Processo alla
prevenzione cardiovascolare :
l’ accusa
Gian Piero Perna
Divisione di Cardiologia A.O. Lancisi Ancona
La prevenzione degli eventi
cardiovascolari maggiori (MCVE) nei pazienti diabetici , o con
confluenza di fattori di rischio maggiori, o con recente ictus o
i con Sindromi Coronariche Acute (SCA) costituisce oggi uno dei
principali obiettivi della terapia cardiovascolare.
Diverse considerazioni
sostengono questa affermazione :
·
Mortalità e
morbilità per malattie cardiovascolari rimangono
elevate,nonostante i progressi della diagnosi, della
interventistica e della cardiochirurgia 1-3.
·
La riduzione di
mortalità per MCVE registrata nelle società occidentali è
determinata essenzialmente dai progressi ottenuti dalla
prevenzione e dalla lotta ai fattori di rischio cardiovascolare
, in particolare fumo, ipertensione e dislipidemie 1-3
;
·
Farmaci efficaci
nel trattamento delle dislipidemie , come le statine, hanno
mostrato la loro massima efficacia nel trattamento di
prevenzione secondaria ,quali i pazienti reduci da Sindromi
Coronariche Acute 4,5, o con Ictus 6, o
con malattia cardiovascolare nota 7,8,9;
·
Nonostante i
progressi terapeutici ottenuti con l’ impiego di farmaci
efficaci nella terapia delle dislipidemie, la mortalità e la
morbilità per MCVE presentano una “distribuzione geografica” del
tutto sovrapponibile a quella delle dislipidemie 2,3
Nonostante risulti chiaro,
quindi, che prevenire è meglio che curare, e nonostante i
progressi che sono stati indubbiamente ottenuti – in particolare
nel trattamento delle dislipidemie e nel trattamento della
ipertensione , la prevenzione delle malattie cardiovascolari nei
soggetti ad alto rischio di eventi rimane ancora largamente
deficitaria.
Questo costituisce un autentico
“capo di accusa” , sostenuto da una serie di punti che
brevemente occorrerà analizzare.
1. L’ attenzione della classe
medica si è fortemente concentrata, negli ultimi anni, sul
trattamento delle dislipidemie e sulla terapia con statine,
farmaci efficaci nel ridurre i livelli plasmatici di colesterolo
LDL e nel ridurre la frequenza di eventi in maniera
proporzionale alla riduzione delle LDL stesse.
Tuttavia anche nei trials
clinici che hanno dimostrato l’ efficacia delle statine il
rischio di eventi cardiovascolari rimane elevato. Questo
“rischio residuo” è evidentemente espressione di una serie di
bisogni clinici non soddisfatti dal solo trattamento con statine
.
I bisogni clinici insoddisfatti
sono diversi : il raggiungimento del target di LDL, l’
incremento delle HDL, la modulazione della infiammazione, il
trattamento omnicomprensivo dei fattori di rischio (il fumo, l’
ipertensione , il diabete , l’ obesità), l’ impossibilità di
intervento su fattori di rischio non convenzionali o non
modificabili.
