Terapia non farmacologica
dello scompenso cardiaco avanzato.
D. Gabrielli, A. Moraca, O.
Ruga, L. Aquilanti, E. Simonetti°,
G.P. Perna.
Struttura Complessa di
Cardiologia Ospedaliera; Presidio Monospecialistico “G. M.
Lancisi”.
° Area Professioni
Infermieristiche,Azienda Ospedaliero-Universitaria Ospedali
Riuniti di Ancona,.
INTRODUZIONE
Lo scompenso cardiaco (SC) è una
patologia ad elevato impatto sulla morbilità, mortalità, sui
costi economici e sociali connessi. La popolazione affetta è in
continuo aumento per la prolungata sopravvivenza, la riduzione
della mortalità in fase acuta di molte malattie cardiovascolari
e soprattutto per il progressivo invecchiamento della
popolazione.Gli stadi dello SC sono vari, si parla di scompenso
avanzato/refrattario quando l’impegno funzionale è importante
(in genere corrispondente alle Classi NYHA III-IV -Stadio
AHA/ACC D) e sono richiesti trattamenti specialistici oltre alla
terapia farmacologica.
Insieme con i trattamenti
farmacologici , chirurgici ed invasivi di altro genere, alcuni
dei quali ben codificati dalle linee-guida, vi sono l'opzione
rappresentata dai trattamenti di sostituzione dell'emuntorio
renale (ultrafiltrazione, emofiltrazione, emodiafiltrazione e
dialisi), che sono da prendere in considerazione in pazienti
selezionati ed in particolari condizioni cliniche; attualmente
le linee-guida europee considerano questi trattamenti indicati
rispettivamente, nello SC acuto nei pazienti con grave
disfunzione renale e ritenzione idrosalina refrattaria alla
terapia (1), e nelle forme croniche per trattare il sovraccarico
idrico (edema polmonare o periferico) refrattario alla terapia
diuretica.
L’altro trattamento non
farmacologico in uso è il supporto ventilatorio non invasivo (NIV)
indicato dalle linee-guida (1) come presidio da attuare in fase
precoce (2) nel caso di instabilizzazione dello scompenso
cardiaco con quadro di edema polmonare acuto, oltre che nel
trattamento delle OSAS, che spesso si associano nelle fasi
croniche dello SC avanzato .
Non da ultimo occorre ricordare
tra le terapie non farmacologiche le strategie gestionali, che
sempre di più negli ultimi anni hanno acquistato importanza
poiché la maggior parte degli studi effettuati hanno dimostrato
l’efficacia nel ridurre il numero delle riospedalizzazioni per
scompenso cardiaco, purchè sia attuata la continuità
assistenziale ed una corretta educazione del paziente.A questo
proposito risultano particolarmente efficaci le strategie che
vedono l’intervento effettuato da parte della professione
infermieristica.
Quasi tutti gli studi hanno
inoltre dimostrato un favorevole rapporto costo-efficacia.
Infine nei casi di SC
refrattario alla terapia farmacologica bisogna prendere in esame
la possibilità di sottoporre il paziente a trapianto cardiaco
e/o ad assistenza meccanica ventricolare, tali opzioni esulano
però dalla presente trattazione.
L’ULTRAFILTRAZIONE
Queste terapie stanno trovando
un crescente spazio applicativo in ambito cardiologico ed in
particolare, fra queste, l'ultrafiltrazione e l'emofiltrazione
presentano caratteristiche peculiari che le rendono adatte al
contesto clinico e fisiopatologico del paziente con SC sia
acuto che cronico (3).
La rimozione dell'eccesso di
liquido rappresenta un obiettivo terapeutico fondamentale e nei
pazienti resistenti ai farmaci la rimozione extrarenale dei
liquidi con metodiche dialitiche diventa una opzione importante
e può migliorare il quadro clinico e favorire la ripresa della
risposta alla terapia convenzionale (1,4,5).
Le varie tecniche possono
differire nel tipo di accesso vascolare (arterovenoso o
venovenoso), nell'applicazione di un processo convettivo
(ultrafiltrazione, emofiltrazione), diffusivo (emodialisi) o
combinato (emodiafiltrazione), nell'utilizzo o meno di un
liquido di sostituzione ed eventualmente nella modalità di
reinfusione (prediluizione o postdiluizione).
