PROBLEMATICHE ASSISTENZIALI NEL CARDIOPATICO
CON INSUFFICIENZA RENALE
Sabino Scardi, Paolo Umari, Renzo Carretta
Scuola di Specializzazione in Cardiologia, Clinica Medica,
Istituto di Medicina Clinica Università degli Studi di Trieste
Introduzione
Il legame tra malattia renale e
malattia cardiovascolare è importante. Infatti. undici milioni
di americani soffrono d’insufficienza renale (IR) lieve o
moderata e il loro numero é in progressivo aumento. Com’è noto,
l’IR è un fattore di rischio coronarico ma anche un fattore di
rischio di eventi nel follow-up quando la cardiopatia si è già
instaurata. In questa rassegna valuteremo:
-l’incidenza e la prevalenza di
malattie cardiovascolari nell’IR cronica,
-i fattori di rischio per
malattia cardiovascolare nell’ IR cronica e se questa è, di per
se, un fattore di rischio per malattia cardiovascolare,
-l’outcomes dei pazienti con
disfunzione renale e malattia cardiovascolare identificando i
fattori di rischio che contribuiscono alla morbilità e mortalità
cardiovascolare,
-le possibili terapie
cardioprotettive per ridurre il rischio e migliorare la
sopravvivenza e l’outcomes.
La disfunzione renale è stata
associata con un rischio aumentato di mortalità, infarto
miocardico, stroke e scompenso cardiaco nelle popolazioni ad
alto rischio (1). Infatti, Deo et al (2), su 3044 pazienti di
età 70-79 anni seguiti per 6 anni, hanno trovato che la
disfunzione renale (valutata con Cistatina C) è fortemente
predittiva di mortalità cardiovascolare in particolare nei
soggetti senza storia di cardiopatia e nei pazienti dializzati o
trapiantati. Inoltre, una disfunzione renale avanzata ( FG<60 mL)
nello studio Replacement è un predittore indipendente di morte
improvvisa ( p<0.001) nelle donne con malattia coronarica (3),
in particolare, i pazienti con stadi molto avanzati di IR hanno
un rischio di morte cardiovascolare di 10-20 volte superiore ai
soggetti della stessa età e dello stesso sesso ma senza
cardiopatia coronarica (4-5).
Una revisione critica degli
interventi diretti a modificare il profilo dei fattori di
rischio cardiovascolare nei pazienti con IR cronica è stata
condotta da Kaiser e Johnson (6) che, analizzando una lunga
serie di trials compreso il LANDMARK (un studio clinico
multidisciplinare d’ intervento su multipli fattori di rischio
cardiovascolare), hanno concluso che i risultati di questi studi
non sono conclusivi.
Anche la gravità dell’IR
incrementa il rischio di sopravvivenza nei nefropatici anziani,
infatti, in uno studio di Fried et al man mano che incrementa il
livello di creatininemia parallelamente aumenta il rischio di
morte cardiovascolare (7).
Come determinare la funzionalità
renale
La misura della creatininemia
plasmatica o sierica è usata comunemente nella pratica clinica
per stimare la funzionalità renale. Questa però costituisce una
guida
Figura 1
solo approssimativa perché la
sua sensibilità diagnostica per l’IR moderata è insufficiente.
Per una più accurata determinazione della gravità dell’IR è
necessario utilizzare la velocità di filtrazione glomerulare (VFG)
che è misurata con la clearance della creatinina che si può
calcolare utilizzando la formula di Cockcroft e Gault o la
Modification of Diet in Renal Disease (MDRD) Study equation.
Recentemente è stata adoperata la valutazione della Cistatina C,
un inibitore competitivo della cisteina proteinasi lisosomiale
la cui presenza è ritenuta uno stato preclinico di disfunzione
renale. La determinazione della Cistatina C è considerata
superiore alla clearance della creatinina perché evidenzia la
disfunzione renale moderata (60-90 mL/min/1.73 m2) (8). Infatti,
un’elevata concentrazione di Cistatina C nel Heart and Soul
Study ha predetto un sostanziale rischio di morte, di malattia
cardiovascolare e renale cronica, di eventi cardiovascolari e di
scompenso cardiaco in 999 pazienti ambulatoriali con cardiopatia
ischemica, rischio che non è predetto dalle altre misure della
funzione renale usualmente utilizzate nella pratica clinica (9).
