Il
test Ergometrico e la scintigrafia miocardica: quando, perché e
come eseguirlI,
quando e perché non eseguirli
Francesco
Mazzuoli
Cardiologia Generale 1 - A.O. Universitaria Careggi Firenze
Vi sono alcuni principi fondamentali alla base di ogni
indicazione di esame strumentale dal più semplice a quello più
complesso tecnicamente.
In primo luogo qualunque esame strumentale non ha un senso di
per sé ma deve essere visto all’interno di un percorso
strategico progettato da un clinico per quel singolo paziente.
Purtroppo siamo condizionati da numerosi fattori. Le Linee
Guida, più o meno praticabili nella nostra realtà quotidiana; le
sollecitazioni della parte amministrativa dei nostri ospedali
che cerca di ridurre al massimo i tempi di esecuzione dei
singoli esami, preoccupandosi di ridurre le liste di attesa,
talvolta senza preoccuparsi se la risposta data sia corretta o
meno; le richieste dei pazienti talora sollecitate da
consiglieri esterni più o meno disinteressati. La nostra
risposta a tutto questo può essere solamente quella della
appropriatezza delle prestazioni; bisogna cioè fare la cosa
giusta, nel modo giusto, da parte della persona giusta, nel
posto giusto, nei tempi giusti e ad un costo giusto. Sembra
semplice ma non lo è.
Prendiamo adesso in esame il primo dei due esami strumentali che
devo sottoporre al vaglio per una loro appropriata
utilizzazione: il test da sforzo.
Comincerei dai suoi limiti: il test da sforzo sappiamo tutti che
ha una bassa sensibilità ed una non soddisfacente specificità
nello studio dei pazienti con malattia coronarica. Inoltre con
una buona utilizzazione della ecocardiografia e della
emodinamica è possibile un preciso inquadramento della
cardiopatia. Rimane però problematico il trasferire le
informazioni ottenute a riposo ad un individuo che svolge una
regolare attività fisica. Qui entra in gioco il test da sforzo.
Si tratta di un esame che talora provoca qualche timore ai
medici che lo eseguono; per questo spesso viene interrotto ai
primi segni di alterazioni cliniche o elettrocardiografiche
oppure al raggiungimento di una frequenza cardiaca
predeterminata, Può anche accadere che sia lo stesso paziente
che, non sufficientemente informato delle finalità dell’esame,
interrompa di propria iniziativa lo sforzo (al cicloergometro).
In tutti questi casi si tratta di esame non correttamente
eseguito. Per un esame fatto bene è necessaria dunque una doppia
motivazione: quella del paziente e soprattutto quella del
cardiologo. L’esame dovrà essere realmente massimale o symptom
limited, dovrebbe essere eseguito da un medico che conosce il
paziente o che almeno lo ha visitato; dovrebbe poi essere fatta
una valutazione poliparamentrica. Questo orribile termine serve
a significare come oltre alla morfologia dell’ecg ed ai sintomi
riferiti bisogna mettere nella valutazione anche la durata
dell’esercizio, il quadro clinico complessivo, compreso un
congruo periodo di recupero, l’andamento dei valori di frequenza
cardiaca e di pressione arteriosa (non solo i valori massimi)
compreso il recupero, ed eventualmente il consumo di ossigeno,
la soglia anaerobica e la saturazione di ossigeno. Mi preme poi
ricordare che, in mani esperte, il test da sforzo non è
pericoloso, può essere fatto in qualunque ambulatorio anche del
più piccolo servizio di cardiologia, obiettiva la classe
funzionale, è ripetibile facilmente, permette di valutare i
trattamenti e lo stile di vita. Un discorso a parte meriterebbe
il test cardiorespiratorio, di grandissima utilità in
particolare per i pazienti con scompenso di cuore ma enormemente
sottoutilizzato. Gli ostacoli alla sua diffusione sono, in primo
luogo la mancanza di cultura di fisiopatologia respiratoria da
parte dei cardiologi, quindi la difficoltà a lavorare insieme
agli specialisti pneumologi e perché ritenuto, a torto, molto
più indaginoso. In base alle affermazioni precedenti quindi un
test da sforzo andrebbe fatto a tutti i pazienti con cardiopatia
escludendo solamente quelli in condizioni di instabilità, meglio
se in maniera seriata, e meglio ancora se di tipo
cardiorespiratorio. In particolare dovrebbe essere utilizzato
nel follow-up dei pazienti trattati con angioplastica; questi
sono un numero in continuo aumento; la possibilità di eseguirlo
anche in cardiologie molto periferiche permette di fare il
controllo da parte del cardiologo che segue clinicamente il
paziente evitando di farlo ritornare al centro di riferimento.
