Cuore ed
Insufficienza Cerebrovascolare
G. D’Angelo, A. Carbone, E. Vicinanza, P. Bottiglieri, M. De
Cristofaro, M. Sonderegger, M. Punzi
Dipartimento Cardiovascolare - ASL SA 2
L’ictus rappresenta la terza
causa di morte in Italia dopo le malattie cardiovascolari e le
neoplasie e si avvia ad essere la seconda in rapporto
all’allungamento della vita media: si pensi che l’aspettativa di
vita in Italia è di 78 anni per l’uomo e di 64 anni per le
donne.
L’indice di vecchiaia, cioè il
rapporto tra la popolazione con 65
anni e oltre e quella con meno di 15 anni, è risultato pari al
137,7 per cento nel 2005 con costante aumento rispetto agli anni
precedenti.
Il tasso di prevalenza di ictus
nella popolazione anziana ( età 65-84 anni ) italiana è di
circa il 6.5%, più alto negli uomini che nelle donne ( 7.4%
versus 5.9% ) ; la prevalenza cresce in modo cospicuo
negli ultra ottantacinquenni raggiungendo valori superiori
al 10% con incidenza
tra 20‰ e 35‰ circa, alta
preponderanza di ictus ischemici e prognosi peggiore in termini
di mortalità e di complicanze rispetto ai soggetti più giovani
(1).
L’ictus ischemico
rappresenta la forma più
frequente di ictus (80% circa), mentre le emorragie
intraparenchimali riguardano il 15%-20% e le emorragie
subaracnoidee il 3% circa.

�
Ogni anno in
Italia si verificano circa 200.000 casi di ictus, di cui l’80%
sono nuovi episodi
�
L’incidenza media
annuale in Italia, corretta per età, è di 220 casi/100.000/anno
�
A tutto il 2001 i
sopravvissuti ad ictus in Italia sono circa 913.000; ad oggi
superano il milione e di questi oltre 1/3 risultano totalmente
inabili
�
Attualmente il
numero di decessi per ictus rappresenta il 10-12% del numero
globale di decessi ed è pari a 6 milioni nel mondo; nel 2020 il
numero raddoppierà.
Siamo quindi di fronte ad una
patologia con rilevante impatto individuale, familiare e
sociosanitario, con costi assistenziali elevati e frequentemente
durevoli; di qui la
necessità e la opportunità di incentivare politiche sanitarie di
intervento per la prevenzione primaria e per la gestione della
fase acuta dell’ictus, nella consapevolezza che questi costi
sono inferiori a quelli indotti dalle cure riabilitative degli
esiti invalidanti e dalle terapie nella fase di cronicizzazione.
Partendo da queste
considerazioni si comprende facilmente il ruolo importante che
la cardiologia può e deve svolgere nella insufficienza
cerebrovascolare, soprattutto nell’ictus ischemico, nel quale
vanno considerate le possibili fonti cardioemboliche, che
possiamo suddividere in fonti ad elevato rischio e a basso-medio
rischio:
Ad elevato
rischio:
�
FA non isolata
�
Protesi valvolare
meccanica
�
Stenosi mitralica
con FA
�
Trombosi
dell’atrio e/o dell’auricola sn
�
Sindrome del nodo
del seno
�
IMA recente (<4
sett.)
�
Trombo
ventricolare sn
�
Mixoma atriale
�
Endocardite
infettiva
�
Cardiomiopatia
dilatativa
�
Acinesia di parete
del ventricolo sn
A basso-medio rischio:
�
Prolasso della
mitrale
�
Calcificazione
dell’anulus mitralico
�
Stenosi mitralica
senza FA
�
Forame ovale
pervio
�
Aneurisma del
setto interatriale
�
Ecocontrasto
spontaneo in atrio sn
�
Stenosi aortica
calcifica
�
Flutter atriale
�
FA isolata
�
Protesi valvolare
biologica
�
Endocardite
trombotica non batterica
�
Scompanso cardiaco
congestizio
�
Ipocinesia
segmentaria del ventricolo sn
�
IMA non recente (>
4 settimane, < 6 mesi)
In tutte queste condizioni lo
studio ecocardiografico appare la tecnica diagnostica
cardiologica di riferimento( 2). Potrà essere effettuato per via
transtoracica (TTE) e per via transesofagea (TEE), tenendo
presente che l’approccio mediante TEE risulta insostituibile per
la individuazione e lo studio di alcune fonti cardioemboliche

Il rilievo in un paziente della
presenza di una fonte cardioembolica potrà indurre l’impiego di
terapia anticoagulante o antiaggregante, terapia indispensabile
in caso di storia clinica di precedenti
eventi cerebrovascolari.
Una menzione particolare merita
la ricerca di placche aortiche a livello dell’aorta toracica, in
particolare del tratto situato a livello dell’arco, la cui
presenza, documentabile mediante ecocardiografica TEE, può
essere indicativa di uno stato di ipercoagulabilità.
