IL TRATTAMENTO CHIRURGICO

DELLA STENOSI AORTICA DELL’ANZIANO

 

Antonio Panza,  Antonio Longobardi,  Giuseppe Di Benedetto

Struttura Complessa di Cardiochirurgia, Dipartimento “Cuore”,

 A.O.“S. Giovanni di Dio e Ruggi d’Aragona”, Salerno

 

Introduzione

L’età media della popolazione è in costante aumento: se nel 1988 gli ottuagenari in Italia rappresentavano il 3.2% dell’intera popolazione, si prevede che nel 2020 ben il 14% degli Italiani avrà oltre 80 anni (dati ISTAT). Inoltre, anche se l’aspettativa di vita attuale è per gli uomini di 76.9 anni e per le donne di 82.9 anni, per un ottantenne aumenta ulteriormente: per un uomo è di 86 anni e per una donna di ben 88 anni.

Nei pazienti di età superiore ai 75 anni la prevalenza della stenosi aortica è del 16.2%. In particolare in tale gruppo, la stenosi è modesta nel 9%,  moderata nel 5% e severa nel 2.2%.

 

Indicazione chirurgica

Nella stenosi valvolare aortica severa (gradiente medio transvalvolare > 40 mm Hg, area valvolare aortica < 1 cm2, Vmax > 4 m/sec), l’indicazione chirurgica si pone in tutti i pazienti con sintomi (dispnea, angina o vertigini). Ma anche nei pazienti asintomatici, la presenza di una frazione di eiezione depressa o di un test ergometrico positivo per sintomi, l’indicazione chirurgica ha una sua fondata validità (vedi la seguente flow-chart).

 

Nei pazienti anziani, tale linea guida è semplificata: l’indicazione si pone con certezza solo nei pazienti sintomatici.

Tuttavia, essendo nota la maggiore suscettibilità dell’anziano allo stress chirurgico, persistono perplessità nel porre l’indicazione chirurgica in tale fascia di età, essendo la valutazione del rapporto rischio chirurgico/beneficio ancora non del tutto chiara.

 

L’età quale fattore di rischio

L’età avanzata rappresenta per sé un fattore di rischio chirurgico aggiuntivo. Infatti, analizzando l’ampio data base della Società Americana di Cardiochirurgia, che riporta i risultati di oltre 220.000 interventi eseguiti in un anno negli Stati Uniti d’America, si evince una mortalità per SVA aumenta di oltre 3 volte, per i pazienti ottuagenari se paragonati a pazienti di età < 60 anni.

 

Intervento

Età

< 60 anni

Età

> 80 anni

Rischio relativo

SVA

2.2%

7.6%

3.41

SVA + CABG

2.7%

10.2%

3.67

SVA + SVM

4.0%

20.0%

4.90

SVA: sostituzione valvolare aortica; CABG: rivascolarizzazione coronaria; SVM: sostituzione valvolare mitralica

 

Anche nella stratificazione del rischio chirurgico ottenuta utilizzando l’Euroscore, impiegato nelle valutazioni statistiche anche della Società Italiana di Cardiochirurgia, l’ultraottantenne parte di per sé da un rischio chirurgico del 5% (non considerando altri eventuali fattori associati di rischio).

 

Nostra esperienza chirurgica

Negli ultimi dieci anni si è assistito ad un progressivo incremento della percentuale degli ottuagenari. Infatti, la loro percentuale è passata dal 0.2% del 1994 al 6.5% del 2007. Infatti nel 2007, su 776 interventi eseguiti presso la nostra Struttura Complessa di Cardiochirurgia, 50 pazienti avevano più di 80 anni. In particolare, 19 sono stati sottoposti ad un intervento di chirurgia valvolare  aortica (8% di tutti gli aortici). Dal Dicembre 1993 al Dicembre 2007, 137 pazienti consecutivi (età 80.6 ± 8.1 anni, da 80 a 92; 60% donne) sono stati sottoposti ad intervento di SVA. In particolare la sostituzione valvolare  aortica era isolata in  92 (67%) o associata in  45 (33 %). Le caratteristiche preoperatorie, la mortalità e morbilità postoperatoria sono state analizzate. Nel follow-up a lungo termine si è tenuto conto della sopravvivenza e dello stato funzionale dei pazienti sopravvissuti.

Tutti gli interventi erano eseguiti mediante sternotomia mediana e circolazione extracorporea in ipotermia moderata.

I nostri ottuagenari avevano una incidenza di comorbidità elevata. Infatti, tale dato risulta evidente nella tabella successiva, dove le patologie associate preoperatorie erano confrontate con quelle presenti in pazienti di età inferiore (dati presi dal data-base americano di cardiochirurgia).

