PROCESSO ALL’ANGIOPLASTICA MULTIVASO:
I FATTI
AntonGiulio Maione
U.O.
Utic-Cardiologia Ospedale San Luca Vallo della Lucania
Dipartimento
Cardiovascolare EX ASL SA 3 ASL SALERNO
L’angioplastica coronarica (PCI) e l’intervento di by-pass
aorto-coronarico (BPAC) sono due modalità di trattamento
invasivo sicure ed affermate per pazienti con malattia
coronarica multi vasale (presenza di stenosi coronariche
emodinamicamente significative a carico di due o più arterie
coronarie). L’impiego iniziale del BPAC risale a circa 50 anni
fa. D’altro canto la PCI è considerata una valida e affidabile
alternativa terapeutica per la malattia coronarica
aterosclerotica da ormai 3 decadi. E’ importante rilevare che
nel corso degli anni entrambi le metodiche si sono evolute in
misura straordinaria sia dal punto di vista tecnico che da
quello dell’estensione delle indicazioni. Il BPAC può oggi
essere effettuato in modalità “off-pump” e con tecniche di
chirurgia mini-invasiva che non richiedono la sternotomia
mediana (MID-CAB). La PCI, a sua volta, ha visto negli ultimi
anni un crescente impiego degli stents coronarici e rappresenta
un’opzione terapeutica efficace, sicura, meno invasiva rispetto
al BPAC, e capace di garantire al paziente una rapida dimissione
dall’ambiente ospedaliero ed un precoce ritorno alle abituali
attività quotidiane. Tuttavia circa l’efficacia a lungo termine
e i vantaggi in termini di sopravvivenza delle due metodiche
esistono informazioni e dati contraddittori.
Il
trattamento ottimale della malattia aterosclerotica coronarica
multi vasale (MVD) è un argomento oggetto di serrati dibattiti e
discussioni. Difatti a oggi mancano studi clinici ampi, ben
progettati e prospetticamente randomizzati, mentre i trial
clinici randomizzati esistenti si basano in modo inappropriato
sulla inclusione di gruppi di pazienti non omogenei comprendenti
sia pazienti affetti da malattia aterosclerotica coronarica che
invece pazienti altamente selezionati affetti da MVD. E’ utile
rilevare che la prognosi clinica dipende da altri rilevanti
fattori quali: il numero totale dei vasi da rivascolarizzare
(patologia coronarica bi-vasale 2VD o tri-vasale 3VD), la
presenza o assenza del diabete, la malattia del tronco comune,
la disfunzione contrattile del ventricolo sinistro. Questo
dilemma terapeutico si aggrava se si considera che a volte è il
paziente a esprimere una preferenza verso l’una o l’altra
soluzione terapeutica; ad esempio scegliere la PCI rispetto al
BPAC perché meno invasiva e spaventosa, ma senza tuttavia tener
conto, perché il paziente non può esserne al corrente, della
prognosi a lungo termine di ciascuna metodica terapeutica
soprattutto in termini di miglioramento della sopravvivenza e di
numero di rivascolarizzazioni ripetute.
E’ opportuno
a mio avviso che il comportamento nella gestione di pazienti con
patologia coronarica multi - vasale, nella pratica clinica
quotidiana, si basi su di una prospettiva solida e coerente
composta dalle evidenze scientifiche riassunte nei numerosi
studi randomizzati e non fino ad oggi pubblicati, anche se
questo significhi a volte differire del tutto dagli standard
clinici normalmente in uso.
In tal senso
uno spirito critico obiettivo non può fare a meno di rilevare
che in quindici trial randomizzati relativi agli ultimi dieci
anni, soltanto il 5% dei pazienti selezionati con MVD era poi
sottoposto a randomizzazione. E di questi, tutti avevano una
F.E. > 50% e l’incidenza di 3VD era del 35%. Quindi non
dovrebbe stupire il riscontro che in pazienti con MVD a basso
rischio (2-VD, F.E. = o > 50%, no malattia del tronco comune,
no diabete) PCI e CABG offrono risultati simili per la prognosi
a lungo termine (elevata sopravvivenza e bassa mortalità),
giacché questi trial escludono tutti i pazienti ad alto rischio
che avrebbero potuto maggiormente beneficiare dell’intervento di
CABG. Eppure già nel lontano 1994 gli autori di una meta-analisi
di confronto tra CABG e terapia medica dimostrarono che
l’intervento di CABG era superiore in termini di sopravvivenza e
di riduzione della sintomatologia soprattutto in pazienti con
3-VD. Viceversa in pazienti con 1-VD o 2-VD non vi era
differenza tra CABG e terapia medica. Gli autori, quindi
raccomandarono che futuri studi di confronto tra CABG e PCI
avrebbero dovuto includere un elevato numero di pazienti per i
quali la soluzione terapeutica chirurgica era sicuramente
superiore alla terapia medica, allo scopo di avere una
valutazione obiettiva dell’efficacia e della sicurezza della PCI
nei pazienti con MVD.
