UTILITA’ E LIMITI DELLA TERAPIA MEDICA E DEL DEFIBRILLATORE IMPIANTABILE NELLA PREVENZIONE DELLA MORTE IMPROVVISA

 

F. Mascia, G. Mascia, M. Viscusi

U.O.C. Cardiologia UTIC e U.O.C. Elettrostimolazione ed Elettrofisiologia

A.O.R.N. “S. Anna” e “San Sebastiano” – Caserta

 

Introduzione

La morte improvvisa viene definita come una morte naturale preceduta da repentina perdita di coscienza che si verifica entro un’ora dall’inizio dei sintomi in soggetti con e senza cardiopatia nota preesistente ma in cui l’epoca  e le modalità di morte sono imprevedibili. 1.

Nella popolazione generale la sua incidenza varia tra lo 0,4 e l’ 1,3 % di  nuovi casi x 1000 persone /anno 2,3.

Essa è generalemnet causata da un arresto cardiaco conseguente a tachicardia ventricolare sostenuta o F.V 4.

Nell’ambito della patologia cardiovascolare la malattia coronarica rappresenta la causa più frequente ( 70-80 % dei casi), seguono poi la cardiomiopatia disattiva , la cardiomiopatia ipertrofica  e le malattie aritmogene ereditarie 5.

Una buona stratificazione del rischio aritmico costituisce un lemento portante dell’intervento terapeutico di prevenzione secondaria e primaria nella cardiopatia ischemica, nel correo uso dei farmaci quali i betabloccanti, l’amiodarone, gli ace-inibitori, le statine, gli acidi grassi poliinsaturi e nell’uso appropriato del Defibrillatore Impiantabile (ICD).

Attualmente una stratificazione prognostica del rischio aritmico comprende:

-          il calcolo della Frazione di eiezione (f.e.) all’ecocardiogramma,

-          l’ECG Dinamico

-          lo studio die potenziali tardivi ventricolari

-          la variabilità della frequenza cardaica,

-          l’alternanza dell’onda T

-          la stimolazione ventricolare programmata con lo studio elettrofisiologico (SEF).

Recenti studi hanno fornito nuove informazioni nel campo della stratificazione prognostica. Questi studi hanno dimostrato che alcuni parametri bioumorali, quali la Proteina C reattiva specifica (PCR S) e il peptide natriuretico di tipo B (BNP) rappresentano utili mezzi per identificare sottogruppi di soggetti a maggior rischio di morte improvvisa. (6,7).

 

Prevenzione  secondaria della morte improvvisa nella cardiopatia ischemica

Utilità e limiti della terapia medica e con ICD emergono dall’analisi degli studi prospettici e randomizzari iniziati nella seconda metà degli anni 90 e precisamente con  l’AVID che ha analizzato il maggior numero di pazienti. (8)

Sono stati arruolati in questo studio pazienti sopravvissuti ad arresto cardiaco con FE < al 40% confrontando la migliore terapia medica (amiodarone o sotololo) con l’ICD in termini di riduzione di mortalità totale.

Sono stati randomizzati 1016 pz e la mortalità per tutte le cause è stata del 22% nel gruppo trattato farmacologicamente contro il 15% del gruppo trattato con ICD.

Altro studio importante è stato il CIDS con 331 pz trattati con amiodarone e 328 con ICD. Il follow-up è stato di 3 anni con mortalità totale del 30% nel 1° gruppo e 25% in quello in cui è stato impiantato l’ICD. 9

Il CASH ha confrontato la somministrazione empirica della terapia antiaritmica (metoprololo, propafenone ed amiodarone nei confronti dell’ICD) sempre in pazienti sopravvissuti ad arresto cardiaco. Il braccio con il propafenone è stato precocemente sospeso per un incremento della mortalità in confronto con il gruppo trattato con ICD che ha presentato anche una riduzione significativa della morte improvvisa in confronto ai bracci combinati amiodarone e metoprololo. 10

Alla luce pertanto di questi studi, in prevenzione secondaria, l’implantologia dell’ICD è fortemente raccomandata dalle linee guida America Heart Association (AHA), American College of Cardiology (ACC), Società Europea di Cardiologia (ESC) e Associazione Italiana di Aritmologia e Cardiostimolazione (AIAC), limitando l’uso dei farmaci ad una funzione integrativa o associativa.

