Definizione universale dell’infarto miocardico: implicazioni pratiche

 

Zoran Olivari

U.O. di Cardiologia - Osp. Ca' Foncello – Treviso

 

La definizione “classica” dell’infarto miocardico, utilizzata fino alla fine degli anni novanta da parte della Organizzazione Mondiale della Sanità (WHO), richiedeva la “semplice” presenza di almeno due delle seguenti tre caratteristiche: a) dolore toracico, b) incremento degli enzimi e c) caratteristiche tipiche dell’ecg (comparsa dell’onda Q).

Lo sviluppo dei nuovi markers di necrosi miocardica e delle nuove tecniche d’immagine, ha reso possibile di individuare anche piccolissime aree di necrosi miocardica.  Per questo motivo, alcuni ricercatori hanno modificato spontaneamente le definizioni dell’infarto miocardico, con la conseguente confusione terminologica e l’impossibilità di confrontare i dati derivanti da studi con definizioni diverse. Contemporaneamente, una serie di pubblicazioni concordemente dimostrava una correlazione continua fra l’entità della dismissione enzimatica, in particolare delle troponine, con la prognosi. Per questi motivi, alla fine degli anni novanta, le Società Scientifiche ESC e AHA/ACC hanno costituito un Comitato con il mandato di ridefinire la diagnosi dell’infarto miocardico. Il consenso finale su che cosa andava definito clinicamente come infarto miocardico è riassunto nella Tab. 1 (1).

 

 

Tab. 1.  Criteri clinici di diagnosi di infarto miocardico acuto, in evoluzione o recente (Alpert et al. J Am Coll Cardiol 2000)

 

Incremento e calo degli enzimi (troponine o CK-MB)

ed

almeno una delle condizioni associate

 

 

 

 

- Sintomi dell’ischemia

- Sviluppo delle onde Q all’ecg

- Variazioni dell’ecg: ST sopra o sottoslivellato

 
 

- Esecuzione di angioplastica coronarica

 

 

Il concetto base emerso dal documento conclusivo, pubblicato nel 2000, è molto semplice: la diagnosi dell’infarto miocardico va formulata quando si riscontrano segni di necrosi miocardica, di qualsiasi entità, causata dall’ischemia e documentata dalla dismissione enzimatica). Le troponine (T o I) erano indicate come biomarcatori da preferire per la diagnosi di necrosi miocitaria, a causa della loro elevata specificità e sensibilità, ma veniva anche sottolineato come questi biomarcatori rilevano sì il danno miocardico anche minimo ma non ne indicano il meccanismo e una loro elevazione in assenza clinica di ischemia deve orientare verso la ricerca di una causa alternativa (miocardite, ecc.). Le ulteriori precisazioni diagnostiche relative anche alla estensione dell’infarto, alle circostanze che lo hanno indotto (spontaneo o jatrogeno) e alla fase evolutiva, venivano fortemente raccomandate. In merito al quadro clinico di presentazione, veniva sottolineata la molteplicità di varianti, da quelle classiche all’assenza totale dei sintomi. Lo stesso vale per l’ecg che può presentare sia il sopra che sottoslivellamento del tratto ST , inversione dell’onda T, comparsa del blocco di branca sn, nuove onde Q, ma anche assenza di alterazioni in caso di “microinfarti”.

Le tecniche di imaging (ecocardiografia, indagini scintigrafiche) venivano indicate come elementi utili per aggiungere elementi necessari per una più precisa definizione diagnostica, ma non sufficienti per la formulazione della diagnosi di infarto.

Non erano ben definite, sul piano nosologico, le necrosi cellulari indotte dalle procedure di angioplastica coronarica o del by-pass aortocoronarico.