La nuova classificazione
proposta dalla Fondazione Nazionale Americana per il rene e
dalla Dialysis Outcomes Quality Iniziative descrive 5 stadi di
gravità della malattia renale (10-11),
l’incremento di rischio
cardiovascolare si realizza quando la VFG scende sotto i 60
ml/min per 1.73 m2, che corrisponde ad una creatininemia >1.5
mg/dl (Fig 1). Anche la microalbuminuria ( 30-300 mg/l) è un
fattore di rischio, così come la macroalbuminuria >300 mg/l.
Infatti, nel KEEP (12) fattori di rischio significativi
Figura 2
per lo sviluppo di malattie
cardiovascolari sono risultate la microalbuminuria >30 mg/l
(p<0.01) e la VFG 30-90 vs >90 mL/min ( p<0.001).
Fattori di rischio
Nei pazienti con IR sono molti i
fattori favorenti lo sviluppo dell’aterosclerosi coronarica;
infatti, oltre ai demografici e ai tradizionali, vi sono quelli
direttamente collegati con la presenza di IR ( incremento di
infiammazione, omocisteina, massa ventricolare sinistra,
emostasi, lipoproteina (a), calcificazione vascolare) che
contribuiscono al “burden” cardiovascolare totale (Fig 2).
Molti studi prospettici hanno
dimostrato uno stretto rapporto tra IR e morbilità e mortalità
cardiovascolare. Ad esempio, negli studi KEEP e NHANES 1999-2004
(13) la malattia renale cronica è indipendentemente associata
con l’infarto miocardico e lo stroke e favorisce la mortalità a
breve termine. In una popolazione di cardiopatici ischemici, la
microalbuminuria, la macroalbuminuria e il ricorso alla dialisi
sono risultati i maggiori fattori di rischio di mortalità dopo
10 anni di follow-up (5). Anche in Lombardia è stato osservato
che, nei pazienti con disfunzione renale, la causa principale di
morte era quella cardiaca (14). Similmente Bibbins-Domingo et al
(15), valutando le cause di morte in donne con scompenso
cardiaco e malattia coronarica, hanno identificato nella
clearance della creatinina <60 ml/min il fattore di rischio
maggiore.
Anche il grado di disfunzione
renale è fortemente predittivo di mortalità nei pazienti con
infarto miocardio. Infatti, in rapporto al grado di IR, si
osserva un progressivo incremento di mortalità cardiovascolare,
recidiva infartuale, scompenso cardiaco, stroke ed end-point
compositi (16).
L’IR é un fattore di rischio di
morte indipendente anche nei pazienti con scompenso cardiaco,
mentre la somministrazione di ACE-inibitori (RR 0 46) e di
betabloccanti ( RR 0.40) lo riduce nettamente (17).
Questo incremento di mortalità
nei pazienti con IR cronica è giustificato anche dallo scarso
uso di terapie efficaci e dal ridotto numero di manovre
procedurali invasive. L’insufficiente utilizzazione di procede
interventistiche è condizionata dalla possibile comparsa di
nefropatia da contrasto con cui si definisce l’IR
post-procedurale per effetto nefrotossico del mezzo di contrasto
associato a microembolia periferica. Essa è discretamente
frequente e causa molti eventi avversi. E’ favorita dalla
deplezione idrica, diabete, quantità di mezzo di contrasto e si
verifica più frequentemente se la velocità di filtrazione è <60
ml. La si può prevenire con idratazione prima e dopo la
procedura, utilizzando la minor dose possibile di mezzo di
contrasto non ionico o con la somministrazione di
N-acetilcisteina e si può curarla con emofiltrazione ed
emodialisi (18).
Quale l’uso di terapie
cardioprotettive?
Reddan et al (19) hanno valutato
l’uso delle terapie cardioprotettive durante il ricovero e alla
dimissione dei pazienti con sindrome coronarica acuta nello
studio SYNPHONY. L’utilizzo di aspirina, eparina, ACE-inibitori
ed eparina a basso peso molecolare è nettamente ridotto nei
pazienti con IR.. Questo problema è stato affrontato anche da
Ezekowitz et al (20) analizzando, in rapporto al grado di IR, la
somministrazione di farmaci cardiovascolari in 6.427 pazienti
con scompenso cardiaco e cardiopatia ischemica. Man mano che
incrementa il grado di IR, gradualmente ma significativamente si
riduce la somministrazione da parte dei medici di aspirina,
ACE-inibitori/sartani, betabloccanti, statine, tienopiridina,
nitrati long-acting e warfarin. Viceversa se si utilizzano
questi farmaci la mortalità si riduce nettamente.