Tale implantologia non può essere contestata o limitata per problemi economici essendo ormai dimostrata la superiorità del trattamento con ICD rispetto alla terapia medica attualmente disponibile.

Prevenzione primaria della morte improvvisa nella cardiopatia ischemica

Dalla fine degli anni 80 e negli anni 90 numerosi studi clinici hanno evidenziato una buona efficacia dell’amiodarone talvolta associato ai B Bloccanti nella prevenzione primaria dell’arresto tachiaritmico anche in pazienti con grave insufficienza cardiaca.

Nello studio Emiat con follow-up a 2 anni in pazienti con IM e FEVS ≤ 30% l’incidenza di morte improvvisa e/o arresto cardiaco è stato dell’8% nei pazienti trattati con amiodarone versus il 12% dei non trattati. 11

Nella metanalisi di Stanford, sempre in pazienti con IMA e bassa FEVS, ad 1 anno il trattamento con amiodarone ha ridotto in modo significativo sia la mortalità totale che quella improvvisa. 12 L’associazione B Bloccanti + Amiodarone nello studio CAMIAT ha ridotto anch’essa in modo significativo il rischio di morte cardiaca e/o arresto cardiaco. 13

L’uso degli ICD ha sicuramente limitato la sperimentazione clinica farmacologia. Tuttavia nuove vie si stanno aprendo con la sperimentazione di farmaci che agiscono sui canali ionici. Rimangono tuttavia altri farmaci o terapie che agiscono più strutturalmente sul substrato e sul rimodellamento ventricolare (B Bloccanti e resincronizzazione ventricolare).

Anche l’uso dei grassi polinsaturi omega 3 e statine come nel GISSI HF potrebbero dare risposte interessanti nella prevenzione primaria della MI modificando l’assetto della membrana e del metabolismo del cardiomiocita.

Comunque allo stato attuale una accettabile soluzione per la prevenzione primaria della morte improvvisa può essere l’uso dell’amiodarone soprattutto quando somministrato in associazione ai B Bloccanti e riservato a pazienti selezionati.

Nell’ultimo decennio numerosi altri studi hanno dimostrato che l’ICD è in grado di ridurre sia la mortalità totale che la morte improvvisa rispetto ai farmaci anche in prevenzione primaria e più recentemente tre ampi studi hanno dimostrato l’efficacia dell’ICD anche in pazienti selezionati solo sulla presenza di grave compromissione della funzione ventricolare sinistra (MADIT II – SCDHeFT - COMPANION). 14 15 16

Studi prioritari e fondamentali sono stati il MADIT I ed il MUST che hanno valutato l’ipotesi che un impianto di ICD è in grado di ridurre la mortalità totale rispetto alla terapia convenzionale SEF guidata con riduzione significativa della mortalità nel gruppo trattato con ICD.

Dalla metanalisi di Artur Moss che ha analizzato i sette trials di prevenzione primaria (6093 pz) in due anni di follow-up la mortalità si è ridotta dal 17,3% nel gruppo non trattato al 14,3% nel gruppo trattato con ICD. 17

Un importante contributo è stato dato anche dallo studio CABG che ha valutato l’uso profilattico dell‘ ICD nei pazienti ad alto rischio per aritmie ventricolari dopo trattamento chirurgico con by-pass arteriosi.

Tale studio ha evidenziato uguale sopravvivenza a medio termine tra portatori e non portatori di ICD. 18

Anche nello studio AMIORVIRT non sono emerse differenze significative sulla mortalità totale nei pazienti affetti da cardiomiopatia dilatativa non ischemica trattati con amiodarone versus ICD. 19

L’orientamento delle attuali linee guida internazionali è di porre indicazioni all’impianto di ICD nei pazienti con FE < al 30% dopo 40 giorni dall’IMA acuto con classe raccomandazione I e livello di evidenza A (ACC e AHA) e di considerare ragionevole l’impianto anche nei pazienti con FE compresa tra il 31 e 36% con classe di raccomandazione I livello di evidenza A (ESC) e classe di raccomandazione II livello di evidenza B (ACC-AHA e AIAC).

Queste indicazioni pur rappresentando una soluzione accettabile dal punto di vista medico legale hanno però ampliato l’indicazione clinica ed hanno aperto problemi etici ed economici.