Gli stessi AA avevano anticipato una serie di ricadute di questo approccio “troponinocentrico”:   a) incremento epidemiologico dell’incidenza dell’infarto miocardico e riduzione della mortalità correlata, b) migliori possibilità di  confronti fra diversi trial clinici , c) aumento del n. di casi riconosciuti come affetti da cardiopatia ischemica con maggiori possibilità di prevenzione/terapia, d) possibilità di identificare i pazienti a basso rischio (troponina negativa) con riduzione di costi ospedalieri.  Tuttavia, solo poche righe del Documento erano dedicate alle prevedibili problematiche derivanti da questa estensione della diagnosi di infarto miocardico, correlate a: a) status psicologico dei pazienti,  b) aspetti assicurativi, c) carriere professionali, d) patenti di guida, e) DRG ospedalieri e relativi rimborsi, f) statistiche di mortalità, g) durate delle convalescenze, h) invalidità, i) stesure delle Linee Guida. Il superamento di questi aspetti, nelle intenzioni degli AA, poteva essere raggiunto soltanto attraverso  una disseminazione capillare di materiale educativo sia ai medici che agli amministratori che alla popolazione.

Alla pubblicazione di questo Documento sono seguiti una serie di commenti e interrogativi, come p.es: a) come garantire l’affidabilità del dosaggio delle troponine, vista la sostanziale mancanza dei reagenti che potevano garantire l’identificazione certa del valore di cut off al 99emo percentile della popolazione normale e con il coefficiente di variabilità  inferiore al 10%, b) la preoccupazione di “bollare” come infarti miocardici una serie di quadri clinici precedentemente definiti come angina instabile, con sicuro impatto psicologico sui pazienti e con ricadute non del tutto prevedibili sul percorso diagnostico-terapeutico, c) l’incertezza sulla migliore modalità gestionale dei pazienti con incremento delle troponine in assenza di chiari segni clinici di ischemia, d) la consapevolezza che le scelte terapeutiche in emergenza-urgenza sono “ecg pilotate” e non “troponino pilotate” con marcate differenze di approccio terapeutico ai pazienti con STEMI vs quelli con NSTEMI (in effetti, tutte le Linee Guida pubblicate negli anni successivi, hanno chiaramente distinto la gestione dello STEMI da una parte e dell’angina instabile e NSTEMI dall’altra).

Una serie di studi osservazionali eseguiti successivamente utilizzando i nuovi criteri diagnostici ha evidenziato che: a) l’incidenza delle dimissioni ospedaliere con la diagnosi di infarto miocardico è aumentata, con percentuali variabili dal 14% al 42% (2,3,4), b) questo incremento è dovuto all’incremento delle ospedalizzazioni per infarto senza sopraslivellamento del tratto ST (aumentato del 70% nel Veneto) e consensuale riduzione delle ospedalizzazione per angina instabile, mentre rimane invariata l’incidenza di infarti con sopraslivellamento del tratto ST (5) c) la prognosi dei pazienti “troponino-positivi” si è confermata essere indipendente dalla presentazione, STEMI o NSTEMI (vedi Tab.2), d) in pazienti con sindromi coronariche acute “troponino-positivi” e valori del CK-MB normali o inferiori a due volte quelli normali, il rischio di mortalità ospedaliera aumenta del 60% rispetto a quelli “troponino-negativi” (6).

 

 

Tab. 2 Mortalità a 6 (EMMACE -2) o 12 mesi (OPERA) dei pazienti ricoverati per infarto miocardico acuto (7,8), in base alla presentazione  ecgrafica. STEMI=infarto con sopraslivellamento del tratto ST, NSTEMI= infarto senza sopraslivellamento del tratto ST

 

 

STEMI

NSTEMI

EMMACE-2 (1686 pz)

19,2%

19,1%

OPERA (1878 pz)

9%

11,6%

 

Anche nel registro internazionale GRACE, con oltre 10.000 pazienti arruolati, sia la mortalità ospedaliera che quella a 6 mesi dopo la dimissione erano simili fra STEMI e non STEMI (7% vs 6% e 4,8% vs 6,2%) (9,10).

Quindi, la ridefinizione del criterio diagnostico dell’infarto miocardico centrato sulla necrosi cellulare, evidenziata con la dismissione delle troponine, ha notevolmente  migliorato le possibilità diagnostico-prognostiche in pazienti con sindromi coronariche acute, riducendo le probabilità di sottostimare il rischio del singolo paziente.