In pazienti
con MVD ad alto rischio (3 –VD, diabete mellito, ridotta
funzione contrattile del v. sin., malattia del tronco comune + 3
– VD) l’intervento di CABG ha dimostrato essere superiore alla
PCI in termini di sopravvivenza a lungo termine. In particolare,
nel paziente diabetico la malattia aterosclerotica coronarica
appare essere più aggressiva e si associa a una maggiore
incidenza di eventi infausti che innalzano il tasso di mortalità
sia dopo CABG sia dopo PCI, a causa di vasi coronarici di
calibro minore, maggiore lunghezza delle lesioni, maggiore
carico di placca aterosclerotica, attivazione della cascata dei
meccanismi bio-molecolari che inducono la restenosi in modo
differente rispetto a pazienti non diabetici. Per questi motivi
l’intervento di CABG è stato sempre considerato la soluzione
terapeutica preferibile perché capace di by-passare ampi carichi
di placca aterosclerotica e di garantire una rivascolarizzazione
completa, efficace e duratura nel tempo.
E’ utile
notare che molti precedenti trial di confronto tra CABG e PCI
includono per entrambi le procedure tecniche obsolete, ad
esempio confronto tra CABG e angioplastica coronarica senza
impianto di stent, e inoltre esistono evidenti differenze
riguardo al tasso di sopravvivenza a cinque anni tra i trial
randomizzati e gli studi osservazionali. Tali differenze sono
probabilmente attribuibili al fatto che gli studi randomizzati
prevedono una rigorosa selezione dei pazienti attraverso rigidi
criteri d’inclusione ed esclusione. Allo stesso tempo questi
pazienti sono caratterizzati da minori comorbidità e potrebbero
non rappresentare fedelmente il paziente tipico medio che giunge
all’osservazione del medico nella pratica clinica quotidiana.
Altri motivi potrebbero risiedere nell’insufficiente potere
statistico che limita la capacità di valutazione di alcuni
trial.
Recentemente
il trial SYNTAX ha dimostrato che la PCI con impianto di stent
medicato al taxolo era inferiore al CABG rispetto all’end-point
composito primario comprendente morte, stroke, IMA e ripetuta
rivascolarizzazione tra pazienti con 3-Vd e malattia del tronco
comune. Questo trial si differenzia rispetto a molti altri
precedenti oltre che per la sua relativa attualità anche per il
fatto di aver incluso pazienti “all-comers” e non altamente
selezionati cercando in tal modo di rispecchiare il più
fedelmente possibile le condizioni del “mondo – reale”. Infatti
gli unici criteri di esclusione sono stati precedenti procedure
di PCI, infarto miocardico acuto e concomitanti interventi di
chirurgia cardiaca. I risultati del trial a favore
dell’intervento di CABG sono ancor più marcati nel sotto-gruppo
di pazienti a elevato rischio clinico per cui è possibile
concludere che l’intervento di CABG rimane ad oggi la metodica
di rivascolarizzazione preferibile in pazienti con MVD, diabete
e disfunzione contrattile del ventricolo sinistro.
Un’ultima
considerazione è rivolta all’effetto economico di una corretta
scelta della strategia terapeutica in questa categoria di
pazienti multi - vasali. Nel 2003 undici economisti hanno
pubblicato un’analisi sulla valutazione economica dell’impianto
di stents coronarici convenzionali e medicati. Essi affermano
con chiarezza che in assenza di una chiara evidenza clinica
sulla superiorità dello stent medicato rispetto al CABG nella
patologia coronarica bi- e tri-vasale incoraggiare un utilizzo
sempre più diffuso dello stent medicato significherebbe
aumentare eccessivamente i costi dello stenting coronarico e
allo stesso tempo ridurre i benefici del CABG riguardo alla
qualità e durata di vita del paziente a lungo termine. Inoltre è
opportuno specificare che oggi l’uso degli stents medicati nella
patologia coronarica multivasale è considerato “off-label” in
Europa e non approvato dall’FDA in America.
In
conclusione la scelta appropriata di una strategia terapeutica
di rivascolarizzazione per un paziente con patologia coronarica
aterosclerotica deve tener conto di un’ampia varietà di
considerazioni allo scopo di prevenire eventuali errori
sfavorevoli per la prognosi del paziente. Dal momento che gli
studi presenti in letteratura dimostrano chiaramente che la
prognosi a lungo termine differisce in base alla soluzione
terapeutica scelta, è importante innanzitutto sostituire la
definizione “malattia multi-vasale” con il numero dei vasi
coronarici malati, 2 –VD o 3 – VD. Fino ad oggi, appare evidente
il fatto che il CABG rimane un’eccellente e spesso superiore
metodica di rivascolarizzazione coronarica specie nel sotto
gruppo di pazienti con MVD ad elevato rischio clinico.
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