Il rischio tromboembolico

 nella Fibrillazione Atriale:

 dalla stratificazione del  rischio alla terapia

 

Raffaele Rotunno,

U-O-  UTIC-Cardiologia Ospedale di Roccadaspide

 

La FA è un rilevante fattore di rischio indipendente di stroke ischemico; in ciascuna fascia di età, difatti, incrementa tale rischio di 4-5 volte ( 1); in media nei pazienti senza malattia valvolare e con FA l’incidenza di stroke ischemico è di circa 4.5% per anno ( 2); comunque, in quelli con età inferiore a 65 anni senza alcun altro fattore predittivo ( lone atrial fibrillation ) il rischio annuale di stroke è solo dell’1.0%.

Lo stroke ischemico in corso di FA rappresenta di solito il risultato di un embolia cardiogena, che con maggior probabilità  si realizza con l’avanzare dell’età ed in presenza di ipertensione arteriosa e diabete mellito ( 2).

Gli investigatori dello studio SPAF ( 3 ) nel 1999 a seguito dell’analisi di regressione logistica multivariata di 2012 partecipanti  ai trials  clinici I-III rilevarono che cinque condizioni si correlavano in maniera significativa ed indipendente ad un maggior rischio di stroke: l’ età, il sesso femminile, una storia di ipertensione arteriosa, il riscontro di una pressione arteriosa sistolica  > 160 mmHg ed un precedente ictus o TIA. 

Nei pazienti con malattia cardiaca coronarica la comparsa di FA incrementa di molto il rischio annuale di stroke che può raggiungere l’8,2% in quelli reduci da un infarto cardiaco ( 2 ); nondimeno, in presenza delle altre condizioni di rischio sia l’angina che l’infarto miocardico

non si rivelano predittori indipendenti verosimilmente a causa dell’effetto confondente dei  coesistenti fattori di rischio vascolari.

Nel 10% -15% dei pazienti con tireotossicosi si sviluppa  FA; la rilevanza dell’aritmia è maggiore negli individui ipertiroidei con più di 60 anni; l’incidenza di stroke non sembra  essere sostanzialmente differente tra i pazienti con fibrillazione atriale da ipertiroidismo e quelli con fibrillazione atriale da altra causa ( 4 ).

Condizioni predisponenti allo stroke sono state individuate nei pazienti con FA mediante esame ecocardiografico di là dagli  aspetti clinici predittivi suddetti. 

La disfunzione ventricolare sistolica del ventricolo sn moderata o severa, rilevata mediante esame ecocardiografico transtoracico B-mode nei pazienti con FA, rappresenta un predittore di stroke:

in pazienti con FA a basso rischio in relazione agli aspetti clinici  la presenza di una malfunzione severa del ventricolo sn incrementa  in modo drammatico il rischio di sviluppare uno stroke, che può raggiungere anche il  9.3%  all’anno; al contrario, il diametro dell’atrio sn, misurato mediante esame ecocardiografico M-mode, non presenta potere predittivo verso lo stroke ( 5 ).

Il rilievo negli individui con FA mediante ecocardiografia transesofagea di un trombo nell’appendice atriale sn  o, comunque, di un pieno ecocontrasto in atrio sn comporta un aumento della probabilità di stroke persino di quattro volte; anche il riscontro TE in aorta  di placche di aspetto complesso, ovvero con spessore superiore a 4 mm mobili od ulcerate, eleva la eventualità di eventi embolici . Nel corso dell’esame ecocardiografico transesofageo è senz’altro utile misurare la velocità di flusso nell’appendice atriale sn depressa e verificare se è < 20 cm/s  ai fini di una più completa comprensione del destino del paziente con FA ( 6-7 ). 

Sono disponibili schemi di stratificazione del rischio tromboembolico che consentono di scomporre i pazienti con FAP  ad alto rischio da quelli a basso rischio.

Il panel dell’Atrial Fibrillation Investigators suddivide i pazienti con FA in pazienti  con un rischio

elevato  di sviluppare uno stroke, pari al  4.3% - 8% all’anno, e pazienti  a basso rischio, pari a   circa 1.0% all’anno, individuando i primi attraverso le seguenti caratteristiche:

 età > 65 anni, storia di stroke o TIA, di ipertensione o diabete (2 ).

Gli investigatori dello SPAF individuano, invece, tre gruppi : alto, moderato e basso rischio di stroke.

I pazienti ad alto rischio, che hanno una probabilità di sviluppare uno stroke pari a 5.4%-9.5% all’anno,  presentano  una delle seguenti condizioni: una storia di ictus o TIA , sesso femminile con età > 75 anni,  una storia di ipertensione od il rilievo di una PA sistolica > 160 mm Hg in presenza di una età  > 75 anni.