Infatti lo studio APRIS (6) (
Aortic Plaque and Risk of Ischemic Stroke) ha confermato la
predittività per eventi cerebrovascolari acuti delle placche
aortiche complesse rilevate in corso di TEE ( 3-4-5),
dimostrando altresì che nei pazienti con placche aortiche
complesse all’arco ed ictus, esisteva uno stato di
ipercoagulabilità espresso dall’aumento significativo nel sangue
dei livelli di fibrinogenemia e del frammento protrombinico F
1.2, prodotto della conversione di protrombina in trombina,
sostanza che rappresenta a sua volta la via terminale sia
intrinseca che estrinseca del meccanismo di coagulazione.
Numerosi sono i fattori di
rischio (1) connessi alla comparsa di cerebrovasculopatie:
-
Immodificabili: età,
sesso e predisposizione familiare
-
Modificabili così
suddivisi:
FATTORI DI RISCHIO
MODIFICABILI BEN DOCUMENTATI
-
ipertensione arteriosa
-
alcune cardiopatie (in particolare fibrillazione atriale)
-
Diabete Mellito
-
Iperomocisteinemia
-
Ipertrofia Ventricolare sinistra
-
Stenosi della carotide
-
Fumo di sigaretta
-
Eccessivo consumo di alcool
-
Ridotta attività fisica
-
Dieta
Altri fattori che probabilmente aumentano il rischio di
ictus Al momento non Completamente documentati
come fattori indipendenti di rischio:
-
Dislipidemia
-
Obesità
-
Sindrome Metabolica
-
Alcune Cardiopatie (Forame ovale pervio,aneurisma settale)
-
Placche dell’arco aortico
-
Uso di contraccettivi orali
-
Terapia Ormonale sostitutiva
-
Emicrania
-
Anticorpi antifosfolipidi
-
Fattori dell’emostasi
-
Infezioni
-
Uso di Droghe
-
Inquinamento atmosferico
Come si può ben comprendere,
numerosi fattori di rischio per cerebrovasculopatie sono comuni
a quelli riconosciuti quali fattori di rischio per
cardiovascolari, verso i quali da lungo tempo il mondo
cardiologico ha intrapreso una energica azione di prevenzione
fatta di interventi farmacologici ma soprattutto di induzione al
cambiamento dello stile di vita, con risultati consistenti e
confortanti: in USA nel periodo 1980-2000 si è avuto una
progressiva e consistente riduzione di mortalità per malattia
coronarica pari al 50% , riferibile per il 54% alla riduzione
dei fattori di rischio (7).
Sempre in USA nel decennio
1994-2004 si è registrato una riduzione del 24% di mortalità per
ictus (8).
Fin qui il ruolo del cuore e del
cardiologo nella prevenzione dell’ictus.
La cooperazione tra specialista
cardiovascolare e specialista neurologo trova uno spazio ancora
più ampio ed importante quando si decide di affrontare la fase
acuta dello stroke, in particolare della forma ischemica.
E’ oramai conoscenza diffusa ma
scarsamente applicata la opportunità e necessità di terapia
trombolitica in pazienti affetti da ictus ischemico, che
giungono all’osservazione in Pronto Soccorso entro le 3 ore
dall’esordio dei sintomi; anzi recentissimamente sulla
prestigiosa rivista “The Lancet“ è comparso un articolo che
riporta i primi risultati dello studio osservazionale SITS-ISRT
( Safe Implementation of Treatments in Stroke- Intrnational
Stroke Treatment Registry ) che dimostra la possibilità di
estendere il trattamento con Alteplase sino a 4.5 ore (9).
Questo studio nasce da esigenze simili a quelle già verificate
dal mondo cardiologica attraverso studi analoghi sulla
possibilità di ampliare il numero dei pazienti affetti da IMA
con ST sopraslivellato da trattare con trombolisi, quando non
eleggibili a rivascolarizzazione meccanica ( PTCA ±
stent ) ; attualmente la trombolisi è consigliata entro 6 ore
dall’esordio dei sintomi con possibilità sino a 12 ore.
Dunque sul piano organizzativo
l’emergenza nei pazienti affetti da SCA è sovrapponibile a
quella da realizzare nei pazienti affetti da ictus: il tempo
è muscolo per il cuore di pazienti con SCA, è
cervello per i pazienti con ictus.
E’ evidente che la rete
cardiologica deve diventare rete cardiovascolare e la
tempestività di trattamento sollecitata e richiesta per pazienti
con SCA deve essere realizzata parimenti per i malati colpiti da
ictus, nella consapevolezza che mentre nel primo caso si può
realizzare una preziosa anticipazione temporale della terapia
farmacologica effettuabile già a domicilio, nel secondo caso
dovrà tendere a ridurre i tempi decisionali.