La situazione peggiora
ulteriormente nei pazienti con stadio finale di malattia renale.
Infatti Berger et al (21) hanno valutato la frequenza di
somministrazione di farmaci cardioprotettivi in questi pazienti
quando sono ricoverati per infarto miocardico acuto.
Betabloccanti, ACE-inibitori ed aspirina sono nettamente poco
utilizzati anche nei pazienti “idonei" a riceverli. Questo
atteggiamento è stato definito “nichilismo" terapeutico.
Norme per una terapia razionale
I pazienti con IR spesso devono
essere trattati con farmaci cardiovascolari eliminati o
metabolizzati principalmente dai reni. Ciò può incrementare
l’accumulo di alcuni preparati ( digossina, betabloccanti
idrosolubili, ACE-inibitori ecc. ). Inoltre, la somministrazione
di farmaci a pazienti con ridotta funzione renale può causare
problemi per:
-alterazioni nell’ assorbimento,
legame con le proteine plasmatiche e sensibilità recettoriale,
Figura 3
-incapacità di eliminazione con
accumulo di metaboliti,
-la sensibilità al farmaco può
aumentare anche per turbe elettrolitiche, emodialisi, stato
iperadrenergico, infiammazione cronica della mucosa
gastrointestinale ecc.,
-molti effetti collaterali sono
mal tollerati,
-alcuni farmaci perdono di
efficacia.
Molti di questi effetti possono
essere eliminati modificando la posologia o utilizzando farmaci
alternativi con eliminazione prevalentemente epatica. Inoltre,
per evitare complicazioni iatrogene è necessario seguire alcuni
principi in particolare:
-scegliere un regime terapeutico
che tenga conto della velocità di filtrazione glomerulare,
-correggendo il trattamento
successivo tenendo conto della risposta clinica e delle
concentrazioni plasmatiche del preparato utilizzato,
-riducendo la dose giornaliera
totale di mantenimento con la riduzione delle singole dosi o
aumentando l’intervallo di somministrazione.
Scelta e somministrazione dei
preparati cardioprotettivi
La terapia cardiovascolare nei
pazienti con disfunzione renale è gravata da numerose
problematiche. Com’è noto, il dosaggio, la biodisponibilità, la
distribuzione e la via di eliminazione di un farmaco ne
condizionano il livello nei siti recettoriali da cui dipendono
gli effetti farmacologici e perciò l’efficacia e la tossicità
(Fig 3).
Poiché i pazienti con IR
usualmente sono esclusi dai grandi trias, in base alle
segnalazioni riportate in letteratura, possiamo stilare queste
indicazioni strategiche
Betabloccanti
Questi preparati hanno un
metabolismo prevalentemente epatico, perciò possono essere
utilizzati nei pazienti con IR, sono da evitare però atenololo,
nadololo e sotalolo perché eliminati per via renale
Antiaggreganti ed Eparine
Questi farmaci possono causare
problemi nell’IR grave, mentre fra gli inibitori delle
Glicoproteine IIb/IIIa l’Epifibatide e il tirofibran, secreti
per via renale, possono aumentare il rischio emorragico perciò è
da preferire l’Abcximab. Il warfarin non ha alcuna limitazione,
però è da evitare nell’IR grave.
Antilipidemici
Le statine non hanno
controindicazioni nei pazienti con IR perché non sono
metabolizzate a livello renale, tuttavia in presenza di un FG<30
ml è suggerita una riduzione del loro dosaggio. Alcuni trials
hanno mostrato un effetto protettivo sugli eventi
cardiovascolari, infatti le statine in alcune popolazioni a
rischio, rallentano il declino della velocità di filtrazione
glomerulare, riducono la proteinuria e sembra anche la morbilità
e mortalità cardiovascolare tuttavia la dimostrazione reale di
questo effetto non è disponibile.
Tonelli et al (22) hanno
studiato gli effetti della pravastatina nella prevenzione
primaria e secondaria della cardiopatia ischemica nei soggetti
con moderata disfunzione renale, osservando una riduzione di
eventi cardiovascolari e della mortalità per tutte le cause nei
soggetti trattati con statina in tutti i gradi di disfunzione
renale definita utilizzando la formula di Cockcroft e Gault.
Recentemente Shepherd et al (23) hanno analizzato i risultati
della sottoanalisi dello studio TNT. L’atorvastatina 80 mg
riduce il rischio relativo di eventi cardiovascolari maggiori
del 32% nei pazienti ischemici con IR (p=0.0003) e del 15% in
quelli con normale funzione renale.