a) Il raggiungimento del
target di LDL : sia l’ EUROASPIRE che lo studio SORPRESA
mostrano chiaramente che l’ uso di statine in pazienti ad alto
rischio cardiovascolare , dimessi da strutture ospedaliere
assumono statine in oltre l’ 80% dei casi ; tuttavia solo poco
più del 40% dei pazienti raggiunge il goal minimo di LDL
consigliato dalle linee-guida (< 100 mg/dl) e il target di LDL <
70 mg/dl, quando appropriato, è raggiunto in un numero ancora
minore di pazienti 12. Analoghi risultati vengono
riportati da alcuni registri in cui è stato possibile dimostrare
che le cause del mancato raggiungimento dell’ obiettivo
terapeutico sono da individuare nella scarsa compliance alla
terapia, nella mancata osservanza delle norme igieniche di vita
(dieta , attività fisica), nella discontinuità assistenziale e
nel mancato ricorso a schemi di terapia più aggressiva in caso
di risultato sub- ottimale 13. Quest’ ultimo punto
diventa in realtà un “punto critico” : in effetti la semplice
“prescrizione di statine” non è sufficiente ma è necessario il
raggiungimento dell’ obiettivo nel singolo paziente , tenendo
conto della colesterolemia di partenza e della riduzione delle
LDL che ciascuna statina e ciascun dosaggio della stessa puo’
determinare
b) Gli altri bisogni clinici
classici potenzialmente “insoddisfatti” sono costituiti
dalla completa astensione dal fumo e dal raggiungimento di
target pressori ottimali nei singoli pazienti; sempre l’
EUROASPIRE III ci informa che oltre il 23% dei pazienti dimessi
dopo una SCA nei principali Centri Cardiologici Europei
conservano l’ abitudine al fumo , e l’ 80% di essi non presenta
valori di pressione arteriosa “a goal” 12. Questi
rappresentano sicuramente dei problemi “critici”nella pratica
clinica quotidiana. In particolare , la astensione dal fumo
“pesa” enormemente in prevenzione secondaria, ma è purtroppo
difficile da ottenere con il solo counseling, i trattamenti
farmacologici disponibili per la disassuefazione dal fumo
costituiscono un supporto non sempre “efficace”, spesso sono mal
tollerati e comunque poco graditi in pazienti già in
politerapia.
c) Un bisogno clinico
insoddisfatto “emergente” è costituito dal raggiungimento di
target ideali di HDL e di rapporto LDL/HDL, da anni valutati
nella stima del livello di rischio cardovascolare globale , ma
ben poco considerati nella conduzione della terapia. Una recente
rianalisi dello studio TNT ha mostrato che nei pazienti con LDL
in terapia < 70mg/dl il rischio residuo è correlato ai livelli
di HDL e alla LDL/HDL ratio 13; inoltre gli studi con
IVUS sulla regressione della placca ateromasica hanno dimostrato
come questo obiettivo sia condizionato non solo dalla riduzione
delle LDL di almeno il 23% ma anche da un incremento delle HDL
di ameno il 7.5 % 14. L’ incremento delle HDL in
associazione alla riduzione delle LDL non è una caratteristica
“di classe” delle statine, ed è comunque molto modesto. L’
incremento delle HDL con inibitori della NCEPT (Proteina di
trasporto del colesterolo non esterificato) come il Torcetrapib,
testato in associazione alla atorvastatina nello studio
ILLUMINATE 15, non ha ottenuto risultati favorevoli ,
verosimilmente per il contemporaneo incremento della PA e per la
“qualità” delle HDL prodotte , costituite da HDL “nascenti” e
pertanto prive di attività protettive sull’ endotelio e
potenzialmente in grado di attivare i macrofagi e la
infiammazione, piuttosto che svolgere attività
anti-infiammatoria e di protezione endoteliale come invece
avviene per le HDL “mature”. Queste considerazioni rendono di
particolare interesse il problema dell’ incremento delle HDL,
integrato necessariamente con la riduzione dei trigliceridi ,
visto che bassi livelli di HDL e aumento dei trigliceridi
costituiscono una costante nei pazienti ad elevato rischio
cardiometabolico. L’ attuale atteggiamento della prevenzione
cardiovascolare è stato quello di “ignorare il problema” ,
dimenticando persino che i principali risultati sono quelli
legati agli stili di vita : attività fisica, riduzione del peso,
astensione dall’ alcool, dieta appropriata.
