PROBLEMATICHE PROFESSIONALI

 

CUORE, CAMICI E PIGIAMI

RIFLESSIONI SU CARDIOLOGIA, MEDICI E PAZIENTI

 

Giovanni Gregorio

 

U.O. Utic-Cardiologia Ospedale San Luca Vallo della Lucania

Dipartimento Cardiovascolare ASL SA 3 Vallo della Lucania

 

Il cammino della storia dunque

non è quello  di una palla da bigliardo

che una volta partita segue una certa traiettoria,

ma somiglia al cammino di una nuvola,

a quella di chi va   bighellonando per le strade,

e qui è sviato da un’ombra,

là da un gruppo di persone o da uno strano taglio di facciate,

e giunge   infine in un luogo  che non conosce

e dove non desidera andare

Musil R. 1957

 

“Il Cuore”

Etimologicamente  le parole cuore ed heart derivano dal latino cor e dal ker greco, kear o cardia. Il significato del termine è stato associata a quello della parola cervo,   che nelle lingue indo-europee ed anglosassone,   è indicato con  heort,  che significa “saltare„ giungendo alla  conclusione, che in queste lingue, la parola cuore (heart) significherebbe ciò che è saltatore, quello che salta nel petto. Sin dall’ alba  della  sua esistenza l’umanità ha  guardato al cuore ed alle sue affezioni con grande suggestione ed emozione. La storia dell’umanità  è stata segnata sin dalle  origini  dal fascino esercitato nella mente degli uomini dal cuore, dalla circolazione e dalle  affezioni cardiovascolari. Gli esseri umani hanno ritenuto il cuore da sempre come un organo particolarmente vulnerabile. L' uomo primitivo aveva già una nozione della importanza del cuore come organo vitale. Nei dipinti rupestri di Altamira e El Pindal in Spagna, Lascaux e di Niaux in Francia e di altre grotte risalenti al 25.000 a.c., si sono ritrovati mammut o bisonti con il locus anatomico del cuore  marcato come segno della posizione più vulnerabile dell’ animale. Nella civiltà sumerica, Cinese, indu, egiziana, ebrea, greca e romana il cuore era considerato  come il centro della conoscenza, del valore e dell' amore,  assurgendo a  simbolo delle qualità umane più nobili. Più volte nel corso dei secoli il cuore verrà messo in relazione  con l' amore.  Per le civiltà azteca e maya, il cuore d' un avversario coraggioso era molto ricercato come alimento capace d' aumentare il valore e la forza. Gli egizi,  che conoscevano già le caratteristiche anatomiche del cuore per  la pratica della estrazione delle viscere per la mummificazione, lo consideravano come l' organo centrale dell' essere umano dove si situavano il pensiero e il sentimento: secondo loro, il cuore era capace di conservare tutti i fatti, buoni e cattivi, che nel corso della vita, una persona può accumulare. Alla morte, quest'organo era pesato in una bilancia contro una piuma. Se era più leggero, il suo proprietario guadagnava la felicità eterna.    Il papiro  Ebers, datato 1550 a.C., è il manoscritto di medicina più ampio dell’antico Egitto, composto da oltre 100 strati di papiro, in discreto stato di conservazione: tra le descrizioni di diverse malattie e prescrizioni, vi si trova una ampia parte dedicata alle malattie del cuore, dove si citano già gli estratti di digitale e si sottolinea  la  relazione tra il dolore nel petto e nelle braccia  con la morte cardiaca. Il papiro di Smiths (1.550 a.C)  dimostra che gli egiziani conoscevano la relazione esistente tra il cuore e il polso. Con Ippocrate (460-332 a.C), considerato il padre della medicina, inizia il periodo della medicina razionale empirica: egli introdusse il concetto innovativo che la malattia e la salute di una persona dipendono da specifiche circostanze umane  e non da superiori interventi divini. Acquisì grande fama nell'antichità debellando la grande peste di Atene del 429 a.C.. Ippocrate inventò la cartella clinica e teorizzò la necessità di osservare razionalmente i pazienti prendendone in considerazione l'aspetto ed i sintomi; introdusse, per la prima volta, i concetti di diagnosi e prognosi. La sua fama è dovuta anche, e forse soprattutto, alla sua attività di maestro; fondò una vera e propria scuola medica e regolò in maniera precisa le norme di comportamento del medico, raccolte nel suo famoso giuramento in cui, tra l'altro, si introduce il concetto di segreto professionale. Le sue opere, una settantina, sono raccolte nel Corpus Hippocraticum; sostenne la teoria umorale, secondo la quale il nostro corpo è governato da quattro umori diversi (sangue, bile gialla, bile nera, flegma), che combinandosi in differenti maniere conducono alla salute od alla malattia. A lui si deve l'importanza del concetto di dieta e alimentazione all'interno della