Processo alla prevenzione cardiovascolare:

i fatti

 

Domenico Miceli

UOSD di Cardiologia Riabilitativa post acuzie,

 Dipartimento di Fisiopatologia e Riabilitazione Cardio-Pneumologica, AORN Monaldi,  Napoli

 

Le malattie cardiovascolari rappresentano ancora oggi la principale causa di morte nel nostro paese, essendo responsabili del 44% di tutti i decessi. In particolare la cardiopatia ischemica è la prima causa di morte in Italia, rendendo conto del 28% di tutte le morti, mentre gli accidenti cerebrovascolari sono al terzo posto con il 13%, dopo i tumori. Considerando gli anni potenziali di vita perduti, cioè gli anni che ciascun deceduto avrebbe vissuto se fosse morto ad una età pari a quella della sua speranza di vita, le malattie cardiovascolari tolgono ogni anno oltre 300.000 anni di vita alle persone con meno di 65 anni, 240.000 negli uomini e 68.000 nelle donne. Chi sopravvive a un attacco cardiaco diventa un malato cronico, perché la malattia modifica la qualità della vita e comporta notevoli costi economici per la società. In Italia la prevalenza di cittadini affetti da invalidità cardiovascolare è pari al 4,4 per mille (dati Istat) e il 23,5% della spesa farmaceutica italiana (pari all' 1,34 del prodotto interno lordo) è destinato a farmaci per il sistema cardiovascolare. I dati del Registro Nazionale degli Eventi Coronarici e Cerebrovascolari mostrano un quadro sostanzialmente omogeneo in tutta Italia, che sfata il tradizionale luogo comune secondo cui di cuore ci si ammalerebbe di più al Nord che al Sud Italia. I tassi di incidenza dell'infarto miocardico, per esempio, sono molto simili a Napoli e in Friuli Venezia Giulia, sia per gli uomini che per le donne. La letalità coronarica è decisamente rilevante in tutte le aree e peggiore nelle donne, come atteso: tra i pazienti colpiti da infarto miocardico acuto nell'età compresa fra 35 e 74 anni, tre uomini su 10 e quattro donne su 10 muoiono entro 28 giorni dall' esordio dei sintomi, principalmente fuori dall'ospedale, prima di poter essere adeguatamente curati.

Confrontando i tassi degli eventi coronarici e cerebrovascolari, emerge che negli uomini prevalgono gli eventi coronarici, nelle donne quelli cerebrovascolari. Le donne hanno pagato un caro prezzo circa le malattie cardiovascolari,  sia in termini di ritardata diagnosi che di terapie inadeguate come ad esempio la mancata somministrazione di trombolitici, se paragonate agli uomini.
La valenza sanitaria e sociale di questi dati sulle malattie cardiovascolari è accentuata dalla considerazione che esse o per lo meno la loro maggioranza, cioè le forme arteriosclerotiche, sono in larga parte prevenibili, almeno per il 50% secondo le stime disponibili. Molti dei fattori di rischio delle malattie cardiovascolari sono modificabili e quando sono più di uno hanno un' azione non solo addizionale ma moltiplicativa o sinergica nel determinare il rischio di malattia.

E mentre gli esperti di tutto il mondo si affannano a dettare le regole delle “giuste misure” per minimizzare il rischio cardiovascolare, nella pratica clinica ancora molto resta da fare per mettere in atto tali indicazioni.  I dati di EUROASPIRE III, del 2007,il sondaggio che fotografa lo stato della prevenzione secondaria nel campo delle malattie cardiovascolari in 22 nazioni europee, mostrano come a distanza di un anno da un ricovero per eventi cardiovascolari o interventi di rivascolarizzazione a fumare è ancora il 18,2% dei pazienti; il 38% è obeso e ben il 54,9% è affetto da obesità centrale (questi ultimi dati in netto aumento rispetto alla prima indagine condotta nel 1994: allora gli obesi erano il 25% e i pazienti affetti da obesità centrale il 42,2%). Preoccupanti anche i dati relativi al controllo della pressione: ben il 60,9% di questi pazienti non raggiunge gli obiettivi indicati dalle linee-guida. Drammatica è anche la progressione del diabete rispetto alla prima survey: 28% dei pazienti intervistati per EUROASPIRE III risultava diabetico (e il 78% di questi con un’HbA1c >7,0), contro il 17,4% di EUROASPIRE I. Una nota positiva viene invece dai dati relativi al colesterolo: i pazienti con ipercolesterolemia e con aumento dell’LDL risultano dimezzati rispetto alla prima indagine (dal 95 circa al 46% attuale), merito questo di un diffusissimo impiego delle statine (nell’ultima indagine ad usarle è l’87% dei pazienti, contro il 18,1% del 1994).