Il rovescio della medaglia è costituito da una serie di problematiche, ancora non adeguatamente affrontate: a) l’impatto psicologico sui pazienti , b) marcate differenze nella applicazione dei nuovi criteri diagnostici nella pratica clinica, con conseguenti problemi interpretativi ai fini epidemiologici e di rimborsi ospedalieri, c) persistente difficoltà di confronto fra registri (vedi le notevoli differenze di mortalità nella tabella 2.), d) la tendenza ad interpretare qualsiasi incremento della troponina come equivalente dell’infarto miocardico.

Quest’ultimo aspetto deve essere adeguatamente affrontato per evitare conseguenze sia sul piano operativo ospedaliero che quello medico-legale: 1) il dosaggio delle troponine deve essere validato per evitare i falsi positivi, 2) devono essere eseguiti più prelievi, per evidenziare una tipica curva crescita/calo, 3) la diagnosi dell’infarto può essere formulata solo in presenza concomitante di sintomi clinici e/o variazioni specifiche dell’ecg

In presenza di una curva di troponina “piatta” e/o assenza di segni clinico-strumentali di ischemia, la diagnosi di infarto non deve essere formulata.

A questo proposito va ricordato che una sofferenza miocardica con dismissione delle troponine può accompagnare altri stati clinici, diversi dalle sindromi coronariche acute, prevalentemente correlate allo scompenso cardiaco, alle aritmie

Tab 3. DEFINIZIONE clinica dell’infarto miocardico acuto: il termine va usato in presenza di evidenza di necrosi miocardica nel contesto di un setting clinico compatibile con ischemia miocardica (12).

 

 

Incremento e calo degli enzimi (preferibilmente troponine) con almeno un valore al di sopra del 99emo percentile del valore normale con evidenza di ischemia miocardica

ed

almeno una delle condizioni associate

 

 

 

 

 

 

oppure

 

 

 

 

 

 

- Sintomi dell’ischemia

- Sviluppo delle onde Q all’ecg

- Variazioni dell’ecg: ST sopra o sottoslivellato o nuovo BBsn

- Imaging compatibile con perdità di tessuto miocardico o alterazione della cinetica ventricolare (nuovi)

 

 

Improvvisa, inattesa morte cardiaca, avvenuta prima del prelievo ematico o prima che gli enzimi possano essere cresciuti, spesso con sintomi suggestivi di ischemia miocardica, con presumibilmente nuovo ST sopraslivellato o BBSn, e/o evidenza di trombo fresco all’autopsia o alla coronarografia

 

oppure

 

 

Incremento della troponina di 3 volte il limite massimo della normalità, in pazienti sottoposti alla PCI e valori di troponina precedentemente normali

 

oppure

 

 

Incremento della troponina di 5 volte il limite massimo della normalità e comparsa di nuove onde Q o BBsn o dimostrazione angiografica di occlusione del graft o del vaso nativo o evidenza strumentale di nuova perdita del miocardio vitale, in pazienti sottoposti al by-pass aortocoronarico e valori di troponina precedentemente normali

 

 

 

 

ipercinetiche, alle crisi ipertensive o alle ipotensioni prolungate, all’embolia polmonare, ad eventi neurologici acuti, ecc., mentre l’insufficienza renale cronica interferisce significativamente con il dosaggio delle troponine. In uno studio prospettico, in ben 28% dei pazienti ospedalizzati e “troponino-positivi” veniva evidenziata una causa NON ischemica di questo stato (4), mentre in un altro studio prospettico, in soggetti anziani (>70 anni) NON OSPEDALIZZATI, il dosaggio random della troponina risultava essere superiore alla norma in 21,8% (11).

A causa di questi aspetti controversi, ed altri relativi alla poca chiarezza nella definizione degli “infarti” associati alle procedure di angioplastica coronarica o by-pass aorto-coronarico, nel 2004 si costituiva una seconda Task Force con il compito di precisare e migliorare ulteriormente la definizione dell’infarto miocardico. I lavori si sono prolungati per diversi anni e solo nel 2007 veniva pubblicato il Documento conclusivo (12) sintetizzato nelle Tab 3. 4. e 5.