dottrina degli umori; la coniugazione di medicina e chirurgia (allo stato di pratica di purghe e salassi). A Velia, colonia fondata nel 540 a.C. dai Focei, esuli da Alalia,   fiori unitamente alla celebre  Scuola Filosofica un Collegio medico ed una Scuola di medicina. Parmenide, l’esponente più illustre, fu più di un semplice medico, fu un Ouliades Phusicòs, un fisico medico,  autentico Pholarcos  del Collegio, che all’esperienza del curare  univa una solida preparazione scientifico-filosofica. L’ esperienza della scuola medica eleatica influenzò senz’altro la celebre Scuola Medica Salernitana, alla quale si uniformeranno i vari Colleges e Seminari che sorsero in Europa. La più rivoluzionaria innovazione introdotta dai medici salernitani fu quella  di non arrendersi passivamente all’ evento morboso ma di porre in primo piano, insieme alla cura, la possibilità di prevenire l’insorgenza della malattia. Dall'ordinamento della Scuola salernitana le diverse Facoltà mediche europee trassero l'insegnamento propedeutíco della filosofia, la più importante cattedra dello Studio salernitano, che chiamò dottor fisici,(physician, tuttora, il medico inglese), e cioè naturalisti, i suoi laureati, Philosophorum et Medicorum Collegium il ristretto cenacolo dei suoi sapienti Maestri. Galeno (129-201 d.C.), nato a Pérgamo e  vissuto a Roma nel secolo II, è un altro delle grandi figure della Storia della medicina. Ha integrato i migliori contributi dei predecessori , sintetizzando i lavori medici di Ippocrate, la biologia d' Aristotele e la filosofia di Platone. Ha proposto una teoria sulla fisiologia del movimento del sangue, descrivendo che il sangue circolava nelle arterie, distinguendo, inoltre, il sangue venoso da quello arterioso. Dopo la sua morte, le ricerche si sono fermate nella convinzione che tutto fosse già scoperto. I suoi testi sono stati copiati e tradotti migliaia di volte, ed i contributi di Galeno sono stati considerati come verità assoluta per oltre mille anni in occidente. Seneca, in epoca romana, nelle sue lettere, fornisce una realistica descrizione dell’ Angina pectoris. Avicenna (980-1037 d.C.) medico persiano, sostiene che il cuore ha la sua forza propria come fonte del sistema arterioso, teoria che è in seguito stata punto di partenza per le ricerche di Harvey. Leonardo da Vinci (1452-1519), artista brillante ma fisiologo ed anatomico, ha anche studiato ed ha illustrato precisamente il cuore con le sue valvole, cavità ed arterie coronarie.  Vesalio (1514-1564) è il fondatore dell' anatomia descrittiva. Hales (1677-1761), pioniere nello studio della pressione arteriosa, è il primo a misurarla cruentamente in un animale per mezzo d' un manometro collegato ad una cannula inserita nell' arteria d' un cavallo. Vieussens (1641-1716), Morgagni (1681-1771), Heberden (1710-1801) con la sua nota descrizione  dell’ angina di petto (1768). Nel secolo XIX, Stokes (1804-1878), Chayne (1777-1836), Corrigan (1802-1880), Adams (1791-1875), Latham (1789-1875), Virchow (1821-1902), Osler (1849-1919) contribuiscono in maniera determinate allo sviluppo  della conoscenza del cuore e della circolazione. Su tutti giganteggia  William Harvey (1578-1657), che in “De Motus Cordis”, pubblicato nel 1628, sviluppa la sua teoria rivoluzionaria della circolazione sanguigna, identificando il cuore come organo motore da cui trae origine il polso arterioso. La teoria di Harvey demolisce le basi teoriche della medicina di Galeno. Una ulteriore conferma della intuizione di Harvey la si ha nel 1661, con la dimostrazione al microscopio della esistenza dei capillari polmonari che collegano le arterie e vene, effettuata da Marcello Malpighi (1628-1694).  L' altra figura realmente emblematica della cardiologia è stata René Laennec (1781-1826) che nel 1819 pubblica il suo libro famoso “L' Auscultation mediata” .  L' esame dei pazienti fino ad allora si basava sulla  ispezione e  la palpazione, alle quali si era unita nel 1761 la percussione, descritta dal medico viennese Auenbrugger. Relegata nel dimenticatoio viene riproposta nel 1808 da Corvisart e dalla sua Scuola. Suoi discepoli sono infatti Bayle, - che introduce l' auscultazione diretta come metodo di esplorazione  fisica -  e Laennec, che nel 1819 inventa lo stetoscopio dando allo studio delle malattie polmonari e cardiache uno slancio senza precedenti.

Il percorso si completa poi con la  misurazione indiretta della pressione per la  invenzione dello sfigmomanometro da parte dell’italiano Scipione Riva Rocci (1896) ed alla scoperta ed all’impiego dei toni di Korotokoff (1905).

