LA TERAPIA
CHIRURGICA DELLA DISSEZIONE AORTICA
Antonio
Longobardi, Antonio Panza, Paolo Masiello,
Severino
Iesu, Giuseppe Di BenedettoO.
Struttura
Complessa di Cardiochirurgia, Dipartimento “Cuore”,
Azienda
Ospedaliera Universitaria
Ospedali
Riuniti San Giovanni di Dio e Ruggi D’Aragona (Salerno).
INTRODUZIONE
Con il
termine di “sindrome aortica acuta” s’intende una lesione acuta
della parete aortica accompagnata dall’indebolimento della
tunica media che aumenta il rischio di rottura o di altre
complicanze, ed è accompagnata ad un’elevata morbidità e
mortalità. Comprende diverse componenti: dissezione aortica,
ematoma/emorragia intramurale ed ulcera penetrante [1]. Recenti
studi hanno dimostrato che l’emorragia intramurale, l’ematoma
intramurale ed ulcera aortica possono essere considerati diversi
sottotipi di dissezione aortica oppure rappresentare momenti
evolutivi di una stessa dissezione. Per questo motivo è stata
proposta tale classificazione: classe 1: dissezione aortica
“classica” con flap intimale tra vero e falso lume; classe 2:
ematoma/emorragia intramurale localizzate nella media, senza
breccia intimale; classe 3: dissezione aortica “subdola” o
“discreta” (clinicamente poco manifesta) definita da una
localizzata espansione a livello della breccia intimale; classe
4: ulcera penetrante caratterizzata dalla rottura di una placca
con formazione di un ematoma generalmente sottoavventiziale;
classe 5: dissezione iatrogena o traumatica (figura 1) [2].
L’incidenza
di sindrome aortica acuta varia da 2,6 a 3,5 casi ogni 100.000
abitanti per anno, rappresentando lo 0,3% dei pazienti che si
recano al pronto soccorso per dolore toracico. Nel 40% dei casi
si tratta di dissezione aortica vera e propria, nel 25% di
ematoma intramurale e nel 35% viene identificata un’ulcera
penetrante [3].




Patogenesi
La dissezione
aortica “classica” (classe 1) risulta da una lacerazione
intimale che permette il passaggio di sangue all’interno della
media (tra i 2/3 interni e 1/3 esterno) creando un “falso lume”.
Questo canale è delimitato all’esterno solo da uno strato della
media e dall’avventizia e, per tale motivo, è molto fragile. Ad
ogni contrazione cardiaca il canale di dissezione si può
estendere prossimalmente o distalmente dando origine a diverse
possibili complicanze: emopericardio con conseguente
tamponamento cardiaco (rappresenta la causa più frequente di
morte), rottura intrapleurica, insufficienza aortica, infarto
miocardico. Inoltre è possibile l’estensione della dissezione ai
tronchi sovraortici causando stroke ed ischemia alle estremità
superiori del corpo, ai vasi intercostali con conseguente
paraplegia, ai vasi mesenterici ed alle arterie renali
provocando ischemia intestinale e renale, ai vasi ilio-femorali
con ischemia agli arti inferiori [4]. La necessità di correlare
la fisiopatologia con l’approccio diagnostico-terapeutico ha
portato diversi cardiochirurghi a proporre delle classificazioni
che esprimessero immediatamente lo stato anatomo-clinico della
patologia. Esse si basano essenzialmente sulla definizione del
sito della lesione intimale, dell’estensione del processo
dissecante e del coinvolgimento dell’aorta ascendente. Le
classificazioni più impiegate nella pratica clinica sono quella
di DeBakey e quella di Stanford. Nel tipo I della
classificazione di DeBakey la lacerazione intimale è localizzata
a livello dell’aorta ascendente e la dissezione coinvolge
l’aorta ascendente, l’arco, l’aorta toracica discendente ed
addominale in maniera più o meno estesa; nel tipo II la
dissezione è limitata all’aorta ascendente; nel tipo III la
lacerazione intimale è localizzata a livello dell’aorta toracica
discendente e la dissezione può essere confinata al tratto
toracico dell’aorta discendente (tipo IIIa) oppure può
estendersi all’aorta addominale con coinvolgimento o meno delle
arterie iliache (tipo IIIb), inoltre la dissezione si può anche
spingere prossimalmente interessando l’arco e l’aorta
ascendente. Nel tipo A della classificazione di Stanford la
lacerazione intimale è localizzata a livello dell’aorta
ascendente, dell’arco o dell’aorta toracica discendente
distalmente l’origine della succlavia, la rima di dissezione
comprende l’aorta ascendente con interessamento o meno dell’arco
e dell’aorta toracica discendente; nel tipo B la lacerazione
intimale è localizzata a livello dell’aorta toracica discendente
e la dissezione interessa l’aorta discendente; in questo tipo
vengono comprese anche quelle dissezioni con estensione all’arco
(dissezione retrograda) e quelle che originano a livello
dell’arco e si estendono distalmente (anterograde), senza
interessare l’aorta ascendente. La dissezione è definita acuta
quando viene diagnosticata entro 14 giorni dall’esordio dei
sintomi, altrimenti viene considerata cronica [5].