In seguito alla rimozione di
liquidi in eccesso dallo spazio extravascolare che si ottiene
con queste metodiche si ottengono, anche rapidamente talvolta,
vari effetti clinici, emodinamici e respiratori; ad esempio si
può osservare una marcata riduzione della dispnea e
dell'ortopnea con miglioramento degli scambi respiratori così
come espresso dall'aumento della pO2 e riduzione della pCO2
arteriosa e dei segni radiologici di congestione vascolare
polmonare e di edema interstiziale ed alveolare, si osserva
inoltre risoluzione degli edemi periferici e riassorbimento dei
versamenti liberi (pleuritico, ascitico), con miglioramento
della meccanica cardiaca (6-8,9,10).
Il miglioramento del quadro
clinico si associa ad importanti modificazioni del quadro
emodinamico, con riduzione delle pressioni di riempimento di
ambedue i ventricoli ed aumento della portata cardiaca, in
quanto il riassorbimento dell'eccesso di acqua polmonare riduce
la pressione extramurale cardiaca portando ad aumento relativo
della intramurale, evitando così ripercussioni anterograde
negative (riduzione portata, ipotensione , aumento resistenze
vascolari, incremento della frequenza cardiaca) (8).
Altri benefici
dell'ultrafiltrazione sono anche la correzione
dell'iponatriemia, la ripresa della diuresi, della natriuresi e
della sensibilità alla terapia diuretica, la riduzione dei
livelli plasmatici dei principali neuro ormoni, la possibile
rimozione di tossine o mediatori (citochine, TNF) ad azione
depressiva sulla funzione miocardica e renale (12-13).
Questi effetti sono più marcati
nei soggetti oligurici e con maggior grado di attivazione
neuroormonale di base (12-13).
Le linee guida , come già detto,
suggeriscono l’applicazione di questo trattamento nei casi
resistenti alla terapia medica convenzionale e come procedura
nel caso d'emergenza in caso di grave insufficienza cardiaca
acuta (se associata ad insufficienza renale) (1).
In casi selezionati la metodica
viene utilizzata come trattamento a lungo termine nei pazienti
non candidabili a trapianto o come bridge al trapianto od altra
chirurgia cardiaca (3).
Esistono comunque i presupposti
per utilizzare la metodica in tutte le forme , anche di minore
entità, in cui vi sia sovraccarico di liquidi nello spazio
extravascolare; a tal proposito ci sono lavori in letteratura
che hanno dimostrato utilità anche in classe NYHA III in cui la
ritenzione idrica è modesta e confinata sostanzialmente a
livello dell'interstizio polmonare , determinando miglioramento
della classe funzionale, la capacità di esercizio ed il quadro
ventilatorio e neuroormonale, talvolta mantenendosi i
miglioramenti anche a distanza di mesi di un'unica seduta di
filtrazione; presupposto fisiopatologico sembra essere la
riduzione della rigidità polmonare, con miglioramento della
meccanica ventilatoria sia a riposo che da esercizio, così come
documentato dalla spirometria standard e dallo studio della
compliance dinamica del polmone (14).
Sul piano clinico gli effetti
indiretti cardiaci si traducono in riduzione delle dimensioni
del cuore e miglioramento della fase diastolica come dimostrato
dalla morfovelocimetria del flusso mitralico all'ecocardiografia
doppler, nonchè in miglioramento della dinamica
cardiocircolatoria durante esercizio (15-16).
Le differenze cliniche osservate
nella risposta a lungo termine fra la terapia diuretica e l'uso
della filtrazione fanno pensare che a parità di rimozione di
liquidi fra le due strade , sia la "qualità" dei fluidi rimossi
che fa la differenza, il diuretico rimuove liquido ipotonico al
plasma , l'ultrafiltrazione liquido isotonico (con il diuretico
si possono rimuovere massimo 100 mmol di sodio per litro di
urina contro i 150 rimossi in un litro di ultrafiltrato) (3).
Un altro interessante dato
emerso dalla letteratura è il miglioramento ulteriore clinico se
il paz è pretrattato con ace-inibitori (17), verosimilmente
legato alla riduzione della risposta reninica nel soggetto
pre-trattato con farmaco.
