Resistenza alla
terapia antipiastrinica
Marino Scherillo e Dario Formigli
UOC Cadiologia Interventistica ed UTIC, Azienda Ospedaliera
“G.Rummo” Benevento
Il ruolo chiave giocato
dall’aggregazione piastrinica nella fisiopatologia delle
sindromi coronariche acute e nelle complicanze trombotiche
conseguenti ad angioplastica coronarica ha fatto si che
l’inibizione di tale processo fisiologico rappresenti oggi un
cardine della terapia cardiologica. L’utilizzo della duplice
terapia antiaggregante mediante aspirina e clopidogrel ha
permesso di ridurre gli “outcome” cardiovascolari sia nel breve
che nel lungo periodo. Tuttavia alcuni pazienti sembrano
presentare una variabilità di risposta alla duplice terapia
antiaggregante fino a presentare una vera e propria resistenza
clinica caratterizzata da infarto del miocardio o trombosi
intrastent. (1) L’aspirina è un inibitore irreversibile
della ciclo-ossigenasi-1 con conseguente inibizione della
produzione di trombossano A2, potente agente aggregante. La
resistenza clinica all’aspirina, ovvero il ripresentarsi di un
evento trombotico durante il trattamento con il farmaco, si
presenta in più del 10% dei pazienti trattati. (2)
Il clopidogrel, inibisce
selettivamente ed irreversibilmente il recettore P2Y12 per l’ADP,
potente agente aggregante. Il clopidogrel è un pro-farmaco che
viene inattivato in una fase ematica precoce per l’85% e
solamente il 15% circa subisce un’ossidazione a livello epatico
da parte dell’isoforma CYP3A4 del citocromo P450 diventando
metabolica attivo. L’inibizione del recettore P2Y12 previene
l’attivazione piastrinica. Una ridotta o assente risposta
antiaggregante al clopidogrel può presentarsi fino nel 50% dei
pazienti coronaropatici e si associa ad una maggior ricorrenza
di eventi cardiovascolari. I probabili meccanismi che comportano
una risposta sub-ottimale al clopidogrel sono diversi e
correlati sia a variabili individuali come polimorfismi dei geni
implicati nel suo meccanismo d’azione, sia a fattori clinici
quali il dosaggio, l’assorbimento, l’interazione con più
farmaci, il diabete mellito, le sindromi coronariche acute e
l’obesità, che a fattori cellulari come l’aumentato turnover
piastrinico o l’up-regulation di altre vie proaggreganti a
livello piastrinico. (3)
Nella pratica clinica odierna
sarebbe opportuno riconoscere precocemente i pazienti con
resistenza alla terapia antiaggregante, sia per pevenire il
ripetersi di un evento cardiovascolare che per prevenire la
trombosi intrastent, in particolar modo degli stent medicati. In
particolar modo i pazienti con una ridotta risposta sia al
clopidogrel che all’aspirina sembrano presentare una maggiore
trombosi intrastent a sei mesi (11.1% contro 2,2% degli altri
gruppi). (4)
E’ proprio in questi pazienti che
possono trovare applicazione i nuovi farmaci antiaggreganti in
corso di approvazione come il prasugrel, tienopiridina di terza
generazione o l’AZD6140 inibitore reversibile orale del
recettore P2Y12.
BIBLIOGRAFIA
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