Occorre giungere all’alba del ‘900 perché il primo elettrocardiogramma venisse registrato nell’uomo. La strumentale, sia pure in forma elementare,  fa il suo ingresso nello studio dell’apparato cardiovascolare e pone  le premesse  per un dibattito che  si svilupperà nel corso degli anni e che caratterizzerà sempre più la vita di cardiologi e pazienti: il rapporto tra tecnologia e clinica. Tale apparente contrapposizione trova  un presupposto  nella affermazione di Wilson che, riguardo all’utilità dell’elettrocardiogramma nella diagnosi di infarto miocardio, nel 1933 affermava: “In linea di massima, abbiamo rilevato che l’ECG è molto più utile  dell’esame obiettivo  ai fini  della diagnosi  di occlusione coronarica , ma è meno utile  dell’anamnesi.”

La invenzione  dell’elettrocardiografo fa guadagnare  nel 1924 il Premio Nobel per la medicina a Willem Einthoven. Si apriva così la grande stagione della  esplorazione cardiovascolare. Di li a qualche anno, nel 1929, Forsman cercando  un “approccio più sicuro alla somministrazione intracardiaca di farmaci “ inseri  un catetere nella sua vena basilica  e l’avanzò fino all’atrio destro. Nel  1942 Cournard e Richards misero a punto il catetere  cardiaco, usandolo per la prima volta  come mezzo diagnostico. Per tali sperimentazioni, Werner Forsman, Andrè   Cournard e Dickinson Richards ricevono nel 1956 premio Nobel  per la Medicina  “ per le loro scoperte concernenti  il cateterismo cardiaco e le modificazioni patologiche del sistema circolatorio”

Incominciava a delinearsi più chiaramente la possibilità di un approccio invasivo per la esplorazione del cuore e delle sue affezioni.

Nel 1952 Zoll  effettuava la prima stimolazione  transcutanea in un paziente con BAV totale e l’ 8 ottobre 1958 Senning e Elmquist impiantavano i primo pace maker: era un piccolo generatore, alimentato dall’esterno,  collegato al cuore per via toracotomia  mediante elettrodi epimiocardici a disco.

Nel 1964  Charles Dotter, Melvin Judkins iniziarono le prime esperienze di angioplastica transluminale  periferica.

Nel 1974 Gruentzing  modifica il catetere e nel 1976 esegue la prima angioplastica coronarica.

Che la corrente elettrica potesse   avere degli effetti  dannosi  sull’organismo umano è stato chiaro sin dalla sua  scoperta stimolando  la ricerca  sui meccanismi e il trattamento degli incidenti elettrici. La prima defibrillazione elettrica sull’uomo fu effettuata  nel 1947 da Claude Beck in sala operatoria.

Zoll  introdusse nel 1956  la defibrillazione transtoracica con corrente alternata  e nel 1962 Bernard Lown  praticò la defibrillazione  con corrente diretta. Dopo   due lustri di ricerca nel 1980  Mirowsky impiantò  per la prima volta un defibrillatore in un uomo  al Johns Hopkins University Medical Center.

Egli affermava che il dispositivo “ è stato ideato  per proteggere i pazienti a rischio  particolarmente elevato  di morte cardiaca improvvisa in qualsiasi posto e in qualsiasi  momento la loro vita venga messa a repentaglio da queste aritmie mortali…Il solo  compito  di questi strumenti  è quello di effettuare  una defibrillazione in automatico prima che il paziente , colpito da un’aritmia letale, sia raggiunto  da una équipe  di personale medico specializzato.”

Dagli anni 50 dunque un’autentica rivoluzione investe, la società, la medicina e la cardiologia.

Il grande sviluppo della tecnologia consegna alla fine del secolo una cardiologia nella quale la risposta alla patologia cardiovascolare da  pochi e rudimentali strumenti si avvale  di mezzi sempre più complessi e sofisticata. L’Unità Coronaria da luogo del  monitoraggio  elettrocardiografico diventa il pilastro della terapia di riperfusione e della terapia di ricanalizzazione. I traguardi raggiunti dalla cardiochirurgia, dalla cardiologia interventistica e della aritmologia interventistica  permettono la diffusione capillare di trattamenti che consentono a sempre un maggior numero di pazienti di essere trattati e recuperati alla vita attiva. Si fa sempre più strada il concetto della tempestività dell’intervento  che va di apri passo con la educazione sanitaria della popolazione. “Il tempo è muscolo” diventa la sintesi della importanza che assume il trattamento precoce  del paziente colpito da infarto miocardio acuto. E che tale traguardo non sia facilmente raggiungibile è dimostrato dalla quota di pazienti cha  alle soglie del terzo millennio continua ad arrivare in ritardo in Unità Coronarica. Esemplificativo a tale  riguardo è la descrizione che un uomo di cultura come  Luigi Barzini junior descrive il suo attacco di cuore sul finire negli anni 60. “ Mi  sentivo gradatamente  invadere da uno strano malessere…Era un indolenzimento sordo delle  costole…Si spinse , dal petto, alla ascella, poi lungo il braccio, fino al polso …Poi…si spinse anche verso il collo, richiudendolo in una soffice  stretta dolorante, e infine più in su, fino ai denti che cominciarono tutti a farmi male contemporaneamente, senza una ragione…a questo punto , cominciavo a capire di che probabilmente si trattava.…salii  lentamente le scale, pensando. Mia moglie accorse quasi subito… Si  diede da fare, impartì ordini, fece molte  telefonate, cercò un cardiologo. Lo trovò. Sarebbe venuto appena possibile, disse. Nell’attesa , come se fossi stato veramente colpito da una sciocca indisposizione mi chiese : ”Ti faccio una camomilla?” E sia, risposi, grazie, vada per la camomilla…

Poi, mentre l’aspettavo , mi venne in Mente  che quasi tutti gli amici  erano Morti mentre di là, in cucina, qualcuno, la moglie , gli stava preparando un decotto  di camomilla. Forse avevo commesso un’imprudenza, accettando.” 