 

Tab 4. DEFINIZIONE clinica dell’infarto miocardico pregresso : qualsiasi criterio elencato autorizza la diagnosi di infarto miocardico (12)

 

Sviluppo delle nuove onde Q, con o senza i sintomi

 

 

 

Evidenza strumentale di un area di perdità di vitalità miocardica che appare più sottile e non si contrae, in assenza di causa non ischemica

 

 

 

Tab. 5. CLASSIFICAZIONE clinica delle diverse tipologie di infarto miocardico (12)

 

Tipo 1

Infarto miocardico spontaneo da ischemia dovuta ad evento coronarico primario (erosione/rottura/fissurazione della placca o dissezione)

 

Tipo 2

Infarto miocardico secondario all’ischemia dovuta ad una aumentata richiesta di O2 o una sua riduzione di apporto (spasmo coronarico, embolia coronarica, anemia, aritmie, ipertensione o ipotensione)

 

Tipo 3

Improvvisa e inattesa morte cardiaca, avvenuta prima del prelievo ematico o prima che gli enzimi possano essere cresciuti, spesso con sintomi suggestivi di ischemia miocardica, con presumibilmente nuovo ST sopraslivellato o BBSn, e/o evidenza di trombo fresco all’autopsia o alla coronarografia

 

Tipo 4a

Infarto miocardico associato alla PCI

 

Tipo 4b

Infarto miocardico associato alla trombosi dello stent documentata all’autopsia o alla coronarografia

 

Tipo 5

Infarto miocardico associato al by-pass aortocoronarico

 

I pazienti posono presentare più tipologie di infarto miocardico, contemporaneamente o in sequenza.

Anche in questo Documento or si sottolinea di non definire come infarto le necrosi  miocardiche (elevazione delle troponine) secondarie a cause non ischemiche, come p.es. l’insufficienza renale, scompenso cardiaco, cardioversione elettrica, procedure di ablazione, sepsi, miocardite, bradi/tachiaritmie,  eventi neurologici acuti, dissezione aortica, miocardiopatia ipertrofica, stress estremi, sindrome di Tako Tsubo, malattie critiche soprattutto con insufficienza respiratoria o patologie infiltrative.

In sintesi, questa nuova definizione ha confermato quella del 2000 che considerava come infarto miocardico qualsiasi livello di necrosi cellulare nell’ambito di un setting clinico compatibile con ischemia miocardica, apportando alcune modifiche/precisazioni: 1) alle tecniche di imaging (ecocardiogramma, tecniche scintigrafiche, risonanza nucleare ed angioTAC) è stato conferito un ruolo più “pesante” per la formulazione della diagnosi (vedi Tab. 3), 2) l’evento della morte improvvisa, quando associata al sopraslivellamento del tratto ST o BBsn o dimostrazione della trombosi coronarica, va classificato come infarto miocardico, 3) la nuova classificazione delle diverse tipologie d’infarto (Tab.5) definisce con precisione anche le forme iatrogene secondarie alla PCI o CABG.

Quali le implicazioni pratiche?

1)                  L’utilizzo diffuso di questa definizione dell’infarto miocardico porterà ad un ulteriore incremento dei pazienti dimessi con questa diagnosi, con favorevoli ricadute sugli studi epidemiologici che saranno più aderenti alla reale prevalenza di questa malattia e renderà possibile la valutazione univoca e confrontabile degli outcome  nei vari studi clinici

2)                  La diffusione generalizzata  della nuova definizione richiederà tempo, verrà attuata in tempi diversi in Paesi diversi, ma anche in Ospedali diversi nello stesso Paese, rendendo di fatto difficile il raggiungimento del primo punto nel futuro prossimo

3)                  Le Società Scientifiche nazionali dovranno favorire una uniforme applicazione dei nuovi criteri diagnostici e concordare eventuali variazioni dei codici diagnostici con le Istituzioni 

