanitario che
nel dubbio e nell’incertezza tende a non esporsi oltre il
limite.
Il
pericolo è quello di mettere in atto meccanismi propri della
medicina difensiva che tende ad applicare una serie di norme che
servono ad evitare il contenzioso; l’unico scopo degli operatori
è, in questo caso, quello di non incorrere in ipotesi di
responsabilità, non di migliorare la qualità delle prestazioni
erogate e della relazione con il cittadino. (29)
Il
profilo dell’infermiere disegnato dalla normativa è quello di un
professionista intellettuale, competente, autonomo e
responsabile. Si è di fronte ad una autonomia che ha necessità
di dialogo costante con altre autonomie e di una responsabilità
che ha necessità, per il proprio completarsi, di altre
responsabilità. Non ultima quella del cittadino nel definire il
“proprio” ben-essere. (30)
Le
competenze clinico-assistenziali e la costante “manutenzione”
sono fondamentali, ma vanno sostenute da comportamenti
improntati alla diligenza, al prendersi cura e all’attenzione
alla persona unica e irripetibile. Attraverso un risveglio
dell’interesse per l’uomo è possibile creare una cultura della
cura, attenta alle complesse e peculiari esigenze dei pazienti e
del personale che ne ha la responsabilità.
La
formazione infermieristica, disegnata finora prevalentemente su
un modello bio-medico, deve rivedere il proprio paradigma,
spostando il focus verso contenuti più specifici e attenti alla
realtà della persona e della famiglia.
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