Processo al defibrillatore IMPIANTABILE:
L’accusa
F.Mascia , G.Mascia , D.Christodulakis, M.Viscusi.
D.P.T. di Cardiologia ,UOC di Cardiologia-UTIC ,
UOC di Elettrostimolazione ed Elettrofisiologia
.AORN S.Anna e S.Sebastiano di Caserta.
L’orientamento
delle attuali linee guida internazionali è di porre indicazione
all’impianto di defibrillatore (ICD) nei pazienti con FE
inferiore al 30 % dopo 40 giorni dall’IMA con classe di
raccomandazione I e Livello di evidenza A (ACC e AHA) e di
considerare ragionevole l’impianto anche nei pazienti con FE
compreso tra il 30-35% con classe di raccomandazione I e Livello
di evidenza A (ESC) e classe di raccomandazione II Livello di
evidenza B (ACC/AHA e AIAC).
Queste indicazioni pur rappresentando una soluzione accettabile
da un punto di vista medico-legale, hanno ampliato l’indicazione
clinica ed hanno aperto problemi etici ed economici. In base a
tali indicazioni per le più recenti indagini epidemiologiche
sarebbero necessari 500.000 impianti di ICD negli USA, circa
2.000.000 in Europa e tra i 100.000 e 125.000 in Italia 1-2.
Tali numeri comporterebbero di fatto importanti problemi
clinici, etici ed economici.
Le
problematiche cliniche già emergono in numero abbastanza
considerevole dagli studi SCDHeFT, MADIT II, DEFINITE e
COMPANION, che hanno evidenziato complicanze gravi all’impianto
in percentuale variabile dall’1,3% all’8% (pneumotorace,
emotorace, tamponamento) e tardive tra il 4,4% e il 9%
(infezioni della tasca, rotture di catetere). Malfunzioni e
recall sono un altro problema perché sono circa il 3% facendo
ricorrere a sostituzione il 3% dei pazienti
3-4-5-6.
Numerose e frequenti sono poi le problematiche legate al
riconoscimento e al trattamento delle aritmie:
·
Tachicardia
ventricolare al di sotto del cut-off programmato
·
Tachicardia
ventricolare lenta iterativa o incessante (generalmente con
ciclo rallentato per l’azione dei farmaci) che molto spesso
richiede un trattamento di ablazione con radiofrequenza
·
Mancato
intervento dell’ICD per difetto di rilevamento dell’aritmia
(undersensing) o inefficace trattamento della stessa per elevata
soglia di defibrillazione.
·
Perdita del
sensing per dislocazione dell’elettrodo
·
Perdita
dell’isolamento del sistema di defibrillazione
·
Frattura di
uno o più elettrodi
·
Perdita di
sensing dovuto ad eccessiva abbassamento di ampiezza del segnale
intrinseco
·
Terapie non
erogate per posizionamento in off del sistema per cause
accidentali (sistemi anti taccheggio e/o campi magnetici
intensi)
·
Shock
inappropriati per tachiaritmia atriale riconosciuta in zona VT,
oversensing dell’onda P e/o dell’onda T, noises (oversensing di
segnali non fisiologici e quindi riconoscimento di aritmie
inesistenti o overdetection) da difetto di isolamento, da
difetto dei conduttori, da difetto di connessione
elettrocatetere-device, da sfregamento di elettrocatetere, da
miopotenziali di origine diaframmatica o della muscolatura
toracica, da elettrostimolazione nervosa trans-cutanea (TENS).
Pertanto l’impianto di ICD non è privo,come qualsiasi altra
terapia applicata all’uomo, di complicanze cliniche ed impatto
psicologico.
La
presenza di shock inappropriati può condizionare pesantemente la
vita del paziente.I rischi e le complicanze sono difficilmente
accettabili dai pazienti e soprattutto non prevedibili nei
singoli soggetti.
Problema gravoso per i medici è anche la difficoltà di gestire
correttamente questi pazienti sia da un punto di vista
psicologico che clinico. Ambulatori per follow-up dedicati sono
sempre più affollati e gestiti con difficoltà per carenza di
personale medico e paramedico adeguatamente preparato.L’utilizzo
di apparecchi in grado di poter controllare domiciliarmente i
pazienti (Home Monitoring e Care link) può rappresentare la
soluzione, ma e è complicata da problematiche medico-legali
importanti e non chiarite.