Alla fine degli anni ’90 l’esplorazione ed il trattamento delle affezioni del Cuore ha raggiunto traguardi insperati: passi giganteschi sono stati compiuti non solo in campo cardiologico – con la esplosione dell’aritmologia e cardiologia interventistica – ma anche in quello cardiochirurgico. Dalla chirurgia coronarica, a quella valvolare, alla chirurgia dell’aorta e delle cardiopatie congenite, al trapianto cardiaco, al trattamento mininvasivo ed endovascolare nuovi e affascinanti traguardi segnano l’alba del III millennio.  

 

“I Camici”

Lo status del medico  si è intrecciato per lungo tempo con quello della superstizione , delle leggende e della ciarlatanería. Come argutamente ha sottolineato sin dal 1929 Fielding Garrison   “La medicina non può essere considerata medicina fino a quando essa  non è stata dissociata della magia e della religione”.  Il modo di essere del medico ha risentito profondamente dei cambiamenti  della concezione del rapporto medico-paziente intervenuti attraverso gli anni. Già in epoca classica Platone  affermava: “Esistono due specie di medici … il medico degli schiavi, che “cura gli schiavi andando in giro … e nessuna ragione  di ciascuna delle malattie dà o ascolta” e “il medico degli uomini liberi, che “invece cura quasi sempre  le malattie dei liberi  e le studia, le tiene fin da principio sotto osservazione, come vuole la natura, dando informazioni allo stesso ammalato  e agli amici, e insieme egli impara qualcosa dagli ammalati e, per quanto è possibile, ammaestra l’ammalato stesso.” 

Il binomio camice-pigiama / medico-paziente ha subito un radicale mutamento in ragione della rapidità delle conoscenze e soprattutto dalla esplosione della tecnologia. Come sottolinea Kary Mulin “E qui c’è dietro una storia importante. La storia  di come  dopo le guerre mondiali la nostra cultura , in tutto il mondo, abbia cominciato ad accettare il concetto che la realtà non è quella che vediamo con i nostri occhi, ma qualcosa  che può essere percepito solo dagli specialisti con macchinari speciali e lenti potenti.”

Parimenti si è fatto strada il prototipo  di medico dominato dal perfezionismo tecnico e dalla ricerca del guadagno a tutti costi. Come argutamente sottolinea James B Wingaarden “ Molti giovani medici che in passato erano disponibili a rinviare le gratificazioni economiche e scegliere di dedicare alcuni anni della loro curiosità alla ricerca, oggi sono afflitti dalla Sindrome del giovane medico che viaggia in Porche…  Ci può essere un fondo di verità nell’affermare che questa generazione di medici, la prima a non essere attirata dall’Idealismo scientifico degli anni della ricostruzione, può avere preferito spostare l’attenzione al campo molto più redditizio della pratica strumentale, sfruttando le abilità  tecniche appena acquisite nell’endoscopia o nel cateterismo cardiaco piuttosto che essere attratti dall’entusiasmo per la ricerca di laboratorio. C’è però una ragione importante per cui i giovani abbandonano la ricerca: la rivoluzione della scienza clinica si è esaurita.”

 Si è andato affermando un modello professionale caratterizzato da quella che è stata  definita la Eutanasia della cardiologia clinica, dominata dalla Apologia della Macchina e dal Feticismo della lesione che ha finito con l’affermarsi di agire medico contraddistinto dalla Solitudine della procedura in assenza di dialogo e condivisione dei problemi.

 Il Sistema Sanitario Italiano ha attraversato nell’ultimo scorcio del secolo scorso una autentica rivoluzione  culturale  dovuta  alla transizione   da una condizione centrata sui bisogni sanitari ad una situazione dominata dalla  esasperata proliferazione legislativa, dalla contestuale e costante non osservanza delle leggi, dalla introduzione di strutture di tipo aziendalistico in sanità governate  con una logica di  colonizzazione clientelare, dalla comparsa di  manager della sanità nella maggior parte dei casi improvvisati, da una  strategica marginalizzazzione dei medici e delle altre professionalità  sanitarie, dal reclutamento della Dirigenza  fondata più sulle tessere di partito che sulle competenze, dalla sistematica  e colpevole ignoranza  degli obbiettivi di salute della popolazione. La mancanza di una seria programmazione ha di fatto determinato il progressivo invecchiamento della classe medico impedendo di fatto un ricambio generazionale.  