d) La modulazione della
infiammazione è un ulteriore bisogno clinico che la moderna
terapia cardiovascolare deve soddisfare , visto il ruolo
primario che la flogosi svolge sia nella aterogenesi sia –
soprattutto – nella instabilizzazione di placca e quindi nella
genesi degli eventi acuti . La maggiore efficacia delle statine
ad alte dosi nelle Sindromi Coronariche Acute (SCA) è
proporzionale alla maggiore riduzione della PCR-hs, e come
dimostrato in una analisi “post-hoc” del PROVE-IT i migliori
risultati vengono ottenuti nei pazienti che raggiungono livelli
di LDL < 70 mg/dl e contemporaneamente livelli d PCR-hs < 2 mg/L
16. Nel più recente studio JUPITER , l’ impiego di
una statina (Rosuvastatina , 20 mg/die) , in pazienti senza
malattia cardiovascolare documentata, LDL in range di normalità
(< 130 mg/dl) e aumentati livelli di PCR-h (> 2 mg/L) , ha
determinato una riduzione di eventi cardiovascolari così
importante da indurre il Board Scientifico ad interrompere lo
studio per motivi etici, vista la evidente superiorità del
trattamento rispetto al placebo in questa coorte di pazienti .
La modulazione della infiammazione costituisce il principale, ma
non il solo, dei problemi “aperti” dalla definizione di una
serie di “nuovi” fattori di rischio cardiovascolare, con
risvolti di non poco rilievo clinico. In particolare , i “nuovi
indicatori di rischio” costituiscono anche dei “target” del
trattamento ? Sono quindi dei veri “fattori di rischio” o solo
dei “markers” capaci di far risaltare la maggiore o minore
probabilità di MCVE ? E – soprattutto - attraverso quali
modalità “specifiche” è possibile intervenire ? Quest’ ultimo
punto costituisce sicuramente uno snodo clinico essenziale. La
modulazione della flogosi , di cui la Proteina C ad alta
sensibilità (hs-CRP) costituisce il marker più utilizzato, è
risultata inefficace quando perseguita con la somministrazione
di antibiotici nel PROVE-IT TIMI 22 16 , mentre la
modulazione della flogosi ottenuta con la somministrazione di
statine ad alte dosi è apparsa decisamente efficace, ma come
elemento di terapia “parallelo” alla riduzione delle LDL , e non
da esso indipendente.
2. L’ attenzione dei
Cardiologi si è molto incentrata sui trattamenti
farmacologici, e poco sugli stili di vita : lo sviluppo di
farmaci per la disuassefazione dal fumo e per il controllo
della obesità addominale, la pianificazione di grandi trials
incentrati sui soli trattamenti farmacologici, la assenza di
strategie “pianificate” per il counseling e per ottenere e
sorvegliare la compliance , sembrano indicare quanto meno
una scarsa fiducia o la esistenza di obiettive difficoltà
nel raggiungimento degli obiettivi previsti dal
miglioramento degli stili di vita.
3. La prevenzione
cardiovascolare , per essere efficace, deve uscire dal
nucleo storico costituito dagli operatori sanitari. Il
coinvolgimento di figure “nuove” quali gli infermieri, gli
psicologi, i “motivatori”, i giornalisti sono stati finora
esperimenti sporadici, e soprattutto poco funzionali al
risultato atteso. Occorre in realtà che la prevenzione
cardiovascolare sia introdotta in un “piano organico” in cui
siano previsti interventi specifici anche a livello
“politico”, in particolare per la strategia di intervento
“sulla popolazione” essenziale per la prevenzione primaria :
·
favorire la
attività fisica fin dall’ infanzia, progettando in maniera
consequenziale la viabilità e i trasporti (oggi orientati
verso il movimento passivo dei cittadini)
·
sostenere l’
adozione di adeguati stili di vita (dieta ricca di
antiossidanti, controllo del peso, attività fisica,
astensione dal fumo) con adeguata informazione , con la
condivisione e la consapevolezza degli obiettivi, con la
motivazione
·
considerare
gli interventi sugli stili di vita dei “piani terapeutici”
veri e propri, con atteggiamento conseguente sia dei medici
sia degli enti regolatori.
Sono punti sufficienti a
sottolineare come il verdetto sullo stato attuale della
prevenzione cardiovascolare, non solo in Italia, non possa
essere attualmente quello di una assoluzione, ma una condanna
“con la condizionale” e con possibilità di appello.
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