Un’arma male
utilizzata in prevenzione primaria:
l’ imaging
cardiovascolare.
Eugenio Picano
Istituto di Fisiologia Clinica del Consiglio Nazionale delle
Ricerche
Parole chiave: Aterosclerosi, Homer, prevenzione, rischio,
Ulisse
L’iceberg clinico dell’aterosclerosi
La strategia di ricerca
dell’aterosclerosi in prevenzione primaria poggia su solide basi
scientifiche, cliniche e sociali: l’aterosclerosi è una malattia
della specie nel mondo occidentale (1); la morte improvvisa e
l’infarto miocardico possono essere la manifestazione d’esordio,
devastante e a volte irrimediabile, della malattia (2); e
prevenire, si sa, è meglio che curare, secondo il mantra
comunemente accettato nelle società opulente (3). Nell’ambito di
questa generale filosofia di prevenzione primaria, la sontuosa
diagnostica per immagini di ultima generazione domina il mercato
e ipnotizza il paziente, incline di suo a sottoporsi a ogni
genere di valutazione. Le immagini consentono di sostituire un
generico dosimetro di rischio di popolazione (l’età, il sesso,
il livello di glicemia e colesterolo, la proteina C reattiva,
ecc) con un dosimetro di rischio individuale (il danno effettivo
che quel rischio ha procurato nel singolo paziente) (4): la
placca carotidea, la disfunzione regionale miocardica o
l’ipoperfusione da stress, la stenosi coronarica. La freccia
appuntita nell’arco della prevenzione sembrerebbe oggi –
indiscutibilmente – la CT coronarica, che realizza il vecchio
sogno di un imaging anatomico non invasivo della coronaria senza
cateteri e a costi accessibili (5). La tentazione irresistibile
è quella di guardare le coronarie a tutti, con una
rappresentazione non invasiva nell’anatomia coronarica e nei
cambiamenti della struttura della parete, che anticipa anche di
decenni la comparsa delle alterazioni di perfusione miocardica e
delle modificazioni funzionali durante stress. Questa
rivoluzione concettuale dovuta alla disponibilità di una
tecnologia “disruptive” – sradicante le precedenti abitudini,
che cambia cioè i paradigmi pre-esistenti - si è tradotta in
un’esplosione scientifica e commerciale, sostenuta da un
messaggio chiaro e convincente: immagini “belle” (semplici da
capire anche per il profano) e facilmente ottenibili di stenosi
coronarica, che altrimenti sarebbero rimaste nascoste, danno
l’opportunità di intervenire precocemente, evitando ricoveri,
cateteri, infarti e morte improvvisa. In questo come in altri
campi di prevenzione primaria (ad esempio oncologico, per
mammella, colon-retto e cancro al polmone), la diagnostica per
immagini esercita un fascino irresistibile su medici, politici,
e pazienti – soprattutto se poco o nulla viene detto di rischi e
danni (6).
La piramide del rischio, Ulisse,
e Homer
L’approccio è logico e
sapientemente popolarizzato nei grandi giornali scientifici e
nei media. Dalla piramide della popolazione generale, le carte
del rischio aiutano ad identificare i soggetti sani a rischio
più che minimo, anche con l’ausilio di biomarcatori chimici.
Così, negli Stati Uniti, tra gli asintomatici, si stimano in
circa 50 milioni gli “worried well”, asintomatici a rischio non
bassissimo (7), e a questi
Tab. 1.
Rischi a lungo termine
associati a screening a tappeto per aterosclerosi
su 50 milioni di Statunitensi
asintomatici.
|
Dose (RX Torace) |
Rischio per esame |
Nuovi Cancri/anno |
Eco carotideo
|
0 |
0 |
0 |
Stress eco
|
0 |
0 |
0 |
Risonanza |
0 |
0 |
0 |
Calcium score- CT
|
100 |
1 in 5.000 |
10.000 |
Angiografia |
250 |
1 in 2000 |
25.000 |
Stress SPECT |
500 |
1 in 1.000 |
50.000 |
MSCT 64 strati
|
750 |
1 in 750 |
75.000 |
Costi biologici a lungo termine
di popolazione dello screening coronarico con diagnostica per
immagini su 50 milioni di statunitensi. Le dosi effettive
(responsabili degli effetti biologici) sono stimate dalle Linee
Guida 2001 della Comunità Europea sulla diagnostica per immagini
e successive modifiche (15). I rischi sono stimati, per un uomo
di 50 anni, dal rapporto BEIR VII (2006) del Consiglio Nazionale
delle Ricerche Statunitense (13). Tali rischi vanno aumentati di
un terzo nella donna, dimezzati per una persona anziana di 80
anni, e quadruplicati per un bambino di meno di un anno.
si propone lo screening con
tecniche di immagine, dallo spessore medio-intimale carotideo
con gli ultrasuoni (8,9) fino – per chi se lo può permettere –
alla CT coronarica, che consentirà - ce lo dice anche in
copertina Times Magazine (10) – di identificare la malattia
coronarica in fase preliminare, consentendo così interventi
salvavita come lo stenting coronarico. In ambienti evoluti e
opulenti, la CT è un fringe-benefit per i dirigenti d’industria
appena assunti o anche un grazioso cadeau familiare, ad esempio
per la festa del papà (11). Neanche mille dollari, e
esorcizzerai la grande paura di morire d’infarto a 50 anni.