Come argutamente notava, sin dal 1993  Di Michele, “ La politica ha prestato alla sanità i suoi uomini, il simbolismo  della sua parola – nella versione più fatua, quella caratterizzata da logorrea e vacuità – e, purtroppo ,il più importante dei suoi vizi:il clientelismo.”  Di fatto si è realizzata, nella stragrande maggioranza dei casi, una situazione nella quale  gli aspetti politici ed economici prevalgono nettamente su quelli professionali e sanitari. La stessa malattia, approssimazione e dilettantismo, ha finito per  contagiare Sanità e Politica .

La cronaca recente e passata ha  mostrato  come di fronte  a fatti di grande  gravità a pagare è sempre il terminale più debole, di solito  medici ed operatori sanitari, mentre  proconsoli (Direttori generali), consoli (Assessori Regionali), governatori (Presidenti di Regione),   Vicerè (Ministri) e monarca (Premier) continuano  a rimanere al loro posto. Il risultato di tale situazione  è sotto gli occhi di  tutti: è il costante, cinico e teorizzato saccheggio della cosa pubblica. Come acutamente ha sottolineato Francesco Greco: “Nella prima repubblica c’erano i pirati, nella seconda ci sono i corsari. Qual è la differenza? I Corsari hanno la patente  di corsa: se tu fai un servizio per la regina  il Bottino te lo puoi tenere. Insomma  quello che oggi  conta è lo scambio politico…Il Manager fa un favore ai partiti, ma ha la facoltà di tenere il bottino, salvo piccole royalty.” E la Sanità è stato il campo senz’altro, salvo poche eccezioni, più ampiamente solcato.

Questo contesto rende  conto della progressiva  disassuefazione  e della pericolosa perdita di entusiasmo e di attaccamento al lavoro da parte  di medici e di operatori sanitari sempre più ignorati nelle scelte di governo della sanità.  In molti ospedali il clima che si respira è  simile a quello tipico dei paesi dell’Est, prima della caduta del muro di Berlino, sintetizzata in questa testimonianza di un operaio di Berlino, riportata da Charles Handy  “Per noi  il lavoro  era un luogo dove andare, non qualcosa da fare. Non sempre eravamo nella condizione di lavorare al meglio, perché capitava che mancassero i pezzi o gli attrezzi necessari. In ogni caso, i clienti erano abituati ad aspettare e noi eravamo pagati comunque, che lavorassimo o no”.

In quanti ospedali la carenza di personale, le deficienze strutturali, la obsolescenza delle attrezzature, la incapacità dei manager, la assenza  di programmazione e di visione strategica  fa si che le risposte ai bisogni del paziente siano approssimate  ed inappropriate, affidate come sono alla buona volontà ed alla passione  di medici ed infermieri. La presenza di professionisti ed operatori  motivati è la chiave di qualsiasi progresso in Sanità  perché come è stato  giustamente sottolineato “Potete  comprare il tempo di un uomo; potete comprare la sua presenza in un determinato luogo; potete persino comperare un certo numero di prestazioni lavorative, da svolgere ad un ritmo prestabilito. Non potete però comperare l’entusiasmo. Non potete  comperare l’iniziativa né la fedeltà, e neppure la devozione del cuore, della mente e dell’anima dell’uomo. Perché sono cose che vi dovete guadagnare.” E raramente i responsabili del governo della Sanità  si mettono in tale condizione e quando ciò accade acquista il valore di un autentico miracolo. Le vicende  della cronaca  recente hanno evidenziato  che anche in presenza di grandi  disastri sanitari la responsabilità non è mai di chi  ha guidato il sistema  ma di chi in quel sistema  è stato costretto ad operare  la cui colpa più grande è stata, nella maggioranza dei casi, quella di aver con passione ed entusiasmo  cercato di dare una risposta ai problemi del paziente.

 

“I Pigiami”

Il fascino esercitato dal cuore sulla mente dell’uomo ha avuto e continua ad avere importanti ripercussioni sul rapporto tra pazienti  e medici nell’ approccio alle malattie cardiovascolari.

La evoluzione della concezione del rapporto medico-paziente  che si è  radicalmente trasformato nel corso del tempo si intreccia  con la presa di coscienza dell’importanza del Consenso Informato del paziente alle attività di diagnosi e cura.