I benefici dell’utilizzo
dell’ultrafiltrazione nei pazienti con scompenso cardiaco sono
stati convalidati anche nel primo trial clinico randomizzato
UNLOAD (UltrafiltratioN versus IV Diuretics for Patients
HospitaLized for Acute Decompensated Congestive Heart Failure)
che ha comparato la sicurezza e l’efficacia dei presidi
terapeutici non farmacologici con la terapia diuretica IV
standard (diuretici ev) nei pazienti con scompenso cardiaco.
Dopo 90 giorni il gruppo trattato con ultrafiltrazione
evidenziava maggiori benefici rispetto altrattamento standard:
maggior perdita di peso e di fluidi rimossi rispetto al
trattamento standard, riduzione delle riospedalizzazioni per
scompenso cardiaco e dei giorni di degenza nei pazienti
ospedalizzati per instabilizzazione dello scompenso cardiaco e
le visite ambulatoriali (18).
Il trial EUPHORIA (Early
Ultrafiltration in Patient with Decompensater Heart Failure and
Observed Resistance to Intervention with Diuretic Agents) ha
evidenziato che nei pazienti con ritenzione di liquidi e
resistenza ai diuretici, l’utilizzo dell’ultrafiltrazione
prima dell’utilizzo della terapia diuretica IV riduce la durata
della degenza e delle riospedalizzazioni per ulteriori
trattamenti (19).
La NIV (non invasive ventilation
)
L’assistenza ventilatoria non
invasiva è un presidio terapeutico non farmacologico utile ed
efficace nel trattamento dell’insufficienza respiratoria acuta
grave ed esplica i suoi effetti favorevoli sia a livello
polmonare che a livello cardiovascolare ed il suo utilizzo viene
consigliato anche nelle ultime linee guida (1,20).
Qualsiasi forma di supporto
ventilatorio applicata senza l’uso di un tubo endotracheale
viene definita ventilazione non invasiva, tra queste è compresa
anche la cPAP (pressione positiva continua delle vie aeree,
continuous positive airway pressure), l’utilizzo di tali
tecniche di ventilazione non invasiva è nata dal tentativo di
evitare le complicanze della ventilazione invasiva.
Sebbene la cPAP non sia una vera
modalità ventilatoria in quanto “non assiste” in modo attivo
l’inspirazione,viene utilizzata in alcune forme di insufficienza
respiratoria acuta ipossiemica.
La cPAP riduce il lavoro
respiratorio poiché è in grado di aumentare la capacità
funzionale residua (CFR) e di controbilanciare la pressione
positiva di fine espirazione “intrinseca” (PEEPi) nei pazienti
con BPCO (IRA mista).
Nell’EPA il mantenimento di una
pressione positiva durante tutto il ciclo respiratorio consente
la riapertura degli alveoli ripieni di trasudato e/o collassati
ed ovviamente la diminuzione del lavoro elastico e resistivo
migliora la ventilazione alveolare e determina anche un guadagno
energetico.
La conseguente riduzione della
frequenza respiratoria migliora il rapporto spazio morto/volume
corrente (Vd/Vc). In tale modo, se presente, è possibile
correggere l’acidosi ipercapnica.
L’utilizzo della cPAP nello di
scompenso cardiaco acuto e gli effetti emodinamici della cPAP
sono determinati da:
-
diminuzione del ritorno
venoso
-
riduzione dello shift del
SIV a carico delle sezioni di sx
-
diminuzione della pressione
transmurale a carico delle sezioni di sx
-
riduzione del postcarico
ventricolare sx
-
diminuzione delle resistenze
vascolari polmonari
Numerosi studi hanno evidenziato
nell’ EPA l’ importanza dell’applicazione precoce della NIV
perché determina un più rapido miglioramento delle variabili
fisiologiche e riduce così la necessità di intubazione
endotracheale, con diminuzione del tasso di complicanze e ad una
riduzione della durata della degenza e della mortalità
intraospedaliera (20,21,22,23).
Con la cPAP il paziente respira
spontaneamente in un sistema chiuso all’interno del quale viene
applicata un livello costante di pressione positiva.