 

Co-morbidità

> 80

Salerno

%

< 80 anni

USA

%

Ipertensione

74

49

COPD

33

14

Vasculopatia periferica

24

0,45

Diabete mellito

32

15

Insuf. cerebrovascolare

15

5

Insuf. Renale cronica

10

4

Frazione  di eiezione

50.9 + 10

50.9  ± 10

 

Risultati

La mortalità a 30 giorni era del 3,4 % nelle SVA isolate, del 8% nelle SVA+ CABG e del 16% nelle SVA + SVM.Tali risultati sono molto incoraggianti se paragonati a quelli ottenuti negli USA (7,6 %, 10% e 20% rispettivamente).

Le complicanze postoperatorie più frequenti erano: supporto inotropo >48 ore (37%), nuova comparsa di insufficienza renale (28%),  insufficienza respiratoria (22%), ed evento cerebrovascolare (6.2%). La degenza media in terapia intensiva postoperatoria era di  5.4 ± 8.5 giorni e quella ospedaliera di 14.9 ± 10.5 giorni.

Un’analisi logistica regressiva multivariale condotta sulle variabile preoperatorie ci ha permesso di individuare i seguenti fattori di rischio per mortalità: FE < 45%, Classe Nhya IV, ipertensione, insufficienza renale e diabete (vedi tabella)

 

Variabili

Risk ratio

95% CI

p-value

FE  < 45%

6.2

1.1-35.3

0.041

Classe NYHA  IV

5.2

1.9-14.0

0.001

Ipertensione

3.7

1.2-11

0.025

Insufficienza renale

3.4

1.2-9.4

0.022

Diabete

2.8

1.1-7.1

0.027

Al follow-up (48±33 mesi, range=1-126), si è registrata una mortalità del 3.8% nelle SVA isolate e del 6.8% nelle associate.

I benefici dell’intervento jn termini di sopravvivenza e di miglioramento della qualità di vita sono evidenziati dalle seguente due tabelle. Nella prima si vede che le nostre curve di sopravvivenza per tipo di intervento negli ottuagenari è simile a quella attesa per una popolazione simile per età.

Nella successiva il miglioramento della Classe funzionale NYHA è netto al nostro follow-up.

 

 

Pre-op

Follow-up

P-value*

SVA

3.0 ± 0.7

1.7 ± 0.6

< 0.0001

SVA isolata

2.8 ± 0.65

1.5 ± 0.62

< 0.0001

SVA associata

3.1 ± 0.76

1.7 ± 0.59

< 0.0001

 

Discussione

L’aumento dell’età media nel mondo occidentale ha prodotto quale conseguenza un significativo incremento del numero degli ottuagenari cardiopatici per i quali viene posta l’indicazione chirurgica. Mentre esiste una mole di dati, tale da permettere l’acquisizione di linee guida per il trattamento di tutte le cardiopatie chirurgiche negli adulti, perplessità permangono nei riguardi degli ultraottantenni. In particolare mancano dati che integrino la mortalità operatoria e tardiva, la morbilità precoce ed a distanza, ed il miglioramento dello stato funzionale.

La revisione della nostra casistica operatoria negli ottuagenari ha evidenziato una mortalità globale nei pazienti sottoposti a SVA in linea con i dati presenti nella letteratura (data-base della Società Americana di cardiochirurgia.

Comunque, nei pazienti valvolari, l’analisi statistica multivariale evidenziava che lo stato clinico e la presenza di co-morbilità giocano un ruolo importante nel determinare il rischio operatorio. A tal riguardo si identificava la IV classe NYHA, la presenza di diabete, ipertensione insufficienza renale, malattia reumatica e di una frazione di eiezione < 45% quali fattori di rischio indipendenti di mortalità operatoria.

Considerando la morbilità postoperatoria, si evince una maggiore incidenza di complicanze post-chirurgiche rispetto agli studi che considerano una popolazione meno vecchia. Da ciò ne deriva una degenza media elevata. Questo comporta un maggiore impegno di risorse economiche ed umane, ed una maggiore competenza ed impegno da parte del personale medico e paramedico.

Tuttavia al follow-up a distanza si assiste ad una sopravvivenza incoraggiante ed ad un notevole miglioramento della capacità funzionale.

 

Conclusioni

Per selezionati ottuagenari sintomatici la chirurgia valvolare aortica rappresenta una opzione terapeutica valida. La mortalità chirurgica è legata alle condizioni preoperatorie del paziente (co-morbidità). Tutto questo va attribuito al miglioramento sia delle tecniche intraoperatorie di protezione miocardica che della gestione globale (rianimatoria, farmacologia, infermieristica).

I risultati a distanza sono gratificanti, in quanto si assiste ad un persistente miglioramento della classe funzionale ed ad una sopravvivenza sovrapponibile a quella data dalla storia naturale di un ottantenne non cardiopatico (6 ed 8 anni per l’uomo e la donna rispettivamente). Tutto questo è il risultato della benefica interazione tra diverse figure professionali (medico di base, medici specialisti, operatori dei servizi sociali delle ASL). Le strutture sanitarie, pertanto, devono organizzare importanti strategie e sforzi organizzativi che colleghino in maniera razionale e funzionale l’intervento chirurgico alla degenza e, non meno, alla delicata fase di riabilitazione successiva

 

 

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