L’ematoma/emorragia intramurale (classe 2) deriva dalla rottura
dei vasa vasorum con formazione di un versamento ematico
circonferenziale nello spessore della media in assenza di
iniziale lesione intimale. Probabilmente l’ematoma intramurale
rappresenta la lesione primitiva nella maggior parte dei casi di
dissezione dovuta a degenerazione cistica della media: con
l’aumentare delle dimensioni dell’ematoma la parete interna
indebolita è soggetta alle forze di contraccolpo diastolico che
possono comportare una lacerazione intimale ed evoluzione in una
classica dissezione aortica (28-47% dei casi) o in rottura
aortica (21-47%); tuttavia è anche possibile che l’ematoma resti
circoscritto e vada incontro a successiva regressione (10%).
In caso di
dissezione aortica “subdola” o “discreta” (classe 3) vi è una
parziale lacerazione intimale ricoperta da un trombo che può
andare incontro a cicatrizzazione e quindi a guarigione oppure
permettere infiltrazione di sangue nella tunica media con
conseguente dissezione vera e propria o rottura della parete
vasale.
L’ulcera
penetrante (classe 4) è caratterizzata da una rottura della
lamina elastica interna sottostante una placca ateromatosa con
stravaso ematico nella media e formazione di un ematoma, di una
dissezione localizzata o perforazione aortica.
Un brusco
trauma toracico può essere responsabile di dissezione dell’aorta
ascendente o di quella in corrispondenza dell’istmo (regione del
legamento di Botallo). La dissezione aortica iatrogena (classe
5), invece, può verificarsi in seguito a cateterismo cardiaco,
a trattamento mediante angioplastica di una coartazione aortica
(nell’adulto), a clampaggio aortico o a posizionamento di un
contropulsatore aortico [2].