Problemi etici ed economici:
Le
pubblicazioni e l’applicazione di queste linee guida, hanno, di
fatto, ridimensionato l’uso dei mezzi di stratificazione
invasivi e non invasivi. L’applicazione di un ICD in
prevenzione primaria in pazienti selezionati solo sulla FE salva
la vita?La allunga?E di quanto?Quanti pazienti bisogna trattare
per salvare una vita?
Nello
studio MADIT II questo numero è di 133 ad un anno dall’impianto.Dai
dati disponibili in letteratura sappiamo che nell’implantologia
dell’ICD in prevenzione primaria vengono prevenute in due anni
tre morti improvvise su 100 pazienti trattati per cui 97 non
utilizzano l’ICD. Comunque è giusto impiantare un ICD in un
paziente con il 35% di FE e no a chi ha il 36%? Inoltre sappiamo
che la FE varia spesso nel tempo e la stessa metodica
ecocardiografica che abitualmente usiamo ha limiti di errori o
valutazione dipendente dall’operatore del 5%.
Una
buona stratificazione del rischi aritmico può ancora costituire
un elemento portante dell’intervento terapeutico della
prevenzione della morte aritmica e nel corretto uso dei farmaci
e nell’uso appropriato del defibrillatore impiantabile.
Attualmente una stratificazione prognostica del rischio
aritmico comprende:
-
FE
all’ecocardiogramma
-
ECG
Dinamico
-
Studio
dei potenziali tardivi
-
Alternanza dell’onda T
-
Durata
del QRS
-
Stimolazione ventricolare programmata col SEF
-
Proteina
C reattiva specifica (PCRS)
-
Peptide
natriuretico di tipo B (7, 8, 9, 10)
Nell’ultimo decennio numerosi studi hanno dimostrato che
l’ICD è in grado di ridurre sia la mortalità totale che la
morte improvvisa rispetto ai farmaci in prevenzione primaria.Una
metanalisi di Artur Moss ha analizzato sette trials di
prevenzione primaria (6093 pazienti). In due anni di follow-up
la mortalità si è ridotta dal 17,3% nel gruppo non trattato al
14,3% nel gruppo trattato.
L’uso degli ICD ha sicuramente limitato la sperimentazione
clinica e farmacologica. Esiste ancora uno spazio per il
trattamento farmacologico? Con che ruolo? E con che limiti?
L’associazione B-bloccante+amiodarone nello studio CAMIAT ha
dimostrato la riduzione in modo significativo di morte cardiaca
o arresto cardiaco 12.
Nello studio AMIORVIT non sono emerse differenze significative
sulla mortalità totale dei pazienti affetti da Cardiomiopatia
dilatativa non ischemica trattati con amiodarone vs ICD 13.
Lo
studio CABG ha valutato l’uso profilattico dell’ICD nei pazienti
ad alto rischio per aritmie ventricolari dopo trattamento
chirurgico con By-pass arteriosa. Tale studio ha evidenziato
uguale sopravvivenza a medio termine tra portatori e non
portatori di ICD 14.
Considerazioni:
-
La
terapia con ICD non è priva di complicanze talvolta anche
gravi.
-
Esiste di
fatto una forte spinta ad una terapia interventistica con
ICD forse motivata da interessi commerciali che determina
grossi costi economici scarsamente assorbibili dai sistemi
sanitari pubblici
-
I
pazienti certamente possono essere più accuratamente
selezionati.
Infatti
possiamo considerare che la FE varia nel tempo e spesso un
numero anche consistente di pazienti la migliora con una terapia
medica ottimale.
-
I
pazienti ischemici dovrebbero tutti essere sottoposti a
coronarografia con angioplastica e/o intervento di by-pass
arterioso.
-
I
pazienti con cardiomiopatia dilatativa primitiva a coronarie
indenni potrebbero essere esentati dall’impianto e trattati
con terapia medica.
Queste certamente sono solo attualmente considerazioni in
contrasto con le linee guida, ma potenzialmente applicabili se
corroborate da ulteriori studi.
Non
bisogna mai dimenticarsi che la medicina è un’Arte che tenta
disperatamente di diventare una Scienza!
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