Fino alla metà del XX secolo il rapporto medico-malato è stato caratterizzato dalla predominanza  del ruolo del medico, dalla asimmetria del rapporto e  dalla unilateralità delle decisioni  terapeutiche nella convinzione   che solo il medico era il depositario della conoscenza  e che ciò fosse sufficiente  a garantire  che le scelte operate  dal sanitario   fosse la soluzione migliore per i problemi del paziente affidatogli.   Nella seconda metà del secolo scorso lo scenario è andato via via mutando: il punto centrale della problematica si è spostato  dalla stabilire quali fossero le decisioni da prendere o su quali princìpi queste dovessero essere prese a chi aveva il diritto di prenderle. Si  fa strada la convinzione  che  nel comportamento tradizionale dei medici dovesse  vedersi una violazione dell'autonomia del malato  e qualunque pratica clinica che non riservasse al paziente la decisione finale dovesse essere ritenuta non corretta. Si passa dal concetto di paziente a quello di  persona e di cittadino al quale è riconosciuta la piena autonomia delle scelte e dei percorsi assistenziali.  Dal  modello di rapporto medico-paziente di tipo paternalistico configurante  un rapporto gerarchico in virtù del quale  è  il medico, che sulla base delle sue conoscenze, stabilisce il percorso  più adatto per risolvere i problemi del paziente si passa al  modello informativo,che riconosce al paziente l’ autonomia nello stabilire che cosa si debba fare mentre il medico  ha solo il compito di informare il paziente  sulle sue condizioni e sulle conseguenze delle scelte che egli potrà fare ed al modello  interpretativo riconosce al medico il compito di informare il malato sulla sua condizione e di  aiutarlo ad analizzare ed interpretare i propri valori e a scegliere i mezzi che realizzano meglio quei valori sino all’affermarsi del modello deliberativo secondo il quale il medico aiuta il paziente ad individuare quei valori strettamente correlati con il bene della salute, che, nella specificità del contesto in cui si trova, vengono messi in gioco nei vari percorsi diagnostico-terapeutici con  lo scopo di definire autonomamente le diverse opzioni possibili. Tutto ciò trova il suo corrispettivo  in una serie di fonti giuridiche  nazionali, a partire dalla Carta Costituzionale alla legge 8833 del 1978 al Codice di Deontologia Medica e internazionali, come la Convezione  europea di Bioetica  sottoscritta ad Oviedo nel 1997 e ratificata dall’Italia  con l. 2001 n. 145.   

L’evoluzione dello status di paziente  è il risultato dei profondi mutamenti intercorsi nel panorama  scientifico, culturale, tecnologico e sociale.

Il secondo dopoguerra  ha rappresentato, socialmente, culturalmente e scientificamente una svolta epocale  nello sviluppo.

La  transizione epidemiologica da un panorama dominato dalle malattie infettive ad uno, caratterizzato dalla patologia degenerativa, cardiovascolare e neoplastica si accompagna alla transizione  sociale, da una realtà contadina ad una industriale, e ad una transizione  culturale, da una medicina  con conoscenze limitate ad una dominata dalla tecnologia e dalla esplosione delle conoscenze.

La emigrazione, il contatto con altri paesi, l’alfabetizzazione della popolazione, la industrializzazione del paese danno il senso di questi mutamenti.

La società italiana degli anni ’50 risalta fedelmente dalla ricerca compiuta nel 1954 da un gruppo di ricercatori del Ministero della Sanità a Rofrano,  centro rurale della dorsale appenninica  del Cilento dove Cresta e coll., sottoposero la popolazione ad una indagine sanitaria ed epidemiologica nell’intento di verificare di come le condizioni di vita, abitative, alimentari e lavorative potessero influenzare lo stato di salute di una popolazione.

Il quadro che emerge da questa ricerca  è  quello di una popolazione  caratterizzata per lo più  da basso reddito, con grandi strati di essa non coperta da protezione sanitaria, da malati  in giovane età con affezioni ad etiologia per lo più infettiva, da una tendenza a risolvere  l’episodio di malattia in uno spazio ristretto con  raro ricorso al medico in un mondo sanitario fatto da pochi medici, con limitate conoscenze, con scarso spazio  per le specializzazioni, con una realtà ospedaliera povera e con un patrimonio culturale  dominato dalla concezione deterministica della malattia  in base al quale l’evento morboso è sempre riconducibile  ad una causa – generalmente infettiva – identificabile e direttamente responsabile  del danno  per cui  la eliminazione  dell’agente patogeno determina  la vittoria sulla malattia.

In tale contesto la malattia era vissuta in termini fatalistici tra povertà della popolazione e lo scarso sviluppo dei servizi sanitari.

Cosi M. Cresta  riporta il racconto fatto dal padre della morte di un bambino ai principi del 900 a Rofrano “Mio figlio  si ammalò  e mori a sei anni perché gli uscirono  i vermi  perfino dal naso; noi non sapevamo cosa fare. Allora non c’erano medici. Lui diceva che gli faceva male la pancia e cosi gli davamo la camomilla”..

Che poi  non è molto lontano di come R. Scotellaro dipinge la condizione sanitaria  nella Lucania degli ani 50. Cosi viene riportato il racconto del contadino che descrive la sua malattia e le cure praticate. “Una mattina mi alzai e andai nella stalla, mi alzai così bello… ma vado per prendere la striglia per strigliare la mula… mi si spezzarono le braccia, mi vennero dolori al petto, ma dolori forti. Mia moglie – 1946 – si recò subito da Antonio ‘ u petrogliao’ , fattucchiero che è morto, faceva il fornaio…Venne questo , mi passò  le mani sul petto e sulle spalle e verso sera i dolori passarono. Il medico non lo chiamai e il giorno dopo scomparirono i dolori e ripreso ad andare a lavorare. Erano le tre del mattino quando scesi in stalla alle tre e mezzo stavo male  e il fornaio era li vicino perché si alzava presto. Mia moglie sapeva che il petrogliaro era capace di fare queste cose. Io quando lo vidi  dissi:- sarebbe bene che me li facessi passare i dolori – Mi disse che avevano fatto la fattura e che mi doveva far morire o far rimanere storpio” .

