SCOMPENSO CARDIACO ACUTO:La problematica ricerca
di
un appropriato percorso assistenziale
Gerolamo Sibilio, Sabato
Tortorella, Antonio Vitolo, Luigi Cavuto
Dipartimento Clinico di Malattie Cardiovascolari Asl Na 2 -
U.O. di UTIC-Cardiologia P.O. “S.M. delle Grazie” - Pozzuoli
Visti i dati epidemiologici -
trend in crescita di pazienti affetti da Scompenso
Cardiaco (S.C.) e l’aumento
esponenziale della spesa sanitaria - è necessario
prevedere un’organizzazione del
percorso assistenziale di tipo multidisciplinare,
con una rete gestionale
integrata per la cura di questa patologia, ottimizzando
l’impiego delle risorse e la
sinergia tra ospedale e territorio (1).
Gli obiettivi dell’iter
assistenziale sono stati indicati in una recente Consensus
Conference in cui sono state
coinvolte le più importanti Società Scientifiche
ed il Ministero della Salute
(2).
Gli obiettivi prioritari sono:
·
ritardare la
comparsa e la progressione della disfunzione ventricolare Sn. e
dello S.C.;
·
prevenire le
recidive;
·
ridurre i ricoveri
ospedalieri;
·
garantire
un’assistenza specifica al paziente anziano fragile;
·
fornire
un’assistenza di tipo palliativo al paziente con S.C. terminale.
Lo S.C. è una patologia in cui
hanno un ruolo centrale, nello sviluppo organizzato
della rete assistenziale, varie
professionalità (cardiologo, internista, medico
di medicina generale, personale
infermieristico) che abbiano acquisito competenze
specifiche sul problema nella
fase acuta, post-acuta e stabile.
Lo specialistica ospedaliero
gestisce le fasi di ricovero per scompenso acuto
di nuova insorgenza o
instabilizzato, utilizzando protocolli diagnostico-terapeutici
differenti.Il percorso
ospedaliero deve essere personalizzato in rapporto
alla tipologia dell’ospedale.
Un aspetto controverso nella
pratica clinica è la scelta del luogo di cura.
IL PS/DEA rappresenta lo snodo
iniziale del percorso del paziente con S.C. acuto.
In questa sede vengono eseguiti
il primo inquadramento diagnostico,
la stratificazione del rischio
ed i trattamenti di urgenza.
I pazienti possono essere
suddivisi schematicamente a seconda della tipologia
del rischio (3):
a)
pazienti a
basso rischio (“non
congestione - non ipoperfusione”): attivazione
sistematica dell’osservazione
breve in PS/DEA con eventuale dimissione a domicilio;
b)
pazienti a
rischio intermedio
(“congestione - non ipoperfusione”): ricovero
in degenza ordinaria -Medicina,
Geriatria, Cardiologia, Riabilitazione degenziale-
dove effettuare terapia
farmacologica, stabilizzazione clinica e, quindi, dimissione;
c)
pazienti ad
alto rischio (“congestione
ed ipoperfusione”): vanno indirizzati
nelle unità di terapia intensiva
(UTI) e semintensiva (USI), dove è possibile
eseguire monitoraggio ecgrafico
ed emodinamico, contropulsazione aortica,
ultrafiltrazione, ventilazione
non invasiva.
La terapia farmacologica, in
tale setting di pazienti, è prevalentemente
infusionale (4-5). Dopo la
stabilizzazione clinica, il paziente può essere dimesso o
trasferito in un reparto di
degenza ordinaria. Tuttavia la scelta del reparto di
degenza, nella pratica clinica,
è generalmente condizionato dalla disponibilità
dei posti letto nelle differenti
strutture ospedaliere; i percorsi intraospedalieri,
pertanto, non possono non tenere
conto delle diverse realtà locali
(disponibilità di risorse
strumentali ed organizzative dei reparti di Medicina
Interna, presenza di UU.OO. di
Medicina di Urgenza e/o Cardiologia Riabilitativa).
In linea di principio la
maggiore dotazione tecnologica rende più razionale
l’invio (iniziale) alla
Cardiologia di pazienti con necessità di monitoraggio e/o
terapia invasiva. I
trasferimenti interni (UTIC, Cardiologia, Medicina,
Riabilitazione) dovrebbero
essere favoriti da opportuni accordi/protocolli gestionali
interni. In pratica, dopo una
iniziale stabilizzazione clinica con monitoraggio
e terapia intensiva e breve
degenza in ambito cardiologico, i pazienti potrebbero
completare il programma di cura
in Strutture interntistiche. Ciò
consentirebbe una appropriatezza
dei ricoveri in UTIC, con maggiore disponibilità
dei posti letto per acuti e
riduzione dei costi ospedalieri. E’ ovvio che durante
la degenza la gestione del
paziente con S.C. acuto deve essere multidi-sciplinare,
con precoce attivazione delle
consulenze specialistiche (geriatra, nefrologo,
neurologo,, ecc.), in relazione
alle specifiche esigenze.
I criteri della dimissione dopo
uno S.C. acuto non sono soltanto clinici, ma
devono prendere in
considerazione le caratteristiche culturali del paziente,
il contesto socio-sanitario, la
presenza e la qualità del supporto familiare e la
disponibilità di assistenza
domiciliare integrata (ADI).
Un aspetto preminente è
l’indirizzo del paziente all’ambulatorio dello S.C. per :
1)
un primo
controllo post-dimissione in caso di labilità clinica;
2)
problematiche
attive (indicazione ad AICD o trapianto cardiaco);
3)
presa in
carico in caso di S.C. avanzato.
Un ulteriore, ma non meno
importante, elemento è la dimissione che deve essere
intesa come strumento centrale
della continuità assistenziale.
La lettera di dimissione dopo
S.C. acuto deve contenere indicazioni sul
“piano igienico-terapeutico” di
mantenimento e controllo a domicilio,
con coinvolgimento del MMG (6).
Questi rappresenta una figura indispensabile,
per la perfetta conoscenza di
tutte le problematiche mediche del malato e
del suo contesto
socio-familiare. E’ utile, pertanto, fornire al cardiopatico con
S.C.
strumenti di autocontrollo in
forma di diario, ma è senza dubbio necessario
condividere sempre con il MMG
tutti gli aspetti delle cure in post-dimissione.
Bibliografia
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