Tecnica
chirurgica
L’intervento
chirurgico, in anestesia generale, prevede l’esecuzione di una
sternotomia mediana longitudinale ed il bypass cardiopolmonare
cannulando l’atrio destro (per il drenaggio venoso) e l’arteria
femorale. Per evitare fenomeni di malperfusione è possibile
utilizzare siti alternativi di cannulazione arteriosa, come
l’arteria ascellare e la succlavia. La scelta dell’opzione
chirurgica trae origine dalla situazione anatomica (sede della
breccia intimale ed estensione del falso lume) e dalla capacità
del chirurgo di fare quanto basta a salvare la vita del
paziente, assicurandogli un periodo postoperatorio privo di
complicanze a medio-lungo termine. Scopi della chirurgia sono la
chiusura della breccia intimale primaria, l’eliminazione del
falso lume a livello prossimale (maggiore incidenza di rottura),
correzione di eventuali patologie cardiache presenti e/o
determinate dalla dissezione (come l’insufficienza aortica o
l’ischemia miocardica). In caso di breccia intimale localizzata
a livello dell’aorta ascendente o dell’arco aortico, il tratto
di aorta interessato viene sempre asportato, mentre in caso di
localizzazione a livello dell’aorta toracica discendente non è
necessario. In caso di estensione della rima di dissezione alla
sola aorta ascendente, quest’ultima deve essere sempre
asportata, mentre in caso di localizzazione alla radice aortica,
all’arco o all’aorta toracica discendente la sostituzione con
tubo protesico va eseguita solo se aneurismatici (in caso di
coinvolgimento dell’aorta discendente tale procedura può essere
eseguita in un secondo momento). Alla luce di tali
considerazioni l’approccio da noi utilizzato nel trattamento di
tale patologia è il seguente: in caso di localizzazione della
breccia intimale a livello dell’aorta ascendente e con una
radice aortica conservata eseguiamo un intervento di
sostituzione della sola aorta ascendente, utilizzando
eventualmente colla biologica per riaccollare le tuniche
dissecate; in caso di breccia localizzata in aorta ascendente,
ma con interessamento della rima di dissezione della radice
aortica eseguiamo un intervento di sostituzione dell’aorta
ascendente e della radice con reimpianto della valvola nativa
(se non danneggiata) all’interno della protesi o sostituendo la
stessa (tecnica di Bentall-DeBono) e reimpiantando gli osti
coronarici al tubo protesico; in caso di localizzazione della
breccia a livello dell’arco aortico se non vi è interessamento
dei tronchi sovraortici eseguiamo un intervento di sostituzione
dell’aorta ascendente e dell’emiarco, mentre se anche i tronchi
sovraortici sono danneggiati allora bisogna sostituire l’intero
arco aortico. In questo caso per eseguire l’intervento è
necessario sospendere la circolazione sistemica (cosiddetto
arresto di circolo) ed impiegare una delle metodiche di
protezione dall’ischemia cerebrale: ipotermia profonda con
arresto di circolo, perfusione cerebrale retrograda e perfusione
cerebrale anterograda. Il razionale dell’impiego dell’arresto di
circolo ipotermico è legato all’evidenza clinico-sperimentale
dell’efficace protezione tissutale di cui è capace l’ipotermia:
l’effetto protettivo cerebrale è in rapporto al grado
d’ipotermia, per cui si ritiene esserci un tempo, detto “safe
period”, la cui durata è inversamente proporzionale al grado di
temperatura e durante il quale non si evidenzierebbero danni
funzionali clinicamente evidenti. Durante tale periodo le
richieste metaboliche tissutali sono ridotte al minimo, ma non
annullate. La temperatura naso-faringea che in genere si
raggiunge oscilla tra i 15 e i 18°C, permettendo un “safe period”
di 32-40 minuti. La perfusione cerebrale retrograda è sempre
associata all’ipotermia sistemica profonda ed utilizza sangue
freddo ed ossigenato, infuso mediante il circuito della
circolazione extracorporea: il sangue viene spinto in cava
superiore (attraverso una cannula posizionata in vena cava
superiore utilizzata per il drenaggio venoso durante normale
bypass cardiopolmonare) o direttamente nelle vene giugulari
(mediante cannulazione delle stesse) e fatto ritornare in aorta
attraverso l’arteria carotide di sinistra ed il tronco anonimo.
I vantaggi di questa tecnica non sono tanto rappresentati dal
fatto di fornire substrati metabolici al cervello (non tutto il
sangue ossigenato raggiunge i capillari a causa della presenza
di shunts artero-venosi precapillari), ma di permettere un
raffreddamento cerebrale uniforme, la facile eliminazione
dell’aria dai vasi epiaortici, la rimozione di eventuali tossine
neurologiche e di altre sostanze prodotte durante il metabolismo
ischemico. Negli ultimi anni tali tecniche sono state sempre
meno utilizzate, privilegiando la perfusione cerebrale
anterograda, perfondendo, cioè, il tronco anonimo e la carotide
di sinistra, introducendo le cannule direttamente nel lume
arterioso subito dopo l’arresto di circolo (tecnica di Kazui).
