FIBRILLAZIONE ATRIALE RECIDIVANTE:
IL PUNTO SULL’ABLAZIONE TRANSCATETERE
Jorge Salerno-Uriarte
Dipartimento di Scienze Cardiovascolari.
Università degli Studi dell’Insubria.
Ospedale di Circolo e Fondazione Macchi, Varese
Quando si parla di Fibrillazione
Atriale (FA) sarebbe opportuno parlare al plurale; infatti sono
molteplici i tipi di FA. Dal punto di vista clinico le
principali distinzioni da fare, da cui per inciso dipende la
risposta alla terapia sia essa farmacologia che
non-farmacologica, sono sostanzialmente di due: 1) le FA che
ricorrono in cuori sostanzialmente sani (prevalententemente le
FA dell’adulto giovane) o che complicano una cardiopatia
(prevalentemente le FA dell’adulto meno giovane) e 2) le FA che
possono essere parossistiche, persistenti (quando richiedono
provvedimenti terapeutici ad accesso in atto) e permanenti (o
croniche).
Gli anni appena
decorsi (2006 e 2007) sono stati molto fervidi per quanto
concerne la migliore definizione delle indicazioni all’ablazione
transcatetere mediante radiofrequenza (ATC) basata su risultati
obiettivi a breve e medio termine. Essendo l’ATC una tecnica
nuova, e per la terapia delle FA poco più che decennale, non
sono ancora disponibili follow-up a lungo termine.
L’ATC della FA con
tecniche dirette al substrato atriale o ai triggers è iniziata
nel 1994 ed è ancora più recente la standardizzazione delle
procedure di ATC per il trattamento della FA (non più di tre
anni). Nel 2006 sono state pubblicate dapprima le Linee Guida
della Federazione Italiana di Cardiologia (sulla rivista
dell’Associazione Italiana di settore 1) e
successivamente in maniera congiunta quelle della European
Society of Cardiology2, dell’American Heart
Association3 e dell’American College of Cardiology4.
Infine, nel 2007, è stato pubblicato nella rivista
nord-americana di settore5 un documento di consenso
redatto da esperti della materia. In tale documento vengono
illustrate le indicazioni, gli aspetti metologici attuali (tali
metodi sono molto mutati in poco più di dieci anni e solo ora
paiono ben definiti), i risultati a breve e medio termine, le
complicazioni, la percentuale di recidive, l’esatta definizione
di quei pazienti nei quali può essere effettuata una procedura
di riablazione con qualche possibilità di successo ed il preciso
significato della FA in diversi contesti clinici.
Le recidive
post-ablazione, escluse quelle che avvengono nei primi tre mesi
che sarebbero legate alla procedura stessa di ATC, riguardano il
20-40% sottoposti ad una prima ATC. Le recidive, anche nei
pazienti affetti da FA idiopatiche, sono più frequenti, al di là
degli insuccessi procedurali, in rapporto alla durata
dell’aritmia stessa prima della procedura di ATC ed in rapporto
alle dimensioni dell’atrio sinistro. Quando viene eseguito un
isolamento delle vene polmonari, il riscontro più frequente che
rende ragione della seconda procedura, è la ripresa della
conduzione alla giunzione veno-atriale (oltre il 90% dei casi).
In conclusione, da
quanto detto si desume che in molti pazienti è necessaria una
seconda procedura indipendentemente dall’eziologia e dal
meccanismo fisiopatologico implicato nella genesi della FA e che
in questo senso va prodotto qualsiasi tipo di sforzo che miri a
raccogliere elementi dirimenti. Ci sono maggiori possibilità di
riuscire a controllare in maniera soddisfacente la FA (senza o
con farmaci associati) negli adulti non troppo avanti negli
anni, senza cardiopatia manifesta, senza FA permanente, in
particolare se non di lunga durata. In caso contrario non si
vede la necessità di insistere oltremodo in quanto non si è
assenza totale di soluzioni alternative.
BIBLIOGRAFIA
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