Nei pazienti con EPA il valore
di PEEP da utilizzare è pari a 7.5 cmH20, nel caso di IRA mista
invece è preferibile utilizzare dei valori di pressione positiva
a fine espirazione pari a 5 cmH20.
La cPAP ovviamente, non può
essere utilizzata se sono presenti: apnea o bradipnea, marcato
stato soporoso con scadente collaborazione alla ventilazione,
mancata protezione delle vie aeree (rischio elevato di
inalazione).
L’utilizzo di tale tecnica
richiede un attento monitoraggio dei parametri emogasanalitici
ed emodinamici soprattutto all’inizio del trattamento.
Recenti meta-analisi infatti
hanno evidenziato che la precocità dell’intevento riduce la
necessità di dover sottoporre il paziente ad intubazione
tracheale e avrebbe degli effetti anche sulla mortalità a breve
termine (24,25,26).
L’utilizzo di cPAP viene anche consigliata nei pazienti con OSAS
(sindrome delle apnee di tipo ostruttivo), in quanto riduce la
mortalità cardiovascolare e migliora la qualità della vita
(27,28).
La
sindrome delle apnee ostruttive nel sonno è una malattia
caratterizzata dalla presenza di ripetuti episodi di ostruzione
delle alte vie aeree durante il sonno, secondarie ad alterazioni
anatomiche o funzionali delle vie aeree.
Tale
patologia rappresenta un’importante causa o concausa di
morbilità e mortalità per problemi cardiovascolari anche nei
pazienti con scompenso cardiaco.
Infatti
l’aumento della pressione negativa intratoracica aumenta il
precarico cardiaco per un aumento del ritorno venoso, la
riduzione della progressiva della PaO2 poi determina una
riduzione della portata cardiaca, vasocostrizione polmonare e
attivazione simpatica.
E’ ovvio
come l’utilizzo della cPAP nei pazienti scompensati con apnee
notturne determini un miglioramento degli scambi gassosi e
quindi clinico, oltre ad evidenziare anche una riduzione del
rigurgito mitralico e della concentrazione plasmatici del BNP ed
urinaria di norepinefrina.
STRATEGIE GESTIONALI
Nello SC parte delle
riospedalizzazioni sono legate verosimilmente alla scarsa
aderenza del paziente alla terapia consigliata.
Vari studi hanno ben documentato
come l’educazione del paziente alla malattia e la comunicazione
apportano un beneficio additivo rispetto a quello delle altre
terapie (29,30,31).
Il coinvolgimento del paziente è
oggi ritenuto essere un fattore essenziale per il disease
management delle patologie croniche e questo si attua
sviluppando la capacità di autocura..
Data la rilevanza
epidemiologica di questa malattia, sicuramente l’assistenza alla
fase terminale determina un significativo impatto organizzativo
per poter poter migliorare l’assistenza, capendo quali sono le
necessità dei pazienti nelle ultime fasi della loro vita.
Recenti segnalazioni in
letteratura (studio COACH, studio TEN-HMS ) portano invece dati
dubbi sulla utilità di sistemi di follow-up infermieristico
intensivo e di monitoraggio domiciliare rispetto al follow-up
cardiologico standard nel ridurre la mortalità e le
riospedalizzazioni .
CONCLUSIONI
Con le metodiche di sostituzione
della funzione renale e di supporto ventilatorio non invasivo
nello scompenso cardiaco avanzato/refrattario si ottengono sia
miglioramenti clinici che emodinamici senza interferenze con la
funzione contrattile del cuore, potendo inoltre questi
miglioramenti essere aggiuntivi rispetto a quanto ottenuto con
la terapia farmacologica.
Il concetto di fondo rimane la
possibilità di trattare lo SC, che è una sindrome proteiforme e
con varie oscillazioni nel tempo, in vari modi a seconda della
fase e della presentazione clinica; pertanto rimane necessario
per i centri che si occupano dello SC di avere a disposizione le
varie opzioni terapeutiche di volta in volta necessarie.
In ultimo il coinvolgimento di
tutti gli attori delle cure , insieme a quello del paziente è
fondamentale nello strutturare strategie gestionali che sono
indispensabili per migliorare la qualità delle cure e l’outcome
stesso.
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