Sono in corso tre grandi trials:
SHARP ( simvastatina + ezetimide vs placebo ), AURORA (
rosuvastatina vs placebo ) e LORD ( The Lipid lowering and Onset
of Renal Disease ) con Atorvastatina vs placebo che ci
forniranno una definitiva risposta sull’effetto protettivo delle
statine nei pazienti con IR cronica.
Antiaritmici
Fra gli antiaritmici la digitale
( in disuso ) è eliminata per via renale, pertanto in presenza
di IR è necessario iniziare con bassi dosaggi monitorando la
frequenza cardiaca e la digossinemia. La somministrazione di
amiodarone e di propafenone non ha problemi perché questi
farmaci sono eliminati per via epatica, infine per la flecainide
si consiglia una dose iniziale massima di 100 mg.
Antipertensivi
Per prazosina e clonidina non
sono state suggerite modificazioni di dosaggio per FG> 50ml,
mentre nessun problema sussiste per i calcioantagonisti che sono
eliminati per via epatica. I diuretici possono essere usati ma
con particolare attenzione all’ iponatriemia e alla deplezione
dei volumi plasmatici, da usare con cautela i tiazidici e
soprattutto i risparmiatori di potassio.
Una particolare attenzione
meritano gli ACE.-inibitori e i sartani o inibitori recettoriali
dell’angiotensina. Questi farmaci sono largamente utilizzati per
la cura dell’ipertensione arteriosa e dello scompenso cardiaco e
dopo lo studio HOPE (24) anche per la prevenzione della
cardiopatia ischemica.
Il ruolo del blocco del sistema
renina-angiotensina- aldosterone nel controllo dell’ipertensione
arteriosa e dell’impatto positivo sull’outcomes è noto, infatti,
questo blocco riduce il rischio di infarto miocardico, scompenso
cardiaco e dell’outcomes cardiovascolare totale nei pazienti con
proteinuria e in quelli con nefropatia diabetica (25).
Nello studio HOPE (24)
l’incidenza di outcome primario, di malattie cardiovascolari e
di morti totali nei pazienti trattati con ramipril rispetto a
quelli trattati con placebo era nettamente a vantaggio dei primi
in presenza e in assenza di funzione renale alterata. Anche i
Sartani hanno mostrato effetti renoprotettivi. Ad esempio
l’ibesartan rispetto a placebo e amlodipina riduce l’end point
primario, la creatininemia, la comparsa di IR grave e la
mortalità per tutte le cause, nei pazienti con nefropatia
secondaria a diabete mellito tipo 2 (26). In una metanalisi
pubblicata recentemente gli ACE-I ed i Sartani riducono la
proteinuria ma l’associazione dei due farmaci è più efficace.
Tuttavia la sicurezza di questa combinazione ( in particolare
nei pazienti in stadio 3-4) ha bisogno di ulteriori conferme per
il potenziale sviluppo di iperpotassiemia (27).
Gli ACE-inibitori e gli
inibitori di AT1 perciò sono sicuri nei pazienti con IR
lieve-moderata e sono da considerarsi di primo uso negli
ipertesi con IR per gli innegabili vantaggi emersi dai vari
trials. Il loro benefico effetto deriva dalla combinazione dei
diversi meccanismi protettivi rappresentati dall’effetto
antiipertensivo, emodinamico, antiproteinurico e da quelli
pleiotropici che sostengono il razionale forte per considerali
nel trattamento dei pazienti ad alto rischio. E’ necessario però
iniziare con dosi minori monitorando la funzione renale e la
potassiemia (28).
Molti ACE-I sono metabolizzati a
livello renale ed epatico, però nei pazienti con IR è
preferibile utilizzare come prima dose il 50-75% di quella
usuale, se il FG <60 ml, il 25-50% se il FG <30mg.
Gli inibitori di AT1 sono
metabolizzati a livello epatico e come prima dose si utilizza il
75% di quella usuale se il FG è <30%. Un incremento del 30%
della creatininemia è accettabile nei primi 2 mesi (28). Invece,
nei pazienti con FG<60 ml o con potassiemia >4.5 di base,
bisogna controllare settimanalmente la creatininemia e la
potassiemia. In ogni caso ACE-I e Sartani sono da sospendere se
dopo 4 mesi il FG è inferiore del 30% rispetto ai valori basali
e se la potassiemia raggiunge valori>-5. 5 mg. Gli ACE-I ed i
Sartani possono indurre uno scompenso renale acuto, i cui
fattori di rischio sono: la stenosi dell’arteria renale, la
malattia policistica, la riduzione assoluta o effettiva del
volume plasmatico arterioso, l’uso di farmaci antinfiammatori
non steroidei o di ciclosporina e la sepsi (29).