Indicazioni cliniche e problemi etici

Le pubblicazioni di queste linee guida ha di fatto ridimensionato l’uso dei mezzi strumentali di stratificazione invasivi e non invasivi.

Da quanto detto è ormai evidente la constatazione che il numero degli impianti di ICD in prevenzione primaria è aumentato e inevitabilmente aumenterà in maniera esponenziale. Dai dati oggi disponibili in letteratura sappiamo però che con l’implantologia dell’ICD in prevenzione primaria vengano prevenute in due anni 3 morti improvvise su 100 pz trattati per cui 97 non utilizzano l’ICD.

Ma comunque è sempre giusto impiantare un ICD in un paziente con il 30% di FE e no a chi ha il 36%? Sappiamo anche che la FE varia spesso nel tempo e la stessa metodica ecocardiografica che usiamo abitualmente ha limiti di errore o valutazione operatore dipendente del 5%.

L’analisi degli studi SCDHeFT, MADIT II, DEFINITE e COMPANION ha evidenziato complicanze anche gravi all’impianto in percentuale variabile dal 1,3% all’8% (pneumotorace, emotorace, tamponamento) e tardive tra il 4,4% e 9% (infezione della tasca, rottura di catetere) e shock inappropriati vengono erogati nel 9-11% dei casi. 20 21 22

Malfunzione dei generatori e recall sono un altro problema perché sono circa il 3% facendo di ricorrere a sostituzioni il 3% dei pazienti. 23

Pertanto l’impianto dell’ICD non è privo come qualsiasi altra terapia applicata all’uomo di impatto psicologico e complicanze cliniche. La presenza di shock inappropriati può condizionare pesantemente la vita del paziente, I rischi e le complicanze sono difficilmente accettabili dai pazienti e soprattutto non prevedibili nei singoli soggetti.

Problemi economici

L’impatto ed il costo economico della terapia con ICD è stato discusso largamente il letteratura. Innumerevoli studi di costo e costo-efficacia sono stati effettuati visto l’alto costo delle protesi e il dilatarsi della spesa per l’implantologia dell’ICD.

L’applicazione in pieno delle linee guida significa un maggior ricorso all’implantologia di ICD e di conseguenza ad un utilizzo di maggiori risorse economiche e professionali da utilizzare in un sistema sanitario come quello italiano in costante deficit e con limitate risorse finanziarie.

In Italia potrebbero necessitare tra 100.000 e 125.000 impianti per anno con una spesa pari al 2% dell’intera spesa sanitaria nazionale. Negli USA si dovrebbero impiantare 500.000 ICD per anno. Questa spesa appare insostenibile per qualsiasi sistema sanitario. 24

Un mezzo utile di riflessione potrebbe essere l’utilizzo del LYS (life years saved) o costo aggiuntivo per anno di vita salvato o del Qualy (quality adjusted life years saved) o costo aggiuntivo per anno di vita salvata vissuta qualitativamente bene.

Un LYS accettabile dovrebbe oscillare tra i 40.000 e 60.000 $, un QALY accettabile tra i 50.000 e 80.000 $. 25 26 Questi sono dati e calcoli statunitensi, in Italia non esistono dati in merito.

Conclusioni

In questo scenario il cardiologo deve contribuire ad individuare percorsi diagnostici ed operativi eticamente e socialmente sostenibili.

Noi sappiamo bene che le analisi costo-efficacia non debbono condizionare le nostre scelte ma possono essere di aiuto nell’allocazione della programmazione delle risorse.

E’ opportuno concludere quindi con alcune indicazioni:

                               - l’impianto di ICD in prevenzione primaria nella cardiomiopatia ischemica potrebbe essere indicato in pazienti con recente infarto miocardio identificati per eventi aritmici maggiori e spontanei e bassa frazione di eiezione.

                               - l’impianto di ICD potrebbe essere evitato in pazienti con cardiomiopatia dilatativa idiopatica la cui FE migliori dopo appropriata terapia con B Bloccanti ed in pazienti con cardiomiopatia ischemica e bassa frazione di eiezione correggibili e migliorabili con angioplastica o chirurgicamente.

 

Questi potrebbero essere non regole ma suggerimenti potenzialmente applicabili tenendo conto dei limiti delle terapie oggi conosciute e dei problemi ed economici.