I pazienti con storia di ipertensione o diabete con una età < 75 anni hanno una probabilità di sviluppare un ictus pari all’1.9 e 3.6 % all’anno  e sono definiti a rischio moderato (3-8)

Sono ritenuti  pazienti a basso rischio quelli che non hanno le condizioni predisponenti suddette; questi presentano una probabilità di sviluppare un evento tromboembolico minima, pari a 0.6% e 1.6% all’anno.

Lo schema CHADS  ( Congestive Heart Failure, Hypertension, Age, Diabetes, Stroke –doubled- risk scoring system) mette insieme integrandoli  elementi dei due modelli precedenti di stratificazione del rischio di stroke, AFI e SPAF.

Tale schema adotta uno score di rischio, nel quale 2 punti spettano alla storia di stroke o TIA ed un punto ciascuno  all’età  > 75 anni, ad una storia di ipertensione, di diabete mellito, o di scompenso cardiaco congestizio (9) .

Quando il  CHADS score è uguale o superiore a 2 punti si ritiene il paziente ad ad alto rischio di stroke; quando il CHADS2  score è uguale ad 1 punto il rischio di stroke viene considerato intermedio; un basso rischio, infine, fa riferimento ad un CHADS2 score  pari a 0.

Tra la fine degli anni 80 e gli inizi degli anni 90 cinque studi, l’AFASAK ( 10), lo SPAF I ( 11), il BAATAF ( 12 ), il CAFA ( 13)  e lo SPINAF ( 14 ), hanno dimostrato la maggior efficacia del warfarin nei confronti  dell’aspirina in presenza di FA sia  cronica che intermittente: nei pazienti affidati a warfarin si rilevava una riduzione del rischio relativo del 68% ( 95% IC, 50 to 79% ). 

 Quando l’aspirina veniva confrontata con placebo, comunque si rilevava una riduzione relativa del rischio di stroke del 21% ( 15). Di recente una metanalisi ha confermato nei pazienti con FA la maggiore efficacia del warfarin verso il placebo e gli agenti antiaggreganti anche nei confronti dell’embolismo sistemico ( 16 ) oltre che dello stroke ischemico.

La maggior utilità degli antagonisti orali della vitamina K ed il vantaggio pur minore dell’aspirina

hanno consigliato di adottare tali farmaci nei pazienti con FA, rispettando il principio che il beneficio assoluto atteso della terapia anticoagulante sopravanzi in modo significativo l’incremento del rischio emorragico e meriti l’impegno della scoagulazione.

Occorre ricordare che un drammatico incremento nel rischio di emorragia cerebrale si rileva per INR> 4 , soprattutto in pazienti anziani > 75 anni o con precedente stroke ischemico (17-18)

I pazienti con uno score uguale o superiore a 2 punti  secondo la classificazione CHADS2

devono far uso a tempo indefinito di un antagonista della vitamina K orale mantenendo l’INR in un range tra 2.0 e 3.0;  si tratta di pazienti con FA permanente, persistente ed anche parossistica, che hanno di già subito uno stroke ischemico oppure un TIA oppure una embolia sistemica ed ancora di pazienti che presentano due o più delle seguenti condizioni di rischio: età >  75 anni, ipertensione arteriosa sistemica, diabete, severa  malfunzione del ventricolo sinistro o scompenso cardiaco.   

I pazienti con FA permanente, persistente ed anche parossistica e rischio cardioembolico

intermedio, ovvero con uno score CHADS2 uguale ad 1, possono adottare quando non vi sia un alto rischio di sanguinamento e vi siano altresì le circostanze per un buon controllo della scoagulazione  la  terapia con un antagonista della vitamina K orale, mantenendo l’INR  in un range tra 2.0 e 3.0;

in assenza di tali  condizioni si può far ricorso alla terapia antiaggregante con aspirina ad una dose tra 75 e 325 mg/die;  si tratta di pazienti che vedono la FA accompagnata soltanto da una delle seguenti caratteristiche: età > 75 anni, ipertensione arteriosa, diabete mellito o, infine, disfunzione sistolica del ventricolo sinistro e/o scompenso cardiaco.

I pazienti con FA, che non hanno raggiunto i 75 anni e non presentano alcuna delle condizioni di rischio sopraelencate così che il loro CHADS2  score  è pari a zero, sono a rischio tromboembolico così modesto da poter utilizzare soltanto dell’aspirina  anche se a tempo indefinito ( 19 ).