Nell’insieme, però, cifre deludenti che meritano interventi immediati, sia sul fronte politico che su quello dell’implementazione dei programmi di prevenzione e di riabilitazione strutturati. I risultati dimostrano quanto sia difficile per un adulto cambiare abitudini di vita ma rispecchiano anche la limitatissima attenzione riservata alla prevenzione anche nei pazienti con cardiopatie conclamate, come se i sistemi sanitari europei  considerassero lo stile di vita una faccenda privata. È necessario al contrario riservare a questi pazienti un approccio professionale e multidisciplinare che evidentemente deve coinvolgere sia i medici di famiglia che centri specializzati in cardiologia preventiva. I pazienti hanno bisogno di un supporto professionale per modificare il loro stile di vita e per correggere i loro fattori di rischio in maniera più efficace. Limitarsi a mettere loro in mano una ricetta evidentemente non basta. I pazienti devono capire la natura della loro malattia e come combatterla attraverso i farmaci e lo stile di vita, obiettivi questi che possono essere raggiunti solo attraverso un programma completo e ben strutturato di riabilitazione e di prevenzione.

“Prevenire è meglio che curare”: questo slogan che in tempi passati ci ha invero implacabilmente perseguitato fino alla noia, sembra essere stato totalmente disatteso o, più spesso, male interpretato: oggi il paziente che spontaneamente si preoccupa di prevenire una malattia di cuore si concentra sulle indagini diagnostiche e, dopo aver consultato il web, si attiva per sottoporsi ad un check-up cardiologico, nella convinzione che la normalità di tutti questi esami possa dargli una garanzia, almeno per un certo tempo. E piuttosto che sentirsi sensibilizzato sugli stili di vita va continuamente alla ricerca dell’esame più sofisticato, dalla scintigrafia alla TAC coronarica. La ragione di tutto ciò sta forse nell’amplificazione che i mezzi di comunicazione di massa attuano sulle spesso fin troppo sottolineate capacità “miracolose” delle indagini diagnostiche più che sulla pericolosità dei fattori di rischio. Il discorso sulle diagnosi e soprattutto sulle terapie è oggi predominante: sappiamo di poter contare su una pillola sempre, per combattere l’insonnia, per uscire dalla depressione, per diminuire il senso della fame, per abbassare il colesterolo, per tenere il sangue più fluido, per fare o poter fare meglio l’amore.

Non a caso nel 2003 è stato introdotto il concetto di polipillola, contenente una statina, tre farmaci antipertensivi (diuretici tiazidici, betabloccanti, ACE-inibitori, ognuno dei quali a dosi dimezzate), acido folico e aspirina. È stato suggerito che la polipillola possa ridurre il rischio di cardiopatia ischemica e d'ictus di circa il 90% in ogni individuo d'età superiore a 55 anni. Uno dei principali argomenti a favore della polipillola è che l'aderenza alla terapia diminuisce con l'aumentare del numero di farmaci assunti. È vero che i pazienti oggi osservati dal medico hanno spesso un insieme di problemi clinici, per esempio dislipidemia, ipertensione, insulino-resistenza, anomalie del metabolismo glucidico, ipercoagulabilità, tuttavia soltanto alcune di queste condizioni sono importanti per lo sviluppo o la progressione delle complicanze. La polipillola invece fornisce combinazioni fisse dei vari farmaci, con il rischio di un trattamento insufficiente delle condizioni principali e di un ipertrattamento di condizioni secondarie; la polipillola nega anche qualsiasi differenza del metabolismo nei soggetti giovani e anziani e differenze legate al sesso o alla razza. Il concetto di polipillola rappresenterebbe una sconfessione delle convinzioni secondo le quali i migliori risultati sono raggiunti con le variazioni individuali dello stile di vita e con un aumento delle motivazioni insieme ad un trattamento farmacologico individualizzato.

La risposta naturale alla polipillola è poco dopo arrivata da un gruppo di ricercatori dell'University Medical Centre di Rotterdam, che in uno studio immediatamente successivo hanno identificato il “pasto miracoloso”, battezzato Polymeal in alternativa a Polypill, ovvero la combinazione quotidiana di alimenti che in modo efficace, naturale, economico, e probabilmente più sicuro e gustoso del medicinale messo a punto da Wald e Law nell’anno precedente, appare in grado di ridurre il rischio di malattie cardiache del 76%, allungando la vita degli uomini di sei anni e mezzo e quella delle donne di cinque. La ricetta del “polipasto” comprende il consumo quotidiano di 150 ml di vino che ridurrebbe il rischio cardiovascolare del 32% (contro il 14% se consumato 4 volte la settimana); il pesce (dose consigliata 114 grammi), consumato da 2 a 4 volte la settimana per una riduzione del 14%; 100 g di cioccolato fondente al giorno, per abbassare la pressione sanguigna e ridurre il rischio di malattie cardiovascolari e d'infarto miocardico del 21%. Lo stesso risultato si otterrebbe con 400 grammi di frutta e verdura al giorno. Inoltre mangiare aglio quotidianamente ridurrebbe il colesterolo e quindi il rischio di malattie cardiovascolari del 25 % (dosaggio consigliato 2,7 grammi al giorno di aglio fresco), e ancora 68 grammi di mandorle comporterebbero un'ulteriore riduzione del 12%.