Se della diagnostica per
immagini si valuta solo o soprattutto il beneficio, è difficile
resistere alla tentazione di un bombardamento a tappeto nella
ricerca di aterosclerosi in prevenzione primaria. Quello che
rende meno attraente la strategia dell’uso permissivo di imaging
in prevenzione primaria è l’inclusione dei danni (acuti e
subacuti, entro ore o giorni) e del rischio a lungo termine (nel
caso dei test ionizzanti) nella valutazione di appropriatezza
(12). E’ la Sindrome di Ulisse, da esame ad esame, del
cinquantenne ricco e asintomatico che nel centro ad alta
tecnologia viene sottoposto a tutti gli esami possibili,
naturalmente con elevata possibilità di risultati discordanti
che inevitabilmente portano alla coronarografia, con relativo
indotto di rivascolarizzazione di fatto dettata dall’anatomia,
che poco o nulla ha a che fare con difetti lievi di perfusione o
dubbie alterazioni di cinetica visti con questa o quella
metodica di immagine. La Sindrome di Ulisse coinvolge
direttamente o indirettamente 3 personaggi chiave della società:
il paziente-Ulisse, che cumula qualche migliaio di radiografie
del torace (alla base dei rischi a lungo termine); il
commercialista di Ulisse, che coprirà costi esorbitanti per uno
screening che poteva risolversi con ECG da sforzo e forse un
ecocardiogramma a riposo; e l’avvocato di Ulisse, che attiverà
un certo numero di cause per danni, particolarmente inaspettati
dal paziente vista la sua condizione di iniziale benessere.
Soprattutto a livello di popolazione, l’uso di tecniche di
screening con esposizione radiologica implica danni di
popolazione consistenti – tabelle di rischio BEIR 2006 alla
mano, generate dal Consiglio Nazionale delle Ricerche
Statunitense assieme alla NASA, al Ministero della Difesa e all’Environmental
Protection Agency (13). Fare lo screening su 50 milioni di
americani asintomatici con il calcium-score genera 10.000 nuovi
cancri in un anno; con la scintigrafia con Sestamibi 50.000
cancri; con la cardio CT, 75.000 cancri (che raddoppiano con
scan senza gating, si dimezzano con utilizzo di tecniche con
risparmio di dose) (Tab. 1). L’aspetto del danno a lungo termine
è particolarmente rilevante se si considera che i soggetti sono
sani, la garanzia del tagliando (scintigrafico o radiologico)
svanisce dopo 1 o 2 anni, e il rischio radiologico è cumulativo
(14). Certo, se il rischio a lungo termine è invece ignorato, o
minimizzato, o negato, tutti gli algoritmi tornano e non ci sono
obiezioni – se non economiche – alla diagnostica per immagini
con tecnologie stato dell’arte in tutti i campi, dal
cardiologico all’oncologico. A quel punto, alla Sindrome di
Ulisse del paziente si è aggiunta una assai più pericolosa
Sindrome di Homer del medico che prescrive o esegue l’esame. L’Homer
di cui si tratta non è il sommo poeta greco, ma Homer Simpson,
responsabile della Sicurezza nella centrale nucleare di
Springfield, e che tutto ignora e trascura dei principi
elementari di sicurezza e prevenzione che, teoricamente,
dovrebbe essere lui a tutelare. Non sfigurerebbe, il caro
vecchio Homer, a capo di un moderno dipartimento di
cardio-imaging avanzato, dove tutto si sa di fisiopatologia
tecnologia e budget, e nulla si vuole intendere di sicurezza
appropriatezza e rischi.
Prevenzione: verso Itaca?
Se oltre a quello che c’è
davanti all’immagine si considera anche quello che c’è dietro –
i costi e i rischi – i nostri algoritmi cambiano radicalmente.
Va benissimo una caratterizzazione clinica del rischio, e va
anche bene nei pazienti a rischio medio-alto fare dei test:
l’ECG da sforzo, o magari la valutazione dello spessore
medio-intimale carotideo, che permette di sostituire una
dosimetria di rischio generica di popolazione con una dosimetria
individuale, basata su un marcatore prossimale di aterosclerosi
e predittore prognostico noto. Andrebbero forse evitati esami
troppo rischiosi, troppo costosi, con eccessivo carico biologico
(15). Può darsi che questo atteggiamento vada contro la
strategia di “sterminio dei sani” imposta con dolce violenza al
sano evoluto dei nostri Paesi occidentali. Ma è anche vero che
appare il modo migliore per evitare di scrivere, con l’uso
inappropriato e aggressivo della diagnostica per immagini, un
altro capitolo della nemesi medica (16): già oggi si stima che
la sola CT causi negli Stati Uniti circa il 2% di tutti i cancri
(17-19). Non a caso l’International Atomic Energy Agency ha
recentemente promosso una strategia di implementazione del
Principio di Giustificazione in radiologia basato su tre A:
Awareness (consapevolezza, di dosi e rischi tra medici e
pazienti, il cui strumento essenziale è un consenso informato
trasparente, chiaro e onesto); Audit (verifica dell’appopriatezza
della prescrizione radiologica, non diversamente da quanto già
si verifica per la prescrizione di farmaci); e Appropriateness
(perché dal 20% al 50% degli esami sono inappropriati, anche
negli ambienti più evoluti e in assenza di incentivazione
economica) (20). In epoca di tagli tetti e tasse, l’uso
appropriato della diagnostica per immagini nella prevenzione
primaria di aterosclerosi appare poi l’unica strada percorribile
verso una sanità sostenibile, anche se questo collide contro
collaudate abitudini incoraggiate da una ormai insostenibile
visione paternalistica (“Fidati di me, l’esperto sono io”) e
efficientistica (“Non ho tempo da perdere”) della nostra
professione. Se poi tutto questo oltre che clinicamente
plausibile, economicamente conveniente, e socialmente
vantaggioso è anche etico, pazienza.
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