Quando nel trial SPAF l’aspirina viene utilizzata alla dose di 325 mg / die, si rilevano i maggior vantaggi di tale farmaco ( 11 ). E’ opinione, comunque, condivisa oggi che l’utilizzo più saggio dell’aspirina, che bilanci efficacia e sicurezza, sia rappresentato da una bassa dose tra 75 e 100 mg/ die.

Il ricorso a tempo indefinito all’aspirina non è vantaggioso nei  casi di FA parossistica, esordita a seguito di un evento intercorrente e quindi reversibile come ad esempio una broncopolmonite

acuta ( 19 ).

  

 

bibliografia

 

1) Wolf PA, Abbott RD, Kannel WB. Atrial fibrillation: a major contributor to stroke in the elderly; the Framingham Heart Study. Arch Intern Med 1987; 147:1561–1564

 

2)Risk factors for stroke and efficacy of antithrombotic therapy in atrial fibrillation: analysis of pooled data from five randomized  controlled trials. Arch Intern Med 1994; 154:1449– 1457

 

3) Hart RG, Pearce LA, McBride R, et al. Factors associated with ischemic stroke during aspirin therapy in atrial fibrillation: analysis of 2012 participants in the SPAF I–III clinical trials. Stroke 1999; 30:1223–1229

 

4) Petersen P. Thromboembolic complications in atrial fibrillation. Stroke 1990; 21:4–13

 

5) Echocardiographic predictors of stroke in patients with atrial fibrillation: a prospective study of 1066 patients from 3 clinical trials. Arch Intern Med 1998; 158:1316–1320

 

6) Stroke Prevention in Atrial Fibrillation Investigators Committee on Echocardiography. Transesophageal echocardiographic correlates of thromboembolism in high-risk patientswith nonvalvular atrial fibrillation. Ann Intern Med 1998; 128:639–647

 

7) Klein AL, Grimm RA, Murray RD, et al. Use of transesophageal echocardiography to guide cardioversion in patients with atrial fibrillation. N Engl J Med 2001; 344:1411–1420

 

8)Stroke Prevention in Atrial Fibrillation Investigators. Risk factors for thromboembolism during aspirin therapy in patients with atrial fibrillation: the Stroke Prevention in Atrial Fibrillation Study. J Stroke Cerebrovasc Dis 1995;

5:147–157

 

9) Gage BF, Waterman AD, Shannon W, et al. Validation of clinical classification schemes for predicting stroke: results from the National Registry of Atrial Fibrillation. JAMA 2001; 285:2864–2870

 

10) Petersen P et al, Placebo-controlled, randomised trial of warfarin and aspirin for prevention of throboembolic complications in chronic atrial fibrillation: the Copenhagen  AFASAK study Lancet 1989; 1: 175-178

 

11) Stroke Prevention in Atrial Fibrillation study. Final results Circulation 1991; 84:527–539

 

12)   Boston Area Anticoagulation Trial for Atrial Fibrillation Investigators. The effect of low-dose warfarin on the risk of stroke in patients with nonrheumatic atrial fibrillation. N Engl J Med 1990; 323:1505–1511

 

13) Connolly SJ, Laupacis A, Gent M, et al. Canadian AtrialFibrillation Anticoagulation (CAFA) study. J Am Coll Cardiol 1991; 18:349–355

 

14)   Ezekowitz MD, Bridgers SL, James KE, et al. Warfarin in the prevention of stroke associated with nonrheumatic atrial fibrillation. N Engl J Med 1992; 327:1406–1412

 

15)van Walraven C, Hart RG, Singer DE, et al. Oral anticoagulants vs aspirin in nonvalvular atrial fibrillation: an individual patient metaanalysis. JAMA 2002; 288:2441–2448

 

16) Warfarin for the prevention of systemic embolism in patients with non-valvular atrial fibrillation: a meta-analysis; LV Andersen , p Vestergaard, P Deichgraeber, J S L indholt, L S Montensen, L Frost;  Heart 2008; 94: 1607-1613    

 

17)Fang MC, Go AS, Hylek EM, et al. Age and the risk of warfarin-associated hemorrhage: the anticoagulation and risk factors in atrial fibrillation study. J Am Geriatr Soc 2006; 54:1231–1236

 

18)Gage BF, Birman-Deych E, Kerzner R, et al. Incidence of intracranial hemorrhage in patients with atrial fibrillation who are prone to fall. Am J Med 2005; 118:612–617

 

19)Antithrombotic therapy in atrial fibrillation     D. E. Singer et al.; Chest 2008 ; 133 ;546S-592S