Tale tecnica rappresenta la metodica più efficace nel prevenire
i danni ischemici cerebrali e quindi permette di prolungare il
“safe period” durante l’arresto di circolo [2].
MATERIALE
E METODO
Dall’aprile
1993 al dicembre 2008 presso la nostra Struttura Complessa di
Cardiochirurgia 170 pazienti (età media 60±11 anni, 81% maschi)
sono stati sottoposti ad intervento chirurgico per sindrome
aortica acuta: in 150 pazienti era stata diagnosticata una
dissezione aortica acuta (89%), in 6 pazienti (2%) un’ulcera
perforante ed in 14 (8%) un ematoma intramurale. Nel 75% dei
casi (127 pazienti) si trattava di una dissezione aortica acuta
di tipo I di DeBakey, nel 25% (43 pazienti) di tipo II di
DeBakey. La maggior parte dei pazienti riferiva una storia di
ipertensione arteriosa (70%), il 17% presentava un aneurisma
dell’aorta ascendente, nel 6% dei casi la valvola aortica era
bicuspide ed il 2% era affetto da Sindrome di Marfan. La
diagnosi definitiva di sindrome aortica è stata ottenuta
mediante ecocardiografia (sia transtoracica che transesofagea),
tomografia computerizzata con mezzo di contrasto e risonanza
magnetica nucleare. Le procedure chirurgiche eseguite sono
state: sostituzione dell’aorta ascendente con tubo protesico in
118 pazienti (70%), asportazione dell’aorta ascendente ed
“end-to-end anastomosis” in 6 pazienti (3,5%), sostituzione
dell’aorta ascendente, della valvola aortica e reimpianto degli
osti coronarici secondo Bentall-De Bono in 7 pazienti (4%),
sostituzione del bulbo aortico con reimpianto della valvola
aortica nativa all’interno di un condotto protesico (valve
sparing procedure secondo David) in 6 pazienti (3,5%),
sostituzione dell’aorta ascendente e dell’arco in 33 pazienti
(19%). Una volta dimessi i pazienti venivano inseriti in un
rigido protocollo di controlli cardiologici clinico-strumentali
in modo da valutare eventuali complicanze che si possono
verificare nei mesi successivi all’intervento. Controlli clinici
sono stati eseguiti ogni 3 mesi durante il primo anno dopo
intervento chirurgico, successivamente ogni 6 mesi, mentre
ecocardiogramma e tomografia computerizzata venivano effettuati
ogni sei mesi durante il primo anno e successivamente a cadenza
annuale.

RISULTATI
La degenza
media ospedaliera è stata di 18±21 giorni. Nell’immediato
decorso postoperatorio il 30% dei pazienti ha sviluppato
un’insufficienza renale acuta, nel 20% era presente un deficit
neurologico, l’ischemia mesenterica si è presentata nell’8% dei
casi, mentre infarto del miocardio ed ischemia d’arto nel 6% dei
casi. La mortalità ospedaliera è stata del 26% (44 pazienti). Da
un’analisi statistica è emerso che né il tipo di intervento, né
le tecnica di protezione cerebrale adottata rappresentavano
fattori di rischio per mortalità ospedaliera. L’età superiore ai
70 anni era gravata dalla più alta incidenza di mortalità (37%,
p: 0,05), mentre quelli con età inferiore a 40 anni
presentavano una mortalità del 17% (p: 0,05). Da tale
analisi è emerso anche che maggiore era l’intervallo di tempo
tra comparsa dei sintomi ed intervento, maggiore era la
mortalità. Infatti nel gruppo di pazienti operati entro 420
minuti dall’esordio clinico della patologia (98 pazienti) la
mortalità era del 22% (22 pazienti), mentre in quello operato
dopo i 420 minuti (72 pazienti) era del 38% (27 pazienti, p:
0,04). Durante il follow-up (1-167 mesi, media±DS: 68±38 mesi)
sono stati seguiti 126 pazienti, registrando una mortalità del
18% (22 pazienti). I decessi correlati alla patologia aortica
sono stati però soltanto 9: 4 pazienti sono deceduti per
ridissezione prossimale, 1 per rottura di un aneurisma
dell’aorta addominale, 4 per morte improvvisa. Né la persistenza
del falso lume, né l’estensione della sostituzione aortica sono
emersi come fattori chirurgici di rischio di morte tardiva (p:
non significativa). L’analisi di sopravvivenza effettuata
utilizzando la tecnica attuariale di Kaplan-Meier ha evidenziato
una sopravvivenza ad un anno del 57,4±3,9%, a 5 anni del
64,1±4,1%, a 10 anni del 54,7±4,7% ed al termine del follow-up
(circa 14 anni) del 49,6±5,5% (grafico 1).