Interventi di
rivascolarizzazione
Anche per gli interventi di
rivascolarizzazione l’IR rappresenta un ostacolo. Best et al
della Mayo Clinic (30) però, studiando un gruppo di 11,187
pazienti rivascolarizzati con PTCA, di cui molti con malattia
renale cronica lieve o moderata, dopo un follow-up di 9 mesi,
hanno trovato un incremento di mortalità in quelli con IR ma la
ristenosi non è responsabile di tale evento. In Gran Bretagna,
Zakeri et al (31) hanno valutato le complicazioni postoperatorie
dopo bypass aortocoronarico nei pazienti con IR o normale
funzione renale . Il rischio di morte postoperatoria di
morbilità e di sopravvivenza a medio termine incrementa quando
il FG scende sotto i 60 mL.
Recentemente il gruppo del
Toraxcenter di Rotterdam (32) ha riportato i risultati a 5 anni
di pazienti con FG<60 trattati con PTCA ( 69 pazienti) o Bypass
aortocoronarico ( 73 pazienti) senza riscontrare differenze
significative nella mortalità, accidenti cerebrovascolari o
infarto miocardio postoprocedura. Nel gruppo PTCA è stata
registrata una maggior necessità di successive
rivascolarizzazioni.
Conclusioni.
La sindrome cardiorenale è
un’entità clinica emergente perché circa il 50-60% dei decessi
dei pazienti con IR è secondario a complicazioni
cardiovascolari. Infatti, ipertensione arteriosa, coronaropatie,
alterazioni del miocardio e del pericardio, calcificazioni
cardiache, scompenso cardiaco sono comuni nei pazienti con IR.
L’alta prevalenza di ipertensione arteriosa, diabete mellito,
dislipidemia, ipotensione durante la dialisi, alterato
metabolismo di calcio e fosfati e gli squilibri elettrolitici
possono compromettere la funzione cardiaca. Come abbiamo
ricordato precedentemente, l’IR è un potente fattore di rischio
sia per la comparsa di malattie cardiovascolari sia per l’outcomes
avverso per eccessive comorbilità, eccesso di tossicità dei
farmaci ed insufficiente uso di terapie utili per nichilismo.
Il trattamento delle malattie
cardiovascolari nei pazienti con IR però ha numerose
problematiche: si rende necessario anzitutto scegliere farmaci
meno nefrotossici, aggiustando poi il dosaggio in base alla
gravità della disfunzione renale e selezionando la dose di
carico e quella di mantenimento con il monitoraggio dei livelli
plasmatici. In seguito bisogna riassestare l’efficacia della
terapia monitorando la creatininemia e la clearance della
creatinina.
Perciò è indispensabile
depistare precocemente la disfunzione renale in particolare
negli anziani, negli ipertesi e nei diabetici, utilizzando
preferibilmente la clearance della creatinina o la
determinazione del livello di Cistatina C.
I reni svolgono un ruolo
importante in tutti i pazienti cardiopatici, similmente il cuore
ha un ruolo fondamentale in tutti i nefropatici. Molti farmaci
usati nella terapia contro le malattie di un sistema possono
interferire negativamente sulle funzioni dell'altro.
Sfortunatamente i pazienti cardiaci e renali spesso sono seguiti
da medici competenti in uno solo dei due sistemi. La conoscenza
delle interazioni cardiorenali è fondamentale per tutti i medici
che siano interessati alla cura di questi malati. Medici di
medicina generale, internisti, nefrologi e cardiologi devono
valutare precocemente il declino della funzione renale in
particolare per quei pazienti a rischio di scompenso cardiaco
per iniziare al più presto una terapia renoprotettiva (2). In
particolare, è necessario migliorare la valutazione della IR nei
pazienti ospedalizzati per malattie cardiovascolari perché la
loro presenza predice un rapido deterioramento della funzione
renale.
Il legame fra malattia cardiaca
e renale è importante se la funzione renale è determinata con i
livelli di Cistatina C, la prevalenza di ambedue queste
patologie é in continuo aumento nei paesi occidentali compreso
il nostro. Esse rappresentano la maggior sfida per il Servizio
Sanitario nei prossimi anni (33).
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