Pochi trial clinici sono stati pianificati per testare l'ipotesi della polipillola per la prevenzione cardiovascolare e non ci sono evidenze che abbiano confermato le prospettive, ma su questo argomento l’interesse non è ancora scemato, tanto che un recente articolo, anch’esso pubblicato sul British Medical Journal, si è chiesto a che punto sia lo sviluppo della “polipillola”. Il primo studio che ha valutato gli esiti della somministrazione della polipillola in soggetti di età > 55 anni, con una patologia cardiovascolare documentata, è una metanalisi del 2003 condotta dal Wolfson Institute of Preventive Medicine di Londra. La metanalisi ha quantificato l’efficacia ed il profilo di sicurezza della nuova formulazione attraverso la valutazione di trial randomizzati e di studi di coorte, compresa una metanalisi di 15 studi sull’aspirina a basse dosi (50-125 mg/die). I dati valutati comprendevano oltre 750 trial, su un totale di 400.000 soggetti. Gli outcome della metanalisi erano la riduzione del tasso di eventi ischemici cardiaci e di stroke, gli anni di vita guadagnati e la prevalenza degli eventi avversi.I risultati hanno evidenziato che, modificando tutti e quattro i fattori di rischio considerati, il tasso di eventi ischemici cardiaci veniva ridotto dell’88% (84%-91%) e quello di stroke dell’80% (71%-87%). Inoltre, un terzo dei soggetti che avrebbero cominciato il trattamento con la polipillola a partire dal 55° anno di età avrebbe potuto ritardare di 11-12 anni la comparsa di attacchi cardiaci o stroke. Anche il profilo di sicurezza appariva favorevole, con un tasso di eventi avversi variabile tra l’8% ed il 15% in funzione della formulazione utilizzata, mentre, tra tutti i principi attivi, l’aspirina era il farmaco che poteva causare gli eventi avversi più gravi (principalmente di natura emorragica). Contestualmente alla pubblicazione della metanalisi, l’editoriale di accompagnamento aveva indicato che il ricorso alla polipillola avrebbe potuto influenzare la patologia cardiovascolare in misura maggiore rispetto ad ogni altro intervento terapeutico. Inoltre, se tali dati si fossero rivelati corretti, nei soggetti con malattia vascolare, i benefici derivanti da tale approccio terapeutico avrebbero di gran lunga superato i rischi correlati al trattamento. Oggi, a distanza di oltre 5 anni, ci si potrebbe aspettare che vari gruppi di ricerca siano in concorrenza per testare questa terapia innovativa, ma in realtà non è così ed i pochi trial clinici che sono stati pianificati in tal senso non sono ancora riusciti a confermare l’ipotesi iniziale. Per esempio, uno studio pilota pianificato dall’Università di Aukland ha reclutato 400 pazienti provenienti da Australia, Nuova Zelanda, Brasile, India, Olanda, Gran Bretagna e Stati Uniti, randomizzati per 12 settimane ad una una polipillola contenente un antipertensivo, un ipolipemizzante e aspirina o a placebo. Tuttavia, poiché sono stati selezionati soltanto soggetti ad elevato rischio di attacchi cardiaci o di stroke, gli esiti non potranno essere generalizzati ad una popolazione più ampia. È in corso un altro studio, pianificato all’ospedale Mount Sinai di New York, che prevede l’utilizzo di una variante della polipillola contenente aspirina, una statina, un ACE inibitore e un ß-bloccante. L’obiettivo dello studio era valutare il miglioramento dell’aderenza alla terapia costituita da una singola pillola in soggetti che hanno già avuto un infarto del miocardio e testarne l’accessibilità anche nei paesi a basso reddito. A questo proposito, è stato appena portato a termine un terzo studio, condotto nell’Iran nord-orientale, il cui obiettivo era testare gli effetti antipertensivi e ipolipemizzanti di una polipillola costituita da aspirina, una statina, un ACE-inibitore e un diuretico tiazidico. Si tratta di un trial pilota su circa 500 uomini tra 50 e 79 anni e donne tra 55 e 79 anni dal cui esito dipenderà la pianificazione di un ulteriore studio con maggiore potere statistico. Il trial è stato condotto in un paese in via di sviluppo dove le condizioni della medicina preventiva non sono certo ideali. 