Va comunque sempre tenuto conto di come un test ergometrico
debba essere utilizzato per una valutazione complessiva di una
persona con problemi di salute e non come valutazione di un
singolo organo o parte di esso. Prendiamo in esame adesso la
scintigrafia miocardica di perfusione dopo test provocativo, che
è la prestazione di medicina nucleare più utilizzata dai
cardiologi.
In primo luogo, parlando di tecniche che utilizzano delle
radiazioni, va tenuto presente che il “costo” di un esame va
calcolato non solo in termini monetari, ma anche di rischio
biologico per il paziente. Dopo i lavori di Eugenio Picano, che
ha dato risonanza ad un problema già noto ma spesso poco
considerato, è ormai noto il potenziale di radiazioni a cui è
sottoposto il paziente che fa una scintigrafia. Si tratta grosso
modo della dose di circa 150 radiografie standard del torace per
i traccianti al Tecnezio e di oltre 400 per il Tallio. Questo
deve far riflettere.
E’ poi opportuno ricordare come lo sforzo al cicloergometro sia
di regola da preferire ai succedanei farmacologici, ed in
particolare al Dipiridamolo essendo le modificazioni di flusso
coronarico indotte dal farmaco diverse da quelle fisiologiche
dello sforzo. Ci sono delle condizioni in cui lo stress
farmacologico è da preferire (BBS, PM), ma escludendo queste
sarei del parere di preferire per un test diagnostico la prova
da sforzo tradizionale, naturalmente ben fatta, come sopra
accennato. Per quel che concerne il tipo di farmaci da
utilizzare, bisogna valutare bene quello che stiamo cercando;
per un test di vitalità il Tallio rimane superiore al tecnezio e
permette di fare un esame in una singola giornata. Inoltre la
possibilità di valutare altre immagini come la captazione
polmonare e una iniziale dilatazione del VS permette di ottenere
informazioni molto utili se utilizzate con discernimento e su
base clinica.
Attualmente di norma viene fatto un esame di tipo tomografico
che ha il vantaggio di ridurre gli artefatti da sovrapposizione
di altri organi e permette anche di avere notizie sulla funzione
sistolica del cuore. Nel caso in cui invece si utilizzino
immagini planari bisogna sempre ricordare che è necessario che
ci sia un numero sufficiente di radiazioni registrate, che
possono essere considerati erroneamente ipoperfusa l’apice, il
setto basale (sovrapposizione dell’apparato valvolare
mitralico), e la parete inferiore (sovrapposizione
dell’emidiaframma); negli obesi e nelle donne con grosse
mammelle si può avere attenuazione delle immagini.
Ci sono comunque delle attenzioni da avere per avere un
risultato ottimale dall’esame scintigrafico. La risposta deve
essere fatta insieme dal medico nucleare e da un cardiologo che
conosca clinicamente il paziente, anche al fine di ridurre la
variabilità di valutazione dimostrata sia inter che intra
osservatore; le aritmie frequenti riducono la attendibilità
della risposta. Fondamentale è ricordare sempre che l’esame
evidenzia dei difetti di perfusione la cui interpretazione sul
piano clinico non è scontata e non è automaticamente segno di
“ischemia”. I difetti di perfusione possono essere fissi o
reversibili, ed anche questo deve essere tenuto presente.La
scintigrafia quindi deve essere usata solo in casi molto
selezionati a fini diagnostici; maggiore utilità ha invece ai
fini prognostici (in base all’estensione ed alla severità dei
difetti di perfusione ed alla riduzione della FE sotto sforzo);
importante è la valutazione di vitalità della zona sottostante
ad una stenosi anatomicamente dimostrata con una coronarografia.
In conclusione ricorderei alcuni principi basilari. In primo
luogo è necessaria una reale informazione, ma meglio sarebbe
dire un coinvolgimento del paziente per ottenere “il massimo”
dall’esame che abbiamo deciso di fare. Quindi bisogna ricordare
sempre che un esame è solo una parte di un percorso diagnostico
che comprende differenti esami e che non è possibile ottenere
tutto da una sola metodica. In ultimo, ma come si dice non di
ultima importanza, è il fatto che un medico è un clinico che
può utilizzare varie apparecchiature che possono essere di
suffragio ad un sospetto diagnostico che deve essere alla base
del processo.