4)                  Oltre il 30% dei pazienti sottoposti alla PCI presenta un incremento delle troponine 3 volte il valore normale, senza una chiara correlazione con la prognosi (13), ed è verosimile che la diagnosi dell’infarto di tipo 4b sarà largamente disattesa (anche per la scarsa abitudine di dosare sistematicamente le troponine in quel contesto)

5)                  Ad ogni singolo paziente dovrà essere dettagliatamente spiegato il suo/a status clinico, per evitare ricadute psicologiche derivanti da una mancata comprensione del significato di una determinata diagnosi

6)                  Lo stesso dovrà essere fatto a livello dei datori di lavoro, assicurazioni ed enti che rilasciano le patenti di guida

7)                  Questo lavoro di counselling potrà essere svolto solo dopo aver “metabolizzato” il significato della nuova definizione dell’infarto, ma anche disponendo di risorse adeguate per poterlo svolgere

8)                  La diagnosi di infarto dovrà essere completata con la precisazione riguardo alla presenza o meno del sopraslivellamento del tratto ST, altrimenti non sarà possibile valutare l’implementazione delle Linee Guida nella pratica clinica

  

 

BIBLIOGRAFIA

1)                 Alpert JS et al. On behalf of the Joint ESC/ACC Commitee. Myocardial infarction redefined: a consensus document of The Joint European Society of Cardiology/American College of Cardiology Commitee for the redefinition of myocardial infarction. J Am Coll Cardiol 2000; 36:959-69

2)                 Abildstrom SA et al. Changes in hospitalization rate and mortality after acute myocardial infarction in Denmark after diagnostic criteria and methods changed. Eur Heart J 2005; 26:990-95

3)                 Sanfilippo FM et al. Impact of New Biomarkers of Myocardial Damage on Trends in Myocardial Infarction Hospital Admission Rates from Population-based Administrative Data. American Journal of Epidemiology 2008 168(2):225-233

4)                 Roger VL et al. Redefinition of Myocardial Infarction. Prospective Evaluation in the Community. Circulation. 2006;114:790-797

5)                 Brocco S. et al. Effect of the new diagnostic criteria for ST-elevation and non-ST-elevation acute myocardial infarction on 4-year hospitalization: an analysis of hospital discharge records in the Veneto Region. J Cardiovasc Med  2006 Jan;7(1):45-50

6)                 Goodman SG et al. The diagnostic and prognostic impact of the redefinition of acute myocardial infarction: lessons from the Global Registry of Acute Coronary Events (GRACE). Am Heart J. 2006 Mar;151(3):654-60

7)                 Montalescot G. et al. STEMI and NSTEMI: are they so different? 1 year outcomes in acute myocardial infarction as defined by the ESC/ACC definition (the OPERA registry). Eur Heart J 2007; 28: 14119-17

8)                 Das R et al. The British Cardiac Society Working Group definition of myocardial infarction: implications for practice. Heart 2006;92:21–26.

9)                 Steg PG et al. Baseline characteristics, management practices, and in-hospital outcomes of patients hospitalized with acute coronary syndromes in the Global Registry of Acute Coronary Events (GRACE). Am J Cardiol. 2002 Aug 15;90(4):358-63

10)             Goldberg RJ et al. Six-month outcomes in a multinational registry of patients hospitalized with an acute coronary syndrome (the Global Registry of Acute Coronary Events [GRACE]). Am J Cardiol. 2004 Feb 1;93(3):288-93

11)             Eggers KM et al. Prevalence and pathophysiological mechanisms of elevated cardiac troponin I levels in a population-based sample of elderly subjects. European Heart Journal Advance Access published July 7, 2008

12)             Thygessen K et al. Universal definition of myocardial infarction. Circulation 2007;116: 2634-53

13)             Cavallini C et al. Impact of the elevation of biochemical markers of myocardial damage on long-term mortality after percutaneous coronary intervention: results of the CK-MB and PCI study. European Heart Journal (2005) 26, 1494–1498