E la condizione dello stesso scrittore non fu molto diversa. Così la madre ne racconta  la malattia

.” …. Si senti male…Entra il fratello, la cognata e io che salivo le scale: - che è successo ? – Mi viene da rimettere , ma non ho niente da rovesciare  e non ho preso neanche un caffè .Mi sento stringere la gola. Nicola corse a chiamare il Dottore…Cominciarono a fare punture, ogni due ore. I dottori  stavano sempre vicini e vennero anche gli altri: gli volevano tutti bene…Tutti e tre i dottori lo visitarono e gli trovarono la pressione a 60. Stavano un po’ in pensiero, stettero fino a mezzanotte e gli facevano punture…La pressione del sangue cominciò a mettersi a posto: era arrivata a 110…Poi lo scrittore viene portato a Portici in casa di amici dove si compie il suo destino: “Mentre la padrona della pensione  metteva da mangiare a tavola, si mise la mano alla fronte, prese per mano la signora e cadde a terra…I dottori dopo morto  dissero che  non poteva vivere . Si era otturata la vena principale del cuore”.

Tutto ciò  accadeva mentre incominciava a delinearsi  la grande stagione  della epidemiologia e della prevenzione cardiovascolare.

Erano gli anni in cui l’Italia compiva i primi passi verso la ricostruzione postbellica e si avviava a  subire la metamorfosi da società agricola ad economia prevalentemente rurale, con medicina a tecnologia limitata e con prevalenza di patologia infettiva  a società postindustriale, ad elevata tecnologia con predominanza  epidemiologica delle malattie a genesi multifattoriale quali le patologie neoplastiche e cardiovascolari.

E’ questa l’epoca in cui l’Italia povera e contadina guarda all’America come ad un modello  da imitare e l’immaginario collettivo si identifica in Nando Mericoni, il mitico personaggio frutto della intuizione cinematografica di Vanzina e magistralmente interpretato da Alberto Sordi: l’americano a Roma sogna l’America, i suoi simboli, le sue abitudini di vita, il suo stile alimentare, i suoi modelli comportamentali.

Quasi contemporaneamente un gruppo di americani, medici ed epidemiologi,  stava dando vita  al Seven Countries Study, la prima grande ricerca di prevenzione cardiovascolare.  eseguita appunto in sette paesi (Stati Uniti, Finlandia, Paesi Bassi, Giappone, Serbia e Croazia e Italia). Dal Seven Countries Study, emerge che   più  fattori di rischio (colesterolo, fumo, alta pressione e alimentazione etc.) concorrono a determinare  la malattia  cardiovascolare .

Per certi versi comportandosi come un Nando Mericoni alla rovescia, questi ricercatori restano affascinati dalle abitudini di vita ed alimentari italiane, a tal punto da trasferirsi  in Italia, in un paesino del Cilento, Pioppi,  nella pace di Minneelea, in un luogo a mezza strada tra Salerno, dove fiorì la Scuola Medica Salernitana, ed Elea , dove ebbe sede la Scuola Medica Eleatica. Jeremiah Stamler  così ricorda il suo incontro con l’Italia e il Cilento : “Venni in Italia per la  prima volta  nel 1960 per partecipare a Milano ad un Congresso su Droga ed Ipercolesterolemia organizzato da Garattini e Paoletti. Nel Cilento venni qualche anno e fui catturato dalle Sirene  di  questi posti: mare, natura, amici, serenità.  Il 6 giugno del 1966  fui invitato da Ancel Keys  nella sua casa di Pioppi  per celebrare  gli 80 anni di Paul White , un grande della medicina. Mi innamorai di questa terra

….. Ho il ricordo di un paese  che uscito dalla II guerra mondiale faceva passi da gigante per  entrare a far parte dei  grandi paesi del mondo. Quell’Italia era  un paese nel quale le abitudini di lavoro, di vita e alimentari incominciavano a cambiare, avvicinandosi a quelle degli altri paesi occidentali. L’Italia degli anni 50 e 60 era  un paese  di gente  che svolgeva lavori con notevole attività fisica,  di gente che aveva ancora una dieta mediterranea e che presentava bassi livelli di  rischio cardiovascolare.”