RISULTATI
La sindrome
aortica acuta è gravata da un’alta mortalità, in rapporto alla
tendenza della rottura completa dell’aorta a livello della
lesione intimale primaria. La prognosi è certamente peggiore
nella dissezione aortica acuta di tipo A: diversi autori
riportano, in assenza di trattamento medico o chirurgico, un
tasso di mortalità di circa 1%/h, corrispondente ad una
mortalità del 50% entro le 48h dall’esordio della sintomatologia
clinica [2]. Negli ultimi anni, tuttavia, il miglioramento delle
tecniche diagnostiche e la tempestività del trattamento
medico-chirurgico hanno ridotto la mortalità e migliorato la
prognosi a distanza: secondo l’International Registry of
Acute Aortic Dissection (IRAD) la mortalità entro 30 giorni
in caso di esclusivo trattamento medico è del 54% e 9% in caso
di dissezione aortica di tipo A e B, mentre in caso di terapia
chirurgica è del 27% e 29%, rispettivamente [6]. La nostra
esperienza, in linea con tali dati, ha evidenziato quali fattori
predittivi di mortalità, oltre all’età superiore ai 70 anni,
anche l’intervallo di tempo trascorso tra esordio delle
manifestazioni cliniche ed intervento chirurgico, che se
superiore ai 420 minuti era significativamente associato ad
elevata mortalità operatoria. Tuttavia, nonostante i progressi
della diagnostica e delle tecniche chirurgiche, il trattamento
della sindrome aortica acuta di tipo A resta associato ad
un’alta morbilità e mortalità ospedaliere che presso la nostra
Struttura Complessa di Cardiochirurgia è stata del 26% (44
pazienti). Perciò tale patologia rappresenta un’emergenza
chirurgica indifferibile in quanto gravata
da un’elevata
mortalità. Al contrario, i pazienti con dissezione aortica di
tipo B vengono indirizzati verso la terapia medica (farmaci
antipertensivi), riservando la chirurgia solo in caso di
complicanze (persistenza del dolore toracico, evidenza di
aneurisma in espansione, segni di rottura, ischemia agli organi
addominali o agli arti inferiori) [4].
Infine,
secondo la nostra esperienza, l’estensione dell’atto chirurgico
e le varie tecniche di protezione cerebrale utilizzate non
influenzano il risultato operatorio, mentre nel follow-up a
distanza non sono stati identificati fattori di rischio per la
morte improvvisa e la ridissezione aortica.
In
conclusione, la dissezione acuta dell’aorta è una grave
patologia, il cui trattamento chirurgico, quasi sempre in
emergenza, a volte non consente, ai fini della sopravvivenza,
soluzioni chirurgiche lunghe e complesse. Il cardiochirurgo è
quasi obbligato a contentarsi di fare un intervento salvavita,
anche se magari non ottimale. La diagnosi precoce potrebbe
favorire il risultato chirurgico (da qui la necessità di
identificare eventuali markers bioumorali che ne faciliterebbero
il compito). Inoltre, la stessa dissezione è un processo in
evoluzione, che può necessitare di ulteriori interventi
chirurgici nel tempo, dopo il primo, a causa dell’evoluzione
della dissezione primitiva (dilatazione e/o rottura), della
comparsa di una nuova dissezione aortica o per lo sviluppo di un
falso aneurisma.
BIBLIOGRAFIA
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