Innovazioni organizzative per
velocizzare il trattamento del paziente con ictus nella fase
acuta sono state sperimentate negli ultimi mesi:
1)
consulto
telefonico tra medici
del dipartimento di emergenza e neurologi esperti di Stroke al
fine di iniziare quanto prima la terapia trombolitica; questa
modalità organizzativa è stata messa a confronto con quella più
costosa del teleconsulto: nessuna differenza relativamente alla
frequenza di terapia trombolitica
(28% vs. 23% ), di outcomes a 90
giorni, di mortalità, di frequenza di complicanza emorragica (7%
vs. 8%). Il tempo decisionale è risultato più lungo nel gruppo
di pazienti valutati mediante teleconsulto (65 vs. 55 minutes)
(10)
2)
impiego in
ambulanza di infermieri opportunamente formati
per la valutazione di pazienti con sospetto ictus, così da
ridurre sia i tempi di chiamata del medico “ call to doctor
“ sia i tempi di accesso al medico “ door to doctor “
(11)
Un accenno va fatto a terapie
interventistiche nella fase acuta dell’ictus.
Sono da considerarsi ancora
terapie “ elettive “, da affidare a mani di esperti in
interventistica vascolare, al momento praticabili a pazienti con
ictus nei quali vi è controindicazione alla trombolisi o
fallimento della stessa.
Lo studio MERCI (Mechanical
Embolus Removal in Cerebral Ischemia) ha dimostrato
fattibilità ed efficacia della embolectomia meccanica nel
paziente con ictus ischemico (12); i risultati
finali qui di seguito rappresentati nella tabella 4 del lavoro
di Wade S. Smith e coll ( 12) dimostrano la significativa
differenza in outcome e mortalità tra pazienti ricanalizzati e
non.
Table 4.
Neurological Outcomes at 90 Days
Assessment
|
Overall
(N=164)
|
Overall
Recanalized (N=112)
|
Overall Not
Recanalized (N=52)
|
Relative Risk
(95% CI)
|
P
Value
|
Favorable
outcome,* % (95% CI) |
36 (29–44) |
49 (40–59) |
9.6 (1.6–18) |
5.1 (2.2–12) |
<0.001 |
Mortality at
90 days, % (95% CI) |
34 (26–41) |
25 (17–33) |
52 (38–66) |
0.48
(0.31–0.73) |
<0.001 |
|
*mRS 2. |
P
value is for ad hoc testing of the difference in
outcome rates between the recanalized and not
recanalized groups using a two-tailed Fisher
exact test. |
|
D’altra parte la positività del
risultato meccanico di embolectomia nel vaso cerebrale ostruito
dipende anche dal tipo di catetere utilizzato (13).
Infine “ il cuore “ va protetto,
studiato e sorvegliato anche nella fase cronica della
vasculopatia cerebrale perché non è infrequente la comparsa a
breve distanza da un episodio di SCA di un evento ischemico
cerebrale acuto.
Inoltre ancora aperta alla
discussione è l’impiego delle statine.
Le linee guida pubblicate nel
Luglio 2008 dal NICE ( National Institute for Health and
Clinical Excellence ) chiariscono che sono ancora pochi e non
del tutto chiare le dimostrazioni relative alla necessità di
introdurre sistematicamente le statine nella terapia del
paziente colpito da ictus, mentre risulta evidente l’effetto
negativo della interruzione delle stesse post-stroke (14).
Infine relativamente all’impiego
degli antiaggreganti nello stroke, lo studio PRoFESS ha
dimostrato definitivamente la non superiorità della terapia con
duplice antiaggregante, aspirina + dipiridamolo versus il
clopidogrel nella prevenzione del recurrent stroke;
l’associazione sembra incrementare il numero di stroke
emorragici (15).
Per concludere possiamo
affermare che le relazioni tra apparato cardiovascolare e
funzioni cerebrali sono estremamente complesse e bidirezionali.
Pertanto è errato cercare di
stabilire una gerarchia tra questi due importantissimi sistemi.
Bibliografia
1)
SPREAD V Edizione (2008)
2)
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3)
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arch and the risk of ischemic stroke – N Engl J Med 1994; 331:
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4)
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21-23 abs.
5)
Di Tullio MR et al: Aortic atheroma morphology and the
risk of ischemic stroke in a multiethnic population – Am Heart J
2000; 139; 329-336
6)
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Hypercoagulability, and Stroke- The APRIS Study – JACC 2008; 52:
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7)
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John A. Marx MD: Telemedicine for stroke patients-
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11)
Ian Mosley M Bus et al: The impact of ambulance practice
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12)
Wade S. Smith MD, PhD et al: Mechanical Thrombectomiy for
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13)
Caspar Brekenfeld, MD et al: Mechanical TromboembolectomY
for acute Ischemic Stroke: Comparison of the cath trombectomy
device and Merci Retriever in vivo- Stroke 2008;39:1213
14)
NICE JULY 2008
15)
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extended-release dipyridamole versus clopidogrel for recurrent
stroke. N Engl J Med 2008 Aug