Un  altro dei padri del Seven Country, Ancel Keys,  così descrive i cambiamenti verificatisi nell’ultimo scorcio di secolo in Italia: “Il 10 febbraio 1952 parcheggiammo la nostra macchina davanti all’Hotel Santa Lucia ….Il 4 marzo  quando lasciammo Napoli, eravamo  convinti che la cardiopatia coronarica  era molto rara nella popolazione di Napoli. Scoprimmo che i valori di colesterolo nel Siero erano molto bassi, con una media di 160 mg/dl  e solo raramente così alti come 200.. Oggi (1987)… la dieta media sta diventando più ricca di acidi grassi saturi, sta aumentando il colesterolo e il fumo  sempre più…Non sorprende  che  ci sia un chiaro aumento  della frequenza di infarto miocardio e di morte coronarica.”

Per quelle  coincidenze che  hanno talora segnato la  storia degli uomini in quegli anni in un’ area remota d’ Italia, il Cilento, avveniva qualcosa di importante.

Sono questi gli anni che hanno inizio i grandi mutamenti che trasformeranno radicalmente il mondo e la società italiana. La industrializzazione, la comparsa dei primi elettrodomestici, il boom edilizio e delle nascite, trasformeranno radicalmente la realtà.

Gli anni 60 si ricordano per  i  personaggi ed i momenti  che  li hanno contraddistinti: da Fidel Castro, a Kennedy, a Kruscioff, a Martin Luter King, al mito della dolce vita, alla importazione di modelli e stili di vita americani. Il panorama  è quello di una società in rapida  crescita ed evoluzione. In questo clima di fermento e di vivacità  nasce a Venezia la più grande società scientifica: L’ANMCO. Nel 1969 Armstrong mette piede sulla Luna.

Gli anni 70 si aprono all’insegna del boom economico, finisce il mito di Marilin Monroe compare il flipper.

Gli anni 80 segnano  il momento di Reagan, del Gissi  dei fatti economimici, del compact disk, del telefono cellulare , dei computers e di  Bill Gate. Crolla il muro di Berlino, a Tian amen un ragazzo ferma i carri armati.

Gli anni 90 segnano l’affermazione del mito Ferrari, di Internet, della pecora Dolly, del Genoma e di personaggi come Dubecco e la morte di Diana.

Il 2000  con la esplosione dei grandi conflitti internazionali, della introduzione dell’ euro, e della globalizzazione.

La rapidità dei mutamenti sociali, culturali e scientifici alimenta il dibattito e la ricerca di una organizzazione dei servizi sanitari in grado di coniugare efficacia ed efficienza degli interventi.

Le variazioni del significato del termine salute hanno accompagnato  l’uomo attraverso i  secoli acquistando valenze diverse in  rapporto  allo sviluppo, all’avanzare delle conoscenze, alla disponibilità  di nuove e complesse tecnologie, al tempo ed al luogo considerato.

Si è andato così delineando  ed affermandosi il concetto  di salute come il risultato di numerosi fattori – genetici, individuali, ambientali e sociali -  che interagendo in maniera diversa tra di loro determinavano lo stato di salute dell’individuo.

Parimenti si è  andata facendo strada la convinzione  della differenza tra l’equità dell’accesso ai servizi sanitari  e l’equità della salute, inglobando in tale definizione – come nota Amartya Sen – non solo le cure ma anche fattori come l’accesso  una buona alimentazione , l’epidemiologia sociale, le politiche sanitarie la sicurezza sul lavoro. Di pari passo va la presa di coscienza della importanza che la diffusione della patologia cardiovascolare ha nella società moderna.

Il  nuovo quadro demografico ed epidemiologico delle società occidentali - nelle quali il progressivo invecchiamento della popolazione, i progressi della medicina, la transizione epidemiologica  verso le patologie degenerative -  pone in primo piano  le esigenze di nuovi soggetti, più anziani e  più bisognevoli di attenzione da parte dei sistemi Sanitari, soggetti che sopravvissuti alle malattie rappresentano e rappresenteranno una parte cospicua della società .

L’affermazione di Paul White che “le malattie di cuore prima degli ottanta anni sono la conseguenza di un nostro errore, non il volere di Dio   o della natura “  e la precisazione di  Burchel  secondo cui “ da un punto di vista strettamente biologico il limite di età suddetto (ottantenni) è troppo basso ” andrebbe riscritta nel senso di porsi la risposta all’interrogativo di come , quando  e perché le malattie di cuore  influiscono sulla durata della vita.

Come argutamente ha scritto David T Kelly “Per  la maggior parte di  questo secolo il primo  obiettivo Della medicina  è stato la riduzione  della mortalità. Forse, man mano che ci avviciniamo al prossimo millennio Dovremo concentrarci sulla prevenzione della invalidità e Sul miglioramento  della qualità di vita della nostra popolazione, sempre più anziana.”. 

 

Conclusioni.

Di certo il panorama esaminato ha lati oscuri e chiari.

Per dirla con Parmenide  occorre uscire dalla notte e percorrere i sentieri della luce.

E giunti a quello  che il filosofo eleatico  chiama  triodos, il bivio da cui si diparte la via  dell’alétheia , la verità, che si ottiene  attraverso lavoro, competenza e passione, e la via della Doxa, la strada della apparenze e dell’approssimazione, compiere le scelte più appropriate che non sempre sono le più facili.

 

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