L’identificazione delle persone a rischio cardiovascolare elevato è uno degli obiettivi principali della prevenzione primaria individuale e costituisce la premessa necessaria per l’attivazione di azioni finalizzate alla riduzione dei fattori di rischio, modificabili sia dal cambiamento dello stile di vita sia dall’intervento farmacologico. Alla fine degli anni ’80 le linee guida sulla prevenzione primaria si fondavano sul trattamento del singolo fattore di rischio, e a rischio aumentato erano considerate, ad esempio, le persone con valori elevati di pressione arteriosa o di colesterolemia. In anni più recenti l’attenzione è stata rivolta al rischio cardiovascolare globale assoluto, indicatore di incidenza di malattia, prevedibile sulla base dei livelli dei principali fattori di rischio. La valutazione del rischio cardiovascolare globale non solo ci consente di capire quanto potranno essere vantaggiosi i provvedimenti preventivi possibili – specie se farmacologici - ma ci permette anche di concordare con il paziente l’approccio più adatto al suo caso, e rammentare che questo parametro può variare nel tempo, in meglio o in peggio, per cui ricalcolarlo periodicamente consentirà di valutare i risultati ottenuti e di adeguarsi ai cambiamenti intercorsi. I dati utilizzati per sviluppare gli strumenti di previsione del rischio derivano dalla popolazione di Framingham (USA), dallo studio “Seven Countries (7 nazioni, tra cui l’Italia), dalla popolazione tedesca, da coorti di popolazione italiana studiate nell’ambito di differenti ricerche, dalla popolazione arruolata in grandi trial sulla terapia antipertensiva.  Sono disponibili vari sistemi di calcolo che differiscono sia in ragione della popolazione analizzata, sia per il periodo di tempo a cui si riferisce la previsione, sia per la natura degli eventi previsti. Il calcolo del rischio cardiovascolare globale con la Carta del Rischio è essenziale per una sorta di triage del rischio di malattia cardiovascolare e anche per una corretta e razionale utilizzazione dei farmaci ipolipidemizzanti. Tale strumento, inoltre,  aiuta il medico ad impiegare queste molecole nei soggetti a maggiore rischio e di valutare l'opportunità di indirizzare il paziente a trattamenti preventivi polifarmacologici. Sappiamo che in Italia la popolazione ad alto rischio, teoricamente candidata a tali trattamenti, è superiore ai 3 milioni di individui.

Debellare le malattie costituisce senza dubbio un obiettivo primario della medicina, come dimostrato, ad esempio, dalla diffusione che hanno avuto ed hanno le pratiche di vaccinazione. In campo cardiovascolare, tutto il fiorire di iniziative, insieme con i risultati tuttora piuttosto deludenti dell’EUROASPIRE circa la persistenza dei principali fattori di rischio in percentuali ancora consistenti, fanno pensare ad un fallimento seppure parziale della prevenzione, soprattutto di quella primaria. Sicuramente una delle ragioni più plausibili è che per la malattia aterosclerotica non è stata ancora identificata una causa, ma si conoscono solo delle condizioni fisiologiche (sesso, età)  o morbose che ne aumentano la velocità di progressione e, conseguentemente, la probabilità di sviluppare eventi. L’approfondimento della ricerca, specie in campo genetico, apre nuovi orizzonti: recenti ricerche hanno decodificato  nel genoma umano i geni correlati alla ereditarietà nell'infarto miocardico, in particolare quello giovanile, nonchè la predisposizione al secondo infarto, cioè alla ricaduta nella malattia.  L’ identificazione dei marcatori genomici  può segnare l'inizio di una nuova era, in grado di rivoluzionare la pratica clinica, determinando la focalizzazione di nuovi obiettivi, consentendo di selezionare i soggetti verso cui l’azione di prevenzione deve essere più incisiva, e nel contempo può aprire nuovi spazi terapeutici  nell' ambizioso obiettivo di una medicina personalizzata.

 

 

 

Bibliografia

 

- Centro Nazionale di Epidemiologia, Prevenzione e Promozione della Salute - Istituto Superiore di Sanità Roma

- EUROASPIRE III: a survey on the lifestyle, risk factors and use of cardioprotective drug therapies in coronary patients from 22 European countries

    Eur J  Cardiovascular Prevention & Rehabilitation:  2009;16, 121-137

- Watts G  What happened to the polypill? BMJ 2008; 337: 786

- Wald NJ, Law MR  A strategy to reduce cardiovascular disease by more than 80%. BMJ 2003; 326:1419-24

- Rodgers A  A cure for cardiovascular disease? BMJ 2003; 326: 1407-8

- Franco O, Bonneux L, de Laet C, Peeters A,  Steyerberg EW,  Mackenbach JP   The Polymeal: a more natural, safer, and probably tastier (than the Polypill) strategy to reduce

    cardiovascular disease by more than 75%      BMJ 2004;329:1447-1450

- Barth JH   News of polypill  BMJ 2008; 337: 948.